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Racconti Erotici Etero

luca1952

By 21 Giugno 2012Dicembre 16th, 2019No Comments

Lui era tornato da un pezzo dalla moglie e lei non ne aveva più avuto notizie. Non aveva nemmeno il suo numero di cellulare o il suo indirizzo, non aveva mai avuto bisogno di cercarlo: l’aveva sempre cercata lui.
A Natale di due anni prima le aveva scritto ‘Ci sentiamo tra qualche giorno, passo le feste in Sud America’. Non lo aveva più sentito.
Le mancava da morire e non sapeva perché. In fondo non c’era stato mai nulla tra loro, solo una profonda amicizia e molti consigli da parte di lui, data la differenza d’età, e molta complicità da parte di lei, ad ascoltare racconti, discorsi, pensieri, sogni di un uomo che aveva sempre faticato a vivere liberamente la sua sessualità. Qualcosa o qualcuno lo aveva sempre guidato verso quello che era giusto o permesso fare e allontanato da quello che aveva voglia di fare.
Lei sapeva tutto delle sue tante donne in gioventù, della moglie, dell’amante, delle figlie e non sapeva nemmeno come si chiamasse o che lavoro facesse in realtà.
Scrisse diverse mail all’indirizzo che conosceva, ma cominciarono a tornarle con destinatario conosciuto, aveva anche chiuso l’account.
Lo aveva deluso? Non era più l’amica che cercava?
Lei era così felice ora, tutti i consigli che lui le aveva dato avevano avuto i loro benefici effetti, lei era felice e non poteva più dirglielo perché lui non c’era più.
Lei non aveva mai chiuso le porte, lui era tornato più volte, ma questa volta non aveva più girato la maniglia e lei ne sentiva tremendamente la mancanza.
Avrebbe voluto cercare tutti i Luca di Milano, chiamarli uno ad uno e chiedere loro se fossero il suo Luca. Poi magari non stava nemmeno a Milano. Poi magari non si chiamava nemmeno Luca.
Le mancavano i trilli del cellulare che l’avvertivano dell’arrivo di un suo messaggio in chat. Le bugie che raccontava alle amiche per nascondere il motivo del rossore che le copriva le guance dopo una delle sue tante provocazioni.
Lui aveva ipotizzato mille situazioni per sedurla, per colpirla, per averla. Lei aveva sempre accettato di buon grado le sue idee, tanto non le avrebbero mai messe in pratica, la loro era solo una semplice amicizia on line, con delle punte un po’ piccanti ogni tanto.
Eppure. adesso che lui non c’era più. quell’amicizia leggera le veniva meno come le rocce che franano invece di sostenere una montagna.
Si ritrovò da sola a pensare a cosa le mancava di questa amicizia così strana, ma non lo sapeva e non aveva nessuno con cui discuterne: non il suo fidanzato gelosissimo, non la sua migliore amica, sempre pronta a cercare una piccola goccia di peccato anche in lei.
Si era immaginata diverse volte come sarebbe stato se si fossero mai incontrati di persona. Si era immaginata cosa si sarebbero sussurrati, come lui l’avrebbe toccata, come lei lo avrebbe spogliato. Lei sapeva tutto quello che a lui piaceva, conosceva tutto quello che gli avrebbe fatto piacere.
Dopo quasi due anni lei riprese a pubblicare degli articoli, cambiando genere e firmandoli, per la prima volta, con il proprio nome, cercando di mettere un po’ d’ordine nella sua vita e nel suo modo di lavorare.
Le sembrò di sentire il cellulare vibrare, indicando che era arrivata una mail. La guardò solo 10 minuti dopo, quando aveva terminato l’articolo da mandare in redazione.

‘luca1952 ti ha inviato un messaggio’.
Era lui. ‘Ho letto i tuoi articoli. Complimenti. Finalmente hai deciso di usare il tuo nome.’
‘Grazie’ Non sapeva che altro rispondergli. Non sapeva che altro aggiungere al grazie.
‘Sono nella tua città per una conferenza domani mattina, ma dovrei arrivare questa sera visto che sono di strada. Ci prendiamo un aperitivo assieme?’
Lesse e rilesse quel messaggio almeno 10 volte, almeno 20 volte, almeno 30 volte. Scrisse ‘ok’.
Lui sapeva cosa voleva dire quell’ok: ‘si, va bene, ma non capisco perché dopo tanto tempo, e dopo tutte le volte in cui ci saremmo potuti incontrare e non lo abbiamo fatto. Va bene, ma io vorrei delle spiegazioni, ma non ho il coraggio di chiedertele, per paura che poi non ci si veda più. Chissà come ti aspetti che sia, chissà come sei realmente, cosa mi devo mettere, come devo comportarti, cosa ti aspetti da me…’.
‘ok e basta?’ chiese lui, sapendo e intuendo tutto quello che le passava per la testa.
Lei, cercando di scherzare come ai vecchi tempi: ‘Sarò veramente lieta di poter passare qualche attimo del mio tempo con lei, la prego di farmi comunicare dalla sua segretaria il luogo e l’ora dell’appuntamento e vedrò di esserci.’
‘Hilton, ore 19, presentati con il tuo nome alla Reception’.
Si chiese se doveva rispondere con un altro ok, o se essere più esplicita o lasciarlo nel dubbio. Tentennò talmente tanto che arrivò un altro messaggio da parte sua: ‘Ci conto. Ora mi rimetto al lavoro, buona serata.’
Tutto qui? Dopo due anni di silenzio.
Tutti i suoi pensieri cominciarono ad agitarsi di nuovo, immaginò mille scene al barcone del bar dell’Hilton. Immaginò cosa potesse ordinare, visto che era astemia. Si immaginò che lui avrebbe bevuto un bicchiere di vino rosso. Sapeva che lo amava. O forse avrebbe bevuto un aperitivo dal nome strano, molto americaneggiante. Lui aveva vissuto la maggior parte della sua vita in giro per il mondo, per lui era normale.
Come si sarebbe dovuta vestire? Non è il caso di andare in jeans e t-shirt al bar dell’Hilton. Una gonna? Un tailleur? Come si aspettava di trovarla?
Cosa si aspettava di trovare. Chi si aspettava di trovare.

Indossò un elegante paio di pantaloni e una maglia nera, con mocassini e un foulard che aveva preso a Parigi l’estate prima. La rassicurava sempre avere addosso qualcosa che la faceva stare bene, che le ricordava un momento in cui era stata bene. Le aveva spedito molti messaggi mentre era a Parigi per un convegno e quando lei aveva detto di essere indecisa tra un foulard sull’arancio e uno sul viola lui aveva suggerito il viola.

Il portiere dell’Hilton le aprì la porta. Non era abituata a tali raffinatezze, lo ringraziò e lui le sorrise, forse nemmeno lui era abituato ad essere considerato.
La Reception la invitò a recarsi al bar, un tavolo era già stato riservato per lei, dove il suo ospite l’avrebbe raggiunta al più presto. Il suo ospite. Non aveva un nome, non aveva un cognome, era solo il suo ospite.
Un cameriere molto giovane e troppo affettato scostò per lei la sedia e con un gesto del capo le fece portare l’aperitivo che era già stato ordinato per lei: analcolico, alla frutta, dal profumo delicato. La conosceva troppo bene.
Giocherellò con la cannuccia senza bere, quando si sentì quasi scostare i lunghi capelli scuri dal collo. Sentì il suo respiro dietro di lei. Era lui, poteva essere solo lui. Respirava con la stessa frequenza con cui scriveva.
Appoggiò la mano sulla spalla per toccarlo, ma lui le girò attorno e si sedette velocemente al tavolo di fronte a lei.
Era più vecchio di come se lo immaginava, o forse era solo stanco per la lunga giornata lavorativa o per il viaggio.
Osservò le sue mani, con un semplice gesto richiamò il cameriere e si fece portare il suo aperitivo.
Lei guardò quelle mani, una posata sul tavolo e una che reggeva il calice, le guardò e le vide su di sè. La mano che lisciava la tovaglia la sentì scorrere lungo la propria schiena, sentì tutte le vertebre della propria spina dorsale muoversi per cercare di raggiungere quelle dita. L’altra mano sfiorò il suo collo sollevando il foulard e insinuandosi nella fossetta alla base del collo. Sentì la sensazione arrivare fino alle punte dei capelli e tornare alla radice, e scivolare di nuovo fino alla testa, lungo il collo, la schiena fino alle parti più nascoste della sua intimità.
Lui le sorrise, guardando come si scostava i capelli dal volto, portandoli dietro l’orecchio. Sentì quei capelli sul suo corpo, sul suo torace. Quelle ciocche gli solleticavano la pelle e invitavano il suo corpo a rilassarsi, a portarsi verso di lei, scendendo con il bacino verso il bordo della sedia.
Lei osservava le sue labbra mentre le raccontava degli impegni di lavoro, sempre con quel suo modo vago di fare che le sembrava di capire tutto e in realtà non ne sapeva nulla. Come se quella voce potesse sciogliere il nodo al foulard e portarlo via dal suo corpo, come se si insinuasse sotto alla sua maglia, sfiorandole la pelle e facendola sussultare. Le sue mani sui suoi capezzoli, stringerli leggermente e lasciarli andare, per poi riprenderli ancora una volta, mentre la sua voce le accarezza le tempie, gli occhi, le labbra, il collo.
Squillò il suo telefono, lui lo osservò con noncuranza e lo lasciò squillare. Dopo un po’ riprese a squillare e si decise a rispondere. ‘Veloce, sono ad un meeting per un accordo. ‘.. no’.si ‘ no ‘ alla scadenza ‘ tienimi informato”. Lei osservava quelle labbra non più carnose e morbidissime. Sempre perfette, mai che si mordicchiasse le labbra come faceva sempre lei al telefono. Lui si sentiva sempre al suo posto nel suo ruolo. Ma in fondo lei sapeva che conosceva anche l’insicurezza, ma non lo dava mai a vedere, specie in pubblico. Quelle labbra sulle dita della sua mano, che baciavano una falange alla volta, si soffermavano leggermente sul polso. Quelle labbra piacevolmente calde e leggermente umide. Quella mano che stringeva la sua per favorire quell’adorazione d’altri tempi.
Si sentì nuovamente scossa da un brivido che esplose all’altezza delle ginocchia per risalire mettendola quasi in imbarazzo per l’incapacità di rimanere seduta composta sulla sua sedia.
Si sentì osservato e la fissò, prestando comunque la dovuta attenzione al suo interlocutore. Lui era sempre stato così, in qualsiasi loro conversazione, scambio di messaggi: una parte con lei e una con il suo lavoro. Quegli occhi le scostarono il lembo del foulard che poggiava sul seno, mettendo in mostra le sue forme. La palpebra scese leggermente, indice che guardava più in basso, guardava e accarezzava quelle rotondità che aveva sempre immaginato di stringere, baciare, mordere, dalle quali lasciarsi inebriare. Poggiare il capo tra quelle morbide colline, perdersi nel profumo di quella pelle, accarezzarne il tessuto così vellutato.
Il cameriere rispose al gesto che lui fece con una mano, ma attese la conclusione della telefonata per avvicinarsi.
‘Puoi fermarti a cena, vero? Qualcosa di veloce, io poi devo vedere una persona’.
Lei si limitò ad annuire con un cenno del capo, pensando alla persona che dovesse incontrare, un cliente, un collega, una donna’
Ordinò per lei una sogliola al limone e per sé una spigola ai ferri. Conosceva esattamente quello che le sarebbe piaciuto mangiare, senza essere mai stati prima a cena assieme. Chissà se sapeva anche cosa indossava sotto gli abiti o cosa pensava ci potesse essere.
Si allentò leggermente il nodo della cravatta, desiderando di aprire quei bottoncini che chiudevano quella maglia nera. Farla scendere dietro le spalle e lasciarle nude, con il solo reggiseno.
La spallina leggermente scostata, il seno non più da ventenne che si abbassa leggermente e cerca di uscire dalla coppa di pizzo nero. Le mani di lei che non riescono a trattenersi e affrontano le asole della camicia, lentamente, una alla volta, assaporando quel dopobarba che sa di rasato da poco.
Mentre stava per accarezzare quel torace che emanava calore e desiderio il cameriere adagiò la sogliola profumatissima davanti a lei e le poggiò il tovagliolo sulle gambe.
Lui piantò la forchetta sulla sua spigola come se avesse voluto infilzare il cameriere per la sua tempestività. Lentamente poi con la lama del coltello percorse quel corpo prono e sinuoso a sua disposizione, dall’estremità inferiore fino al capo. Sfiorarne i fianchi gli regalò un’eccitazione che non provava da tempo, una sensazione di potere incredibile su quel corpo, vedere ogni singola particella reagire al suo passaggio.
Lei prese un boccone dal piatto, lo osservò voluttuosa e lo portò alla bocca, tentennando con la forchetta tra le labbra. Chiuse gli occhi e con le labbra che appena si sfioravano, spostò il boccone leggermente sulla destra e poi sulla sinistra, gustandolo e appoggiando la schiena all’indietro sulla sedia. Le sue labbra, la sua lingua sentivano il suo sapore, il gusto di quella carne morbida che tra le sue labbra non aspettava altro che d’irrigidirsi.
Lui osservò quel candido letto di patate su cui il corpo profumato era adagiato e lo vide sensuale muoversi tra le candide lenzuola della sua camera al piano di sopra. Lo spogliò di ogni orpello e vi si stese sopra cominciando a muoversi seguendo l’andamento di quelle forme, infilzandone ogni sua parte più nascosta.
Lei deglutì tutto il suo piacere e sorrise compiaciuta sfiorando appena le labbra.
Il telefono squillò nuovamente. Lui annuì con la testa, quasi chi lo aveva chiamato potesse vedere il suo gesto.
‘Devo andare, scusami. Finisci pure la tua cena.’ Disse alzandosi.
‘Ci possiamo sentire?’ chiese lei facendosi piccola accanto a lui.
‘Ci siamo’sentiti.’ Lei abbassò gli occhi arrossendo ed entrambi percepirono l’ondata di calore che li percorse per un istante. Quando lei alzò gli occhi lui era già alcuni tavoli distante da lei con il cellulare all’orecchio.

Terminato l’articolo lo inviò in redazione e lesse la mail che era arrivata al cellulare.
‘Sbrigati, attendiamo l’articolo per mandare il giornale in macchina!’.
Prese la sua tazza di tè e si adagiò sulla schiena chiudendo gli occhi e mordicchiandosi le labbra. Un velo di rossore le coprì le guance.

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