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Racconti Erotici Etero

LETTERE DAL LAGO DI BLED

By 24 Novembre 2014Dicembre 16th, 2019No Comments

Bled, 4 novembre 1874.

Mio caro Victor,

Queste mie righe, colme di devozione, sono per voi e desidero accompagnarle con la dichiarazione sincera dell’eterno affetto che nutro nei vostri confronti.
Giunsi in prossimità di Bled a bordo di una modesta vettura di piazza, quasi un fiacre, che una pariglia di cavalli bianchi, dagli occhi serrati da paraocchi neri, condusse faticosamente lungo la salita ripida che menava all’albergo.
Era novembre e notai che, lungo i pochi argini, erano rimasti in vita gli ultimi fiori campestri, o per meglio dire, i fiori delle Alpi Giulie, i quali mi parvero delle margherite dai petali immensi, giallastri, resi un po’ bruni dai primi freddi, che non avevano risparmiato neppure l’erba, diventata improvvisamente color ocra, dopo essere stata lasciata quasi senza vita da quell’autunno, che, per me, doveva essere pieno di divertimenti e di gioie furtive.
Mentre la vettura saliva quell’erta, il mio sguardo fu a dir poco rapito dalla visione di una statua, bianca, attorno alla quale cresceva vagamente un’edera quasi appassita. Non so bene che cosa raffigurasse quella scultura; forse, era un semplice omaggio alla maestà del lago vicino, le cui acque erano divenute come di smeraldo.
A quell’epoca ero semplicemente la giovane donna di origine danese che sono tuttora. Quando sporsi dal finestrino la mia bella testa ornata di lunghi boccoli scarlatti, i pochi passanti che affollavano quel viottolo sassoso si voltarono verso di me, per guardarmi, per contemplarmi. Portavo degli abiti color porpora e color oro; un copricapo nero, a falde larghe, decorato con una lunga piuma di struzzo, rendeva ancor più amabile il mio volto, eburneo e come di porcellana, nonché la mia bella chioma, che aveva ed ha tuttora la tinta di cui vi ho fatto cenno. Forse, nemmeno le austerità del tempo riusciranno mai a spegnere quella giovinezza, dono dell’amore che ho per voi.
Passando, fui come una visione, in mezzo agli alberi dalle fronde dorate e dalle foglie caduche, che mi accompagnavano e stormivano nel vento. Forse erano pioppi, forse, faggi, o aceri, non rammento.
Ricordo invece che, per l’occasione, il villaggio era ornato con le bandiere dell’Impero Austro-Ungarico e mentre scendevo il predellino un coro di voci lontane, che intonavano un inno, mi riscosse.
La facciata dell’albergo ‘ quasi una locanda ‘ era stata recentemente ridipinta di rosso; anche l’uscio aveva beneficiato, poco tempo prima, di una nuova mano di marrone scuro ed il suo colore risaltava alquanto, anche perché vi avevano appeso delle ghirlande variopinte, fatte intrecciando i rami autunnali delle conifere, dai quali pendevano delle foglie giallastre, che, in quel mentre, un raggio di sole fece apparire come d’oro puro.
Subito vennero ad accogliermi le maestranze e mi sentii dire, nel tedesco dell’Austria-Ungheria:
– Guten Tag, meine Frau, es ist so sch’n, Sie wiederzusehen!
Il vento fece svanire quella voce come una nube di foglie di novembre; essa si confuse, altresì, con un lontano scalpitare di zoccoli di cavalli. Un calessino passava lungo il viale piantato a faggi, che costeggiava il lago, dalle acque di smeraldo; sul divanetto di quella vettura potei discernere due giovani, un uomo e una donna, che si tenevano abbracciati e si davano dei baci sulla bocca. Erano di ritorno dalla loro passeggiata e non esitavano a darsi alle loro effusioni amorose. Nessuno li conosceva, nessuno sapeva di quei baci, né della mano di quel giovane, posata su uno dei seni della sua compagna, che spuntava nudo da quel corsetto.
Un’improvvisa folata di vento fece cadere al suolo non so quante foglie caduche e, dietro ad esse, svanirono i due amanti.
– Portate pure il mio baule nella mia camera, io verrò poi, perché desidero fare una visita al villaggio ‘ dissi.
Era mezzogiorno e pareva davvero che il sole fosse spuntato all’improvviso. Mentre passeggiavo tutta sola lungo il lago, prima di appressarmi a Bled, non m’infastidiva la mano invisibile della brezza, che scompigliava i miei lunghi capelli, divenuti come porpora. La mia pelle bianca, le mie labbra dipinte di rosso regalavano sogni.
Un rullo di tamburi mi ricondusse alla realtà. Ecco passare davanti a me, lungo uno dei viali, un gruppo di soldati, in alta uniforme, vestiti come per la parata. Alcuni, come vi ho accennato, suonavano il tamburo, con delle bacchette di legno che producevano un gran frastuono. Ebbi modo di discernere anche delle fanfare; il loro ottone scintillò vivacemente nel sole, mentre intonavano chissà quale melodia. Forse, era l’inno della patria, non so, non so… Vidi anche degli altri suonatori, in divisa, che producevano dei suoni magici e come affascinanti, con i loro oboi e clarinetti, mentre una gran folla salutava tutti, con uno scroscio di applausi e mille grida d’incitamento.
– Bene! Bravi! Suonate ancora, per tutte le nostre bandiere!
Ad un tratto, da un viottolo sperduto sbucò un mulo, che portava sulla groppa delle ceste colme di dolci e di doni, che gruppi di fanciulli non esitarono a raccogliere. Quanti schiamazzi! Mi parve che quei pargoli portassero dei grandi fiocchi bianchi e celesti, erano tutti vestiti a festa e li accompagnavano i loro genitori. Alcuni di essi dovevano essere orfani, poiché non li accompagnava nessuno. Da dietro le imposte delle case, che sembravano bruciare nel sole d’autunno, si affacciarono alcune giovani donne, per gridare il loro amore ai rispettivi innamorati, che passavano nella folla…
Fu allora che m’accorsi di un vecchio, vestito di cenci, ma nobile nell’animo e nel portamento. Egli camminava appoggiandosi ad un bastone, costruito con il legno di quei boschi; nessuno avrebbe saputo dire quante primavere egli avesse visto.
– Che cos’&egrave tutto questo? – gli chiesi appassionatamente. – Ditemelo, buon uomo, ve ne prego!
– &egrave la festa del patrono ‘ mi rispose. – Possibile che non lo sappiate?
– Oh, no, davvero non sapevo! Sono nuova in questo luogo.
– Com’&egrave strano… Avete l’aria di chi ha vissuto a questo mondo per oltre di mille anni, eppure non ne dimostrate più di venti!
Forse, mi dissi, egli mi aveva mentito a proposito di quella gran parata, ma era stato soltanto per corteggiarmi. In quel mentre, il buon vegliardo m’indicò col suo bastone i cavalli bianchi, che all’improvviso erano apparsi nel bel mezzo di quella festosa manifestazione.
– Guardate, guardate come corrono! E sentite le trombe, come squillano! – mi gridò.
Mi voltai, per guardare; allora, fu come se il vecchio cercasse di giocare con i miei capelli, per godere del mio affetto. Io lo lasciai fare, perché mi sembrava povero e bisognoso d’amore. Quando mi volsi nuovamente a lui, era scomparso.
Vi saluto e vi bacio.
La vostra appassionata,
MUSA DELL’AUTUNNO.

Bled, 5 novembre 1874.

Mio caro Victor,

tutti i monti, le valli, i laghi, i fiumi ed i villaggi di questo Impero d’Austria ed Ungheria non basterebbero a contenere l’immenso affetto che ho per voi. Vi amo, ve lo scrissi già mille volte e ve lo ripetevo anche allora, mentre passeggiavo nella luce crepuscolare dell’autunno sotto i faggi dalle tremule foglie dorate e mi accingevo a raggiungere l’imbarcadero.
Due barcaioli mi salutarono di lontano, fischiando e facendo dei cenni con le loro mani tozze, abituate ai remi ed alle fatiche della voga.
– Signorina, dove volete andare? – mi dissero, allorché m’appressai a loro e chiesi d’imbarcarmi.
– All’isolotto, dove c’&egrave la chiesa dedicata alla Vergine Assunta! – risposi.
Salii su quella barca da lago, tutta di legno e, a poco a poco, lasciammo la riva ricoperta di cespugli autunnali, alberi dalle caduche foglie e desolate panchine, ammantate di muschio. Il campanile della chiesa che avevo nominato poco prima si disegnava all’orizzonte nelle luci dorate di quell’aurora, che oramai cedevano il passo al nuovo giorno. E fu proprio nel bel mezzo di quei bagliori autunnali, che sull’acqua sembravano d’oro zecchino, come forgiati e modellati da gioiellieri d’altri tempi, che m’apparve più da vicino l’isola del lago, mentre ci avvicinavamo ad essa. Per non tremare di freddo, rimanevo avvolta nella coperta che, gentilmente, uno dei rematori mi aveva adagiato sul corpo, mentre rimanevo distesa sul fondo di quella barca.
In mezzo ai pochi tetti dell’isolotto ed al suo fogliame, anch’esso dipinto di novembre, vidi spuntare dei lampioni, che brillavano a propria volta di luce evanescente, al pari del sole, che già scintillava sulle acque: erano i lumi dell’autunno.
Poi, quasi all’improvviso, m’accorsi che i barcaioli intonavano un canto affettuoso, che parlava d’amori e di ricordi; che melodia, che voci! Non v’era altro accompagnamento, oltre al rumore dei remi di legno, che si tuffavano nell’acqua, a quella sorta di brezza mattutina, il cui bruire non era comparabile ai canti di mille fisarmoniche. Tutt’intorno a quel paesaggio, s’ergevano le cime maestose di monti lontani, già innevati, ma ciò che più mi rapiva era quella canzone d’innamorati, intonata al vento, da due lupi di lago, sì: tali erano quegli uomini possenti.
In quel mentre, mi sentii innamorata di voi, mio Victor, ebbi la sensazione di avervi al mio fianco e di trovarmi mano nella mano con voi, che mi baciavate le labbra scarlatte. I barcaioli narravano di un marinaio del lago, che era stato rapito dai montanari dopo aver trascorso l’ultima notte d’amore con la sua bella. L’avevano portato verso le montagne, gli avevano legato le mani dietro la schiena, per trascinarlo a forza lungo quei sentieri. Da ultimo, l’avevano rinchiuso in una capanna ed ubriacato a forza, perché rivelasse loro il segreto del profumo della sua innamorata: una fragranza in grado di restituire la giovinezza e la salute a chiunque l’avesse perduta. Poi, gli avevano messo tra le braccia una fisarmonica e l’avevano mandato a zonzo, a Parigi ed in giro per il mondo.
Fu così che m’addormentai e credetemi, mio Victor, fu come se cadessi assopita tra le vostre braccia.
Poco dopo, l’urtare della barca contro la sponda mi riscosse e accadde che sbarcassi sull’isolotto. Pagai i barcaioli con sussiego, quindi m’allontanai da loro, salutandoli con un cenno del mio cappello nero perla.
Il sole era tiepido a mezzogiorno ed allora incontrai la persona che voi mi avevate indicato, come incaricata di consegnarmi la vostra lettera colma di parole affettuose. Era quello il luogo convenuto per l’appuntamento.
Passeggiare in prossimità della chiesa sull’isola fu per me un incanto. Mi aggregai ad una piccola processione di persone, che seguiva una sorta di guida turistica. Quest’ultima descriveva con poche parole, semplici ed esaustive, le bellezze dorate di quel luogo, sperduto in mezzo al lago. La guida era una donna, nel fiore degli anni ed ebbi la sensazione che gli sguardi dei ragazzi più giovani non di rado si posassero sulle sue forme, le quali, malgrado la stagione, erano in gran parte nude; alcuni di loro le chiedevano delle informazioni soltanto per avere la gioia di parlarle e lei godeva del contatto con quelle occhiatacce virili.
Uno dei più audaci si avvicinò improvvisamente all’avvenente guida e le disse:
– Signorina, posso avere il piacere di corteggiarvi?
Un altro gli rispose in vece dell’interessata, dicendogli:
– Faresti meglio a chiederle se puoi toccarla!
– Signorina, posso avere il piacere di offrirvi un fiore? – riprese quello che aveva cominciato.
– Perché non le offri qualcosa di più lungo?
Scoppiò una fragorosa risata. Nessuno si scandalizzò, né chiamò i gendarmi, poiché era soltanto uno scherzo di ragazzi.
Vi saluto e vi bacio.
La vostra appassionata,
MUSA DELL’AUTUNNO.

Bled, 7 novembre 1874.

Mio caro Victor,

io vidi ballare una polacca. Accadde al paese, a Bled, sulla piazza. Vi erano tre o quattro musicanti, che portavano delle parrucche e dei costumi variopinti; c’era chi suonava il violino, chi il violoncello, chi la viola, chi il contrabbasso. Qualcuno li aveva scritturati appositamente per l’occasione. Lì appresso si trovava una sorta di caff&egrave, con i tavoli all’aperto, attorniati da sedie impagliate; c’era un sole forte e non faceva freddo.
– Signorina, mi concedete questo ballo? – disse l’uomo alla giovane donna, mentre già la teneva tra le braccia e lei annuiva teneramente.
Il giovane si tolse i guanti bianchi e li lanciò in aria; voleva avere le mani nude, per stringere meglio quelle di lei, che avevano le dita affusolate e rosee. Fu come se i due si possedessero carnalmente, ma nessuno osava dirlo, né ammetterlo; in occasione di quel ballo, che assomigliava ad una corsa, vidi brillare nel sole le gambe di lei, che erano nude sotto la lunga gonna verdastra e svolazzante. Quando si balla la polacca, non sempre i due danzatori rimangono abbracciati nel ballo: non di rado si distaccano e la donna corre e passeggia come se rimanesse sola.
Fu un bagliore d’autunno. Ricordai il giorno del nostro primo incontro, mio caro Victor, rividi i nostri corpi nudi e la mia pelle, al casino di caccia. Eravamo tutti soli, in quella campagna, voi avevate deposto in un angolo la vostra cartucciera ed il vostro fucile. All’improvviso, faceste sobbalzare con veemenza i miei seni nudi, per poi farmi sentire tutta la vostra durezza e lasciarmi strillare forte, come se bruciassi del dolce sentimento che ho per voi. Nessuno poteva sentirci, nessuno poteva vederci. Io ero bella di tutto ciò che stava intorno a me, non portavo altro indumento che i miei lunghi capelli.
Poi, all’improvviso, la polacca finì.
I due ballerini, ebbri d’amore e di felicità, sorrisero agli astanti, che li avevano circondati e facevano festa. Scoppiarono dei fragorosi applausi e delle grida di giubilo.
– Bravi! Bene!
Così gridai, battendo forte le mani, mentre il mio ricordo d’amore illuminava il mio sorriso, bianco e vermiglio.
Vi saluto e vi bacio.
La vostra appassionata,
MUSA DELL’AUTUNNO.

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