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Racconti Erotici Etero

Libera professionista si confessa

By 27 Novembre 2013Dicembre 16th, 2019No Comments

Sono più o meno le 22:45 quando, dopo una estenuante giornata di lavoro densa di incontri, riunioni, mani da stringere e firme da mettere finalmente esco dalla doccia bollente e decisamente rigenerante che mi sono concessa. Poggio i piedi sul tappetio di spugna che abbraccia idealmente l’uscita dal piatto doccia. L’aria più fredda del bagno mi avvolge mentre il vapore si dirada in una nebbiolina tiepida che già mi abbandona. Prendo l’accappatoio bianco che ho sistemato sul termosifone per trovarlo più caldo e mi lascio accogliere dal suo tepore e dalla sua morbidezza. Abbasso lo sguardo a seguirne il panneggiare sul mio corpo… e trovo che la sua lunghezza, di sicuro giusta per un gioco di seduzione intimo, ora non &egrave proprio la più indicata visto che mi lascia più di mezza coscia di fuori. Dovrei sempre ricordare in queste trasferte di portare anche accessori comodi e funzionali. Proprio come le ciabattine col tacco – certo basso – non proprio funzionali quando si esce alla doccia. Sorrido. Sorrido perch&egrave mi riscorpo a dirmi “Dovrei”, accettando già solo per questo di avere in mente altre, magari tante altre, serate di questo tipo. Mi siedo sullo sgabellino che &egrave sulla mia destra, proprio vicino al radiatore di questo bel bagno arredato con gusto e classe, seppur nel suo stile minimal. Mi siedo, accavallo le gambe e comincio a frizionare cosce, polpacci e piedi per ascigare tutto. Lo smalto e la pedicure tengono bene. Me ne compiaccio un po’ prima di ricordare che sono stata dall’estetista solo ieri pomeriggio… e che davvero sarebe un delitto vedere l’opera rovinata già oggi. Uno sguardo, uno solo ancora all’orologio: le 22:48. Se sarà puntuale come ha detto e promesso, sentirò bussare alla porta tra dodici minuti. Un’eternità oppure un soffio. Così mi scoprii a pensare la prima volta, dicendomi anche che la mia era solo ansia appunto della prima volta. Sono felice di dover ammettere che mi sbagliavo: quell’ansia non &egrave mai passata… e quei minuti, oggi dodici la prossima chissà, sono sempre un soffio ed assieme una eternità. Bene… vuol dire che non ho perso la voglia e il desiderio di quella prima volta! Mi chiedo se aprirgli in accappatoio corto sia una buona idea. Mi chiedo se questa volta sarà meglio delle due precedenti – decisamente annoverabili tra le più scialbe della mia personale esperienza. Mi scopro a chiedermi se guardarlo, scoprirne l’aspetto, oggi mi darà qualche sensazione in più o se ancora, come sempre finora, quel che mi interesserà saranno solo e soltanto i suoi desideri e le sue voglie. Spingo un po la porta. Guardo la valigia sotto il letto chiedendomi se non ho voglia magari di indossare qualcuna delle autoreggenti che ho portato, quel reggicalze che tanto ha scritto lo fa impazzire. Certo, dev’essere eccitante scoprire l’oggetto del tuo piacere in trepidante attesa dietro la porta con indosso solo un reggicalze, le autoreggenti in coordinato ed un paio di ciabattine sexy con il tacchetto che slancia solo un po’. Certo, eccitante. Di sicuro deve predisporre bene, far maturare nella persona che busserà a quella porta l’idea di aver di fronte una donna che ha le idee molto chiare su come vuol trascorrere la serata. Lo farei, se sapessi che busserà lì uno di quelli che “Sei qui per scoparmi mio caro, forza, non te lo far ripetere…”. Ma quanto sarebbe triste! Non &egrave questa la specie di serate che annovero tra le migliori. Per una serata da “scopami tutta” ho bisogno di essere nelle corde giuste… ed ho bisogno di sapere che non potevo ambire ad altro. Sono le serate disperate, come ho imparato a chiamarle. No! Stasera mi piace pensare che non sarà una di quelle! Stasera mi piace pensare che da quella porta entrerà un uomo con le idee davvero ben chiare… e con mille fantasie da esaudire! Deve trovarmi così, fresca di doccia, normale… ed &egrave proprio per questo che deve essere capace di tirare fuori il meglio del repertorio che posso desiderare. Infond, ci vuol poco ad essere decisi, volgari, sapere il fatto proprio, quando davanti hai una quarantenne che ti implora, magari obbliga a tirare fuori lo scopatore che &egrave in te. Altro &egrave essere decisi e rudi, volgari e maschi, con una donna che ti lascia entrare in casa con classe ed educazione. Lì ci vuole l’estro. E’ in quelle situaioni che l’uomo, quello vero, deve saper scombinare le carte.
Esco dal bagno, mi guardo al grande speccho che ricopre due delle tre ante dell’armadio. Mi guardo riflessa e mi dico che &egrave bello piacersi ancora. E sapere di piacere. Nella penombra, con la sola luce del bagno a illuminare la scena, quel che dice qualcuno circa le mie somiglianze con la giornalista e presentatrice Antonella Clerici corrisponde di sicuro al vero… se non fosse per le mie forme meno generose ma per questo anche – credo – un po’ più solide. I capelli ricci che adesso ho liberato dalla cuffia da bagno ricadono morbidi a incorniciare il viso ed il collo. Sono biondi, biondo vero. La pancia – un tempo decisamente più piatta – si difende ancora bene, anche a dispetto delle tante cene di lavoro, dell’alimentazione scoordinata cui la mia professione ed i miei orari mi costringono. Solo un po’ più su del pube si gonfia leggermente. Ma pare sia pancetta quella. E tanti, tantissimi la trovano sexy. Non c’&egrave che dire: i duecento euro che lascio mensilmente in palestra pr le sedute con Cristian, il mio personal trainer, sono assolutamente ben spese. Il sedere sta su, senza ammorbidirsi sui fianchi e senza gonfiarli. Il seno, una quarta misura non troppo generosa, resiste alla forza di gravità grazie al lavoro costante sui pettorali cui mi costringo. “Sì, Eleonora, sei ancora bella…” mi sussurro coccolandomi. Sorrido.
Distintamente, nel silenzio del piano, poco fuori dalla porta di questa mini suite nel centro di Roma che ormai conosco come le mie tasche – in trasferta nella capitale sono ormai due anni che scelgo sempre e solo questo hotel – sento il cicalino digitale dell’ascensore. Dieci, quindici secondi al massimo e sentirò quel… “Toc toc toc” convenuto. Quei tre tocchi sul legno della porta che annunciano l’arrivo dell’uomo che sto aspettando. Mi avvio verso la porta, badando bene di far sentire il ticchettio dei miei tacchi sul parquet. Mano sulla maniglia a stringersi e la mia voce: “Posso aprire?” che mi ricorda della prima volta, divorata dalla paura grottesca che lì dietro passasse per caso qualcuno oltre all’uomo che attendevo.
“Prego, fa pure…” ed ha una bella voce, per nulla diversa da quella calda e sicura che ho sentito in questi due giorni al telefono. Apro la porta facendo qualche passo indietro per lasciarlo entrare senza dover spalancare. Di lui entra prima l’ombra, poi il passo, infine il corpo. Nella stanza quasi buia lo vedo. Più alto di me, robusto, fisico imponente, non certo un ciccione però. Moro e dai lineamenti molto regolari. Direi quasi banali… certo, per fortuna non brutti. “Come se mi importasse qualcosa…” mi scopro a pensare, come sempre. “E’ stato facile trovarmi?” – “Certo… tutto semplicissimo”. Sento i suoi occhi addosso. Frugano nella mia scollatura come se la stessero perquisendo a fondo. Non cedo, non mi copro di più, lascio che lo spazio tra i seni resti in vista come pure le rotondità dell’emisfero superiore di ogni tetta.
Lui non sorride, lascia scorrere i suoi occhi su di me senza dire una parola. Prende la mia mano nello stesso incredibile silenzio, colmato solo dal suo respiro che immagino caldo, e mi conduce al centro dell’ambiente, invitandomi a girare un po per mostrargli – credo – anche la parte posteriore di questa figura. Quando il giro &egrave completo ho di nuovo i suoi occhi incollati, questa volta al viso. “Niente male davvero… finalmente un incontro come si deve su quella chat del cazzo!”. Caldo, scurrile… sento un brivido che sale dai talloni. “Abbiamo detto duecento, giusto?” e sento la sua mano, la destra, posarsi sul sedere scansando abilmente l’accappatoio che mi copre lì dietro rimanendo largo. Pelle caldissima, effettivamente un po dura e ruvida. E’ stato sincero: sono le mani di un uomo, di un ragazzo che lavora. Mani grandi, che assieme al fisico dimostrano ancora una volta la sua sincerità: &egrave così che mi sono sempre immaginata un pugile. Duro e compatto fuori. “Sì duecento” gli rispondo abbassando un po’ gli occhi. Devo ammetterlo, tanta sicurezza non me l’aspettavo. Merce rara che mi lascia serare per il meglio. Mi lascia sperare quel che non oso chiedere. Quasi non ho il tempo di finire la risposta e mentre elaboro quei pensieri eccolo tornare alla carica: “Abbiamo detto almeno due ore, se non sbaglio…”. Sa quel che vuole, decisamente. “Sì, almeno due ma…” e mentre ancora sto cercando di dirgli che se vuole e ne vale la pena può restare anche tutta la notte con la sinistra si poggia sul nodo dell’accappatoio. Tira giù con poca gentilezza e mi lascia lì, scoperta, esibita davanti a lui. “Ma l’orologio parte da quando cominciamo a fare sul serio signora…” e pur lasciando la frase sospesa ha il tono imperativo di chi mi vorrebbe forse già carponi di fronte a lui. Accenno un sì con la testa mentre mi lascio sfuggire un “Mi sembra chiaro…” Destabilizzata. Mi chiedo cosa mi metta così terribilmente in imbarazzo se &egrave semplicemente quello che ho sempre desiderato. E’ lui, però, a prendere di nuovo l’iniziativa. Appoggia una busta da lettere sulla console dell’ingresso – saranno sicuramente le duecento euro – e nello stesso momento fa andare giù la zip del suo jeans. Con un movimento che a me appare collaudatissimo lascia aprire anche il bottone del pantalone. “Qui?” gli chiedo stupita viste le due stanze a disposizione e per tutta risposta la sua mano si posa sulla mia schiena costringendomi con fermezza ed una qualche educazione a scendere giù in ginocchio. Lui non parla. semplicemente respira. Respira forte. Mi lascio condurre carponi, la mia sinistra si stringe alla cintola dei suoi pantaloni mentre la destra corre al contenuto di quelli che immagino siano boxer. Sento un pisello caldo, quasi bollente… e già quasi completamente pronto. E’ chiaro che quei pochi minuti/secondi devono essere bastati a metterlo dello spirito giusto. “Forza… hai detto che ne valeva la pena no?” mi sfida. Mi avvicino, avvicino il viso, le labbra. Sento il calore della sua carne, l’odore di maschio più che quello di pulito che di solito allude ad una di quelle che chiamo “seghette di alleggerimento” consumate poco prima di passare a trovarmi. Un uomo sicuro di se, non c’&egrave dubbio. Non mi lascio pregare, dischiudo le labbra e lo accolgo. Mi lascia fare. Sento il dolciastro del sapore di ogni pisello… il gusto no fa differenza quasi mai ho imparato. Con sincerità mi dico che non &egrave certo il più enorme che m’&egrave capitato davanti. Però miseriaccia di difende bene. Sento la sua punta pulsare assieme all’asta. Cerco di percorrerla con la lingua provando a staccarmi ma non deve piacergli molto. Vuole che succhi. Vuole che pompi. Vuole che non lo tolga dalla bocca. Me lo fa capire, non lo dice mai. Non parla. In silenzio sento perfettamente, indisturbato, il rumore della suzione, dello scorrere di carne tra le labbra. E sento il suo respiro. Gli piace. Lo avverto anche dalle sue mani che si impastano tra i ricci dei miei capelli e muovono la mia testa con una calma che mi appare quasi insopportabile. Non forza, ma Dio &egrave come se lo facesse! Perch&egrave quelle mani e quel silenzio dicono tutto, mi sembrano gridare “Guai a te se non continui…”. Il pensiero mi scuote. Sembra bloccarmi per un attimo, ma &egrave solo una sensazione, la più sbagliata. Il mio corpo si muove più di prima. La bocca sembra aver preso da sola le misure, senza che sia il mio cervello o la mia esperienza a valutare quanto in fondo sto lasciando che si spinga. Lui zitto apprezza. Comincia a muoversi lentamente in controtempo con il mio corpo. Quando mi allontano sguscia via solo un po’ quando mi avvicino lo sento muoversi veros di me, sento la sua punta mirare all’ugola. Mirare al cuore. Lo sento, sempre più infondo. Sento la saliva cominciare a debordare dagli angoli dell bocca. Sento il respiro di entrambi che si fa affannoso. Non sto pensando all’aereo da prendere domani alle 11. Non sto pensando all’atto di copravendita che devo officiare domani alle 17. Quel che mi pervade la mente &egrave la assoluta naturalità con cui sto lasciando che questo uomo – dovrei dire ragazzo, avrà da poco passato i trent’anni – mi stai decisamente scopando la bocca. L’unico pensiero &egrave che con assoluta naturalità la mia gola si sta facendo sempre più profonda. Lo sento pulsare. Lo sento muoversi e godere dentro di me. E sento che senza averlo chiesto io alla mia bocca, le labbra in assoluta autonomia hanno deciso di stringersi poco prima del suo prepuzio… per lasciare che senta assieme la bocca come una tana calda e come una mano esperta – almeno lo spero – tutt’intenta in un pompino ed una sega tirata con le labbra.
“Così… forza così… ci sai fare Eleonora…”.
Eccolo. Eccolo che parla. Ha la voce rovente eppure sicura. Non una incrinatura, non un singolo cedimento. Ormai &egrave soddisfatto del trattamento. Non mi accompagna più… mi ha scaldata a puntino ed ora si gusta tutto con calma: vivendolo e guardandolo. Mi stacco, il mio corpo si stacca quasi per sfida mentre la mente urla “Che cazzo fai?!” ed acceno un “Ti piace davvero?” qando le sue mani mi artigliano – non senza qualche tirata di capelli – riportandomi al posto “Zitta, zitta Eleonora… lo sai che mi piace… lo senti…” e mentre alzo gli occhi per guardarlo trovo i suoi puntati su di me: “Non perdere tempo a parlare, ciuccia… succhia e sta zitta… non siamo nel tuo studio notarile del cazzo… qui in ginocchio sei solo la troia che mi farà godere… non pensare ad altro”. Scossa. Resto scossa. Nessuno mi aveva mai parlato così. Nessuno. Non &egrave una frase studiata a tavolino la sua… gli vien fuori dalla pancia. La spontaneità del maiale deciso che cercavo. Mi mette a nudo. Nuda per strada. Nuda tra la gente. Nuda di fronte al mondo. In quelle poche parole c’&egrave tutto: ha letto, ha ascoltato me che parlavo, che mi aprivo, che confessavo… e mi sta restituendo tutto, con gli interessi. Lì accucciata di fronte a quel maschio, col suo cazzo duro e ormai viscido della mia saliva tra le labbra, mi rendo conto che quest’uomo ha centrato a pieno la questione: c’&egrave Eleonora che fa la notaia, irreprensibile, tutta d’un pezzo, vittima di una rispettabilità quasi obbligata… e c’&egrave Eleonora qui in ginocchio che succhia cazzi, si lascia deflorare, implora di essere sporcata, si fa pagare per il gusto di vendersi… che oggi, almeno finora, non può che dirsi soddisfatta della femmin che quest’uomo sta mettendo a nudo. Le sue mani si stringono, decise, sui ricci biondi. Riprende a muoversi… più forte ora, con più intensità. “Non devi bermi, chiaro Eleonora? Non azzardarti…” ed io lì che annuisco con tutto il suo piacere che si lascia pregustare copioso dalle contrazioni continue dell’asta e del glande. Una mano mi scivola dalla sua cintola al centro delle mie cosce. Sono fradicia. Le grandi labbra aperte, scivolose… le piccole turgide, schiude. Il clitoride in pulsantino in fiamme, eretto. Lo sa che mi sto toccando. Sa che struscio il medio sul solco, lo lascio entrare, indugio su ogni singolo centimetro di piacere. Lo sa… e mi lascia fare. Deve sentirmi tremare perch&egrave con una telepatia che non mi aspettavo a voce ben udibile dice: “Godi, godi Eleonora… vedrai quanto sarà forte tra poco…”. Non deve chiedere, non deve forzare… sono io che assecondo sempre più il suo ritmo, la sua intensità, mentre lungo la colonna vertebrale si accumula una energia che non ho voglia di trattenere. Sento caldo. Sento il suo cazzo che sbatte contro l’ugola. Sento i conati che cominciano a salire e il fiato che manca. Sento che per la prima volta sto facendo di tutto perch&egrave mi si violi anche la bocca. Così, così intensamente ed a fondo non era mai successo. E sono quasi due anni che mi concedo queste divagazioni sul tema della troia in trasferta. “Non farti problemi… dopo ci laviamo… continua troia, fattelo sbattere fino in gola”. Ha la voce magnetica. Non resisto. Non ubbidisco solo perch&egrave sono io a volerlo. E lì sotto sono ormai un fremito incontrollato. Sto venendo. Dio se sto venendo. Sto venendo anche solo per le sensazioni che quel pompino così profondo mi regala. Ecco. Ecco le prime scosse. Non voglio fermarmi. Non voglio rallentare. Non lo vuole nemmeno lui che ormai non nasconde più quanto ci sia vicino. Non lo vuole nemmeno lui che non ritarda ma con quei colpi corre a briglia sciolta verso l’orgasmo. Mentre il corpo mi si fa rigido per gustare a pieno ogni singolo secondo di quel piacere lui si divincola. Ha la mano sinistra intrecciata nei miei capelli. Si allontana solo qualche centimentro e con la destra si afferra l’asta poco sotto il prepuzio. Non godo mai ad occhi aperti ma oggi mi forzo a spalancarli. Mentre il picco di piacere mi scuote e la mano impazzisce tra le cosce lo vedo darsi due tre colpi ben assestati. Il glande &egrave un fucile carico a pallettoni che mi riversa uno schizzo caldo e forte sul viso. Altri schizzi mentre i fremiti del mio piacere mi avvolgono. Altri, densi e bollenti. Sembra non fermarsi. Ho la faccia che sembra piombo fuso. sento il suo seme scivolare lungo le guance, gocciolare dalla punta del naso, perdersi tra le mie ciglia. “Oooooh tieni, tieni troia… tutto per te…” prima di poggiare la cappella sulle labbra e sussurrare “Pulisci prima me… forza”. Se lo regge con le mani puntato sulle mie labbra mentre io mi aggrappo sfatta alla sua cintola dei jeans. Agrodolce. Questo sento sulla lingua. Agrodolce e caldo. Lo spreme. Lascia le ultime gocce a bagnarmi le labbra, senza più tenermi i capelli.
“Cazzo se ci sai fare Eleonora… una pompinara nata…” mentre ancora se lo mena, sebbene non butti fuori più nulla. Mi accascio sfinita cercando di recuperare il fiato. Accoccolata sul parquet di quell’ingresso, poggio la sinistra al pavimento per sorreggermi. Non so da dove venga fuori un “Grazie…” ma so di per certo che &egrave quel che sento il bisogno di dire. Lo guardo, languida dal pavimento mentre mi risponde “Abbiamo ancora da fare Eleonora… vuoi darti una sciacquata?” con un sorriso beffardo. Ne ha ancora, tanta, di benzina, evidentemente.

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