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Racconti Erotici Etero

L’aria del lago (1°parte)

By 10 Febbraio 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

Poteva essere la sera indicata per una delle nostre uscite a cinque stelle; c’erano tutte le premesse giuste. Era andata dalla parrucchiera e dall’estetista, come tutte le donne che vogliono apparire al meglio, aveva convinto il piccolo a dormire sotto dai nonni, e soprattutto l’aspettavano due giorni di riposo completo, senza turni e reperibilità. E’ fondamentale, per una signora trentacinquenne che si vuole tenere in forma avere il tempo per il giusto recupero.

Sentii la sua voce che mi chiamava, io ero sotto, nell’ingresso, che la aspettavo; lei ancora sopra al primo piano che terminava di prepararsi. ‘Fammi una cortesia’ disse sporgendosi dal muretto delle scale ‘portami su il cappotto, dieci minuti e scendo,fai in tempo a dar da mangiare al cane; poi vieni con la macchina fin sotto al portico, non voglio rovinarmi le scarpe con l’acciottolato’. Avevo visto solo il suo ‘pezzo’ sopra ma rimasi deluso: aveva indossato una maglia dolce vita di cashmire.

Mentre porto su il cappotto penso che probabilmente non &egrave la serata giusta; torneremo a casa presto, ci fermeremo sotto dai suoi a prendere il bambino per poi andare tutti sopra a dormire.

Abitiamo in una vecchia cascina ristrutturata, i miei suoceri al piano terreno, noi al primo; passai, come di consuetudine, a salutarli ma trovai solo mia suocera: il piccolo e il nonno avevano già cenato ed erano nel capannone dei mezzi agricoli a vedere il trattore nuovo. Apro una parentesi esplicativa aggiungendo che ho 43 anni e mia moglie 35, alta 1,68 con le rotondità al posto giusto, la tipica signora piacente senza essere una diva del cinema. Libero il cane prendo la macchina e l’aspetto con il motore acceso davanti al portone d’ingresso; l’attesa &egrave breve, pochi minuti e si parte. Durante il viaggio non sono di molte parole, a differenza sua che e molto allegra e loquace, la cosa non le passò inosservata e mentre arriviamo a destinazione mi chiede cosa avessi. ‘Se ti dicessi che non c’&egrave nulla sarei bugiardo, sono sincero, ero convinto che ti saresti vestita in maniera provocante ma quando ti ho vista sulle scale………’ Non rispose ma disse soltanto ‘Fermati vicino all’ingresso: con queste scarpe che tu non hai nemmeno notato non riesco a fare la stradina che scende al ristorante, parcheggia che ti aspetto per entrare insieme.’ I fari dell’auto illuminarono la sua figura e notai le scarpe, nere e dorate con un tacco altissimo, non meno di 12 cm, con alcune catenelle sempre dello stesso colore che pendevano. Erano decisamente arrapanti e non potevano passare inosservate. Carlo il proprietario era un amico di vecchissima data, ci conoscevamo da una ventina d’anni da quando, studenti, frequentavamo il Bar di suo padre; aveva girato il mondo per diversi anni come cuoco per poi mettersi in proprio e da allora non facevamo passare più di due o tre settimane senza cenare da lui. Il locale era il classico a conduzione familiare, pochi coperti, una trentina in tutto, atmosfera ovattata frequentato soprattutto da coppie o da stranieri alla ricerca del locale e dei piatti tipici del lago. Ci aveva riservato il tavolo vicino al caminetto e chiese, prima che ci sedessimo, i soprabiti; gli consegnai il mio mentre Matilde lo tenne indosso dicendo che aveva freddo e voleva aspettare qualche minuto. Si sedette con addosso il cappotto e mi venne spontaneo chiederle se stesse poco bene, visto che anche durante tutto il viaggio non se ne era mai privata. ‘Ho paura di aver esagerato con l’abbigliamento &egrave per quello che non mi spoglio non perché sto poco bene e nemmeno perché ho freddo’. Si guardò intorno alla ricerca di qualcuno che potesse vederla e appurato che non c’erano sguardi rivolti nella sua direzione, anche perché nel locale oltre a noi vi era solo un altro tavolo occupato da tre giapponesi due dei quali ci davano le spalle ,si alzò dalla sedia e tolse il cappotto. Il tovagliame e la mia persona la coprivano dallo sguardo dell’orientale. Avevo capito tutto: la maglia era sì accollata, ma anche molto leggera ed aderente; segnava e metteva in risalto tutto il suo seno, trattenuto, più che sostenuto, da un reggiseno con delle coppe che lasciavano i capezzoli scoperti e liberi di mostrare la loro presenza attraverso il tessuto; ma il bello era ancora da venire. Aveva indossato una gonna a portafoglio lunga, meglio dire corta, non più di 30 cm; niente di particolare se non fosse per il fatto che essendo piuttosto rotonda di fianchi il ‘portafoglio’, davanti, rimaneva leggermente aperto. L’aveva poi abbinata ad un paio di calze con reggicalze a cui faceva fare bella mostra essendo troppo ridotta per coprirli. Rimasi senza parole ma estremamente soddisfatto: mai era uscita a cena con un abbigliamento così eccitante. Una volta seduta la situazione era sotto controllo, ma da alzata….. La cena proseguì nel modo migliore; alcuni bicchieri di buon vino avevano contribuito a far crescere il nostri desideri e a togliere qualche freno inibitore. Eravamo uno di fronte all’altro e giocavamo a stuzzicarci; lei si faceva coprire dalla mia persona e si divertiva a mangiare con la maglia sollevata e il seno scoperto, oppure apriva la gonna e mi faceva vedere il tutto abbassandomi sotto il tavolo. Quando sentivamo arrivare Carlo dalla cucina rientravamo nei ranghi. Quest’ultimo ci portò il dolce ed era nostra abitudine che lui e la moglie si sedessero al nostro tavolo per scambiare quattro chiacchiere ma quella sera ciò non avvenne. ‘Mi dispiace ragazzi ma questa sera non siamo dei vostri, domani &egrave San Valentino e non avendo trovato aiuto per la cucina io e Mimi -la moglie- faremo le ore piccole per preparare le basi della cena. Fate una cosa, con calma, quando avete finito di cenare e di chiacchierare passate voi a salutarci; vi chiedo un favore, il tavolo con i tre giapponesi ha già pagato; se volessero qualcosa dal bar fate voi da padroni di casa tanto &egrave già compreso nel prezzo: pensate una bottiglia di champagne e due di barolo in tre, li vedo leggermente allegri ma anche molto soddisfatti del locale’. Detto questo sparì in cucina’ ‘Soddisfatti del locale ma anche delle mie tette’ aggiunse Matilde. ‘Cosa dici’ replicai. ‘Dico che probabilmente, anzi sicuramente, si sono accorti che facevamo gli scemi e che ti mostravo le tette, non girarti, ma i due che prima mi davano le spalle hanno ruotato le sedie di 90 gradi e hanno sempre gli occhi rivolti al nostro tavolo, uno ha adirittura alzato il bicchiere per brindare alla mia salute e ho notato che faceva agli altri il gesto di alzare e di abbassare la maglia’. ‘Insomma, o ti fa piacere o ti da fastidio mostrarti a degli sconosciuti, non c’&egrave via di mezzo, sei tu che devi decidere se farlo e fin dove arrivare oppure andiamo in cucina a chiacchierare’. Le avevo tirato un colpo basso, sapevo benissimo che l’esibirsi era una cosa che le piaceva, più di una volta l’aveva fatto, ma mai in presenza di altre persone e da tempo aspettavamo una occasione simile, voleva solo il mio nulla-osta per proseguire. Fece cenno di avvicinarmi al tavolo per coprirla: sollevò la maglia, tolse il reggiseno e accarezzandosi le tette disse: ‘questa &egrave la mia risposta, aspetto la tua!’ Giocherellavo con una posata e la guardavo: mentre si massaggiava le tette nude, cominciava ad eccitarsi. Incalzò nuovamente: ‘deciditi’ disse senza interrompere i palpeggiamenti ‘conto fino a dieci poi mi ricompongo e vado in cucina. Uno..due…’ arrivata che fu all’otto prese in mano il reggiseno; in quel momento feci cadere a terra la posata che avevo in mano e mi abbassai repentinamente a raccoglierla privandola della copertura ed esponendola agli sguardi dei tre. ‘Questa la mia’ risposi. Mi assalì, dicendo che se non avesse intuito la mia intenzione sarebbe rimasta con il seno in bella vista per i tre dell’altro tavolo; e comunque se volevo giocare pesante lei non si sarebbe tirata indietro. Rincarai la dose: ‘Mi dispiace che tu abbia previsto la mia mossa e che sia riuscita a coprirti per tempo, hai comunque indovinato le mie intenzioni’. ‘Vorresti esibirmi a quei tre bavosi che non mi hanno tolto per un attimo gli occhi di dosso ? E dimmi, cosa dovrei fare?’ Eravamo come due giocatori di tennis quando palleggiano da fondo campo entrambi in attesa di una mossa falsa dell’altro per segnare il punto. Per noi non era importante vincere ma giocare, ormai avevamo preso gusto e dovevamo finire la partita. La palla era mia. ‘Cosa ne dici di attizzarli un po’ mostrando loro come ti sei vestita ? Io con la scusa di preparare i caffé, mi allontano per evitare che la mia presenza possa essere motivo di imbarazzo.’ ‘Va bene, ma prima voglio chiarire alcuni particolari: se tu vuoi che faccia la ‘puttana’ &egrave mia intenzione farla fino in fondo ,sai come la penso, le cose o le faccio bene o lascio perdere; quindi sono io che decido il da farsi e i limiti da porre al mio comportamento. Se la cosa ti aggrada alzati, ma prima di uscire di scena metti sul tavolo delle banconote, come se dovessi pagarmi, in modo che i tre vedano quello che stai facendo; dovresti sapere che le puttane si pagano prima, poi vai pure ti dirò io quando portare i caffé. Aveva segnato un punto a suo favore. In piedi al suo fianco tolsi dalla tasca alcune banconote e contandole con estrema lentezza, le misi vicino al suo piatto. ‘Bene, vai pure ora tocca a me’ questa fu la sua risposta. La sala aveva una forma a L ,il nostro tavolo era nel punto di congiunzione dei due bracci, quello dei tre al fondo del braccio lungo mentre il banco bar alla nostra destra, alla fine del braccio corto. Io dal banco bar potevo vedere i movimenti di Matilde ma non potevo vedere ne essere visto dagli altri. Mi sedetti su di uno sgabello e appoggiato al banco aspettavo la prima mossa sentivo il cuore battere all’impazzata, un misto di eccitazione di curiosità e di

timore per quello che stava per accadere si erano impossessati di me. Lei era li seduta a pochi metri, ma mi sembrava lontana, irreale, l’interprete di un film e io lo spettatore. Spostò indietro la sedia e si alzò rimanendo in piedi alla estremità del tavolo ,in maniera da essere solo in parte coperta da questo. Io la vedevo di profilo: era uno spettacolo; scarpe col tacco a spillo, gambe velate da un paio di calze grigio scuro che oltre a mostrare l’attaccatura del reggicalze lasciavano scoperti alcuni centimetri di coscia nuda che la gonna non riusciva a coprire. Si girò per prendere la borsa che aveva appoggiato sulla sedia affianco alla sua ma per farlo dovette chinarsi in avanti… il suo sedere rotondo era lì tutto da vedere coperto solo da un minuscolo perizoma. Mi sembrava di scoppiare, avrei voluto essere una mosca per vedere la faccia dei tre. Prese la borsa e la appoggiò sul tavolo, scosse la maglia come per eliminare le briciole ma non soddisfatta completò l’opera massaggiandosi i seni che ondeggiavano al tocco delle sue mani in maniera vergognosamente eccitante. Decise di rinunciare ad ogni tipo di protezione e si mise sempre in piedi a capotavola dando a me la schiena e agli altri spettatori il fianco. Si tirò su prima l’una e poi l’altra calza avendo l’accortezza di sganciare e poi riagganciare con il reggicalze, sistemò la gonna, prese i soldi che erano sul tavolo, li contò e li mise in borsa; si chinò nuovamente per prende re il reggiseno che prima aveva tolto e appoggiato sulla solita sedia; se prima ero io a bearmi della bontà del suo deretano e i tre immaginavano, ora la situazione era ribaltata: loro vedevano e io potevo immaginare. Il pensare allo spettacolo che si stavano godendo mi procurava una eccitazione pari se non superiore a quella precedente.

Il reggiseno venne riposto anch’esso nella borsa sempre in maniera da far capire loro ciò che faceva.

Morivo dalla voglia di vederli in faccia……e fui accontentato. Uno di loro si era avvicinato a Matilde, ebbi appena il tempo di nascondermi dietro ad una colonna e ascoltre il loro discorso senza essere scorto.

Parlavano sottovoce ma riuscii ugualmente a capire il ‘succo’ del discorso:

non osavo credere, l’avevano presa per una accompagnatrice e le stavano propo nendo del denaro per averla al loro tavolo; ora ero io che non potevo vedere ma solo ascoltare. Non udivo più la voce maschile, ero certo che Matilde l’avesse mandato a quel paese, giammai avrebbe accettato una simile proposta.

La vidi venire verso di me, quando fu fuori dalla loro portata visiva mi sven tolò sotto il naso una banconota da 100 dollari dicendo:

‘Cosa ne pensi, posso cambiare mestiere?’ ‘
Mi sembra che stai esagerando, anche se &egrave innegabile che la cosa mi sta eccitando da matti’. ‘Se &egrave per questo preparati che &egrave un acconto, siamo solo all’inizio, la cosa comincia a prendermi e voglio andare avanti, i patti sono patti. Adesso vado a sedermi porta pure i caffé’. Preparai i caffé e li portai al tavolo. Cominciavo a temere che la situazione potesse sfuggire di mano e proposi di tornare a casa.

La risposta fu immediata: ‘quando hai finito di bere ti alzi e riprendi la

posizione di guardone, tu &egrave come se fossi uscito, anzi per rendere la cosa più

veritiera esci dalla porta di servizio e sposta la macchina dal parcheggio alla

strada cosi da far credere che ti sia assentato, rientri silenziosamente dal

retro e ti godi lo spettacolo’. Eseguii quanto richiesto. Al mio ritorno Matilde

stava parlando, in inglese, con loro; tutto il mondo &egrave paese, le parole dei tre erano

dei complimenti alla sua persona e al suo modo di vestire, e si stupivano del fatto che l’avessi lasciata sola; lei rispose che eravamo molto amici del proprietario e che mi ero assentato con lui.

‘Scusate un attimo, disse alzandosi, il camino si sta spegnendo, un attimo che provvedo a mettere qualche pezzo di legna.’ Era tremendamente arrapante; vicino al caminetto c’era una piccola scorta di legname, si abbassò mostrando spudoratamente quello che la gonna non riusciva a coprire, indugiò volutamente in quella posizione per poi mettersi davanti al fuoco con le gambe leggermente divaricate e le braccia protese in avanti come per scaldarsi le mani. Rimase così per un paio di minuti, per poi girarsi e scaldare la schiena; le gambe divaricate lasciavano i lembi della gonna aperti e lo spettacolo era meritevole, come se tutto questo non bastasse portò le braccia all’indietro, la maglia ora era adesa al tronco come una seconda pelle, si modellava sul seno mettendone in risalto le sue forme leggermente abbondanti. Riprese il dialogo, i tre con la scusa di poter parlare più tranquillamente, la invitarono al loro tavolo; lei accettò chiedendo loro se volessero prendere un altro caffé insieme a lei…. acconsentirono. Si portò alla macchina del caffé e non sapendo da che parte iniziare mi fece cenno di provvedere alla loro richiesta. Preparai le quattro tazzine di caffé e le misi su di un vassoio che era sul banco bar, mentre lo prendeva tra le mani per portarlo al tavolo mi balenò in mente un’idea: le feci appoggiare nuovamente il vassoio e mi avvicinai a lei. ‘E’ meglio che io ti sistemi i vestiti prima di portar loro i caffé’. ‘Hai ragione forse sto esagerando un pochino’. ‘Direi di no, sei stata magnifica’. Così dicendo presi tra le mani il bordo superiore della gonna e lo portai più che potevo verso l’alto scoprendo maggiormente le gambe; la frenesia di esibirla mi aveva contagiato, le sollevai la maglia e presi a stuzzicare i capezzoli stringendoli tra le dita; quando li sentii duri ed eretti la riabbassai. Non ero ancora pago, le sussurrai all’orecchio alcune parole lei mi guardò e rispose: ‘Lo faccio ma mi tolgo anche i limiti che avevo deciso di non oltrepassare’. Si sfilò le mutandine e le appoggiò sul banco, prese il vassoio e si diresse al tavolo dei tre. Era magnifica, tra il bordo della gonna e le calze c’erano almeno dieci centimetri di coscia nuda; i capezzoli eretti, e il pelo che si intravedeva mentre camminava, completavano il quadro. Non avevo mai provato una tale eccitazione, l’adrenalina scorreva nelle mie vene in quantità industriale, il cuore batteva all’impazzata e la tensione emotiva mi rendeva difficile anche il deglutire. Seguirono i minuti più lunghi della serata, l’ansia e i ripensamenti mi divoravano ; era necessario farle portare i caffé conciata a quel modo? Prima le avrei tolto tutto di dosso ora mi pentivo di quello che avevo fatto. Avevo le orecchie tese, cercavo di capire quello che si dicevano, di carpire qualche parola ma non mi era possibile, la musica di sottofondo, la distanza e il parlare piano me lo impedivano. L’unica cosa che percepivo era qualche risatina. Cosa facevano? Mi sembrava di impazzire, l’attesa era estenuante ed eccitante al tempo stesso. Fece ritorno dopo un quarto d’ora facendomi cenno di seguirla nel bagno delle signore, non capivo il perché ma le andai dietro. Chiuse la porta alle sue spalle e disse: ‘Dovevano recarsi in bagno e ti avrebbero visto così li ho preceduti’. ‘Non mi interessa nulla delle loro esigenze fisiologiche dimmi piuttosto di te’. ‘Niente di particolare, abbiamo fatto quattro chiacchiere hanno valutato e apprezzato la ‘merce’ da te magistralmente messa in risalto e mi aspettano per bere insieme un limoncello. Mi hanno osservato per tutta la sera e hanno potuto seguire le mie esibizioni al tavolo riflesse nello specchio che c’e sulla parete.’ Parlava e contemporaneamente si rifaceva il trucco, ma non come era solita fare bensì in modo estremamente marcato e volgare. Infilai una mano sotto la gonna …così ricca di umori ben poche volte mi era capitato di sentirla. ‘Non fare così sono già troppo eccitata , non pensavo che l’esibirmi davanti a degli estranei mi potesse dare tali sensazioni. Ti do una anticipazione: ho detto loro che i soldi che mi hai dato erano per lo spettacolo durante il pasto e ho ricevuto una proposta ……un pò indecente ma consistente’. ‘E tu?’……. ‘ Cosa vuoi che dica a uno che mi fa portare i caffé mostrando ad ogni passo la passerina; quando mi hanno visto arrivare sono rimasti allibiti dal mio abbigliamento. Fammi una cortesia portami il grembiulino che usa Mimi quando serve ai tavoli, quello rosso, &egrave appeso dietro al banco’. Volevamo, non volevamo &egrave troppo, non esageriamo…..tutte storie! La situazione che si era creata piaceva a entrambi solo che dovevamo dare delle giustificazioni a quello che facevamo come se dovessimo scaricare la colpa o le responsabilità uno con l’altro. Il grembiulino più che tale era una parinnanza, per spiegarmi meglio sul tipo di quelli che si vedono indossati dalle servette nei films a luce rossa. Glielo portai e come ringraziamento mi disse di tornare alla mia postazione e di preparare il vassoio con la bottiglia di liquore. Uscì dal bagno dopo pochi attimi; al posto della gonna e della maglia indossava il grembiule da cameriera. Per lasciare un po’ di spazio all’immaginazione aveva avuto il buon gusto di rimettere il perizoma e il reggiseno; quest’ultimo lasciava i capezzoli scoperti con la pettorina che fungeva da tendina di copertura , il perizoma era privo di ogni protezione e mostrava il triangolo di peli nella sua totalità, il sedere aveva come unica copertura il filo interdentale del perizoma. Spense alcune luci della sala, prese il vassoio e via… appena uscì dal mio raggio di azione e entrò nel loro si sentì un accenno di battimano seguito da un ‘ooohh’ di approvazione. Nella mente avevo un turbinio di pensieri; cosa staranno facendo e se la costringono con la forza…..me la immaginavo con le loro mani che la frugavano dappertutto…con un coltello puntato alla gola mentre veniva posseduta da ciascuno di loro….trascorsi in compagnia di questi pensieri una tempo che sembrava interminabile, quando sentii la sua voce che li salutava tirai un sospiro. Udii lo sbattere della porta di ingresso e capii che se ne erano andati, che tutto era finito; avevo timore ad andare da lei, ero bloccato, chissà come l’avrei trovata. ‘Vieni Michele, se ne sono andati’ era lei che mi chiamava. La trovai più che seduta, quasi sdraiata su di una sedia, una gamba era appoggiata al pavimento e l’altra sul tavolo. Ero di fronte a lei e stavo passando in rassegna il suo corpo per capire cosa era successo con i tre. Il seno era nudo e con evidenti segni di palpeggiamenti, la sua pelle sensibile e arrossata ne era la dimostrazione lampante, al pari di quel segno rosso vicino al capezzolo, null’altro poteva essere se non un succhiotto. Era senza scarpe, con le calze smagliate in più punti; le mutandine, pur lasciando scoperta la figa, che da come si presentava non sembrava essere stata molto risparmiata, erano, seppure completamente scostate e ridotte a un filo di stoffa ancora al loro posto. ‘Siediti che ti racconto cosa &egrave successo; ti dico subito che non mi sono fatta scopare anche se ho avuto qualche attimo di cedimento, non pensavo mi piacesse a tal punto. Il fatto che tu eri li a pochi metri mi eccitava all’inverosimile. Si sono limitati a spogliarmi ad accarezzarmi e a toccarmi , sì c’&egrave stato anche qualche bacio e ho sentito qualche dito che si infilava…’ ‘forse qualcuno in più – aggiunsi io -a giudicare da come ti hanno lasciato……’ Questa &egrave stata la nostra prima esperienza con degli sconosciuti.

Fine della prima parte

Anche questa storia prende spunto da un episodio realmente accaduto

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