Skip to main content
Erotici RaccontiRacconti EroticiRacconti Erotici Etero

L’Attico del Desiderio – Capitolo 2 – Il Prezzo del Desiderio

By 15 Marzo 2025No Comments

La mattina dopo, l’ufficio sembrava una gabbia dorata. Dago si muoveva tra le pratiche come un automa programmato per la perfezione professionale, firmando documenti, parlando al telefono, facendo tutto il possibile per non pensare alla notte precedente. Ma era inutile. Il profumo di Paola sembrava essersi tatuato sulla sua pelle, una presenza invisibile che lo tormentava a ogni respiro. Perfino l’aria condizionata non riusciva a dissipare quel calore che gli bruciava dentro, un fuoco acceso da ricordi che non volevano sbiadire.

Tra i vari appuntamenti c’era anche la firma della proposta del Dott. Padovan – un’ironia del destino che gli torceva le viscere. Il documento giaceva sulla sua scrivania come una sentenza di colpevolezza, ogni riga un promemoria del suo tradimento professionale. Due milioni di euro racchiusi in poche pagine di carta intestata, e tutto quello che riusciva a vedere era il modo in cui Paola si era mossa sotto le sue mani la sera prima.

Cercava di concentrarsi sui numeri, sulle clausole del contratto, ma la sua mente era una bestia ribelle che continuava a tornare a lei. Al calore della sua pelle sotto le sue dita. Al modo in cui si era abbandonata tra le sue braccia, al tavolo di quella cena che aveva cambiato tutto. Ad ogni pensiero, una fitta di desiderio mista a colpa gli attraversava il corpo come una scarica elettrica.

Un messaggio illuminò lo schermo del suo cellulare, facendogli quasi perdere la presa sulla penna:
“Questa mattina niente colazione e hai saltato anche il pranzo. Lavori troppo o… hai paura di me? Ti mando un bacio perché tu non mi possa scordare”

Le parole sul display brillavano come braci ardenti. La sua gola si strinse. Aveva ragione – la stava evitando. Non per paura di lei, ma di sé stesso, di quella fame che gli divorava le viscere ogni volta che pensava al suo corpo, al suo profumo, al sapore della sua pelle. Era il desiderio più puro e pericoloso che avesse mai provato, una droga che minacciava anni di costruzione professionale.

Non poteva risponderle. Non doveva. Eppure, le sue dita esitarono sopra lo schermo, tremanti come quelle di un tossicodipendente davanti alla sua dose. Si costrinse invece a chiamare il Dott. Padovan, componendo il numero del cellulare con dita che sembravano appartenere a qualcun altro. La paura che potesse rispondere lei al telefono di casa gli faceva battere il cuore come un tamburo impazzito.

Concordarono le date con una professionalità che gli suonava falsa perfino nelle sue stesse orecchie. Si salutarono cordialmente, e quando chiuse la chiamata, un sorriso amaro gli increspò le labbra. ‘Se sapesse…’ Il pensiero gli attraversò la mente come un lampo di calore liquido. Chiuse l’ufficio portandosi dentro il peso di quel segreto, il profumo di lei ancora impresso nella memoria, e la consapevolezza che questa storia era solo all’inizio.

Il giorno del compromesso fu una delusione che gli morse lo stomaco. Si era preparato mentalmente a rivederla, aveva provato davanti allo specchio quella maschera di professionalità che sembrava sempre più una farsa, ma si presentò solo il dottore. La sua assenza creava un vuoto quasi fisico nella stanza, come se l’aria stessa fosse più pesante, più difficile da respirare.

Un piccolo intoppo sulla consegna delle chiavi lo costrinse a improvvisare una soluzione. Si offrì come intermediario, fissando la consegna per tre giorni dopo. “Venerdì sera alle 19:30,” confermò il dottore. “E sa cosa facciamo? La porto a bere un fantastico aperitivo dopo.” Dago annuì, sentendosi come un attore in una commedia sempre più complessa.

I giorni che seguirono furono un’agonia di attese e desideri repressi. Nei momenti liberi, la sua mente tornava ossessivamente a lei, ma poi faceva di tutto per evitarla. Gianluca, il barista, gli aveva confidato che Paola passava ore al bar, cosa che prima non aveva mai fatto. “Non è che aspetta te?” gli aveva chiesto un giorno, con quel suo sorriso che sapeva troppo. Dago aveva fatto finta di non sentire, ma il pensiero di lei che lo aspettava gli aveva fatto tremare le mani.

I messaggi sul cellulare erano piccole scariche elettriche che gli attraversavano il corpo. Non faceva nulla per cancellarli, nulla per dimenticarla. In fondo a sé stesso, sapeva che non voleva dimenticare.

Finalmente arrivò il venerdì. Il pomeriggio si trascinò in una lenta agonia mentre l’ufficio si svuotava gradualmente. Alle 19 era rimasto solo, in attesa del dott. Padovan. Le scrivanie vuote e ordinate creavano un’atmosfera surreale, rotta solo dal ronzio sommesso del suo portatile. Fuori, la città si preparava al week end, e un caldo anomalo premeva contro i vetri dell’ufficio.

Era immerso nei suoi appunti quando la porta si aprì. Alzò gli occhi dal computer e vide lei.

Il giorno del compromesso fu una delusione che gli morse lo stomaco. Si era preparato mentalmente a rivederla, aveva provato davanti allo specchio quella maschera di professionalità che sembrava sempre più una farsa, ma si presentò solo il dottore. La sua assenza creava un vuoto fisico nella stanza, come se l’aria stessa fosse più pesante, più difficile da respirare.

Un piccolo intoppo sulla consegna delle chiavi lo costrinse a improvvisare una soluzione. Si offrì come intermediario, fissando la consegna per tre giorni dopo. “Venerdì sera alle 19:30,” confermò il dottore. “E sa cosa facciamo? La porto a bere un fantastico aperitivo dopo.” Dago annuì, sentendosi come un attore in una commedia sempre più complessa.

I giorni che seguirono furono un’agonia di attese e desideri repressi. Nei momenti liberi, la sua mente tornava ossessivamente a lei, ma poi faceva di tutto per evitarla. Gianluca, il barista, gli aveva confidato che Paola passava ore al bar, cosa che prima non aveva mai fatto. “Non è che aspetta te?” gli aveva chiesto un giorno, con quel suo sorriso che sapeva troppo. Dago aveva fatto finta di non sentire, ma il pensiero di lei che lo aspettava gli aveva sentire le farfalle nello stomaco.

I messaggi sul cellulare erano piccole scariche elettriche che gli attraversavano il corpo. Non faceva nulla per cancellarli, nulla per dimenticarla. In fondo a sé stesso, sapeva che non voleva dimenticare.

Finalmente arrivò il venerdì. Il pomeriggio si trascinò in una lenta agonia mentre l’ufficio si svuotava gradualmente. Alle 19 era rimasto solo, in attesa del dott. Padovan. Le scrivanie vuote e ordinate creavano un’atmosfera surreale, rotta solo dal ronzio sommesso del suo portatile. Fuori, la città si preparava alla notte, e un caldo anomalo premeva contro i vetri dell’ufficio.

Era immerso nei suoi appunti quando la porta si aprì. Alzò gli occhi dal computer e vide lei.

Indossava il solito cappotto lungo, ma questa volta era un invito più che una protezione. Sotto, una camicetta di seta così trasparente da essere quasi un’illusione sulla sua pelle. Non portava reggiseno, e i suoi seni grandi e pesanti si muovevano liberamente ad ogni respiro, i capezzoli scuri e turgidi premevano contro il tessuto come frutti maturi pronti a essere colti. La gonna, un gioco di seduzione con uno spacco che ad ogni passo rivelava la carne nuda sopra il pizzo nero delle autoreggenti.

Il cuore di Dago esplose in un ritmo selvaggio. Una settimana di desiderio represso gli bruciò nelle vene come alcol puro, accendendo ogni terminazione nervosa del suo corpo. Il suo cazzo si indurì istantaneamente, premendo contro la stoffa dei pantaloni con un’urgenza quasi dolorosa.

“Sei completamente pazza? Tuo marito potrebbe arrivare da un momento all’altro…” La sua voce era roca, tradiva tutto il desiderio che aveva cercato di soffocare.

“No.” Il sorriso di Paola era quello di una predatrice che ha finalmente intrappolato la sua preda. “Mio marito è dovuto partire per Hong Kong questo pomeriggio. Mi ha chiesto di venire a prendere le chiavi.” Si mosse verso di lui con la grazia di una pantera, ogni passo faceva ondeggiare i suoi seni in una danza ipnotica sotto la seta trasparente. Appoggiò la borsa sulla scrivania, spostando il portatile come se fosse un fastidioso ostacolo tra loro. Si sedette proprio dove era stato il computer, le gambe leggermente divaricate, una promessa oscena nelle sue pupille dilatate.

“Adesso voglio vedere come farai a evitarmi…”

La sua voce era miele caldo colato direttamente sulla sua pelle. Una settimana di caccia, di attesa, di desiderio covato come una brace ardente sotto la cenere della quotidianità. E ora erano lì, soli, con tutto quel calore pronto a esplodere in fiamme.

Paola non aspettò una sua risposta. Si portò le mani alla camicetta, slacciandola con movimenti lenti e deliberati. I suoi occhi non lasciavano quelli di Dago mentre si apriva la gonna. Il perizoma scivolò lungo le sue cosce come una carezza liquida. Afferrò Dago per la cravatta, tirandolo verso di sé con una forza che non ammetteva rifiuti. “Ho passato una settimana a pensare alla tua lingua dentro di me,” gli sussurrò, spingendogli il viso tra le cosce. “Ora voglio sentirla.”

Dago si abbandonò all’odore inebriante della sua figa bagnata. La sua lingua affondò tra le labbra già gonfie di desiderio, assaporando il sapore dolce e salato del suo succo. Paola gli prese la testa tra le mani, spingendolo più a fondo. “Così… cazzo, sì… leccami tutta.”

Le sue dita trovarono i capezzoli turgidi, iniziando a pizzicarli e tirarli mentre la sua lingua continuava a torturarle il clitoride. Paola si inarcò sulla scrivania, aprendo ancora di più le cosce. “Fammi venire con quella lingua, bastardo… ho aspettato troppo…”

Un fiume di umori gli bagnava il viso mentre lei si contorceva sotto la sua bocca. Le infilò due dita dentro, sentendola stringersi attorno a loro come una morsa calda e pulsante. La sua figa era così bagnata che le dita scivolavano dentro e fuori con facilità oscena, accompagnate dai suoni bagnati della sua eccitazione e dai gemiti sempre più forti.

“Cazzo, sì… un’altra… mettimi un altro dito dentro,” ansimò Paola, il viso arrossato e contorto dal piacere. Dago obbedì, infilando tre dita nella sua figa grondante mentre continuava a leccarle il clitoride con ferocia. La sentì tremare, le pareti interne che pulsavano attorno alle sue dita. “Sto venendo… cazzo, sto venendo…” Un fiotto di umori gli inondò la faccia mentre lei si contorceva nell’orgasmo, la figa che si contraeva spasmodicamente attorno alle sue dita.

La sentiva tremare, sopraffatta dalle sensazioni, mentre lui continuava a leccarla con ferocia animale, assaporando ogni goccia del suo piacere come un uomo morto di sete. Il suo corpo era una corda di violino tesa al limite, vibrante sotto ogni colpo di lingua, ogni invasione di quella bocca vorace che la reclamava tutta, senza limiti né pudore.

Quando Dago stava preparandosi a penetrarla, improvvisamente gli sgusciò via come un’anguilla e si ritrovò seduto sulla sua poltrona con Paola inginocchiata tra le sue gambe. Con una rapidità fulminea gli aveva già abbassato i pantaloni e i boxer. Il suo cazzo scattò libero, duro come marmo, e lei lo fissava come una gatta affamata mentre lo impugnava con forza, sentendolo pulsare tra le dita.

“A casa tua mi hai negato questo piacere, stronzo,” sussurrò con voce roca, stringendolo più forte, “ma adesso non te lo permetterò. Abbiamo tutto il tempo che voglio.” Lo guardò dritto negli occhi mentre la sua lingua gli leccava lentamente i coglioni. “E mi prenderò tutto quello che voglio di te.”

Il suo cazzo le scomparve in bocca fino alla base. Sentì le sue labbra stringersi attorno all’asta mentre scivolava giù, sempre più giù, fino a che la sua cappella gonfia non le toccò la gola. Lo tenne così, prigioniero di quella gola stretta e calda, per un tempo che sembrò infinito. Poi iniziò a muoversi su e giù con forza bestiale, succhiandolo come se volesse spremergli l’anima attraverso il cazzo.

Non si fermò finché non lo sentì gonfio e pulsante come lo voleva lei. Solo allora rallentò, iniziando a leccarlo come una troia affamata, assaporando ogni venatura della sua carne tesa. Le sue mani gli torturavano i coglioni mentre la sua lingua danzava sulla punta sensibile, raccogliendo le gocce di precum che già iniziavano a colare.

Dago sentiva le palle che gli bruciavano e i lombi che frizzavano dalla voglia di venire. Paola se ne accorse subito. “Voglio la tua sborra calda tutta in bocca,” ansimò tra un colpo di lingua e l’altro, “voglio sentirla scorrermi in gola.”

Non resistette oltre. Le afferrò la testa con entrambe le mani e iniziò a scoparle la bocca con furia cieca, spingendo sempre più a fondo. Paola mugolava di piacere e dolore, la sua gola che si apriva per accoglierlo tutto, e quando stava per schizzare fu lei a buttarsi in avanti con foga, per non perdere nemmeno una goccia della sua sborra calda.

Dago era un corpo abbandonato sulla sedia, la mente che vagava in dimensioni di puro piacere dove il tempo aveva perso ogni significato. Paola, ancora inginocchiata tra le sue gambe, continuava a baciargli il cazzo ormai sfinito, ogni tocco delle sue labbra una scossa elettrica che gli attraversava il corpo ipersensibile. Lentamente risalì con la bocca lungo la sua pancia, tracciando una scia umida sulla pelle accaldata, fino a sedersi a cavalcioni su di lui.

Le loro lingue si incontrarono in un bacio profondo e osceno, il sapore della sua sborra ancora forte sulle labbra di lei. Rimasero così, corpi e lingue intrecciati, respirando l’uno l’aria dell’altra, persi in quel momento di intimità brutale e perfetta.

“È da quando ti ho visto la prima volta passare qui davanti che ti desidero,” sussurrò lui contro le sue labbra, le mani che vagavano sulla pelle nuda della sua schiena. “Ho passato notti intere a immaginare di piegarti sulla mia scrivania, di sentirti urlare il mio nome mentre ti scopo fino a farti impazzire. Di prenderti contro il vetro della vetrina, dove tutti potrebbero vederci.”

“E questo non è niente.” La voce di Paola era roca, carica di promesse oscene. Si strusciò contro di lui, la sua figa ancora bagnata che lasciava tracce lucide sui suoi pantaloni. “Da quando ti ho visto, sogno di essere la tua puttana personale. Di essere usata in ogni modo possibile, di sentirmi riempire ogni buco del mio corpo dal tuo cazzo. Voglio che mi scopi finché non riesco più a camminare, finché la tua sborra non mi cola lungo le cosce.” Gli morse il collo, facendolo sussultare. “Abbiamo tutto il weekend a disposizione, e non ho intenzione di lasciarti scappare. Preparati.”

Si staccò da lui quel tanto che bastava per guardarlo negli occhi, le pupille ancora dilatate dal piacere e dalla lussuria. “Anzi, vestiti e prendi le chiavi dell’appartamento che mio marito ha comprato. Ho una sorpresa per te. Ho preparato tutto per realizzare ogni nostra fantasia più perversa.”

Dago la guardava con un mix di stupore e desiderio rinnovato, il cazzo che già iniziava a indurirsi di nuovo. “Fidati,” continuò lei, la voce un sussurro caldo contro il suo orecchio, “non rimarrai deluso di me, non lo sarai mai. Fino a quando tu vorrai sarò tua, la tua puttana, qualsiasi cosa tu voglia che io sia. A patto che tu lasci che anche le mie fantasie più oscene possano giocare con te.”

“Le tue fantasie?” chiese lui, il cuore che batteva come un tamburo al pensiero di quello che questa donna poteva ancora riservargli.

“Tutte le fantasie più sporche che hai immaginato da quando mi hai vista per la prima volta davanti alla vetrina. Le stesse che io ho iniziato a fare da quando ti ho visto, e anche peggio.” Si alzò, il corpo semi nudo, con i vestiti arruffati, il simbolo del desiderio. “Portami all’appartamento e scoprirai quanto in basso posso scendere per il tuo piacere. Se non sarai all’altezza delle mie perversioni, sarai libero di andartene e io cercherò di dimenticarti.”

Leave a Reply

Close Menu