Avevo mangiato in fretta, come facevo da un mese ormai. Lei mi aspettava nei giardini in cima alla collina, lontano dai nostri genitori.
Lei saliva per pascolare le pecore, e io invece avevo i pomeriggi liberi.
Per non insospettire nessuno prendevo la via del fiume, per poi entrare nella foresta della piana. Una volta protetto dalle ombre della fitta vegetazione aggiravo la collina e salivo da lei.
Stavo per arrivare in cima. Sentivo già le pecore belare. Lei era lì.
Mi fermai dietro al solito tronco. Lei mi vide da lontano.
Si mise a quattro zampe e sparì in mezzo al gregge.
Feci la stessa cosa, e mi mischiai con le sue 100 pecore. E cominciai a cercarla tra loro.
Io e lei eravamo così.. un amore impossibile, da tenere nascosto. Quel prato era la nostra stanza segreta, e quelle pecore erano le tende che celavano il nostro incontro. Era il nostro mondo
Racchiuso tra cielo e terra, circondati da lana bianca.
Con le mani appoggiate sul prato, eravamo aggrappati alla natura, alle nostre radici. La nostra passione. Eravamo immersi negli odori, di prato, di bestiame, di fiori.
A volte impiegavamo qualche minuto prima di riuscire ad unirci, ma non sbirciavamo mai da sopra il manto delle pecore. Una volta entrati in quel mondo non si usciva.
Ci cercavamo
E ci trovavamo sempre
E ogni volta restavamo in silenzio. Come se la parole rompessero la magia di quella realtà parallela. Lì non esistevano parole. Solo i nostri sguardi, la pelle calda sotto il sole, le sue labbra rossissime.
Ogni volta io dimenticavo tutta la mia vita, e speravo che la realtà potesse trasformarsi tutta in un immenso prato, di silenzi, di fiori e profumi, nei queli vivesse la mia fata, nascosta tra cielo e prato, nella moltitudine di pecore non curanti.
E le giornate si misurassero a tempo dei nostri baci