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Le serve

 

L’amica aveva insistito tanto per il biglietto.

– Dai prendilo – le aveva detto – io, oggi, non me la sento, non ci andrei comunque.

Più che un biglietto si trattava d’un abbonamento a un palco per la stagione di prosa. A volte succedeva che per una serata poco interessante l’abbonamento passasse di mano in mano finché arrivava a qualcuno che neanche ne conosceva i possessori originari. L’unica cosa che si doveva fare, le aveva detto l’amica, era di passare a prendere qualcuno, probabile un altro “rimpiazzo”.

Alla fine aveva accettato. Era da molto tempo che non andava a teatro. Di solito usciva per andare al cinema, per prendere l’aperitivo, mangiare una pizza o sperimentare un nuovo ristorante. Amava invece il teatro, l’atmosfera, le luci che si spegnevano, il silenzio, perfino i colpi di tosse e i brusii. Avrebbe dovuto andarci più spesso, pensò. In più non c’era mai confusione, le poltrone erano quasi sempre comode cosa che le permetteva di concentrarsi sulla scena, estraniandosi completamente da tutto e da tutti.

 

La storia d’amore, anzi di passione, che l’aveva accompagnata per un periodo tutto sommato neanche tanto lungo, se l’era lasciata completamente alle spalle. Aveva sofferto poco, a dir la verità, e non ne aveva parlato con nessuno, ritrosa com’era sempre stata a confidarsi. Le era rimasto un vuoto, questo sì. D’altronde non aveva mai presentato il suo amante – era la prima volta che lo chiamava così – ai suoi più intimi amici e tanto meno ai suoi colleghi. Non aveva mai voluto che la venisse a prendere al lavoro. Entrambi avevano preferito così perché fin dall’inizio sapevano che era una storia destinata a finire; non lo dicevano solo per scaramanzia; lui si sarebbe trasferito per lavoro molto lontano e quindi non si sarebbero potuti più incontrare. Era stata una storia fisica, di magnetismo puramente animale: una ragione in più per non farne parola con nessuno. Il solo pensiero la faceva arrossire, anche se non rinnegava niente di quello che aveva fatto.

 

Dopo il lavoro andò dritta a casa, senza fermarsi a prendere qualcosa con i colleghi, come faceva di solito. Riempì la vasca d’acqua bollente e s’immerse. Confessò a sé stessa che questa era una serata da dedicare interamente a sé: era quello che sentiva ripetere spesso dalle amiche, già sposate. Di solito aggiungevano che non bisognava mai perdersi d’occhio, che di tanto in tanto bisogna coccolarsi, farsi dei bei regali…

Scelse i vestiti molto accuratamente scartandone parecchi. Quando ebbe finito, soddisfatta si guardò allo specchio, inserì la segreteria e uscì.

Recuperò la macchina che, tornando a casa, aveva parcheggiato più lontano del solito e in una decina di minuti arrivò al luogo dell’appuntamento con l’altra persona. Non aveva chiesto chi fosse e dimenticò anche di specificare con che auto sarebbe arrivata, ma forse non era un problema. Quasi subito infatti sentì bussare al finestrino. Aprì la portiera.

– Ciao, è per il teatro?

– Sì, certo. Sali. Io sono Daniela.

– Io sono Roberto.

Pensò che era piuttosto giovane.

– Sei anche tu un “rimpiazzo”?

– Sì, effettivamente. M’hanno offerto il biglietto e francamente ero curioso di vedere Le serve. Almeno, è questo che danno stasera, vero?

– Spero, sì.

– Non vengo spesso a teatro.

– Neanch’io. Una volta, a dirti il vero, venivo un po’ più spesso, anzi anni fa avevo preso anche un abbonamento.

Per fortuna, pensò Daniela, non mi sono vestita troppo elegante. Serate così sono frequentate da studenti, intellettuali, un pubblico del tutto diverso da quello tradizionale. Non le piaceva sentirsi a disagio proprio per aver sbagliato l’abito.

In macchina parlarono fitto fitto per una mezzoretta. Roberto stava per laurearsi in diritto. Era giovane, ma non aveva nessun imbarazzo a parlare con lei che poteva aver l’età di una sua docente. A dire il vero parlava come se Daniela fosse una coetanea e gliene fu grata. Sembrava che un po’ la corteggiasse ma forse, rifletté, era solo un modo per superare l’imbarazzo. Notò però che Roberto non perdeva l’occasione di guardarle le gambe quando cambiando marcia la gonna risaliva scoprendo un po’ le cosce. Si disse, con un tocco di civetteria, che questo la lusingava e così evitò di risistemarla a ogni manovra. Fece di più: quando frugò nel cruscotto vicino a Roberto lo sfiorò con i seni e sentì che s’irrigidiva.

Daniela sapeva di piacere agli uomini ma non voleva mai ammetterlo forse per timidezza e per pigrizia o forse perché le tornava comodo giocare questo ruolo.

 

Arrivarono al parcheggio del teatro e raggiunsero la grande scalinata dell’entrata principale. Aspettarono la terza persona che doveva aggiungersi visto che l’abbonamento al palco prevedeva d’entrare tutti insieme.

– Siete voi due, dico per il palchetto?

Fecero le presentazioni. Un’anziana signora, simpatica e chiacchierona. Spiegò loro che lei non si perdeva uno spettacolo per niente al mondo; anzi, diceva, a volte spettacoli come questo sono quelli più ben fatti, dove gli attori hanno ancora voglia di recitare.

La signora fece strada. Il loro palco era nella zona laterale. Il teatro era ancora semivuoto. Anche in platea c’erano solo gruppetti sparsi. La signora disse che dopo, a spettacolo iniziato, ci si poteva spostare, ché tanto c’era talmente poca gente che le maschere non stavano lì a guardare se i numeri della poltrona coincidevano con il numero dell’abbonamento.

Le luci cominciarono a lampeggiare segnalando che lo spettacolo sarebbe cominciato di lì a poco. L’anziana signora si sistemò, aspettò un poco, salutò e scomparve. I palchi erano divisi da una sorta di separé e da colonnine in legno.

Quando ormai gli attori erano in scena e avevano cominciato a recitare le prime battute, Roberto richiamò l’attenzione di Daniela appoggiandole la mano sul ginocchio per indicare con una smorfia un posto lontano dal loro: aveva individuato l’anziana signora che, scesa d’un piano, s’era installata in galleria perfettamente al centro di una fila di poltrone deserte. Si sorrisero e ritornarono a concentrarsi sullo spettacolo.

 

Daniela s’immobilizzò. Roberto non aveva ritirato la mano: l’aveva lasciata sul ginocchio, un po’ più giù della gonna. Che avesse usato quel gesto per richiamarla non l’aveva affatto indispettita, ma il fatto di tenerla più a lungo del necessario la scocciava. Arrossì di rabbia, ma il cuore cominciò a battere più forte. Quello che non aveva percepito razionalmente, fu l’istinto che glielo suggerì. Si sentì impreparata e stupida: poteva ancora decidere se fermare tutto.

La mano non trovando resistenza risalì piano piano. Quindi si fermò, come se Roberto aspettasse un gesto, una conferma, o un fremito per essere sicuro di non sbagliare. Non sbagliare cosa?

Nella mente di Daniela s’insinuò per un istante il pensiero che fosse tutto uno scherzo dei colleghi, che le avessero mandato qualcuno per prendersi gioco di lei. Turbata e compiaciuta, si lasciò cullare da pensieri contraddittori e poco pratici finchè la sensazione che tutto il suo corpo volesse che quelle mani la spogliassero, la toccassero, la facessero godere, ebbe il sopravvento provocandole un tremito che rassicurò Roberto. Con la mano, perciò, continuò a risalire fino agl’inguini. Daniela, un po’ in affanno, si guardò intorno verificando che gli sguardi degli spettatori più vicini fossero fissi sul palcoscenico. Nessuno poteva notare la mano che la frugava sotto il vestito, pensò. Più rilassata socchiuse gli occhi abbandonandosi completamente: la mano dell’amante esplorava, attraverso i collant, le pieghe del suo grembo; l’elastico impediva ogni tentativo d’abbassarli. Roberto s’accontentò di carezzarla tra le cosce, allargando, per quanto glielo consentissero gl’indumenti, la fessura del suo sesso e cercando di penetrarla con le dita.

A Daniela la scena che si svolgeva sul palcoscenico era incomprensibile e non l’interessava. Ogni tanto qualche colpo di tosse o qualcuno che si soffiava il naso le ricordavano dove si trovava. Aveva la sensazione che tutti fossero attenti a ciò che succedeva a lei, che fossero lì per sorvegliare i suoi movimenti, ascoltare i suoi respiri e i suoi gemiti.

Cambiò posizione permettendo a Roberto d’abbassare un poco l’elastico dei collant. Ma anche così la mano risultava impacciata nei movimenti e ostacolata dai tessuti mentre invece Daniela era impaziente di sentirla sulla sua pelle, sul suo sesso caldo e accogliente. Facendo allora leva sui due braccioli della poltrona gli permise questa volta di portare i collant fin sopra le ginocchia. Roberto indugiò sulle mutandine; attraverso il tessuto allargava le labbra, percorreva la fessura, premeva delicatamente eccitando il clitoride ancora nascosto e protettto. Il sesso le bruciava. Quando finalmente le scostò gli slip, il contatto della mano di lui sulla carne ardente la fece gemere; si vergognò di farsi trovare così pronta e disponibile, ma divaricò di più le gambe per agevolargli i movimenti. La mano, paziente, scostava le labbra, s’impossessava del piccolo fallo ora eccitato e gonfio, lo accarezzava facendola sussultare a ogni tocco; ora le dita penetravano la cavità madida della sua vagina, ora col palmo della mano Roberto indugiava sugl’inguini; accarezzava la peluria del pube, tormentava le labbra più interne, affondava di nuovo le dita più profondamente nel grembo per poi lasciarle un po’ di respiro e riprendere a torturare il clitoride. Stordita e languida, sentiva che il piacere la stava sopraffacendo, che le membra non avrebbero più risposto al suo controllo. Per un momento si disse che avrebbe dovuto trattenersi, per un momento si pentì d’abbandonarsi così stupidamente a quelle carezze; invece gioì trattenendo i gemiti e serrando forte la mano di lui tra le cosce.

Un applauso li fece sussultare. Roberto tolse velocemente la mano. Con un gesto Daniela rimise a posto collant e mutandine. Le luci che a poco a poco s’accendevano li trovarono composti.

 

– Vado giù a prendere qualcosa da bere. Cosa vuoi?

Notò che Roberto non era per niente imbarazzato e ancora una volta si sentì impreparata e stupida come se per la prima volta avesse goduto alle carezze d’un uomo.

– Grazie – riuscì appena a rispondere. Era ancora un po’ sottosopra. Avrebbe avuto bisogno di risistemarsi, di stare un po’ da sola a riflettere. Ammise a sé stessa che non era abituata a lasciarsi andare così, e soprattutto non era abituata a cedere a uno sconosciuto. Aveva bisogno d’un alibi per nascondere a sé stessa il piacere d’avere offerto il proprio corpo a quelle carezze, di averle cercate e d’averne goduto.

La porta dietro di lei s’aprì. Era la signora anziana. Disse che dal suo posto si vedeva benissimo e si sentiva benissimo. Anche loro avrebbero potuto spostarsi vicino a lei tanto di spazio ce n’era tanto. Lo spettacolo le risultò per il momento un po’ pesante però gli attori, seppure tutti molto giovani, erano veramente bravi. Per fortuna la gentile signora non esigeva risposte. Bastava educatamente ascoltarla e ogni tanto annuire.

Daniela, senza farsi notare, diede un’occhiata alla poltrona per verificare se tutto era a posto. Si stava chiedendo, inseguendo i propri pensieri, che cosa sarebbe successo quando le luci si fossero spente un’altra volta. Oppure che cosa lei vorrebbe succedesse. Oppure che cosa lui avrebbe fatto. Doveva ammettere che era lusingata dalle attenzioni di Roberto. S’era comportata come una liceale? Da quanto tempo un uomo non l’accarezzava così?

 

Il desiderio così intenso e vivo che adesso provava era sicuramente legato alla sua ultima relazione.

Dopo che s’erano conosciuti – e Daniela, com’era solita, s’era fatta sedurre solo dopo parecchio tempo – uscivano raramente preferendo restare in casa a far all’amore, esplorandosi come due adolescenti. All’inizio sembrava un mero bisogno di scoprirsi l’un l’altro, di trovare le affinità, o di comprendere e accettare le differenze dell’altro; ben presto, invece, Daniela s’accorse d’essere caduta preda d’una vera e propria bramosia dell’amante. Appena era sola non poteva impedirsi di riassaporare col ricordo le carezze, i baci, gli abbracci che i giorni precedenti l’avevano fatta gioire. Riviveva con un’accuratezza di dettagli, che le prime volte la spaventavano, i gemiti e i sospiri dell’eccitazione e sotto la biancheria aveva la sensazione di riprovare ancora i brividi dell’orgasmo. Rivedeva la verga del suo uomo che s’avvicinava alle sue labbra, le vene congestionate del membro che pulsavano, il glande lucido e turgido sul punto d’esplodere e le sembrava di percepire – cosa che l’agitava – il profumo stesso del sesso che le irrorava il viso. Cadeva in uno stato d’estasi e nelle rare notti di solitudine o nella toilette del suo ufficio le capitò di godere anche solo sfregandosi e stringendo le cosce.

Aveva preso l’abitudine di giungere in anticipo agli appuntamenti con l’amante. Quasi sempre nell’appartamento di lui, si spogliava e nuda – lui amava trovarla così – ciondolava per la casa cercando un’occupazione che le impedisse di pensare al momento in cui sarebbe arrivato. Il più delle volte dopo avere iniziato la lettura d’un libro o la visione d’un film, impaziente, distesa sul divano, si toccava a lungo, dolcemente, cercando di placare così l’inquietudine che la stringeva. Un giorno confessò al compagno lo stato i cui si trovava, le carezze che si regalava in sua assenza, le fantasie alle quali s’abbandonava… Inziò così un gioco coinvolgente ed eccitante, dove Daniela raccontava i sogni inventati, le bocche senza volto che l’avevano baciata, le mani che l’avevano spogliata, i membri che l’avevano posseduta. Gli amplessi diventarono un bisogno irrinunciabile, l’unione dei loro corpi, eccitati e sensibili al punto che gli amanti avrebbero potuto godere anche solo sfiorandosi, li lasciava sfiniti e felici.

 

Arrivò Roberto con le bibite. Nascose bene lo stupore di trovare la vecchia signora, e subito si scusò per non averle portato niente. Continuarono a chiacchierare. La signora cinguettava raccontando gli altri spettacoli della stagione, commentando qualche episodio divertente.

Daniela ogni tanto spiava o, piuttosto, esaminava Roberto senza farsi scoprire. Adesso lo desiderava, perché nasconderlo e si rese conto che il vuoto che l’accompagnava ultimamente era proprio la mancanza del contatto dei corpi, dei momenti intensi di piacere, delle serate passate ad accarezzarsi, dei profumi dell’eccitamento, del sudore…

 

Le luci intermittenti annunciavano l’inizio del secondo tempo. La signora salutò e uscì rinnovando l’invito ad andare con lei.

Si risistemarono invece sulle loro poltrone. Non appena s’aprì il sipario Daniela s’alzò.

– Mi vado a togliere le mutandine – bisbigliò all’orecchio di Roberto.

Le toilettes non erano distanti dall’entrata del loro palchetto. I tacchi risuonarono nel corridoio deserto. Le maschere s’erano messe a chiacchierare un po’ più lontano e non la notarono. Entrò. Chiuse la porta, si tolse le mutandine e risistemò i collant. Avrebbe preferito restare con le gambe nude talmente forte era il desiderio di sentirsi scoperta e disponibile sotto la gonna, ma stupidamente ebbe paura che qualcuno lo notasse. Si guardò allo specchio: riconosceva sul viso i segni dell’eccitazione e del piacere. Si diede un colpo di rossetto e sorrise di soddisfazione: si sfilò anche il reggiseno per metterlo nella borsetta insieme agli slip.

Quando rientrò nel palchetto si guardò attorno per capire se i vicini fossero seduti come prima dell’intervallo. Diede un’occhiata a Roberto e con soddisfazione pensò che anche lui dovesse essere impaziente. Quando, infatti, cercò d’oltrepassarlo per andare a sistemarsi al suo posto, la bloccò davanti a lui. Daniela, per niente sorpresa, rimase in piedi e aspettò. Roberto senza perdere tempo infilò la mano sotto alla gonna per risalire subito verso il grembo abbassando i collant affinché il sesso e le terga fossero accessibili. Il tessuto della gonna sulle natiche nude le provocava una piacevole sensazione. L’impazienza di Roberto s’era trasformata in audacia. Era piacevolmente rassicurata dal fatto che in quella posizione non si sarebbe potuto notare nulla; al massimo qualcuno poteva pensare che fosse stufa di rimanere seduta. Appoggiò le mani allo schienale della poltrona che aveva davanti divaricando un po’ le gambe: le dita così potevano penetrarla più profondamente: frenetiche, infatti, avevano cominciato a tormentare il suo sesso. Ogni tanto serrava leggermente le cosce per indicare all’amante di fermarsi, oppure d’indugiare in un punto piuttosto che in un altro. Poi la mano scivolò sulle terga cercando un passaggio tra le natiche. Daniela trasalì, come sempre quando qualcuno cercava di farsi strada attraverso l’orifizio più stretto e nascosto. Roberto timoroso di farle male, si ritrasse penetrando la vagina umida e accogliente e solo quando sentì la compagna nuovamente rilassata forzò con un dito il pertugio che non oppose più resistenza. Daniela inarcò il busto per permettergli di spingersi più a fondo. Ma la mano ora saliva sulla schiena e cercava i seni. I capezzoli eretti spingevano sulla camicetta e i seni inturgiditi le dolevano; Roberto si soffermò a stuzzicarli con le mani; cercò di baciarli ma Daniela glielo impedì per paura che qualcuno lo notasse. Le mani di Roberto instancabili ripresero a tormentare il grembo, i fianchi, i glutei. Ora Daniela di nuovo in piedi s’abbandonava a quelle carezze con una voluttà che sorprese anche lei. Tutte le membra del suo corpo assecondavano i movimenti di quelle mani che la cercavano, che la penetravano mai completamente sazie. Le voci dal palcoscenico le giungevano lontane e irreali. Quando sentì che non poteva più trattenersi spinse a fondo ancora di più la mano di Roberto e soffocando i gemiti si lasciò trasportare dall’ondata di piacere che quelle carezze le avevano procurato.

I collant che non erano stati abbassati del tutto, le davano fastidio. Invece di liberarsene li riportò un po’ più su, senza tuttavia coprirsi. Si sistemò sulla poltrona. Scostò il cappotto che Roberto s’era sistemato sulle gambe e scoprì che aveva abbassato i pantaloni fino alle ginocchia. Quando impugnò la verga ebbe appena il tempo di liberarla della guaina di carne che un fiotto caldo le inumidì la mano. Continuò la sua carezza finché non sentì che gli spasmi dell’orgasmo s’erano placati. S’abbassò sulla poltrona al riparo della balaustra: passò la mano fra le gambe di Roberto, indugiò fra le natiche, lisciò con la lingua la pelle vellutata dei testicoli, baciò gl’inguini ritornando al membro per berlo e succhiarlo. Amava concedere e concedersi questa carezza anche se arrossiva ogni volta che ne sentiva parlare in pubblico. Amava dispensarla al suo amante per goderne lei per prima: adorava sentire il volume del sesso che aumentava dentro alla sua bocca pronto a esplodere; per qualche istante si sentiva potente come una divinità greca che elargisce piacere o sofferenza con le labbra che avvolgono il membro e con la lingua che, come un serpente, si fa spazio tra la fessura del glande gonfio e congestionato. La commuoveva sentire il respiro del compagno farsi sempre più veloce, ascoltare i gemiti, i mugolii, le preghiere che imploravano di farlo godere; l’eccitava gustare il sapore leggermente salato delle goccioline di seme che, prima dell’orgasmo, colavano come rugiada lungo il fusto. Il profumo dello sperma, la stordiva e l’inebriava.

 

Fu lui ad accorgersi che le luci avevano cominciato ad accendersi. Si riassettarono il più veloce possibile. Si sorrisero. Stavolta l’anziana signora rimase seduta al proprio posto. Non era un vero e proprio intervallo, ma una veloce pausa tra atto e atto, o almeno era quello che pensavano. Nessuno dei due aveva seguito lo spettacolo. La signora – che avesse intuito qualcosa? – li fissò un po’ più a lungo, ma sorrise e fortunatamente non si mosse.

Anche il compagno stava pensando a quello che stava pensando lei?

Roberto s’era rimesso il cappotto in grembo. Guardando verso la platea Daniela rimise la mano sotto il cappotto. Sentì che il sesso era ancora eretto sotto i pantaloni. Si stupì della propria audacia. Roberto invece fece scivolare la mano dietro la schiena di lei. Daniela si scostò appena un poco dallo schienale. La mano corse giù verso le reni allargò l’elastico dei collant cercando di schiuderle le natiche. Daniela s’inarcò un po’ di più permettendogli d’accarezzarle i fianchi. Stavolta si liberò completamente dei collant e impaziente di sentire ancora le mani sul suo sesso, divaricò le gambe. In quel momento le luci cominciarono a lampeggiare segnalando di nuovo l’inizio dello spettacolo. Roberto ora era con il viso tra le sue cosce. La scena era inequivocabile se solo qualcuno avesse aperto la porta per errore. Perse la cognizione del tempo e del luogo: la lingua come un fallo la penetrava nei punti più nascosti del suo grembo; le labbra del compagno cercando la carne s’insinuavano nelle pieghe del suo sesso, rovente e sensibile strappandole gemiti che a malapena poteva soffocare. Godette in silenzio e a lungo, per tutto il tempo che l’amante l’esplorò con la bocca. Non appena gli spasmi dell’orgasmo l’abbandonarono lasciandola svuotata, a sua volta si lasciò scivolare fra le gambe di Roberto che si sistemò più comodamente, permettendole d’abbassare i pantaloni fino alle caviglie. Quando Daniela prese la verga in bocca, lo sentì gemere piano. Continuò con un lento va e vieni. Ogni volta che il glande, imbavagliandole la bocca, toccava il suo palato, il compagno fremeva: ebbe l’accortezza d’avvertirla che stava per venire, ma volle riceverlo nella bocca fino all’ultimo spasimo.

 

Daniela si risistemò sulla sua poltrona. Attese un poco, poi gli disse che andava a sistemarsi in toilette. Aprì la porta, diede un’occhiata alla posizione delle maschere che lontane e un po’ appartate stavano chiaccherando e s’avviò alla toilette. Nessuno era entrato dall’ultima volta; il piccolo vestibolo era lindo. Si guardò allo specchio e sorrise. Prese una salvietta, pulì qualche piccola macchia e si ricompose. Si sistemò il rossetto cercando d’apparire in ordine il più possibile. Sentì che qualcuno voleva entrare. Aprì la porta ma si trovò davanti Roberto. S’avvicinarono e si baciarono. Si staccarono e ricominciarono. Un bacio lungo, profondo. Le lingue s’incontrarono, si succhiarono, si cercarono con le labbra restando senza respiro. Sentivano chiacchierare sommessamente le maschere. Si portarono un po’ più in fondo. Nessuno li avrebbe visti. Le mani di lui scivolarono sotto alla gonna, sotto ai collant, frenetiche cercando il contatto con la pelle.

– Non qui, entriamo – disse Daniela.

Si baciarono ancora. Roberto aprì la camicetta, abbassò il reggiseno. Finalmente poté baciare i seni liberi, turgidi e sensibili. Morse i capezzoli. Non importava se qualcuno fosse entrato. Le mani di Daniela cercarono i suoi fianchi, il suo corpo; stringendolo a sé, sentì la verga ancora dura pulsare e spingere contro il suo grembo. Roberto si sfilò i pantaloni. Daniela s’inginocchiò pensando che volesse la sua bocca, invece la strinse a sé cercando di penetrarla. Allora Daniela alzò la gonna, abbassò le mutandine e appoggiando le mani al muro, inarcò le reni, invitandolo, per praticità, a prenderla da dietro. Entrò in lei brutalmente mugolando e spingendo il membro a ogni colpo più in fondo fino a farle male. Roberto gemeva: prendeva i seni da dietro, la baciava, le accarezzava i fianchi, tornava a baciarla in preda a un’inarrestabile frenesia. L’assecondò in ogni movimento finché non sentì che si svuotava dentro di lei.

– Siediti, ti prego – gli disse.

La verga di Roberto ancora eretta, turgida, congestionata sembrava sul punto d’esplodere. Certo avrebbe voluto essere a casa: prendersi tutto il tempo di cui aveva bisogno, accarezzare e baciare con calma e pazienza la carne tesa e ardente dell’amante: farlo gridare di piacere… Invece divaricò le gambe, accogliendolo dentro di lei. Roberto come inebetito la stringeva assecondando il ritmo.

Il piacere la prese all’improvviso, in maniera violenta e scomposta.

Si rivestirono in fretta. Lo spettacolo doveva essere finito. Qualcuno stava già imboccando le scale. Recuperarono i cappotti e s’unirono a quei pochi spettatori che uscivano.

 

Autore Pubblicato il: 17 Dicembre 2010Categorie: Racconti Erotici Etero0 Commenti

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