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Racconti Erotici Etero

Lisa

By 8 Febbraio 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

Trovò finalmente uno scompartimento completamente vuoto, ancora ansante, con le guance arrossate, appoggiò la borsa su un sedile, tolse il cappotto e lo ripiegò.

Il treno segnalò con un fischio prolungato la sua intenzione di lasciare la stazione, e l’improvviso movimento la sbilanciò per un istante.

Si sedette con un tonfo ben poco aggraziato, incurante della cosa.

Guardò fuori del finestrino le persone farsi sempre più piccine finché una curva non le nascose del tutto alla sua vista.

Il viaggio sarebbe stato lungo, ma non le pesava, anzi il cuore non voleva saperne di decelerare un po’ i suoi battiti.

Esitò per un istante, poi andò a chiudere le tendine, assicurandosi un minimo di privacy.

Tornata al suo posto, prese la grossa borsa, ne tirò fuori alcune di cose, il minibeauty da viaggio, i chewing-gum, le parole crociate, e finalmente quel che desiderava: il nuovo romanzo di Lucy Graham, “Rito di passaggio”, uno scandalo annunciato, il best-seller dell’estate precedente, appena uscito in versione pocket.

Ne aveva sentito parlare nei bagni della scuola, dalle sue compagne più esperte e sfacciate, ma non aveva mai osato acquistarlo.

Prima di quel giorno, nella libreria di una stazione di una città in cui era solo di passaggio, dove nessuno la conosceva.

Maledisse la propria timidezza e quella mentalità che sapeva essere retrograda e fuori moda.

E che cavolo, era l’anno Duemila anche per lei!

E invece no, come nelle barzellette, prima di andare alla cassa aveva preso da uno scaffale anche un volume di “Tutte le opere” di Shakespeare, e, dopo aver pagato, non senza essere arrossita come un peperone, era quasi corsa via come se fosse stata sul punto di perdere il treno.

Sì, proprio come aveva notato nel negozio, la copertina della raccolta scespiriana calzava proprio a pennello al libro di Lucy Graham!

Sorrise soddisfatta di sé: adesso, se anche fosse entrato qualcuno, non si sarebbe dovuta sentire in imbarazzo, ma avrebbe potuto continuare a leggere tranquillamente!

Una volta a casa, naturalmente, avrebbe dovuto far sparire quel libro, se non avesse voluto far venire un infarto a sua madre, la quale, al contrario, sarebbe stata molto contenta di vedere che la figlia aveva cominciato a prendere sul serio i suoi studi di letteratura.

E invece lei Shakespeare l’aveva sempre odiato!

Ma adesso era sola, e, con un fremito d’anticipazione, saltò la prefazione e la biografia dell’autrice.

Non riuscì a staccare gli occhi dal testo per le prime trenta pagine; il romanzo era scritto in forma epistolare e narrava l’iniziazione erotica della giovanissima protagonista e della sua amica di penna francese.

Era ambientato in un esclusivo collegio femminile americano, gestito da due coniugi, che di metodo Montessori non avevano mai sentito parlare, ma che prendevano molto a cuore le loro studentesse più graziose.

Il contrasto con i primi baci rubati dietro qualche covone dell’amica francese era stridente.

Lisa non avrebbe saputo dire quale delle due diverse esperienze bramava di più in quel momento. Rinchiusa nel suo corpo di adolescente improvvisamente diventata donna, da tempo non riusciva più ad accontentarsi del solitario piacere che le sue dita avevano imparato a darle. Ascoltava con mal celata invidia i racconti delle prime esperienze delle sue amiche, chiedendosi quando sarebbe toccato a lei… Ormai viveva la propria verginità come un fardello, e aspettava solo la persona giusta: non il “principe azzurro”, ma qualcuno in sintonia con lei, che riuscisse a intuire i pensieri che le frullavano in testa.

Qualcosa nel suo corpo, nel frattempo, cominciava a reagire a quegli stimoli, sentiva già le mutandine bagnate e il familiare odore dei propri umori… o era solo suggestione?

Quasi inconsapevolmente con una mano salì a sfiorarsi i capezzoli, da sopra il maglioncino, e li scoprì eretti, come allertati, in attesa.

L’autrice del libro si soffermava molto sulla sorpresa di Jeanne, alle prese con la scoperta della diversa anatomia maschile, così come sulle esperienze lesbiche della collegiale, e Lisa cominciò ad immaginare se stessa in analoghe circostanze…

“Queste cose accadono solo nei romanzi” pensò, con una punta d’amarezza, mentre le tornava in mente il suo primo e unico bacio: lo aveva dato a Tommy Schneider, il figlio della sua insegnante di storia, durante una di quelle stupide feste cui nessuno la invitava mai. E lui l’aveva baciata solo per pagare un pegno, glielo aveva detto subito dopo, ridendo, per non illuderla.

“Scusi, questo posto è libero?”

Fu un brusco risveglio per Lisa, che non riuscì ad impedire a se stessa di arrossire mentre balbettava un “No!…cioè sì, non c’è seduto nessuno…”

Era uno di quei ragazzotti come uno immaginava dovessero essere i giramondo sfaccendati, come li chiamava sua madre: alto, sui trent’anni, castano schiarito dal sole di chissà dove, la barba rada di qualche giorno, vestito casual che più casual non si poteva e… con i due occhi più luminosi del mondo!

“Due fari blu sorridenti”, si sorprese a pensare, per poi correggersi “Sciocca! I fari non sorridono!”

Strinse forte le gambe “Dio, fa che non senta… che non si accorga dell’odore!”

Lui si libero’ del grosso zaino sollevandolo sul portapacchi, fece lo stesso con un voluminoso borsone, poi tolse il giaccone, lo appallottolò e lo gettò con noncuranza lì dove capitava.

Finalmente si sedette, allungando sul sedile di fronte i piedi, che calzavano delle logore Nike. Dopo di che dedicò tutta la sua attenzione alla graziosa vicina.

“Dove sei diretta?” passo’ con semplicità al tu.

Prima non si era accorto che lei fosse così giovane, ma guardandola meglio si rese conto che era stata la pettinatura a sviarlo.

Lisa portava i capelli biondi legati e tirati su, come le ballerine classiche, ma qualche ciocca ribelle le era sfuggita e le ricadeva davanti agli occhi, di un bel colore nocciola. Il naso era spolverato di lentiggini che avevano assunto un colore buffo, quando era arrossita, poco prima. Due labbra carnose completavano il quadro.

Forse si era sentita a disagio per non essersi accorta della sua entrata, era così assorta nella lettura. Shakespeare! Pero’ la ragazzina!

“A Templeton…” Lisa esitò, sua madre l’aveva ammonita di non dare confidenza agli sconosciuti, ma lei saggiamente pensò che in ogni caso il ragazzo l’avrebbe vista scendere a quella fermata, e che se fosse stato un poco di buono lei ormai era lì, nello scompartimento con lui, con le tendine chiuse, sola, in sua balia, e lui era tanto più grande e grosso di lei…

Si affrettò a frenare il corso dei suoi pensieri, prima che la portasse troppo oltre, in un’area decisamente sconveniente.

“Sono stata a far visita a mio padre per le vacanze di Natale, e ora torno a casa.”

Lui annuì, sorrise come se avesse indovinato tutto quel che le era passato nella mente in quegli attimi.

“Templeton, sì ci sono stato, posto noiosetto, non trovi?”

Si ritrovarono così a chiacchierare abbastanza piacevolmente: parlar male di un luogo, o di una persona è sempre il modo migliore per iniziare una conversazione. E odiare le stesse cose fa sentire vicini più che avere gli stessi interessi. Quando due persone amano entrambe la musica, ad esempio, scatta una sorta di gara a chi conosce meglio questo o quell’autore, o quell’opera, e il tutto si riduce ad una mera elencazione di date, titoli, citazioni.

Ma se è l’odio per qualcosa o qualcuno ciò che due persone hanno in comune, eccole che a turno l’una fa notare all’altra come sia detestabile o ridicolo questo o quell’aspetto della cosa, suscitando così ilarità e apprezzamento.

Ben presto Lisa dimenticò il libro e la sua piccola trasgressione, e, persa in quegli occhi blu e in quel sorriso coinvolgente, si ritrovò molto più ciarliera di quanto non fosse mai stata, proprio lei, così timida e introversa da avere pochissimi amici.

L’uomo si rese conto di esercitare un certo fascino su quella ragazzina.

Aveva cominciato a parlarle per noia e per gentilezza, nonostante non fosse precisamente dell’umore ideale per conversare.

Il suo non era un viaggio di piacere: era un insegnante e stava raggiungendo la sede in cui lo avevano appena trasferito.

Era un po’ seccato di dover lasciare la famiglia e gli amici, e aveva scelto quello scompartimento proprio perché c’era solo quella ragazza, che aveva l’aria troppo timida per essere una rompiscatole come quella tardona che lo aveva abbordato appena salito sul treno.

Man mano che chiacchieravano, pero’, lei si scioglieva, sorrideva sempre più spesso e lui era ammaliato da quei dentini bianchi, quasi quanto dal suo gesticolare animato.

“Quanti anni hai?”

“Diciotto” si sorprese a mentire lei, prontamente, e stavolta riuscì perfino a non arrossire. Non sapeva bene perché l’avesse fatto, forse semplicemente perché non voleva che lui la considerasse una ragazzina.

Senza che Lisa se ne accorgesse lui la osservò meglio: indossava dei jeans e un maglioncino con il collo a V, che le metteva in evidenza il seno, pur senza essere scollato. Era snella ma non troppo, e fu con un certo sollievo che notò i suoi stivali, stretti, senza l’ormai consueta “zeppa” cui la moda delle ragazze di quell’età lo aveva tristemente abituato.

Si era sempre domandato cosa ci fosse di sexy nei piedi alla Homer Simpson che tutte loro ostentavano da un paio d’anni.

Dal canto suo Lisa non poteva credere che quell’uomo si stesse interessando a lei, certo era la sua unica compagna di viaggio, ma sembrava ascoltarla davvero… e non le era mai capitato prima.

Si ritrovò a parlargli di sé, del proprio amore per il disegno, per il cinema, dell’odio per la cioccolata e il pomodoro, della fobia per le lucertole.

Quando arrivò l’ora di pranzo nessuno dei due aveva voglia di andare nella carrozza ristorante, sicuramente invasa dagli altri viaggiatori, e preferirono condividere una scatola di biscotti e un’aranciata che lui aveva con sé, e un paio di panini che la moglie di suo padre le aveva dato per il viaggio. Fu quasi un picnic.

Mancava ormai solo mezz’ora all’arrivo in stazione, i binari costeggiavano il mare poco distante, e il sole sembrava essere sul punto di tuffarsi nel blu.

Una strana tristezza li assalì entrambi, sapevano che si sarebbero separati per sempre di lì a poco, e lei non aveva certo il coraggio di chiedergli l’indirizzo o il numero di telefono… Si limitò a guardare fuori, intristita e improvvisamente silenziosa.

La monotonia dello sferragliare del treno subì una strana variazione: il treno stava frenando, anzi si stava fermando.

Lisa e l’uomo si scambiarono uno sguardo sorpreso, la stazione era ancora lontana.

Subito l’altoparlante diede una risposta alla loro domanda inespressa: “Ci scusiamo con i signori viaggiatori, ma si è verificato un guasto e siamo costretti a fermarci. Dalla stazione di Templeton stanno già arrivando i tecnici e prevediamo un ritardo di circa due ore.”

Si udì distintamente un brusio seccato levarsi dagli altri scompartimenti, mitigato dall’annuncio successivo: non erano costretti a rimanere a bordo del treno, ma potevano scendere e sgranchirsi le gambe, e poco distante da lì c’erano un ristorante e un piccolo negozio raggiungibili a piedi.

Ben presto, la maggioranza dei passeggeri cominciò a defluire lentamente dal treno, avviandosi verso i vicini edifici.

“Vuoi scendere anche tu, Lisa?”

Lei scosse il capo “Non mi sono mai piaciuti i luoghi troppo affollati, e ho idea che quel posto presto lo sarà.”

“Non parlavo del ristorante…ti va di andare… al mare?”

Gli occhi le si illuminarono di stupore e piacere, guardò l’orologio, dopo tutto avevano almeno un paio d’ore da trascorrere fermi lì…

“Perché non trascorrerle in spiaggia?” concluse lui con un sorriso, quasi le avesse letto nel pensiero.

Attraversarono un breve tratto di strada in direzione del mare, e ben presto il terreno sotto i loro piedi cominciò a cedere il posto alla sabbia e l’odore della salsedine si fece sempre più forte. Erano usciti senza indossare i cappotti, e un lieve venticello li faceva rabbrividire, ma non era una sensazione spiacevole.

Non c’era nessuno lì, erano stati gli unici a preferire il mare al caldo rifugio del punto di ristoro. Come se fosse stata la cosa più naturale del mondo, si ritrovarono a camminare mano nella mano. Gli stivali non erano il genere di calzatura più adatto per passeggiate nella sabbia, così ad un certo punto Lisa fu costretta a sedersi a terra e a sfilarli, con qualche esitazione, ma lui fu svelto a toglierla dall’imbarazzo facendo lo stesso con le proprie scarpe.

“Era tanto che desideravo farlo,” spiegò “Quasi non ricordavo più la sensazione della sabbia sotto i piedi nudi. Andiamo sul bagnasciuga? Chi arriva per ultimo paga pegno!”

Quasi corsero come due bambini verso il mare, sempre tenendosi mano per mano, ridendo per la pura gioia di trovarsi lì in quel momento… insieme.

Lui inciampò, o forse fu lei a perdere l’equilibrio, ma l’uno trascinò l’altra per terra, facendole scudo col proprio corpo per assicurarle un atterraggio morbido. Lui la tenne stretta e si guardarono negli occhi continuando a ridere, incuranti della sabbia sui vestiti, sui capelli, dappertutto. Poi qualcosa cambiò, lui le accarezzò il viso con una mano e avvicinò la bocca a quella di lei.

“Sta per baciarmi sta per baciarmi sta per…!” Lisa era incredula e felice.

Morbide, le sue labbra erano stranamente morbide.

Lui si limitò a premerle leggermente contro le sue, le lasciava la scelta di rendere casto quel bacio oppure spingersi oltre.

Lo guardò, aveva gli occhi socchiusi, ne sentiva il respiro accelerato adesso che erano così vicini. L’abbracciava, ma lei sentiva che avrebbe potuto divincolarsi in qualsiasi momento e lui l’avrebbe lasciata andare.

Ma Lisa non voleva andare.

Aveva aspettato fin troppo tempo che accadesse.

La barba pizzicava un po’ ma era morbida. Allungò una mano ad accarezzarla, e socchiuse le labbra, era il segnale: lui gliele sfiorò con la lingua, piano, lasciandole sentire l’alito caldo sulla bocca, e poi d’improvviso la baciò con passione, stringendola più forte a sé.

Le mani di lui la percorsero tutta, insinuandosi sotto il maglioncino, mentre la sospingeva sotto di sé, mescolando il suo corpo alla sabbia ruvida, e compensando con la morbidezza delle sue labbra.

Lisa sentiva un calore incredibile e la stessa bramosia di lui di scoprire, toccare, esplorare.

I capezzoli erano talmente eretti da farle quasi male sotto quelle mani gentili ma esigenti. Come se l’avessero intuito, queste lasciarono il posto alla bocca.

Lisa si sentì come stordita, riusciva soltanto a sentire le onde e i gabbiani ma forse quel ronzio nelle orecchie era solo il suo sangue che rombava nelle vene.

Si accorse a malapena di quando lui le sfilò i jeans e le mutandine, ma avvertiva ogni millimetro del percorso di quella bocca sulla sua pelle, come una colata lavica su un bosco. Si sentiva incendiare.

Le labbra arrivarono alla loro meta, si tuffarono in quel cespuglio dorato e morbido e Lisa non riuscì a trattenere un gemito di piacere.

Non aveva mai sentito nulla del genere, e d’istinto allargò le gambe e spinse in avanti il bacino per facilitargli i movimenti.

Lui affondò la testa e cominciò a leccarla in profondità, cercando di penetrarla con la lingua per raccogliere i suoi abbondanti umori. Era strettissima, e lui si eccitò ancor di più quando si rese conto che lei era vergine, e raddoppiò i suoi sforzi per darle piacere, torturandole la clitoride, finché non resistette più. Fu sopra di lei, i pantaloni sbottonati, il pene durissimo pulsante di desiderio.

“Vuoi, Lisa?” la sua voce era roca, quasi titubante, ma lei era ormai andata oltre per smettere adesso: per tutta risposta lo baciò, protendendo il bacino in avanti. Lo sentì entrare piano; lui osservava il suo volto, e, quando si accorse di una piccola smorfia di dolore, andò più a fondo e poi uscì, con delicatezza, e poi la penetrò di nuovo, e così via finché su quel viso poté leggere solo piacere. Ma quel corpo caldo e ricettivo sotto di lui lo aveva eccitato troppo, così come anche la scoperta della sua verginità, sentiva di essere sul punto di esplodere, accelerò il ritmo, con colpi sempre più in profondità, mentre con le mani le stringeva le natiche, come per aprirla ancor di più. Lisa gemette, si arcuò istintivamente, facendosi sommergere dalla marea, fino all’urlo finale. Lui riuscì ad uscire dal suo corpo giusto in tempo, inondandole la pelle di sperma, e si abbatté su di lei, esausto. Per un momento tacquero entrambi, ansanti, godendo le sensazioni appena provate, poi lui depositò un bacio sulla sua guancia.

“E’ stato incredibile, Lisa… ”

“Era la prima volta per me…”

“Lo so,” lui sorrise “Spero di essere stato all’altezza della situazione.”

Lei sembrò divertita da quella frase.

“Non avevo mai provato niente di simile prima, nemmeno quando mi…”

S’interruppe, improvvisamente e inutilmente timida, ma lui fu veloce come sempre a toglierla dall’imbarazzo: la baciò con tutta la dolcezza di cui era capace. L’aiutò a pulirsi e a rivestirsi, dandole dei kleenex da utilizzare a mo’ di assorbente, anche se aveva perso pochissimo sangue.

Rimasero lì, abbracciati, accarezzati dal vento ad ascoltare il rumore delle onde, e adesso a lui quel corpo che stringeva sembrava così fragile, indifeso.

Due fischi prolungati del treno li riscossero: fino a quel momento il resto del mondo era rimasto come sospeso intorno a loro, ma adesso li richiamava a sé.

Si scrollarono la sabbia di dosso, riacquistando un’aria presentabile, e s’incamminarono verso il treno mano nella mano, come erano arrivati lì.

Lisa si sentiva un po’ dolorante e un po’ stordita.

Quando era salita su quel treno era eccitatissima per uno stupido libro e adesso aveva appena fatto l’amore con un uomo! Un uomo vero, non uno di quei ragazzotti che Jeanne baciava dietro i covoni di grano!

Dal canto suo, lui era ancora incredulo per la piega che avevano preso gli eventi. Non aveva avuto alcuna intenzione di fare sesso con quella ragazzina, anche se era carina e gli piaceva molto… E poi cominciava a sentirsi in colpa, dopo tutto lei era stata vergine prima di incontrare lui.

“Oh cazzo, una diciottenne! Le sarò sembrato un vecchio porco libidinoso…” pensò mentre salivano sul treno, quasi senza parlare.

La gente cominciava a tornare, sembrava che il guasto fosse stato riparato anche prima del previsto.

Lisa sentiva il cuore batterle a mille, avrebbe voluto dire tante cose ma tutte le sembravano sbagliate, e non sapeva come comportarsi visto che era la prima volta che si trovava in quella situazione.

Lo sbirciò di sottecchi, il suo viso era tirato e immaginò che anche lui si sentisse in imbarazzo, anche se probabilmente il suo unico timore era che la ragazzina gli si incollasse addosso, magari pregandolo di far di lei una donna onesta.

Rise dentro di sé per quel pensiero buffo, un po’ rinfrancata dal disagio di lui, che la faceva sentire un po’ meno deficiente.

Il viaggio le sembrò durare pochi secondi, tanti erano i pensieri che si susseguivano nella sua mente, mentre cercava di assaporare le nuove sensazioni che provava e di fissare nella memoria quanto era accaduto in spiaggia. Avrebbe sempre voluto ricordare ogni singolo gesto, sospiro, carezza. E, almeno per il momento, l’indolenzimento che sentiva nelle parti basse era un dolce memento…

Trasalì quando il treno fischiò, arrivando in stazione, e finalmente i loro sguardi si incontrarono.

“Come ti chiami?” gli chiese, quando si rese conto improvvisamente che stavano per salutarsi.

Lui scarabocchiò qualcosa su un pezzo di carta e glielo porse. Aveva un’aria colpevole, contrita, o almeno così sembrò a Lisa. “Martin” lesse a bassa voce.

C’era anche un numero di telefono, un cellulare. Ripeté ancora una volta dentro di sé il nome, sapendo che non l’avrebbe mai dimenticato.

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