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Racconti Erotici Etero

L’inchiesta

By 11 Febbraio 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

Eravamo un quartetto di ragazzi scalmanati e colmi di droghe fin sopra i capelli. Camminavamo strascicandoci dietro i nostri stracci, scarpe slacciate, faccia confusa e capelli spettinati. Parlavamo di noi, del nostro credo benché a volte la miglior cosa da fare era farsi i cazzi propri. Partecipavamo alla scuola della loro città, piccola ma tranquilla, ognuno chiuso nelle proprie stanze, dicevamo noi ricordando gli Articolo 31.

A scuola avevamo una professoressa piuttosto figa. Questo &egrave un dato importante dato che l’istituto scarseggiava di materia prima: molte ragazze ma solo poche in grado di stimolare i nostri istinti sessuali.

Eravamo depravati dentro, noi. Qualsiasi cosa, in ogni dove, spaccavamo. Anarchia e confusione adolescenziale all’interno di un sistema a noi troppo stretto. E così, vetrine, macchine, tutto quello che si poteva danneggiare noi lo danneggiavamo. Ponevamo la nostra firma come fosse parte del nostro essere spiriti liberi, un po’ come i cani lasciano la propria traccia sugli alberi.

Ma c’era questa professoressa figa: bionda, alta 165 cm, 85-65-95 come misure, occhi azzurri, per certi versi ricordava la Brooke di Beatiful, per altri una qualunque troia della statale di Ferrara. Fare ammiccante, sguardo incestuoso, risata infantile. Insomma una tipa da prendere e possedere’

Credo fosse idea comune a tutti noi quattro quella di poterla avere un giorno e sebbene non lo dicevamo bastava guardarsi negli occhi quando, inconsapevole dei nostri sguardi, lei la prof si muoveva sensuale nei corridori, attirando sul suo sedere sodo gli occhi di mezzo istituto, occhi perversi, occhi che lasciavano trasparire una dolce voglia di possessione, dai maschietti di prima ai ragazzi in esplosione di ormoni di quinta.

E qui comincia la nostra storia.

Era un giorno come tanti altri, credo un venerdì di novembre, forse, ma ricordo, c’era nebbia nella città e un grande freddo. Incappucciati fino ai capelli, io e la mia ‘banda’ percorrevamo le vie del paese passandoci miseri pensieri, come al solito, relativi a un mondo virtuale che ognuno concepiva a seconda della destinazione dei suoi viaggi mentali. Negozi, bancarelle, artigiani al lavoro ci passavano davanti agli occhi durante il nostro tour in maniera veloce e incondizionata. Stranamente quel giorno non avevamo ancora distrutto niente, nemmeno una bottiglia di birra per terra, né sassi addosso le finestre, com’era la norma. Mancava poco a mezzogiorno. Quindi una pizza, la chimica ci stava uccidendo. Entrammo in una pizzeria al taglio, all’angolo vicino alla chiesa. Il vecchio ci salutò, noi no, ordinammo margherite per tutti, tranne il Giulio che prese una mezza porzione di prosciutto&funghi. Dopo averci riempito lo stomaco brindammo con una Becks e pagato il conto con circa due euro in meno, ci inviammo fuori per riprendere la nostra ronda quotidiana. E chi ti ritrovi?

La lei, la prof, quella bionda, sì quella fata dei nostri sogni sporchi, condannata per sempre nei vincoli retrogradi del mio e loro istinto. Incuranti del fatto che ci avrebbe sgammato fuori da scuola in orario di lezione decidemmo di avvicinarci. Era lì, indaffarata a cambiare una ruota bucata quando ci stringemmo attorno a lei con Zinghy armato di coltello. Lo fermammo in tempo prima che ci potesse notare: avevamo in mente un piano diverso. Gli dicemmo di star fermo e di fare silenzio, quando tutt’a un tratto mi avvicinai alla prof e semplicemente la salutai con fare galante. Mi offrii di cambiarle io la ruota, vista la mia esperienza, dialogando con lei sul più e sul meno, graziato dalla sua voce, stimolato da quel gran profumo di Versace che portava. I loro stavano in disparte, un po’ ridendo per me la mia iniziativa, un po’ boccheggiando ognuno nella propria sigaretta. Scorreva così il tempo tra una risata e l’altra con la prof e vari sguardi d’intesa verso i loro. Montai la ruota e lei ripartì ringraziandomi.

Era in trappola.

Li chiamai e la seguimmo a piedi. Stava a soli cento metri da casa, e speravamo con tutto cuore che ci tornasse, che avesse finito il suo giro mattutino per le compere. Infatti così fu. La macchina, una Golf terza serie grigio era parcheggiata proprio sotto l’attico di Via Mameli e noi c’introducemmo dentro all’edificio salendo le scale. Arrivammo al terzo piano ma ci fermammo di colpo vedendo la bionda prof alle prese con le chiavi della porta. Dissi agli altri di rimanere fermi e aspettammo il momento buono. Appena girò il pomello ci avventammo su di lei velocissimi. Io le misi subito una mano sulla bocca in modo da non permetterle di urlare, Zinghy le afferrò le braccia e gli altri ci spinsero dentro in fretta e furia per non perdere tempo. Appena dentro all’appartamento mi guardai attorno, come fossi un ospite e notai subito come l’ambiente profumasse di commerciale odore di lavanda e tutto fosse così in ordine sia in cucina che in salotto. Mobili da quattro soldi, ok, ma tutto lasciava a presagire la vita sobria e perfetta di una donna che nella nostra realtà nascondeva istinti animaleschi da pura puttana.

Zighy le si puntò davanti con il coltello, eccitato dalla situazione venutasi a creare e la minacciava sbavando e imprecando contro di lei. Fu proprio in quel mentre che capimmo quale stupido particolare ci eravamo dimenticati. Eravamo tutti a volto scoperto, senza passamontagna o un cazzo di maschera, tutti facilmente riconoscibili. Fu proprio in quel mentre, che un’idea comune passò al contempo nelle menti di ognuno di noi: da quel giorno la nostra scuola avrebbe dovuto trovare un’altra insegnante. Credo che fu tutto ciò a costringerci a sprofondare nello stato più selvaggio mai sperimentato, ovvero la reincarnazione in esseri animali, aggressivi, privi di ogni pietà. Zighy ridendo le scagliò la lama del coltello nel volto e le sfregiò la guancia sinistra. Nemmeno il tempo che rialzasse la testa per vedere l’entità del danno, e caricò un destro secco sulla stessa guancia e la fece cadere per terra tramortita. Non so veramente cosa ci prese ai noi quattro in quegli attimi, sarà stato l’odore di selvaggina fresca, o forse l’accentuazione del nostro ego animalesco ma cominciammo a comportarci come dei veri pazzi psicopatici. Presi la prof e le passai un fazzoletto attorno alla bocca mentre gli altri due cercavano qualcosa per legarla attorno ai piedi del divano. Ancora tramortita, la prof si lasciava trasportare dalle nostre mani. La guardai un attimo e un conato di vomito mi prese tutt’un colpo ma riuscii a reprimerlo: il classico senso di colpa. Ma non c’era molto tempo, era meglio sbrigarci poteva arrivare qualcuno’

Antonio e il Giulio, gli altri due cominciarono a spogliarla e sbeffeggiarla in un silenzio irreale, senza offese, senza una parola, come dire, impressionati loro stessi dalla ghiotta occasione presentatici. Io e Zighy ci guardavamo negli occhi e vidi in lui una funesta e irrefrenabile sete di vendetta. Poi, dopo circa mezz’ora che non si sentiva qualcuno parlare, Zighy ruppe il silenzio:
‘Questa puttana mi ha dato quattro l’altro giorno’ e si accese la Sax. Io lo guardai impietrito, schifato, indeciso sul da farsi, ma con l’uccello stranamente in tiro e le mani toccavano già le gambe nude della prof ancora inerme sul tappeto di casa sua, intrappolata nella nostra morsa. Poi Zighy si avvicinò a noi ‘Lasciatemela a me per primo’ e si posizionò tra le sue gambe. Tutt’a un tratto come nella fiaba della Bella Addormentata Nel Bosco la lei si svegliò lamentandosi, aprì gli occhi e li richiuse subito volteggiando con la testa. Era ancora traumatizzata ma Zighy non ci pensò e cominciò a penetrarla con il medio in mezzo alle gambe, tra quel boschetto peloso. Dopo alcuni momenti di stimolazione la prof cominciò ad aprire gli occhi e il suo sguardo mi fece rabbrividire. Paura, sconforto, impotenza. Tutto questo sembravano comunicare mentre una lacrima le segnava il volto grondante sangue. Io ero lì, impietrito, offeso da quella situazione, un pesce fuor d’acqua, ecco. Ma mi ripresi perché avevo voluto la bici e adesso dovevo pedalare. E poi il gioco era ancora mio se volevo’

Zighy si tolse gli slip e cominciò a penetrarla con foga, incurante dei lamenti di lei. Nel mentre, il Giulio e Antonio si stimolavano i loro cazzi ritti guardando la prof che piano piano si stava riprendendo e piangeva. Il suo sguardo supplicava di smetterla e terrore e orrore si scambiavano a tratti veloci a ogni sguardo lanciato su ognuno di noi.

‘Zitta! Puttana!’ urlò Antonio e le sganciò uno schiaffo fortissimo sul volto ferito. Zighy e il Giulio ridevano, risata di pazzi, di psicopatici maniaci in preda a chissà quale convulsione. Io rimanevo impassibile. Poi Antonio prese un sacchettino di nylon e tirò fuori le Smiles. Sei pastiglie vennero somministrate alla prof minacciata con il coltello e leccata da Zighy che non era ancora venuto. L’effetto si fece sentire pochi minuti e la prof diventò bianca e delle rughe le se erano formate attorno agli occhi mentre tutto il corpo era un brivido.

Zighy venne in un’esplosione di urla, offese, ricatti (ma poi a cosa sarebbero serviti ora?). Slegammo la prof e la mettemmo con il sedere alto e la faccia schiacciata per terra: sandwich a tre. Antonio offriva il proprio cazzo alla bocca di lei che sudava freddo, cercava di divincolarsi, ma poco, perché le forze le mancavano e sembrava più a una bambola gonfiabile nelle mani di pervertiti sessuali. Io mi posizionai dietro mirando lo sfintere del sedere e da lì dimenticai tutto’ tutto il suo dolore, la sua giovane vita, il domani che non avrebbe visto’ ora stavo vivendo anch’io finalmente. Stavo vivendo’

Non mi accorsi nemmeno quando le venni in culo, sentivo solo il suo pianto e i suoi mugolii, sentii un calore riempirmi dentro e un senso di tenerezza nei confronti di tutti i presenti. Mi stavo riprendendo quando Antonio e il Giulio le vennero contemporaneamente in bocca e in figa. La schiaffeggiarono ancora un po’ e si tolsero da lei andandosi a pulire con i fazzoletti. La guardai incosciente che giaceva sul tappeto, gli occhi gonfi, le labbra più viola che rosse macchiate di sperma, il volto insanguinato e infettato, i capelli spettinati e sudaticci, l’occhio nero e un corpo pieno di lividi.

Cristo, che cosa abbiamo fatto? Mi passò come un lampo nel cervello. Ma non potevo più, o no, non potevo più’

Non c’era nessuno. Solo noi sulla macchina della prof. Io alla guida, Antonio al mio fianco e gli altri due dietro che fumavano una cicca. Silenzio assoluto, la nebbia, l’erba incolta, un albero lontano e la prof legata ad esso. Accesi la macchina. Partii. Mi schiantai una, due, tre, quattro cinque volte facendo sempre retromarcia. Le gambe di lei erano spezzate ma non era ancora morta. A un tratto pensai quanto avrebbero pagato Dario Argento o Stephen King per avere un finale del genere. La guardai girando la testa come i cani. Silenzio. Scesi dalla macchina e mi avvicinai a lei. Respirava ancora. Le tenni ferma la testa e in uno scatto rapido le cinsi uno spago sottile attorno alla gola stringendo sempre più forte. Il volto frustrato si colorò di rosso. Continuai a stringere finché ogni ultima resistenza svanì.

Rimontai in macchina e mi accesi una sigaretta.

Questo fu il primo giorno in cui pensai: ‘Ho veramente vissuto’.

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