Parcheggiarono e le mani di Dago tremavano nervosamente mentre armeggiava con la serratura. Non era solo eccitazione – era una tempesta di sensazioni che gli annebbiava la mente, gli faceva pulsare il sangue nelle vene. ‘Cosa poteva avere in mente?’ si chiedeva, mentre il cuore gli martellava nel petto. La domanda era un’eco persistente che alimentava il suo desiderio, mischiato a quella sottile inquietudine che rendeva tutto più intenso.
L’appartamento vuoto li accolse nel suo silenzio complice. Paola si mosse con la sicurezza di una predatrice nel suo territorio. Si sfilò il cappotto con un gesto fluido, lasciandolo cadere in un angolo – un atto di noncuranza studiata che contrastava con la precisione dei suoi movimenti successivi. Dago la osservò posizionare l’unica sedia presente proprio sotto il pavimento a vetri, quel dettaglio architettonico che aveva innescato la loro prima scintilla di desiderio. La vide trasformarsi davanti ai suoi occhi: non più la donna sposata che aveva spiato dalla vetrina, ma una creatura di puro erotismo che stava per prendere il controllo.
Lo fece sedere sulla sedia e, mentre lo baciava per distrarlo, gli legò i polsi dietro la schiena con la sua stessa cravatta. “Voglio che resti qui buono a goderti lo spettacolo che ho pensato per te il giorno che ci hai fatto vedere l’appartamento.” La sua voce era miele e veleno insieme, una promessa di piacere che lo fece tremare. Dago era prigioniero, ma non solo della cravatta – era prigioniero del suo stesso desiderio, della sua voglia di sottomettersi a lei.
“Ma nello stesso tempo voglio vedere quanto ti eccito,” sussurrò Paola, e con movimenti esperti gli sfilò i pantaloni e i boxer, lasciandolo esposto, vulnerabile, il suo cazzo già duro che tradiva ogni sua emozione. Lo guardò con fame nei suoi occhi verdi, lo accarezzò con dita esperte, lo baciò con labbra che promettevano paradiso e inferno insieme.
“Tentatore…” mormorò, e la parola gli scivolò sulla pelle come seta bagnata. “Ci vediamo dopo.” disse dandogli una carezza. Poi raccolse la sua borsa e salì le scale con la grazia di una danzatrice, ogni movimento un preliminare visivo che lo faceva impazzire.
Si posizionò proprio sopra di lui, ricalcando quella prima volta che aveva acceso il loro desiderio reciproco. Il vetro tra loro era come una barriera invisibile che amplificava ogni sensazione, ogni promessa di piacere. “Cazzo, sono già fradicia solo all’idea,” sussurrò mentre faceva scivolare le dita sotto la gonna, accarezzandosi attraverso il tessuto sottile del perizoma. La sua voce era roca, carica di una lussuria che non cercava più di nascondere.
Lentamente, come in una danza studiata per torturarlo, si sfilò la gonna. Ogni movimento era deliberato, pensato per farlo impazzire. La camicetta seguì lo stesso destino, lasciandola solo con il perizoma e il reggicalze – un’immagine di pura lussuria che gli fece pulsare il cazzo dolorosamente.
Si abbassò sulle gambe e, guardando Dago attraverso il pavimento trasparente, riprese ad accarezzarsi. Le sue dita scivolarono sotto il perizoma, esplorando la sua figa già bagnata. Il suo piacere era uno spettacolo osceno e ipnotico – le dita che giocavano con il clitoride, che si immergevano nella sua intimità mentre l’altra mano tormentava i capezzoli duri, portandoseli alla bocca come se non potesse resistere al desiderio di succhiarli.
L’eccitazione aveva preso possesso del suo corpo, trasformando ogni suo gesto in pura pornografia. Il suo piacere aveva iniziato a gocciolare sul pavimento in vetro, creando piccole pozze traslucide che facevano impazzire Dago dalla voglia di leccarle via, di bere ogni goccia del suo nettare. Era una tortura vedere quel liquido prezioso sprecato sul vetro mentre la sua lingua bramava di assaggiarlo direttamente dalla fonte.
Paola estrasse dalla borsa un fallo in gomma, trasformandolo nel suo strumento di dominio. “Pensa che sia il tuo,” sussurrò, iniziando a leccarlo con movimenti studiati della lingua che facevano pulsare dolorosamente il cazzo di Dago.
Lo usò per massaggiarsi la figa, il clitoride, gemendo suoni primordiali che riempivano l’appartamento vuoto. Si lasciò scivolare sopra, ingoiandolo nella sua figa bagnata con una lentezza calcolata per torturarlo.
Dago tremava di desiderio frustrato, il suo cazzo così duro che gocciava precum. Lei continuava a muoversi ipnoticamente, il suo piacere che colava sul vetro in uno spettacolo di pura lussuria.
“Voglio che tu veda come godo,” ansimò, sfilando il fallo per puntarlo contro il suo buchino. Una smorfia di dolore le attraversò il viso mentre si spingeva, ma quando si calò con forza i suoi occhi si accesero di fuoco selvaggio. Un fiotto di umori sgorgò dalla sua figa sul vetro.
La vista di quella dimostrazione oscena fu troppo. Il cazzo di Dago esplose senza essere toccato, schizzando sulla sua pancia e sul petto mentre lei continuava a scoparsi, regina assoluta del suo piacere.
Paola, eccitata dall’orgasmo di lui, sentì un nuovo fuoco accendersi dentro. Scese le scale con movimenti felini e si inginocchiò davanti a lui. Lo guardò negli occhi mentre la sua lingua raccoglieva ogni goccia di sperma dal suo petto, dalla sua pancia, ripulendolo come una gatta affamata. “Ho sempre voluto assaggiare il tuo sapore,” sussurrò tra un leccata e l’altra, la voce roca di desiderio.
Il contatto del suo cazzo con i seni di lei bastò a risvegliarlo. Paola lo sentì pulsare contro la sua pelle mentre continuava a leccarlo. Si prese il tempo di gustarlo, di sentirlo crescere tra le sue tette mentre la sua lingua giocava con la cappella sensibile.
Quando fu di nuovo completamente duro, si alzò con grazia felina. Si accarezzò il corpo guardandolo dritto negli occhi, un invito osceno nel suo sguardo. “Lascia che approfitti ancora di te, poi potrai farmi tutto quello che vuoi.” La promessa nella sua voce era carica di lussuria.
Si girò, piegandosi in avanti. Gli mostrò la sua figa ancora pulsante e bagnata, incastonata tra le sue chiappe perfette come un gioiello osceno. Era un invito, una provocazione, una sfida – e sapeva che lui non poteva fare altro che guardare e desiderare, prigioniero delle sue stesse fantasie.
Dago si contorse sulla sedia, i muscoli tesi nello sforzo di raggiungerla. La sua lingua bramava di assaggiare quella figa bagnata che lei gli mostrava così spudoratamente, ma legato com’era poteva solo guardare e desiderare. Paola, consapevole della sua frustrazione, lasciò scivolare la mano tra le cosce, allargando le labbra della sua figa proprio davanti al suo viso. Iniziò a masturbarsi con movimenti lenti e studiati, ogni gesto calcolato per torturarlo.
Poi, con deliberata lentezza, si abbassò mentre impugnava il cazzo di lui, duro come marmo. Lo strusciò lungo le sue labbra bagnate, usando la sua cappella per stimolarsi il clitoride, lasciando che il suo nettare lo lubrificasse completamente. Dago tremava, il respiro spezzato dall’anticipazione.
Puntò la cappella contro il suo ano e Dago sentì quel gemito – un suono primitivo di dolore e piacere che gli fece pulsare il cazzo ancora più forte. Paola si portò le mani sulle chiappe, allargandole mentre si calava su di lui centimetro per centimetro. Si fermava, risaliva leggermente, poi riprendeva a scendere, giocando con il suo piacere e la sua sofferenza fino a quando non lo prese tutto dentro.
Iniziò a muoversi con un ritmo ipnotico, alzandosi fino a quasi farlo uscire per poi ricalarsi lentamente, assaporando ogni centimetro della sua asta. Il suo ano lo stringeva come un guanto di seta calda, provocandogli brividi di piacere lungo la spina dorsale.
Dago trovò la forza di spingere dal basso, facendola sussultare alla prima penetrazione decisa. Paola gemette di sorpresa e piacere, adattandosi rapidamente al suo ritmo che cambiava continuamente per non farla abituare. Era pazzo di eccitazione, il suo cazzo pulsava dentro di lei mentre la sua mente vorticava di desiderio frustrato – voleva toccarla, afferrarla, possederla completamente.
“Paola, ti prego, liberami…” supplicò, ma lei era persa nel suo piacere. “Vengo, sì sì… vengo ancora… non ci posso credere… sì vengo vengooo!” Il suo orgasmo la travolse come un’onda, il suo corpo che si contraeva intorno al suo cazzo imprigionato nel suo culo.
Travolto dall’onda del suo orgasmo, quasi la seguì nel piacere, ma si era imposto di resistere. Voleva di più, voleva possederla completamente. Il suo cazzo pulsava dolorosamente dentro di lei mentre Paola continuava a spingersi contro di lui, il suo corpo scosso dalle contrazioni dell’orgasmo che sembravano non finire mai.
“Liberami Paola… liberami,” la sua voce era un ringhio basso, carico di una fame primordiale. Non era più una richiesta, era un ordine – e qualcosa nel suo tono fece tremare Paola di anticipazione.
Con un gemito di perdita, lo sentì scivolare fuori dal suo corpo. Si sedette sopra di lui, la pelle imperlata di sudore, e iniziò a baciarlo ovunque potesse raggiungerlo – il viso, la bocca, il collo, il petto. Sentiva il suo cazzo duro premere contro l’addome, un promemoria pulsante del piacere che ancora doveva venire.
Vedendolo ancora in piena erezione, la sua figa si contrasse di desiderio. Non poteva resistere – si sollevò leggermente e lo risucchiò nel suo sesso ancora pulsante per l’orgasmo precedente. Mentre riprendeva a baciarlo con ferocia, le sue mani scivolarono dietro la sedia. Era il momento di liberare la bestia che aveva provocato.
La libertà esplose nelle sue vene come una droga. Le sue mani, finalmente libere, si avventarono sui glutei di Paola con una fame bestiale, marchiando la carne morbida con impronte di possesso. Le sue dita tracciarono un percorso lungo la sua schiena come artigli, raccogliendo gocce di sudore, fino ad aggrapparsi ai suoi capelli. Li avvolse attorno al pugno e tirò, esponendo la gola vulnerabile di lei come una preda offerta al predatore.
La sua bocca assaltò quella pelle esposta, mordendo e succhiando, marchiandola mentre scendeva verso i seni. I capezzoli erano turgidi, invitanti, e lui li divorò come frutti proibiti – leccando, succhiando, mordendo fino a farla gridare. La figa di Paola si contraeva a ogni morso, il suo nettare che colava lungo le cosce come prova del suo desiderio perverso.
Con una stretta brutale ai suoi glutei, si alzò di scatto. La scopava con ferocia animale, muovendola su e giù sul suo cazzo come una bambola di carne calda. Paola, persa nel delirio di essere usata così brutalmente, si aggrappava alle sue spalle, le unghie che lasciavano scie rosse sulla sua pelle. Il suo corpo vibrava già sull’orlo di un altro orgasmo, la sua mente annebbiata dal piacere primitivo di essere posseduta.
Si mosse verso il ripiano della cucina e la sbatté sul marmo gelido. Il suo urlo di sorpresa riecheggiò nell’appartamento vuoto. Scivolò fuori da lei con deliberata crudeltà, lasciandola vuota e bisognosa. La spinse a sdraiarsi sul marmo freddo e affondò il viso nella sua figa bollente come un animale affamato. Le sue mani le allargavano le cosce con forza bruta, esponendo completamente la sua intimità al suo assalto. La sua lingua la devastava senza pietà – dal clitoride gonfio fino dentro la sua figa pulsante, spingendosi a violare il suo buchino stretto con colpi rapidi e possessivi.
L’orgasmo la travolse come un’onda di fuoco, ma lui non era ancora soddisfatto. La trascinò giù dal ripiano e la mise carponi sul pavimento come una cagna in calore. Paola, svuotata di ogni resistenza, poteva solo subire. Le afferrò i capelli, tirò su la sua testa e le schiaffeggiò il viso con il cazzo duro prima di spingerglielo in gola. Quando tentò di prendere il controllo, la punì girandola e schiaffeggiandole il culo fino a lasciare impronte rosse sulla pelle chiara. La sua mano scivolò lungo la sua figa grondante fino a trovare il suo buchino stretto, dove si fermò a giocare prima di penetrarla con un dito.
Un’idea oscura gli attraversò la mente come un lampo di lussuria pura. “Ferma qui! Non ti muovere!” Il comando uscì come un ringhio animalesco dalla sua gola.
Paola non ne aveva nemmeno le forze. Il suo corpo, devastato dal piacere e dalle umiliazioni, restò lì ferma cercando di capire cosa avesse in mente. In un attimo Dago salì al livello superiore e tornò da lei. Vedeva che aveva qualcosa in mano, ma non capiva cosa. Il cervello annebbiato dal desiderio si rifiutava di mettere a fuoco.
Improvvisamente sentì la cosa dentro di lei, e capì: era il suo fallo – quello stesso oggetto con cui si era esibita come una puttana in calore poco prima. Dago lo fece scivolare delicatamente dentro la sua figa ancora pulsante e fradicia, muovendolo qualche volta facendola gemere come una cagna in calore.
Poi, lentamente lo fece scivolare fuori e senza staccarlo dalla sua pelle umida e bollente, lo fece scivolare nel solco delle chiappe fino al buchino stretto e vergine. “Dago…” provò a dire lei la voce rotta dall’anticipazione, ma lui aveva già iniziato a spingerlo dentro e le parole le morirono sulle labbra trasformandosi in un lungo gemito di dolore e piacere mescolati.
Quando finalmente il fallo fu tutto dentro il suo culo dilatato, sentì anche il cazzo di Dago che la penetrava nella figa – una doppia invasione che la fece urlare di piacere perverso. Lui cercava di muovere entrambi i falli contemporaneamente riempiendola completamente per portarla a un’estasi ancora più grande, più oscura, più proibita.
Poco dopo Paola riuscì a parlare tra i gemiti: “Mettimi il tuo nel culo … muoverò io l’altro.” Dago accettò la proposta con un ringhio animalesco, facendo cambio dei buchi. Aggrappandosi ai suoi seni come ancore incominciò a spingere dentro il suo sedere sempre più forte, guidato anche dall’impulso dell’orgasmo, mentre Paola gestiva i movimenti del fallo nella sua figa grondante.
Dago si sentiva trasportato da un istinto primordiale di sesso puro e bestiale e sempre più vicino all’orgasmo. Spingeva sempre più forte ma gli dolevano il cazzo e le palle da quanto era stato duro e da quanto lo sentiva duro. Quando Paola si abbandonò all’ennesimo orgasmo il suo corpo che si contraeva violentemente intorno al suo cazzo si aprirono le cascate del piacere di Dago, che urlando come una bestia in calore dal piacere e dalla liberazione dopo un primo schizzo dentro Paola, lo sfilò e cercando di spremere fuori tutto lo sperma che aveva le riempì la schiena di lunghi schizzi bollenti.
Paola si sentiva come se fosse stata travolta da un camion, ma con le ultime energie riuscì a girarsi per andare a bere le ultimissime gocce che uscivano dal membro di Dago, che oramai sembrava veramente senza più forze. Il sapore salato del suo sperma sulla lingua era come un ultimo sigillo carnale del loro patto osceno.
Poi si abbandonarono sul pavimento con i corpi abbracciati e le bocche che si cercavano. I loro respiri si mescolavano, sudore e umori che si fondevano sulla pelle mentre le lingue danzavano pigre, assaporando i loro sapori combinati. Il corpo di lei era un mosaico di sensazioni – bruciori, pulsazioni, fremiti di piacere che si affievolivano lentamente. Senza nemmeno accorgersi si appisolarono sul pavimento.
Li svegliò un rumore improvviso proveniente da fuori. I corpi erano infreddoliti. La pelle nuda contro il pavimento freddo li riportò bruscamente alla realtà, ma nei loro occhi brillava ancora quella luce selvaggia, quella complicità di amanti che hanno condiviso segreti inconfessabili.
“Hai detto che tuo marito è via per tutto il week end?” le chiese Dago. La sua voce era roca, ancora carica di desiderio nonostante l’appagamento.
“Sì… e io ho ancora voglia di te… vieni a casa mia…” Le parole uscirono come una preghiera sussurrata, il suo corpo già fremeva al pensiero di altri piaceri proibiti.
Dago le mise un dito sulle labbra. “No a casa di tuo marito no –” Il tono era gentile ma fermo, un confine che non voleva attraversare nonostante il desiderio che ancora gli bruciava nelle vene. Paola rimase male a quell’affermazione. “Ma se ti va bene uguale possiamo andare a casa mia.” Le sue dita scivolarono lungo il collo di lei, una carezza che era sia promessa che possesso.
Paola lo abbracciò forte e lo baciò con una ferocia che parlava di fame non ancora saziata. “Cosa aspettiamo, muoviti! Ma passiamo da casa mia a prendere qualcosa per cambiarmi.” La sua voce tremava leggermente, tradendo l’eccitazione per questa nuova avventura che stava per iniziare.
Mentre si rivestivano, i loro corpi si sfioravano “accidentalmente”, ogni tocco una scintilla che riaccendeva il fuoco appena sopito. Dopo pochi minuti, stavano chiudendo la mansarda, non senza aver dato un ultimo sguardo al luogo della loro lussuria. Quello spazio vuoto ora conteneva i fantasmi dei loro gemiti, l’eco dei loro corpi che si erano posseduti con tale abbandono. Un tempio profano dei loro piaceri più oscuri.
Ciao volevo semplicemente ringraziarti per questo bellissimo racconto ; i personaggi ,la trama,lascrittura sono degni di fare parte di un…
Due gemelle come protagoniste scatenano le mie più turpi fantasie. Se il giorno che stavo per cominciare la stesura del…
W-O-W! Non scherzavi quando dicevi che questa sarebbe stata più hot. E devo dire che di carne al fuoco ne…
Questo è forse il capitolo più noioso dell'intera storia, prometto che i prossimi saranno più "ad alta temperatura", come dicono…
Breve, ma d'impatto. Interessante. Attendo il seguito!