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Racconti Erotici Etero

L’isola della nerchia.

By 17 Maggio 2008Dicembre 16th, 2019No Comments

Che serata fallimentare; ero eccitatissima prima di uscire di casa, e avevo indossato anche la mia veste da ‘troieggio’: minigonna nera di pelle, tacchi a spillo e camicia bianca di satin. Avevo un incontro con un maschietto che da parecchio è nei miei sogni proibiti, un ragazzo meraviglioso, dopo due mesi che facevo la gatta morta con lui, finalmente mi aveva invitata a bere qualcosa all’Irish Pub. Avevo portato nella borsetta una scatoletta di otto preservativi, ma a fine serata lui era talmente ubriaco che andammo a casa sua e si addormentò mentre lo stavo segando, mentre la mia mano chiusa sul suo pene saliva su e giù, lui chiuse gli occhi e si addormentò.
Che delusione. Ripresi la mia borsetta e uscii di casa; erano le due di notte, gli autobus non c’erano più. Decisi di tornarmene a casa a piedi. Le strade erano deserte, sentii i passi di un uomo che mi seguiva. Non mi impressionò, continuai a camminare fino a quando l’uomo mi fu talmente vicino da infilarmi una mano sotto la gonna. Mi girai e lo colpii con uno schiaffo sulla guancia, lui non apprezzò e mi prese il polso spingendomi contro una saracinesca.
‘Lasciami, porco’.
L’uomo mi aprì la camicetta facendo saltare tutti i bottoni, che caddero a terra. Sotto non portavo il reggiseno, le tette si liberarono, i capezzoli rosa si indurirono con il freddo.
‘Quanto vuoi per fartelo sbattere dentro?’.
‘Fanculo, stronzo’ lo colpii con un calcio tra le gambe.
Si accasciò a terra e io scappai. Non era facile correre con i tacchi a spillo e la camicetta aperta. Tentavo di coprirmi le tette con le mani mentre scappavo. L’uomo si rimise in piedi e mi inseguì. Avevo molta paura, piansi e cercai rifugio da qualche parte. Arrivai in prossimità del porto, mi nascosi tra un gran numero di casse di legno abbandonate lì sul molo. Mi infilai in una di queste; l’uomo non mi trovò e andò via. Ce l’avevo fatta. Mi tranquillizzai. Forse se non avessi bevuto anche io in quell’Irish Pub non sarei stata in grado di difendermi in quel modo da quel maniaco. E forse non avrei avuto neanche quel sonno. Mi addormentai nella cassa di legno.
Il giorno dopo mi svegliai; controllai la mia borsetta, era ancora lì, ma io non ero più al porto. Uscii fuori dalla cassa ritrovandomi in uno stanzone pieno di altre casse uguali. E tutto ondeggiava; era chiaro che mi trovavo nella stiva di una nave. Forse potevo andare dal capitano e farmi riportare sulla terra ferma. Salii una gradinata e mi ritrovai sul ponte, mi affacciai per guardare dove fossimo, e con le tette al vento guardai una distesa infinita di acqua. Non c’era un briciolo di terra. Due marinai mi trovarono, gridando di incomprensibile, era un’altra lingua. Li scongiurai di aiutarmi ma non mi capivano e mi portarono nella cabina di comando dove c’era il capitano. Anzi, la capitana. Una bionda, capelli a caschetto, con due tette enormi che traboccavano da una giacca bianca. Indossava una minigonna bianca. Poteva avere al massimo 35 anni. Fui affascinata dalla sua bellezza. Una carnagione olivastra che le donava molto.
‘Abbiamo un ospite’ disse la capitana avvicinandosi a me, e mi accarezzò con due dita le mie tette nude. ‘Un’ospite davvero niente male. Accomodati amore, tranquillizzati. Sei spaventata come una cucciola, tesoro. Ma non temere, non ti faremo del male.’
Mi indicò una sedia, mi misi a sedere. I due marinari erano andati via. Eravamo solo io, lei e un timoniere che mi fissava di continuo.
‘Che bella che sei. Come ti chiami?’ la capitana si inginocchiò ai miei piedi e infilò le mani sotto la mia gonna di pelle.
‘Daniela’ balbettai.
‘Fammi vedere cosa nascondi qui sotto’ mi sfilò le mutandine gettandole via a casaccio. Adesso ero nuda anche sotto. Mi allargò le cosce e mi guardò lì in mezzo. ‘Niente male. Hai proprio un tesoro lì sotto. Mi eccita il suo odore’.
‘Le piace?’ ero imbarazzata, mi tremavano le gambe.
‘Non ho detto che mi piace. Ho detto che mi eccita, amore.’
Si mise in piedi. Notai un rigonfiamento sulla sua gonna, uno strano bozzo.
‘Non avevo mai visto un capitano donna’ non sapevo proprio cosa dire, e in quei casi dicevo cose a sproposito.
‘Se vuoi mi trasformo in uomo’ aprì la zip della gonna e la fece cadere ai piedi, mettendo a nudo ciò che non mi sarei mai aspettato: un cazzo in erezione, grosso e duro che a momenti svenivo. Il glande era gonfio e rosso, e quasi mi guardava, puntava verso il mio viso.
‘Oh mamma, che arsenale’ feci finta di non essere spaventata.
‘Sei troppo lontana da casa, amore’ mi disse avvicinandosi. Con il glande mi toccò una guancia. ‘Siamo in acque internazionali, e non posso riportarti indietro. Siamo trafficanti di droga, e potrebbero scoprirci. Ma sei fortunata. Qui nelle vicinanze c’è un’isola. Ti lasceremo lì, sull’isola del piacere.’
‘L’isola del piacere?’ chiesi. ‘Oddio, non potete lasciarmi qui in mezzo all’oceano’.
La capitana prese l’arnese alla base con tre dita e mi schiaffeggiò le guance, ma in modo delicato, quasi amorevole. Il timoniere ci guardava e sorrideva, un sorriso complice.
‘No tesoro, non devi avere paura. Ti piacerà, vedrai. Che dici, non me lo dai un bacio prima di andare via?’
Mi indirizzò la cappella gigante del suo cazzo sulle labbra, mi divincolai, non volevo. Ma faceva di tutto pur di farmelo entrare in bocca. Mi schiaffeggiò ancora con il membro, questa volta più forte, quasi per punirmi.
‘Andiamo, non fare i capricci’.
Aprii la bocca e lo feci entrare, perché non potevo fare altro. Feci scivolare tra le labbra il glande, mulinai la lingua intorno, era liscio e morbido. La capitana mi prese la testa con entrambe le mani e mi spingeva il cazzo in gola. Il timoniere con una mano teneva il timone e con l’altra si masturbava e ci guardava con due occhi assetati di sesso. La capitana ansimava e non mi faceva respirare. I miei occhi diventarono rossi e lacrimarono. Mi lasciò la testa, facendo uscire fuori l’arnese. Ripresi fiato, ero già esausta. La saliva scorreva giù dalle mie labbra a fiumi. Il tempo di farmi riprendere fiato e ritornò a scoparmi la bocca, tenendomi una mano dietro la nuca.
‘Vedrai, una ragazza curiosa come te si troverà bene sull’isola del piacere.’
‘Capitano, siamo pronti’ disse un marinaio appena entrato in plancia.
‘Benissimo’.
La capitana fece uscire il cazzo dalla mia bocca e si masturbò davanti al mio viso, fino a sborrare. Gli schizzi mi saltarono in faccia, tre schizzi lunghi e violenti mi ricoprirono il viso a strisce, poi scivolarono lentamente giù, mentre la capitana continuava a premersi il glande, facendo uscire le ultime gocce che caddero finendo sulla mia gonna nera di pelle.
‘Sei fantastica amore’ mi accarezzò il viso con due dita. ‘Però adesso devi andare. Cercherò di mandarti aiuto’.
Entrarono due marinai in plancia, prendendomi in braccio e portandomi fuori.
‘No, aspetti. Non mi lasci qui!’
L’isola si vedeva, non era lontana. Mi gettarono in mare senza neanche ridarmi le mutandine. L’acqua era calda, avevo già il batticuore pensando alla nuotata che mi toccava fare per salvarmi. Arrivai stremata sulla riva dell’isola e mi distesi a pancia sotto, con le braccia e le gambe aperte. La camicetta di satin era completamente zuppa, e la minigonna nera era salita fino ai fianchi. Stavo praticamente con il culetto nudo di fuori. La sabbia era dorata, sembrava davvero un’isola caraibica del piacere.

Continua…

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Dopo un po’ mi rimisi in piedi, ero stanca ma volevo scoprire cosa c’era su quell’isola. Forse non c’era altro che boschi e antiche rovine. Lasciai lì sulla sabbia sia i tacchi a spillo che la borsetta. Mi sarebbero stati solo d’intralcio. Entrai nel fitto bosco; strani versi animaleschi tutt’intorno, un bell’odore di natura, e poi all’improvviso un indigeno nero che puntava una lancia contro di me. Era nero di pelle, e intorno alla vita un cinturino di pelle e piume, ma per il resto era completamente nudo. Come me, che avevo la camicetta rotta e aperta, con le tette di fuori e la minigonna intorno alla vita.
Ma lui a differenza di me, in mezzo alle cosce aveva un cazzo enorme, perlomeno di 15 centimetri (e non era eretto, figuriamoci a vederlo indurito). Guardai il suo membro spalancando gli occhi, era impressionante. Mai vista una nerchia del genere. L’indigeno parlava un’altra lingua, e mi disse qualcosa. Sembrava molto nervoso.
‘ Ehi, no. Aspetta’ gli dissi mettendo le mani in avanti. ‘Non voglio farti del male. Sono un’amica. Se vuoi te lo dimostro.’
Mi avvicinai a lui molto lentamente, e con una mano cominciai ad accarezzargli i coglioni. Due palle grosse come palline da ping pong, o forse di iù. Accarezzai amorevolmente, poi chiusi le dita intorno al suo enorme pene. Ma aveva un diametro doppio rispetto ai soliti cazzi che avevo visto fino a quel momento. L’indigeno si tranquillizzò e posò la lancia a terra. Iniziai a masturbarlo lentamente.
‘ Hai visto che non sono cattiva?’
Il suo cazzone iniziò ad ingigantirsi nella mia mano, raggiungendo quasi i trenta centimetri. Forse per questo l’isola era chiamata l’isola del piacere. La mano destra dell’indigeno mi accarezzò il culetto.
‘Oddio mio’ esclamai vedendo la sua erezione. ‘Penso che io e la tua varra diventeremo grandi amici.’
La mia mano si era scatenata, cominciai a masturbarlo sempre più velocemente, morivo dalla voglia di vedere quanto sperma potevano contenere le sue due enormi palle. Il glande era tanto grosso come il mio pugno. Mi spaventava quasi, ma ne ero attratta e incuriosita. L’indigeno urlò qualcosa, stava per sborrare sicuramente. Ecco il primo fiotto, così lungo e denso non l’avevo visto mai. Dopo il primo schizzo il suo cazzo iniziò a sborrare fiumi, e i getti erano incontrollabili. Finivano ovunque, per terra, sul mio ombelico, sulle mie braccia, uno schizzo saltò sul mio ginocchio sinistro e scivolò fin sotto al piede.
‘Per la miseria, quanta ne hai’ lo lasciai, e quello continuava a far uscire sperma.
Un fiotto saltò anche sui peli della mia passera, sentii il calore del suo sperma caldo sulle labbra della mia bella.
‘Mai vista una cosa del genere. Guarda cosa mi hai combinato. Ne sono ricoperta’.
Con due dita ne presi un po’ dal braccio, era di un giallo forte, molto carico, e densa come la cioccolata spalmabile. Me la portai alla bocca e la ingoiai. Socchiusi gli occhi, aveva un sapore divino, molto dolce. Ne raccolsi dell’altro dal mio ombelico, era irresistibile. L’indigeno mi guardava attentamente, guardò la mia mano, l’anello che portavo al dito medio, con un grande diamante viola.
Iniziò ad urlare qualcosa di incomprensibile, poi riprese la lancia e scappò nel fitto bosco.
‘Ehi, dove vai? Aspetta!’
Cercai di inseguirlo, ma il bosco era davvero un labirinto, e lui era molto veloce. Lo inseguii perlomeno per qualche minuto, fino a quando arrivammo ad un villaggio al centro del bosco, pieno di capanne con il tetto di canne di bambù e paglia. C’erano un centinaio di altri uomini come lui, voglio dire con gli stessi ‘attributi’. C’erano anche donne, ma stavano nelle capanne. L’indigeno andò al centro del piccolo villaggio, dove si erano radunati tutti gli uomini. Mi diressi a piccoli passi verso di loro, fino a quando si voltarono tutti verso di me. Mi sentii svenire nel vedere tutte quelle proboscidi al vento. Tutti quei pezzi di carne non eretti, ma di 15-16 centimetri. Si inginocchiarono davanti a me, pregando e venerandomi come una divinità.
‘Ehi no, cosa fate? Non mi sembra il caso di”
Non terminai la frase perché vidi farsi strada tra gli indigeni un anziano, l’anziano saggio del villaggio. Venne verso di me, anche lui nudo, cn la sconvolgente sorpresa tra le gambe e si teneva ad un bastone di legno tutto scolpito con simboli esoterici difficili da interpretare. Aveva lunghi capelli grigi e il viso dipinto con colori rossi. Vide l’anello che portavo, con il grande diamante viola, e si inginocchiò anche lui.
‘Ma cosa vi prende?’
‘Noi avere aspettato a lungo tua venuta’ il saggio sapeva parlare la mia lingua, questo mi confortava. ‘Oh, dea del sesso, accogli nostra ospitalità in piccolo villaggio. Ti offriamo nostro caldo seme, grande risorsa del nostro popolo.’
‘Nessuno mi aveva mai chiamato dea del sesso. Ma per quanto riguarda il vostro caldo e denso sperma, beh, lo accetto volentieri.’
Iniziò la festa, mi spogliai completamente della mia camicia di satin rotta e della minigonna di pelle, restando completamente nuda come mamma mi ha fatta, vestita solo dell’anello al medio con la pietra viola. Mi donarono un cinturino di cuoio da mettere intorno alla vita, con una bellissima guarnizione in bronzo con incisioni e ornamenti. La indossai subito. Un indigeno mi mise una mano sul culetto e mi guidò verso una roccia al centro delle capanne. Doveva essere una roccia sacra. Volevano che mi ci sedessi sopra. Ci salii su, era una roccia levigata e comodissima, sembrava quasi a forma di poltrona. Uscirono dalle capanne anche le donne, a guardarmi con curiosità e quasi timore. Una di loro mi portò un vaso di legno, grande come una brocca d’acqua. Poi ritornò dietro tra le altre donne. Doveva essere il recipiente che serviva a contenere il loro seme caldo che volevano offrirmi.
‘Benissimo, maschioni. Io sono pronta. Mettetevi in fila e uno alla volta riversate tutto il vostro sperma nel vaso’.
Si misero in fila indiana, ed ecco il primo che mi si parò davanti con una varra eretta di trenta centimetri. Lo presi in mano dalla base del glande. Aveva un diametro grande come una lattina di Pepsi. Iniziai a menarlo lentamente, sotto gli occhi di tutto il villaggio, anche delle donne, a cui stavo segando i loro compagni. Ogni vena era enorme, avvicinai la bocca al glande, con enorme difficoltà lo feci sparire tra le labbra e lo accarezzai con la lingua e con due mani masturbavo l’asta. Ma ce ne sarebbero volute quattro di mani. Fui talmente brava da farlo sborrare dopo pochi minuti. Ma non riuscii a domarlo, il cazzo iniziò a schizzare da tutte le parti, era incontrollabile. Mentre continuava a sborrare lo presi alla base del glande, e dopo avermi schizzato sul viso e sui capelli lo indirizzai verso il vaso di legno. Schizzò come un rubinetto aperto per mezzo minuto.
‘Oddio che sborrata’ dissi. ‘Guarda che schizzi! Impressionante’.
Ecco il secondo, stesso lavoretto di mani e bocca. Anche questo fu difficile da controllare. Iniziò a schizzare ovunque, due fiotti lunghi e densi finirono sulle mie tette. Poi indirizzai il glande verso la brocca di legno. Notai che il loro sperma anche dopo qualche minuto rimaneva giallo e denso, a differenza della comune sborra che dopo un po’ diventa quasi trasparente e si secca.
‘Caspita che nerchia!’ gli dissi quando finì di sborrare.
Con una mano raccolsi lo sperma sparso sul seno e me lo portai alla bocca. Era irresistibile e squisito. Mi domandai come fosse possibile. Quella popolazione aveva qualcosa di veramente superiore, anche se arretrata tecnologicamente. Continuai quel lavoretto di bocca e mano con altri venti energumeni, poi dovetti fermarmi perché le mie mano erano stanchissime e la brocca di legno era piena.
‘Basta così per il momento’ dissi all’anziano saggio del villaggio, che mi era stato accanto a fissarmi per tutto quel tempo.
‘Nostro seme è ottimo per ringiovanire corpo’ disse il saggio.
‘Davvero? Lo proverò subito, anche se ho solo 23 anni, e non ne ho bisogno’.
Infilai una mano nella brocca, affondandola del tutto nel caldo e denso sperma. Poi la tirai fuori e cominciai a spargerla per tutto il corpo: braccia, tette, cosce, persino sul culetto. Con un dito unto mi massaggiai la passera. I peli si inzupparono di quel caldo seme. Arrivò correndo un indigeno verso di me. Era di ritorno dalla spiaggia, mi aveva riportato la borsetta e i tacchi a spillo.
‘Grazie tesoro, sei stato un vero amore’ per ringraziarlo mi alzai dalla pietra e gli cinsi il busto con le braccia, baciandolo a timbro. Per qualche attimo la sua proboscide mi strusciò contro le labbra della passera, accarezzandola e facendola leggermente aprire.
Ma ecco che cominciò un vociare continuo, stava succedendo qualcosa. Due indigeni tenendomi per le braccia mi guidarono verso la folla che si era radunata al centro del villaggio. Al mio passaggio la folla di apriva, fino ad arrivare al centro dove c’era un indigeno muscoloso e con il viso dipinto di rosso, seduto su di una rudimentale sedia di legno. Aveva le gambe divaricate e una nerchia prepotentemente eretta.
‘Per la miseria, e tu chi sei? Cosa dovrei farci io con quella?’
Notai che una donna mi seguiva ad ogni passo, portandomi la brocca piena di sperma.
‘Più forte e valoroso guerriero del villaggio ti renderà onore, oh dea del sesso, con penetrazione’ mi disse il saggio del villaggio.
‘Penetrazione? No, non scherziamo. La mia piccola qui non resisterebbe a una nerchia del genere’ mi accarezzai la passera.
E intanto quel pene eretto non aspettava altro. Due indigeni mi presero per le braccia alzandomi di peso. Allargai le cosce, adesso quel mostruoso pene puntava con il glande verso la mia passera.
‘Ehi aspettate un attimo, cosa state facendo?’
Mi fecero scendere lentamente sul corpo del guerriero e il suo glande duro si insinuò tra le labbra della mia piccola. Spalancai gli occhi, e quando fu definitivamente dentro lanciai un urlo di dolore che risuonò in tutta l’isola. Il guerriero mi prese per i fianchi e mi fece scendere più in basso, e iniziò a penetrarmi anche l’asta, strinsi i denti, ma più della metà dell’asta non potevo accogliere. Il suo cazzo era davvero gigante.
‘Oddio, che dolore!’ urlai.
Il guerriero iniziò a rombarmi da sotto, misi le punte dei piedi a terra e iniziai a muovermi anche io, anche se mi faceva un male cane. Sbarrai gli occhi e salivo e scendevo su quella varra gigante. Davanti a noi il saggio stava recitando una specie di mantra. Non capivo nulla. Due indigeni si misero ai lati a menarsi il cazzo a qualche centimetro di distanza dal mio viso, sembrava tutto una specie di rito magico. Il guerriero che mi stava scopando finalmente sborrò, ma dentro di me. Sentii la mia vagina gonfiarsi e riempirsi di sperma caldo, poi il suo attrezzo saltò fuori continuando a schizzare, e gli schizzi mi saltarono ovunque. Uno fu talmente lungo che formò una striscia che partiva dall’ombelico fino a posarsi sul mio naso. Poi sborrarono anche i due indigeni che mi stavano a destra e a sinistra, ricoprendomi dalle tette in su. Ne era ricoperta.
Il saggio continuava a recitare formule magiche a voce alta. Non capivo cosa diceva, ma iniziò a farmi un male cane l’inguine. Con una mano mi accarezzi i peli della mia piccola.
‘Oddio, cosa mi succede?’
Il saggio urlava, e un po’ più in alto della passera mi nacque un’escrescenza, che diventò presto un cazzo eretto di venti centimetri. Spalancai gli occhi e svenni.

Continua…

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Quando mi svegliai mi ritrovai in una capanna. Qualsiasi cosa avesse fatto il saggio, ora era passato. Quel enorme pene non c’era più. Ero sola in quella capanna. Era notte fonda, forse le quattro del mattino. Il mio corpo nudo odorava dello sperma di quegli indigeni. Mi odorai il braccio, ne ero piena. Ero adagiata su un letto di paglia, e al mio fianco c’era la brocca piena di sborra, ancora bella densa e gialla. La presi e mi distesi di nuovo, e con una mano mi portai il seme caldo alla bocca.
Mi riaddormentai svegliandomi a mezzo giorno. Un gran fracasso c’era fuori nel villaggio. Uscii dalla capanna, gli indigeni stavano accogliendo un uomo bianco vestito da avventuriero. Subito corsi verso di lui, forse era venuto per riportarmi a casa. Aveva una faccia da rozzo pervertito, quando gli fui vicino mi fece un po’ di timore e per la prima volta su quell’isola fui in imbarazzo, perché lui era vestito da capo a piedi, invece io ero completamente nuda, soltanto quel cinturino di cuoio intorno alla vita.
‘Sei venuto a riportarmi a casa?’
‘Ehi, la capitana non mi aveva detto che eri così porcella’ con una mano mi schiaffeggiò il sedere.
‘Ehi, tieni le mani a posto, maiale!’
‘Ti consiglio di fare la brava con me, altrimenti potrei lasciarti qui e andare via’ mi mise un braccio intorno alla vita e mi disse di portarlo nella capanna che mi avevano concesso quella notte. ‘Sai, ho proprio bisogno di riposare prima di ripartire, ma prima voglio conoscerti meglio. Chissà quante maialate sai fare.’
‘Piantala, non sono una puttana’.
Entrammo nella mia capanna e quando gli chiesi come aveva raggiunto l’isola mi disse che aveva un idrovolante. Subito si sbottonò i pantaloni, non portava le mutande e il suo cazzo eretto schizzò fuori in modo prepotente.
‘Dai, non me lo merito un ringraziamento per esserti venuta a salvare?’
‘Se stai pensando che io possa farti un pompino, scordatelo.’
‘Senti puttana’ con una mano mi afferrò per i capelli corti, ‘non credo che tu possa rifiutarti. Altrimenti scordatelo che ti riporto a casa. Adesso succhia, altrimenti volano schiaffi.’
Tenendomi per i capelli mi costrinse ad inginocchiarmi, adesso avevo il suo cazzo piantato davanti agli occhi. Non potevo fare altro. Lo odiavo quell’uomo, e sognavo una vendetta. Ma come? Lui era l’uomo, e anche muscoloso. Lo presi in bocca. Questo aveva ovviamente dimensioni normali, e mi spinse con la forza tutta l’asta fino in gola, fino a farmi sbattere i coglioni contro le labbra.
‘Già andiamo meglio, stronza di una sgualdrina. Immagino che ti sei scopata tutto il villaggio, vero? è ovvio, sei pur sempre una maiala. Adesso però voglio scoparti.’
Mi prese per un polso e mi portò in grande fretta sul letto di paglia, si distese prima lui, poi io, di spalle così non lo guardavo in faccia. Con una mano mi tenne una coscia sollevata e con l’altra indirizzò il suo cazzo dentro di me. Lo fece entrare nel mio paradiso di fuoco. Mi scopò muovendo il bacino avanti e indietro con un ritmo frenetico e instancabile.
‘Dimmi che sei una vacca e che ti piace il mio cazzo, altrimenti non ti riporto a casa’.
‘Sono una vacca’ i suoi colpi erano forti e decisi, non aveva il minimo rispetto per me, ‘e mi piace il tuo cazzo’.
‘Sei una sgualdrina coi fiocchi’.
Ad ogni colpo mi lamentavo e sentivo i suoi coglioni sbattermi contro la mia piccola. Poi mi ordinò di alzarmi, non gli andava più bene quella posizione. Si alzò anche lui e mi spinse con il busto in avanti, a novanta grandi, e il culetto rivolto verso l’alto. Con le mani mi tenevo al letto di paglia. Lui mi iniziò a schiaffeggiare le natiche e mi diceva cose da depravato.
‘Guarda che culo che hai. Mi verrebbe voglia di sborrarci sopra. Maiale come te ne ho viste poche in vita mia’ con una mano indirizzò il suo cazzo di nuovo nella mia passera.
Mi prese per i fianchi, e mi puniva quasi con quei suoi colpi duri, con disprezzo di me quasi.
‘Non farmi male, ti prego’.
‘Ti meriteresti questo e altro, vacca’.
Mi pompava con un ritmo instancabile, e sentivo il suo glande entrarmi dentro e poi uscire, in continuazione.
‘Vieni qui’ mi prese per un polso. ‘Voglio che tutti vedano quanto sei troia’.
Mi portò all’entrata della capanna e mi scopò lì, in modo che tutti gli uomini del villaggio potevano vedermi scopata da quell’avventuriero arrapato e rozzo. Mi piegai con il busto verso i lati della porta, e l’uomo da dietro mi scopò il culo questa volta. Fece entrare la cappella dentro, urlai, mi faceva male. Il mio buchetto era ancora stretto. Tutti gli indigeni ci guardavano, mentre venivo scopata da quel troglodita. Una mano la teneva poggiata su un fianco, l’altra invece alla gola, quasi a volermi sottomettere.
‘Forza, urlalo che sei la più grande troia’.
‘Sì’ risposi quasi piagnucolando. ‘Sono la più grande troia.’
Mi scopò il culetto con sempre più energia, capii che stava per sborrare. Ecco i primi fiotti riempirmi il buco del culo, ma lui non ne voleva sapere di fare uscire fuori il suo attrezzo. Sborrò dentro di me fino all’ultima goccia di sperma.
‘Oh sì, fantastico!’ disse ansimando. ‘Tutta nel culo, tutta nel culo’.
Quando ebbe finito del tutto fece venire fuori il cazzo molto lentamente. Ero stremata. Mi accovacciai a terra, con la schiena contro l’ingresso della capanna. Che sensazione brutta quella di mancanza di rispetto nei miei confronti. L’uomo rientrò nella capanna riabbottonandosi i pantaloni. Si distese sul letto di paglia, io invece restai lì accovacciata a terra per molto tempo, a pensare, con gli occhi fermi nel vuoto. Solo quando cominciò a fare buio mi rialzai, e andai verso la pietra sacra. Mi ci stesi sopra, con le cosce e le braccia aperte. C’era uno strano odore nell’aria: gli indigeni stavano arrostendo su un piccolo fuoco un animale che qualcuno aveva cacciato. Il vecchio saggio si avvicinò a me, e si mise a sedere per terra, guardandomi proprio in mezzo alle cosce.
Cominciai ad avvertire di nuovo quel forte dolore all’inguine. Mi piegai dal dolore, caddi dalla roccia, sentivo l’utero ingrossarsi fino a scoppiare. Poi passò, mi rialzai e mi era spuntato meravigliosamente il cazzo del giorno prima. Una varra molto grande, con un glande così tondo e rosso che me lo sarei succhiato da sola. Lo guardai per qualche minuto, era imponente, come un totem sacro, con grosse vene in rilievo, e due coglioni che pendevano sotto. Il vecchio saggio mi guardava con un sorriso di complicità.
‘Quando passerà questa orribile malattia?’
‘Magia dura una settimana’.
Iniziarono a venirmi in mente delle strane idee. Idee di estrema vendetta. Raggiunsi a piccoli passi felpati la mia capanna, dove l’avventuriero stava dormendo nudo a pancia sotto, sul letto di paglia. Mi procurai una corda, gli legai i polsi, e le estremità della corda le legai a due pali di legno che stavano ai lati della capanna; servivano a sostenerla. Lo strattonai e il suo corpo saltò in piedi, svegliandosi. Adesso era prigioniero dei miei giochi perversi. Con le gambe e le braccia aperte, legate ad uno spago.
‘Cosa fai, puttana?’
‘Adesso vediamo chi è la puttana, stronzo’.
Con una mano gli aprì le natiche e con l’altra gli infilai il mio glande duro dentro il suo buco. Urlò di dolore. Tenendo le mani sui suoi fianchi cominciai a scoparlo per tutta la notte. Quella magia mi aveva donato anche una grande resistenza. Me lo scopai per benino.
‘Chi è la puttana, eh?’ gli tirai la testa indietro tenendolo per i capelli.
Il mio cazzo era un trapano; avevo la mente annebbiata, mi piaceva tantissimo. Che esperienza sublime. E pompavo, pompavo fortissimo, e lui mi implorava di fare più piano.
‘Zitto. Non sei in condizione di poter chiedere qualcosa. Prendi il cazzo nel culo e zitto. Chi è la vacca, eh?’
Poi dopo due ore di scopata continua ecco che arrivò l’orgasmo anche per me, con un esplosione di sperma che invase il suo culo.
‘Oh sì! Sto venendo! Oh! La senti tutta nel culo, eh? Ti piace? Che sensazione magnifica’.
Feci uscire lentamente il mio pene dal suo culo. Era stremato, quasi aveva perso i sensi. Lo liberai e lo spinsi sul letto di paglia. Adesso ero certa che non mi avrebbe più causato problemi. L’indomani mi avrebbe riportata a casa senza troppe storie. E infatti fu proprio così. Fui un po’ dispiaciuta di lasciare l’isola; ma indossai la camicia di satin rotta, ma di nuovo asciutta, la minigonna di pelle e i tacchi a spillo. Pronta per partire. Il rozzo avventuriero faceva come un cagnolino tutto quello che gli comandavo. Lo trattavo male, gli davo degli schiaffi in faccia, quando provava a rialzare la voce e lui subito ritornava docile e ubbidiente. Andammo verso l’idrovolante, scortati dagli uomini del villaggio. Salii sull’idrovolante e li salutai con un gesto della mano, e loro risposero allo stesso modo.
L’avventuriero fece partire l’aereo, e in un paio d’ore arrivammo sulla terra ferma. Ero a casa. E la prima cosa che feci, fu una doccia calda. Poi pensai che la magia era ancora nel mio corpo, e sarebbe durata una settimana. Adesso il pene era scomparso, ma sarebbe riapparso prima o poi. Avevo solo una settimana per divertirmi ancora un po’. Solo una settimana. Beh, effettivamente mi sarei potuta divertire con un paio di mie care amiche molto belle; avevo sempre sognato di avere un cazzo per scoparmene qualcuna di loro. Mah, sperando di non farle svenire.

Fine.

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