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Racconti Erotici Etero

Le avventure di K

By 12 Gennaio 2016Dicembre 16th, 2019No Comments

La Laguna

K. avanzava a fatica, non tanto per la corrente, quasi assente, anzi immobile, e nemmeno per i canneti che spuntavano all’improvviso appena l’ovatta della nebbia si diradava, ma per l’orientamento che veniva meno in quella notte senza stelle, buia e gelida.
L’isola di Miss F. era lì davanti, lo sentiva.
Gli pareva, fosse o meno la suggestione del desiderio che ardeva dentro, non riusciva a spiegarselo, di intravedere, di tanto in tanto, i bagliori dei fuochi del pontile. O, ancora, la musica suadente irradiata dal soggiorno. Brandelli di Debussy, il Claire de Lune, addirittura.
Perfino, tra il salmastro e la salsedine dei legni scricchiolanti della barca, si immaginava di inalare i profumi di spezia e agrumi della sua pelle.
Se queste percezioni lo guidassero o lo portassero fuori strada non lo seppe.
Troppe volte e troppe cose aveva vissuto, K., perché potesse giurare sulla fedeltà dei propri sensi, del percorso che essi tracciavano sulla rotta delle proprie memorie. Erano segni, ricordi, episodi degli attimi vissuti con Miss F. o erano quelli di altre avventure, di altri episodi della propria esistenza?

***

Miss F. intanto era stesa tra i cuscini di fronte al camino. Grossi ceppi ardevano con vigore. Sospirò. Quanto avrebbe atteso ancora il vecchio marinaio?
Si alzò stiracchiandosi, un’occhiata fugace all’orologio, si avvicinò ad una cassettiera. Nel farlo vide la sua figura nei riflessi di uno specchio alla sua destra compiacendosi delle sue forme. Indossava un golf grigio di lana sottile, calze di lana lunghe dello stesso colore e mutandine bianche con un pizzo delicato.
Sorrise.
Dal cassetto prese un grosso dildo viola.
Tornò a distendersi tra i cuscini, spostò il libro che stava leggendo. Sfiorò i seni gonfi e sodi da sopra il maglione sospirando con voluttà. Si sbottonò scoprendo il petto alla luce cangiante del fuoco. I capezzoli erano già duri, appuntiti. Entrambe le mani se ne occuparono strizzandoli con delicatezza. le dita disegnavano sottili spirali sul seno pieno della ragazza. Il respiro in affanno.
La mano destra scese trovando spazio tra le mutandine. la fica pronta, gonfia e umida. Il massaggio sulle grandi labbra non fece altro che aumentarle l’impazienza del piacere pieno.
Sfilò gli slip.
Le dita presero possesso e guidarono il godimento. Raccolse il dildo, ci scorse la mano colma di umori e se lo ficcò con decisione dentro la fica. Con frenesia e dimentica di tutto stantuffò l’arnese. Urlava, ormai, ma non ci fece caso. Stava godendo. Selvaggia e Bellissima e trasportata altrove, senza spazio né tempo. Avrebbe fatto morire qualsiasi uomo che le fosse stato davanti con quel fuoco che avvampava. Dentro.

***

Avanzava, comunque, K. E, per quanto ne sapesse, in linea retta. Trasportato da quelle sensazioni di prossimità sempre meno labili e immaginarie. Il desiderio della pelle di Miss F. lo guidava sempre più chiaro e netto. La nebbia, intanto, s’era fatta spessa e vischiosa, appiccicaticcia. Piccole gocce scorrevano sul viso, la barba imperlata.
Un gorgoglio sulla destra. Vide il dorso liscio e maculato di una lampreda lambire il pelo dell’acqua e subito scomparire nell’oscurità.
Ancora qualche paio di vogate e poi cedette un attimo alla stanchezza lasciandosi trasportare.
Proprio mentre stava per riprendere con forza i remi dallo scalmo avvertì la terraferma dinanzi a se.
Era arrivato, sebbene non sul lato dell’isola a cui aveva puntato all’imbrunire. Probabile, pensò, che fosse il lato orientale. Folti canneti nascondevano la riva. La prua si arenò sulla barena. Sbarcò sprofondando nella mota. Prese la cima e trascinò la modesta imbarcazione all’asciutto. La legò al piccolo tronco di un salice. Prese lo zaino e si incamminò immergendosi nella nebbia come in un pesante sipario.
Il profumo e la musica non erano oramai solo deboli tracce della sua memoria. L’abitazione di Miss F. era lì, poche centinaia di metri più avanti. Ne era certo. Si sentiva crescere la voglia.
Camminava spedito, senza esitazioni sebbene non vedesse altro che caligine tetra e opalescente. Opalescenza. Una luce a pochi passi. La vide: una lampada a olio guizzava issata su un legno.
Poi vide la costruzione. Infine ne riconobbe le fattezze, gli angoli, le imposte. Via via sempre più nitide e dettagliate. Da due imposte chiuse filtrava un bagliore accogliente. Corse verso l’ingresso. Bussò, si tolse gli stivali inzaccherati di fango e sabbia.
E varcò la soglia, aperta.
‘Oh, finalmente, il mio bel marinaio K.’. La voce, calda, colma di lusinghe e ancora tremante del godimento solitario, di Miss F.
Aveva rimesso il golf e le mutandine. Il fuoco del camino brillava irradiando tepore accogliente. Sul pavimento tra tappeti e cuscini vi erano alcuni libri; la terza Gimnopedie di Satie nell’ambiente annunciava sospiri e abbracci che non si fecero attendere.
Il calore e le vibrazioni del piacere, avvertibili a distanza come diffuse, del corpo di Miss F. lo avvolse e qualsiasi traccia di tenebra, di umidità, di salsedine, di sconforto per lo smarrimento scomparvero in un baleno assieme al cappotto e al pesante maglione da marina.
Su un tavolino basso una bottiglia di vino rosso liquoroso, due bicchieri, delle fette di pane, olio, un vassoio colmo di frutta, un altro traboccante di formaggi dal delizioso e forte profumo.
Un lembo del golf scivolato oltre la spalla insinuò prepotente in lui il desiderio di lei. Versò il vino negli ampi bicchieri. Bevvero in silenzio e Krom mangiò pochi bocconi di cibo.
Senza altre parole, ci furono solo sorrisi di intesa e di impazienza, le bocche si cercarono. Il pianoforte sempre diffuso dolcemente. Il golf si sciolse a terra. Solo le calze lunghe grigie, le curve tonde e vellutate di Miss F.
Le mani di lui districarono il crocchio raccolto sulla schiena liscia scavando arabeschi tra le castane volute. Le lingue intrecciate.
Le mani di Miss F. sul sesso gonfio. La testa scese, baciando dal petto, fino all’addome. Fino a estrarre il durissimo arnese dell’uomo. Mettendosi carponi tra le sue gambe, se lo portò sul viso facendolo scorrere con studiata lentezza sulle guance. Diede una lunga lappata sull’asta, vi strusciò le labbra, infine, imboccò il glande socchiudendo gli occhi. K. sospirava per tanta maestria. Il piacere atteso da tempo escludeva gli altri sensi, lo separava dall’ambiente.
Lei, con lo sguardo sottomesso mentre lappava senza sosta, sentiva il calore crescere dappertutto, la fica grondante.
Le prese la testa, delicato, spingendola verso di se, massaggiandola. In quel momento la sua dea assoluta.
In un attimo di lucidità la staccò da se e adagiandola sui cuscini di fronte, le gambe divaricate, il sesso gonfio e lucido, decise di restituirle il favore. Due dita ad allargare le labbra, con la bocca si avvicinò, la lingua scorse dall’ano fino al monte di venere, in profondità. Esattamente come se la lingua fosse il suo sesso e dovesse penetrarla. Miss F. sospirava trasportata.
Leccava dipingendo arabeschi sulla fica e tutto il pube. Le infilò un dito nell’ano, senza smettere un attimo di leccare. La fica era una sorgente di umori. Miss F. stava godendo. K sentì i muscoli dell’inguine contrarsi e accelerò le lappate e le incursioni con le dita. GODO, urlò Miss F. VENGO. Una cascata impregnò la barba di K.
‘Scopami, K. Fammelo sentire tutto.’ Un sospiro appena, ma che era una preghiera, come estremo tentativo di salvezza di fronte al baratro.
Il cazzo di K non era arretrato di un millimetro quanto a vigore.
Gli bastò appoggiarlo tra le labbra per vederlo sparire dentro senza nessuno sforzo come risucchiato.
Mentre affondava intermittente si avvicinò a leccarle il collo, stringendole con forza i polsi, le braccia aperte come crocifissa.
Dopo qualche minuto di questo trattamento la girò carponi, lei completamente in balìa lasciò fare.
La prese da dietro, stringendo la vita, premendo con le dita sulla cresta iliaca.
I colpi profondi, continui e lenti facevano impazzire Miss F.
Godette senza altre attese.
K era anch’egli al limite, ma voleva prolungare il piacere ancora un po’. Rallentò. Raccolse gli abbondanti umori che colavano dalla fica. Infilò un pollice nel culo di Miss F. muovendolo con studiata lentezza.
Un sospiro di Miss F. che era anche un rantolo.
K. inserì indice e medio, i muscoli si stavano adattando. Intanto colpiva la fica martoriata con il suo cazzo congestionato.
Quando lo ritenne opportuno estrasse il palo e allargando i glutei arrossati si fece strada. Una pressione che fece urlare Miss F. permise al grosso glande di superare l’ingresso. K raccoglieva umori nella fica e se li cospargeva sull’asta che lenta, ma inesorabile, spariva all’interno dell’intestino.
‘DIO, K, mi stai spaccando in due’
‘Adoro il tuo culo, mia splendida Miss’
Lo estrasse quasi del tutto, qualche attimo di pausa poi riprese la penetrazione. Ancora due colpi con lentezza, poi la frenesia del piacere prese il sopravvento. I testicoli che sbattevano sulla fica, le anche di K sulle chiappe, il palo che scompariva per poi ritrarsi. Velocissimo.
Miss F si contorse urlò tutto il suo piacere bestemmiando a ripetizione. Era sparito tutto, l’intorno.
Grugnendo e ficcando le unghie nei fianchi, K spruzzò il proprio piacere come un vulcano dentro le viscere della ragazza.
Continuò a martoriarla per diversi secondi come per strizzare tutto il seme che aveva dentro. Si accasciò stremato sulla sua schiena.
Lei si inarcò spostando una mano dietro di lui per tenerselo stretto e girata la testa trovò la sua bocca pronta a intrecciarsi.
K, una mano sul seno, l’altra sulla sua guancia era in estasi.
Restarono abbracciati mentre il cazzo ritraendosi si portava con se lo sperma.
‘Ho fatto bene ad aspettarti’.
‘Lo penso anche io’
‘Ora stringimi, Voglio che stai con me stanotte’
‘E anche domani’

In ritardo
Nel caos di uomini e merci di Honk-Kong pioveva, non forte, ma senza tregua. Il cielo grigio piombo. K era appena sbarcato dopo tre settimane di navigazione. Aveva due giorni di riposo a terra. Prima sarebbe passato dall’ufficio locale della compagnia, per la posta, la paga, l’indirizzo della stamberga che lo avrebbe ospitato.
K, sacca in spalle e passo spedito, voleva allontanarsi dal dedalo dei moli alla svelta.
Raggiunse la costruzione che ospitava le compagnie. Salì al quarto piano. Almeno qui si era all’asciutto, ma le pareti con l’intonaco macchiato da migliaia di passaggi umani e i neon lampeggianti, i dialoghi degli altri che si mescolavano non conferivano nessun tepore all’ambiente, nessun tipo di accoglienza. L’umore di K era tetro, come il cielo, come la temperatura di quelle stanze. Avrebbe passato due giorni tra l’albergo e il bar a bere e ascoltare altri nel suo stesso stato. Cosa poteva esserci di più deprimente?
Con questi pensieri di fondo, come un rumore bianco che azzera qualsiasi tentativo di fuga, varcò la soglia dell’ufficio. L’impiegata, intrisa anche essa di quell’atmosfera cupa, gli consegnò il pacco. Una firma.
I soldi, lettere di futuri incarichi, alcune prossime scadenze, poi, come se emanasse un calore la vide. La riconobbe dalla calligrafia dell’indirizzo.
La aprì, incurante del resto.
“Caro k,
la tua ultima visita mi ha colpito nel profondo, segnandomi. La tua partenza ha lasciato segni di cui non potevo attendere il cicatrizzarsi. Altri sei mesi prima di vederti mi paiono insormontabili. Ho deciso che diventerò anche io un viaggiatore come te. Lo farò per anticiparti e farmi trovare dove tu sbarcherai. Spero che questa lettera arrivi in tempo. Non saprei come comunicarti altrimenti.
Il giorno 14 di febbraio dovresti sbarcare a Honk-Kong. Se ho fatto bene i conti. Io prendo il volo due giorni prima. Sarò ad aspettarti al Ritz-Carlton. Raggiungimi, senza attendere oltre.
Tua missF.”
Leggendo si accorse di essersi scaldato. Un tepore gli invase il corpo. Dio, non doveva perdere altro tempo. Questa sì che era una sorpresa.
Mise tutto nella sacca, salutò e preso da una frenesia si lanciò giù tra i corridoi e le scale e la gente.
Chi lo avesse visto prima non avrebbe saputo spiegarsi il motivo di questo ribaltamento d’umore o forse sì. Troppo facile capirlo.
In strada cercò subito informazioni per un vaporetto che lo portasse a Tsim Sha Tsui, dall’altra parte dello stretto.
Al molo 38. Correva.
La sua nave aveva tardato, e quindi perso, due giorni, a Batavia. Lei sarebbe stata ancora lì ad attenderlo? Avrebbe atteso paziente, come altre volte, tutte le volte la cui puntualità era venuta meno? Certo non dipendeva da lui, non era lui la causa dei ritardi, ma i ritardi e le attese vane segnano, non importa da chi o da cosa siano causate. Logorano.
Con questi tarli nella testa vide il battello in fondo al molo e si precipitò. Avrebbe dovuto chiamare dall’ufficio della compagnia. Informarsi presso l’hotel se l’ospite MissF fosse ancora lì. Dio, che stupido.
Avrebbe voluto sospingere il battello. spostarlo più in fretta. Quel mezzo miglio di navigazione sembrava infinito.
Dalla foschia, dalle nuvole basse emergevano, stagliavano, le sagome grigie degli alberghi occidentali sull’altro lato della terraferma. Oddio. Lei è lì, pensò.
Finalmente attraccarono. Lanciò il mezzo dollaro all’attendente di bordo e si precipitò fuori.
Doveva attraversare tutta Nathan Road, farsi largo tra la folla che vi stazionava, tra le centinaia di banchi, di clienti, di perditempo, di uomini d’affari.
Era mattina, Honk-Kong si era svegliata frenetica come sempre, cosa poteva importare alla città di un pazzo che voleva solo raggiungere il calore della sua donna?
Si presentò al banco dell’albergo trafelato e, ovvio, non del tutto consono alla raffinatezza del luogo. Veniva da tre settimane di bastimento!
L’impiegato, in un inglese stentato, fu un po’ sgarbato. Non poteva certo permettere a un marinaio puzzolente di disturbare una loro stimata cliente. Dunque era lì, ancora, in attesa!
Prese la busta della paga. un biglietto da 50 dollari poteva bastare. e infatti la smorfia di disgusto si trasformò in un sorriso affabile.
“Ve ne do altrettanti se mi portate, entro un quarto d’ora, alla camera della signorina una colazione con i fiocchi”
Allungò il biglietto.
“Sarà fatto, Signore”
“Ora ditemi immediatamente il numero della camera e se la signorina è ancora a letto o è uscita”
“No, MissF non ha lasciato stamattina l’albergo, la stanza è la 964. Visto che siete un distinto gentiluomo – ah, il potere dei bigliettoni! pensò K – vi do anche la chiave”.
Non attese oltre. Si precipitò verso la gabbia dell’ascensore e voltandosi “La colazione!”.
Il numero dei piani scorreva lento. Era solo. La frenesia e l’impazienza stavano scemando.
Si guardò negli specchi. Vide la propria giacca logora. la barba non curata. Arrossato per la corsa. Non certo un bel presentarsi. Sperava dormisse. Avrebbe fatto la doccia senza un rumore e poi. Poi.
Finalmente l’ascensore si bloccò. Il corridoio silenzioso, nell’aria profumo di incenso. l’arredamento il solito miscuglio di elementi europei e orientali.
Giunse al numero 964.
Sperò che la chiave girando non facesse rumore e, ancora di più, sperò che MissF stesse dormendo profondamente e non lo sentisse entrare.
La chiave, ruotando nella toppa, perfettamente oliata non emise alcun suono e nemmeno la maniglia e i cardini. La stanza era immersa nel silenzio. Le tende scure filtravano una luce fioca. Chiuse delicatamente la porta alle sue spalle e stette immobile per abituarsi all’ambiente e alla poca illuminazione. Avvertiva il respiro profondo della donna.
La riconobbe. Il suo cuore riprese a martellare come prima per la corsa, credette che potesse svegliarla, addirittura, quel ritmo incalzante che proveniva da dentro di sé.
Si spogliò nel silenzio più assoluto. ormai aveva ripreso le sue capacità visive. Si diresse verso la toilette. Si chiuse dentro, accese la luce e si lavò. L’acqua calda lo inebriava, ma ancora di più quello che lo attendeva.
Sperò che alla reception si fossero per il momento dimenticati della colazione.
Si asciugò in fretta e poi uscì, nudo e silenzioso come meglio gli riusciva verso il letto.
Vide il profilo e la posizione del corpo di MissF sotto le lenzuola bianche. Percepì il lento muoversi del suo torace al respiro. Lei era stesa di fianco.
Sospeso di fronte a questa visione, sentì il trillo del carrello portavivande avvicinarsi nel corridoio.
K scavalcò con un balzo il letto e si precipitò verso la porta aprendola con contrapposta cautela. Era nudo. Non era il caso di mostrarsi così. “Grazie, ci penso io, ora” disse sottovoce ad uno stupito ragazzo.
Rinchiuse, abbandonò il carrello e fu di nuovo accanto al letto.
Si infilò sotto il lenzuolo entrando nell’aura del calore di lei. Il suo profumo lo investì provocandogli una seria erezione senza nemmeno sfiorarle le sue aggraziate forme. Lei si mosse un poco. Non seppe dire se davvero non si fosse accorta della sua presenza o fingesse il sonno per assecondarlo. Il dubbio gli rimase, ma dopotutto erano lì, accanto e altro non interessava.
Il corpo di lei era incandescente. Le sfiorò l’insenatura della vita. Ebbe un sussulto.
Si voltò. “Mi hai spaventato quando sei entrato. Prima.” K sorrise. “Non so come, ma sapevo che saresti arrivato.”
Non rispose, ma la baciò. Le lingue e le labbra a succhiare frenetiche quelle dell’altro. Le mani di K la stringevano, quelle di lei premute tra il seno e il petto di lui, senza spazio di qualsiasi manovra.
Lei avvertì il cazzo tendersi tra le cosce e questo non fece altro che accelerare l’esaltarsi della sua eccitazione. Già sentiva la fica inumidirsi senza ritegno.
K stava per parlare, ma lo zittì mettendogli la mano sulla bocca. K capì, non era ora il momento delle parole.
Sciolse l’abbraccio, buttò all’aria il lenzuolo. Le baciò il collo, le spalle, la morse, scese a torturarle i capezzoli. Lappava e mordeva, le mani intrecciate nelle sue. MissF emetteva sospiri sempre più profondi contorcendo la schiena. La mano destra di k scese sul sesso della donna. Era madido. Infilò due dita, indice e medio, il bacino di MissF apprezzò l’intrusione sussultando. Il viso di K era immerso tra gli spettacolari seni della ragazza. Avrebbe voluto stare lì per sempre. Perdersi come un camminatore tra le brughiere delle Ebridi Esterne. La fica colava sulla mano di K. Ai sospiri, MissF aveva sostituito ormai gridolini, prima soffocati poi sempre più netti, ritmati. Quale miglior ricompensa dei due giorni di attesa e di avere attraversato il mondo per incontrare il suo bel marinaio?
K si staccò dai capezzoli. a malincuore, ma doveva regalare un piacere più intenso, un dovere da ottemperare. Si piazzò al centro delle gambe della donna, prese le caviglie e le spinse verso il volto di lei. La fica era lì, di fronte, dischiusa, madida, gonfia, fremente di desiderio, i sensi completamente aperti. L’odore delle sesso, quello che fa tabula rasa di tutto, quello che ci riporta alla velocità della luce allo stadio animale. Si stava mettendo in moto. E niente lo avrebbe fermato.
La fica era lì, le gambe sollevate in alto. Le prese a coppa i fianchi e si tuffò naso, barba, bocca e lingua. Leccava, sfregava, succhiava, penetrava. MissF godeva. urlava senza ritegno. Gli umori sgorgavano da quel paradiso bagnando il volto di K. Scivolando nell’ano, inzuppando la barba. Con la mano destra, senza smettere, infilò un dito nell’ano con facilità. Leccando e muovendo il dito tra le splendide chiappe di MissF, ella non poté trattenersi oltre. Raggiunse l’orgasmo piangendo dall’intensità del piacere.
K non si fermò e continuò a martoriarla. Solo ruotò in modo da offrire un cazzo gonfio e dal grosso glande violaceo sul fianco di MissF.
Lei non si fece certo attendere. Strinse i testicoli portandoseli vicini alla bocca. L’asta le scorreva di fronte. La leccò con voluttà, come una leccornia, come il più dolce dei gusti. Insistette sul glande dove scorse la lingua con molta pressione, pareva proprio sul punto di esplodere. Se lo imboccò mentre il piacere le montava di nuovo grazie alle sapienti lappate di K. Anche lui stava godendo apprezzando la grande maestria di MissF. Si staccò dalla fica sdraiandosi sul letto. MissF comprese la richiesta assoluta del suo uomo. Leccargli il cazzo come fosse un totem, una divinità. Succhiarlo, ingoiarlo. Estrarne il nettare. Una mano della ragazza stringeva i testicoli, l’altra scorreva sull’asta, le labbra dischiuse ad accogliere il grosso glande. Lo ingoiò più che poté. Estraendolo rivoli di saliva imperlavano lo scettro. Le mani di K accarezzavano la folta chioma di MissF, ormai spettinata, ormai dedita a quell’unica operazione. Bastarono pochi minuti di questo trattamento. Il ventre di K si contrasse, il cazzo eruttò grossi sussulti di seme. Le labbra di MissF non smisero di succhiare. Fino all’ultima goccia. E anche dopo.
“M…missF…”
Prese il viso di lei e si chinò a baciarla. Le lingue, il sapore di sperma. Dio. La tempesta animale non si placò di certo. Avvinghiati come tralci di vite, continuarono a baciarsi. Non si sarebbe staccato da lei per niente al mondo. I loro corpi erano perfettamente aderenti. Simmetrici, accoppiati. Incollati.
“Scopami K, Sco-pa-mi!”, gli sussurrò nell’orecchio.
La girò di fianco, la schiena di lei contro il suo petto. le mani di lui sulle teste, indici e pollici strizzavano i capezzoli. Senza difficoltà la penetrò, muovendosi con lentezza. Le baciava il collo, il sudore che appiccicava. Svanita la foga del primo orgasmo entrambi si concessero di amarsi con lentezza come per trattenere l’intensità di ogni secondo, di ogni centimetro quadrato dei propri corpi. Lei miagolava. Godevano entrambi.
Se la portò sopra di se, la schiena di MissF sempre rivolta verso di lui. Lei si sedette sul palo. Scorrendolo con lentezza, a K pareva di morire ogni volta che le labbra della fica si contraevano sull’attaccatura del glande. Era estasi allo stato puro.
Lei uscì e lo baciò impalandosi nuovamente, ma ora offrendogli la bellezza di tutto il suo corpo, del suo viso deformato dal godimento, del suo meraviglioso seno che sobbalzava ad ogni impetuosa discesa e risalita.
“Prendimi da dietro”
Si staccarono, lei carponi, la fica arrossata. Non poté non succhiare gli umori, dare delle profonde leccate, ricamare con la lingua la rosa stretta dell’ano.
Mani di K sulla spalle, il cazzo si fece strada. Colpendola di gran carriera, lei urlava senza più nessuna pausa. Le strizzava i seni. Poi le serrava il collo, la baciava, le graffiava la schiena.
Grazie all’orgasmo di prima K godeva di una durata inusuale di fronte a tanta bellezza e armonia di corpi.
Infilò un pollice nell’ano. Lei urlò ancora di più. Era ormai prossima ad un altro orgasmo che arrivò senza altri indugi. Era crollata in avanti, quasi esausta. K appoggio il glande paonazzo all’ingresso dello sfintere. Raccolse umori, ci sputò sopra. e piano, molto piano, provò ad entrare. lasciò che i muscoli si rilassassero poi proseguì fino alla fine. MissF urlava nel cuscino, soffocata. Tremava nel parossismo, segno di un altro orgasmo in arrivo o in corso. Il palo di K penetrava con lentezza esasperante, la faceva morire. Il piacere era totale.
In un attimo di lucidità mormorò un “A…n…c…o…r…a, K”.
Le martoriò il culo ancora per qualche minuto. Lei non aveva più la forza nemmeno per gridare. La tirò a se, sollevandola. La baciò. Il cazzo scivolò fuori.
“k!”
“missF!”
Nei loro nomi c’era tutto quello che dovevano dirsi. Altro non serviva.
Lei si distese, stremata.
Lui fece per sdraiarsi accanto. “Non provarci neppure. Riempimi. Lasciami il tuo seme dentro. Non smettere mai”
Le salì sopra. Il cazzo teso, duro, pareva scoppiare. I seni arrossati dalle strizzate, il collo con i segni della passione. Entrò con delicatezza. Le gambe di lei sulle spalle. Alternava spinte veloci ad altre, lente e profonde.
Le stringeva i polsi. Lei inchiodata nel materasso.
La stanza, la corsa per raggiungerla, le settimane in mare aperto. Tutto distante.
I loro corpi e solo quelli. Mossi da un unico cervello fuso assieme.
L’orgasmo di entrambi arrivò all’unisono. Un’onda che li travolse. Le unghie di lei conficcate sulla schiena di lui. La bocca di lui che le consumava il collo.
Il tempo si fermò. Il mondo fuori risucchiato in un buco di nero come non fosse mai esistito.

La sorpresa

MissF lavorava senza pensieri quel pomeriggio. Non c’era molta gente in giro, nonostante il tempo fosse bello. Poteva lavorare in pace, senza la frenesia dei pomeriggi festivi. Avrebbe finito tutto in tempo per la chiusura, senza accaldarsi, senza patemi, senza rincorrere il tempo.
Poteva permettersi di dare una sistemata alla vetrina o ripensare la disposizione delle merci. Era da così tanto che lo avrebbe voluto fare, ma non aveva avuto ancora un momento libero.
Era uscita in strada, sul marciapiede, per dare un’occhiata più distaccata, da passante, e osservarne i punti deboli o quelli forti.
Insomma, stette lì un paio di minuti. Quel drappeggio sulla destra avrebbe potuto essere disposto meglio e il colore dello sfondo sarebbe stato cambiato con quel bellissimo grigio caldo che aveva visto qualche sera prima, con il rosa delle guarniture sarebbe stato perfetto.
Immancabilmente, è sempre così che succede, entrò una cliente, dall’aria elegante, e quindi facoltosa. Non perse un minuto a rendersi disponibile e al suo servizio, pronta come sempre a soddisfare ogni richiesta.
Era rivolta di schiena all’ingresso intenta a mostrare la merce alla esigente cliente, quando sentì aprire la porta di ingresso.
Non si girò, attenta com’era a rispondere alle insistenti richieste, ma con la coda dell’occhio vide la figura.
Con gli occhi saettò verso gli specchi posti sul retro del banco. Era un uomo di mezza età, foltissima barba e giacca da marinaio. K!
Un tumulto al cuore! e adesso?
Ce l’avrebbe fatta a rispondere e soddisfare la cliente senza che ne intuisse il suo disinteresse. La professionalità! si disse e infatti MissF cercò di non guardarlo, di fare come se non ci fosse.
K intanto le aveva voltato la schiena proprio per non turbarla, conscio che fosse osservato. Passò in rassegna qualche articolo a caso. Mostrò un falso interesse verso i prezzi e soppesò pigro due oggetti simili. Gli venne in mente di giocare con MissF.
“Scusate e perdonatemi, miladies, sono alla ricerca di un preciso modello di questa marca”
“Può attendere? sto servendo queste signora!”
“Non c’è problema” disse pronta la vecchia, forse curiosa di quello che avrebbe chiesto il misterioso uomo. “continuo a dare un’occhiata e forse potrò scegliere l’articolo”
“grazie, signora, le ruberò la signorina solo per un minuto” con fare candido. Solo MissF se ne accorse della sua piccola bugia e si avvicinò a K con un sorriso accentuato sulla guancia sinistra. K sorrise e inclinò leggermente il capo in segno di sussiego.
“Avrei bisogno di questo oggetto. sono certo che ne disponete” disse con voce alta appositamente studiata. Le porse un biglietto.
MissF, con aria interrogativa, lesse “Ho voglia di prenderti ora”
Ci mise un po’ a riprendersi, ma fu solo un attimo. Tentennò, si sentì attraversata da un brivido, un calore divampante, ma subito si riprese.
“Oh, sì, ce l’abbiamo, lasciatemi un secondo che vado in magazzino a prendervelo.
“Grazie infinite”
MissF chiese permesso anche alla signora e si avviò spedita nel retro del negozio.
Riapparve dopo pochi minuti con una scatola minuscola. Misurava quattro sentimenti per lato.
“Eccovela, datele uno sguardo e fatemi sapere se è davvero quello che cercate. Io finisco di servire la signora” e si voltò senza attendere la reazione.
K intanto aprì la scatola.
Dentro c’erano un paio di mutandine color rosso vinaccia di pizzo. K si avvicinò la scatola al viso e inspirò riconoscendo il profumo di MissF, il sapore del suo sesso. Sfiorò il contenuto con l’indice e il medio avvertendo il rimanente calore umido del suo corpo.
La donna intanto aveva fatto la sua scelta e si avviava alla cassa.
Gli occhi di MissF, sistemavano la merce nella borsa, ma non sollevarono mai lo sguardo verso K. Egli vide nel riflesso degli specchi del negozio i suoi polpastrelli con le unghie laccate battere i tasti della cassa, le gote un po’ arrossate. La voce, quella voce che K avrebbe riconosciuto in mezzo a migliaia, annunciava il costo alla vegliarda.
Poi si rivolse a lui, facendo svoltare la cliente.
“È di suo gradimento? È quello che cercava?”
“Sì. ma vorrei che mi mostrasse l’utilizzo”
La signora perplessa, prese le borse, e uscì. Salutando MissF e rivolgendo un fulmineo sguardo all’uomo.
MissF e K non attesero certo il chiudersi della porta per precipitarsi l’uno contro l’altro.
Le bocche incollate spalancate, la stretta presa di K le circondava la vita mentre l’altra mano premeva delicato il capo contro di sé. Un passo dopo l’altro la spinse dietro il bancone. La temperatura nella stanza superò il punto di innesco.
La ragazza si fece voltare e piegare docile sul banco in vetro.
K le sollevò la gonna. La mano sinistra immersa nella chioma, la destra risalì le calze e il reggicalze nero.
MissF arcuò, per quanto in suo potere, il suo culo verso l’alto mostrando le sue meravigliose rotondità al marinaio. E le labbra della sua fica che già palpitavano gonfie e umide richiedendo la giusta attenzione.
K non fece attendere tanta trepidazione. Infilò due dita avvertendo l’eccitazione della ragazza che intanto gemeva sommessa tra il piano del banco e le proprie dita premute sulla bocca come per trattenersi. L’uomo estrasse le dita lento portando con sè l’umore denso e filamentoso per poi scorrere di nuovo all’interno. L’operazione proseguì ritmica e minuziosa alzando il livello del piacere e dei mugolii sempre più distinti e meno trattenuti di MissF. Umori colavano sulla mano di K il cui pollice alternava, al medio e indice nella fessura, qualche incursione nell’ano. L’orizzonte dell’estasi era sempre più vicino. Come una valanga che si appresta a sferrare tutto il suo potenziale giù per un pendio ripido. Senza possibilità di trattenerla.
K si mise in ginocchio. Con entrambe le mani strinse forte le caviglie tornite della ragazza. Con il naso e la bocca si avvicinò al sesso. Se la valanga di prima fosse ancora nel precario equilibrio di rovinare verso il basso, furono il naso di K tra le chiappe tonde di MissF, il suo fiato caldo, la lingua e le labbra incollate al sesso bollente a dare il colpo finale.
“Fammi godere, K!”
I sensi del marinaio erano tutti concentrati sull’effluvio di umori, l’odore accecante del sesso e il calore emanato. MissF aveva allungato le braccia fino all’estremità del banco esponendo al massimo culo e fica verso l’amante.
Il godimento scandito dalla lingua e dalle labbra di K che esploravano ogni piega, raccoglievano ogni stilla di piacere colante. La tortura più gradita e incontrollabile possibile.
K lappava dal clitoride fino all’ano e poi ritornando scorreva il naso tra le natiche infuocate della ragazza.
Pochi minuti di impegno e tutto il corpo di MissF fu scosso da un fremito. Un’ondata di piacere le attraversò il corpo come una marea improvvisa eppure attesa. K non smise un attimo il suo minuzioso lavorìo. Un tremito come infinito travolse la ragazza.
Poi K si staccò senza lei potesse ancora muoversi. Armeggiò con i pantaloni calandoli ed estrasse la sua asta tesa e pulsante.
Non si fece attendere infilandola con lentezza. Il cazzo scivolò dentro, le pareti strette lo inghiottirono.
Le mani sui fianchi premute. Dopo qualche affondo misurato e altrettanti mugolii prese a sbatterla con vigore. Nel negozio l’unico rumore l’alternarsi liquido dei sessi. La bocca della ragazza spalancata e i denti conficcati nel proprio avanbraccio. La chioma, le ciocche mogano e qualche riflesso più chiaro le ricoprivano le spalle come un vello da regina. Come si sentiva in quell’esatto momento.
L’uomo da dietro non dava segni di cedimenti quanto a colpi. L’asta scorreva lucida di umori senza frenesia, ma senza nemmeno rallentare la cadenza. MissF avvertì una nuova ondata di godimento in arrivo.
Il piacere cresceva ad ogni colpo vibrato nel profondo del proprio corpo. Voleva urlare, ma dovette trattenersi per non attirare l’attenzione dei passanti che scorgeva sulla via antistante.
Chiuse gli occhi all’ennesimo possente colpo. L’uomo la sbatteva senza sosta e la tempesta non tardò ad arrivare. Una tempesta di sussulti e vibrazioni che dal basso risalì la colonna vertebrale fino a conficcarsi nella nuca. Non ce la fece a trattenersi oltre e urlò un grido roco, modulato finché il respiro le si perse in gola. Ruvido.
L’uomo non era ancora giunto al culmine. Stretto tra i muscoli della ragazza si trattenne, fermo, per qualche secondo. Un po’ per riposare, un po’ per farle assaporare la durezza del proprio cazzo conficcato.
Poi lentamente uscì, facendo urlare, di nuovo, la giovane.
Scese accovacciandosi e raccogliendo gli abbondanti umori le leccò l’ano penetrandolo quanto potè con la lingua. Attimi di brividi tra le natiche di MissF. Leccando infilò anche l’indice che scorse rapido facendo inarcare la schiena.
Una manciata di secondi fermo poi, alzatosi, appoggiò il lucido e violaceo glande all’imbocco della rosa inumidita. Fece pressione, si trattenne.
“Prendimi. Fallo. Sfondami” lo implorò strizzando occhi e palpebre.
K spinse con smodata lentezza. Il nodoso cazzo, gonfio e rigido, allargò l’ano scomparendo nelle viscere. Urlò di nuovo, tra il dolore per l’intrusione e il piacere ancora non placato.
Attimi di riposo, attimi per adeguarsi al calibro della verga dell’uomo. Attimi di respiri profondi, di unghie conficcate, di pelle e di sudore.
Poi iniziò. MissF, da sotto, stimolava il clitoride colando come un nevaio in primavera. K le scopava il culo, la possedeva, la riempiva senza bisogno di nient’altro. Il piacere tale da annichilire qualsiasi altro pensiero.
Come un crescendo il ritmo accelerò. Le chiappe arrossate dai colpi inflitti. La ragazza soffocava le urla. Fu l’inizio della volata. Il rettilineo dell’orgasmo. Due violenti schiaffi sul culo lasciarono l’impronta vivida della mano. Colpiva e inculava con vigore. L’orgasmo prese a macinargli nella mente.
Le graffiò la schiena.
Mancava davvero pochissimo. Colpi ormai parossistici, animaleschi. Il cazzo si muoveva impressionante scomparendo nel culo.
“Vengo, MissF. Ti inondo!”
“Assieme, godiamo, sìììììììììì”
Le strinse il seno tirandola a sé nello stesso istante in cui fiotti di sperma riempivano il culo della ragazza.
Le morse il collo durante l’ultimo sussulto di seme spruzzato. I muscoli contratti.
“K.”
Ansimarono, esausti.

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