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Racconti Erotici Etero

M.Laura

By 18 Settembre 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

Erano almeno dieci anni che non la vedevo.
Nel passato, quando era ancora viva mamma, ogni tanto si incontravano, facevano delle lunghe chiacchierate. Erano ‘amiche’ nel senso più stretto della parola. Erano state insieme, nello stesso istituto educativo, nella stessa camera. Avevano conseguito la maturità nella medesima sessione. Anche la votazione era stata uguale: il massimo. Avevano conosciuto una simpatica coppia di giovani. Loro avevano diciotto anni, Rodolfo, che simpatizzava per Marta, mia madre, ne aveva ventisei; Nico, che era innamorato di Laura, venticinque.
Rodolfo e Nico erano fratelli. Il primo era agli inizi di una promettente carriera di ingegnere chimico; Nico aveva intrapreso, con entusiasmo, la vita militare, ed era stato il primo del suo corso, a Modena, e poi a Torino.
Marta e Laura si iscrissero al primo anno di Magistero ad indirizzo pedagogico didattico. Volevano insegnare.
L’anno successivo, quando ormai le coppie potevano considerarsi ‘fidanzate ufficialmente’, Nico rimase vittima di una imboscata, mentre era intento in operazioni di rastrellamento in uno stato estero sempre in tumulto.
Marta e Rodolfo decisero di sposarsi.
Laura cadde in un mutismo impressionante, e si avviò sulla strada dell’insegnamento, sì, ma come suora, e nello stesso istituto dove lei e Marta avevano studiato.
Anno seguente: nasco io.
Marta e Laura hanno poco più diventi anni.
Marta interrompe gli studi, Laura li prosegue con risultati lusinghieri.
Mio padrino di battesimo il padre di Laura, e Laura gli &egrave a fianco, al fonte battesimale.
Tutto qui.
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Ora, dopo dieci anni, mi telefona.
‘Ciao Marco, forse non ti ricordi di me, sono Madre Laura. Mi trovo per qualche giorno a Roma, mi piacerebbe rivederti, posso venire a trovarti?’
‘Certo, Madre, mi ricordo di lei, e sarò lieto rivederla, solo che papà non c’&egrave, &egrave fuori per servizio e mancherà per alcuni giorni. Comunque l’aspetto.’
‘Allora sarò da te nel pomeriggio, verso le quattro.’
Dissi a Camilla, la colf. Di preparare un t&egrave, pasticcini’ insomma qualcosa. Si mostrò seccata. Era giovedì, il suo pomeriggio libero e, tra l’altro, se veniva una visita era inutile per lei restare in casa, non avremmo potuto avere il solito ‘scambio di idee’. E di ‘ manifestazioni d’un certo tipo. Le dissi che, però, se non doveva proprio tornare a casa, c’era la sera’ e tutta la notte’! La suora sarebbe ben andata via a un certo momento. Anzi, se lei, Camilla, tornava per le otto saremmo andati per una pizza’ prima!
Non si mostrò entusiasta, ma disse che avrebbe preparato il t&egrave e messo in un thermos; avrebbe lasciato tutto sul tavolo in cucina: vassoio, tazze’..
Alle tre Camilla se ne andò. Alle quattro il citofonò gracchiò: ‘sono Madre Laura.’
‘Terzo piano, madre, l’attendo.’
Andai ad aprire l’uscio di casa, e attesi l’arrivo dell’ascensore.
Si fermò, le porte si aprirono, comparve M.Laura. Non me la ricordavo proprio. Una figura piccolina, che a vederla potevi darle si e non venti anni. Un volto simpatico, sorridente, molto preciso nei tratti.
Le andai incontro. Si fermò, mi guardò fissamente, in modo strano, come se cercasse qualcosa nella sua mente’
‘Prego, Madre, si accomodi.’
‘D’accordo, ma dammi del tu, Marco. Sono anche un po’ la tua madrina.’
Entrò, andammo in salotto.
Non era molto alta. Vestita in un modo che si distaccava un po’ dalla immagine tradizionale delle suore. Gonna grigio metallico, non molto lunga, blusa azzurrina, scarpe con un po’ di tacco, calze del colore della blusa, e in testa una specie di foulard, che raccoglieva i capelli, del colore della gonna.
Sedemmo sul sofà.
Un volto aperto. Liscio.
Aveva l’età di mia madre, lo sapevo, quindi era intorno ai quaranta, ma sembrava una ragazzina. Specie gli occhi, vivaci, ridenti.
‘Ma lo sai, Marco, che &egrave incredibile la somiglianza?’
‘Con mia madre?’
‘No. E’ questo l’incredibile. Sei spiccicato il mio povero Nico. Sembri lui. E’ vero che Nico e Rodolfo, tuo padre. erano come due gocce d’acqua, ma se tu hai qualche foto di tuo zio, credo che sarai d’accordo con me! Incredibile.’
Devo confessare che M.Laura infondeva un senso di familiarità. Mi pareva che era sempre stata presente nella mia vita. Forse perché sapevo che era la migliore amica della mamma. Che se avesse sposato Nico sarebbe divenuta mia zia’ non so. Certo che stavo bene con lei. In confidenza.
Mi accennò alla sua vita, alle difficoltà di educatrice, specie nella grande città, a sud di Roma, dove viveva da anni. Era venuta per un ‘seminario’ sulle moderne tecniche pedagogiche, ma la teneva occupata solo nelle ore del mattino.
Ricordò mia madre, le scappatelle innocenti in istituto’ una nube le attraversò gli occhi quando parlò del ‘suo’ Nico. Di quanto le era ancora difficile accettare la volontà di dio’!
Quando le dissi che andavo a prendere il t&egrave, si alzò e volle venire anche lei in cucina. Si comportava come una vecchia frequentatrice della casa.
Tornammo a sedere.
Le dissi che non era facile credere che fosse coetanea di mamma. Era così giovane e’ bella!
Mi guardò sorridendo.
Mi carezzò il volto.
‘Inutile, sei proprio come tuo zio’ adulatore.’
E si avvicinò, prese il mio volto tra le mani e mi baciò. Per caso sfiorò le mie labbra, ma fu istintivo, per me, premerle. E non mi sembrò infastidita.
Comunque, era la prima volta che sfioravo le labbra di una suora. Niente male. Infatti ‘pensai- sono donne come tutte le altre. Guardai le gambe di M.Laura. Erano snelle e ben fatte. E anche il contenuto della blusa doveva essere pregevole. Del resto, secondo norma, non doveva essere stato troppo’ maneggiato. Quei pensieri andavano rincorrendosi, e ‘uno tira l’altro- finì che cominciai ad osservare M.Laura sono l’aspetto che generalmente m’interessa delle donne. Coetanea della mamma? Allora? Ma era stata con un uomo M.Laura, o si era attenuta rigidamente ai voti?
Ecco, quel ‘rigidamente’ ora si attagliava perfettamente a una parte di me. La solita. Comunque, doveva attendere il ‘dopo pizza’ con Camilla.
Quei pensieri, a volte, possono rendere incauti. Si dice, però, che bisogna sempre osare, nel senso di tentare, memento audere semper, anche perché la fortuna aiuta gli audaci, audaces fortuna iuvat. D’Annunzio e Virgilio, mi suggerirono l’iniziativa.
Ma dovevo considerare tempo e luogo.
Quando finimmo t&egrave e pasticcini, stavo per alzarmi e portare via il vassoio.
Fu più veloce di me.
Prese il vassoio, andò in cucina, mise tazze e piattini, cucchiaini, teiera e lattiera nel lavastoviglie; pulì il vassoio e lo mise sulla credenza, insieme alla zuccheriera.
Si voltò e mi guardò, sorridendo con aria furba.
‘Vedi? Mi sento a casa mia!’
Forse era il tempo e il luogo.
Mi avvicinai a lei, era abbastanza più bassa di me. Mamma era più alta.
L’abbracciai teneramente, in modo, però, di accertarmi della sua consistenza mammaria che, in effetti, mi sorprese e aumentò la mia sempre più incalzante eccitazione. Ricambiò affettuosamente la stretta, tanto che azzardai una ‘ indifferente discesa delle mani, per avvicinarla ancor più a me, mentre la patta gonfia dei miei pantaloni le premeva sul pancino.
Che devo dire, quel contatto mi piaceva. Molto.
La tenevo così, stretta. Alzò il volto verso me, sorridendo, deliziosa, tenera.
‘Ti manca, la mamma, vero?’
Che occasione, mi offriva!
‘Si, tanto!’
E giù un’altra stretta con vigoroso agguantamento di natiche. Belle, tonde, toste.
Si staccò, sorridendo. Le presi la mano e tornammo sul divano.
Sedetti per primo, feci in modo, attirandola rapidamente, che cadesse sulle mie ginocchia.
Un sederino portentoso, che naturalmente ospitò l’esuberanza della mia virilità.
Io credo che se accorse. Ma non disse nulla. Né mostro disagio quando abbassai la mia testa e andai con la guancia sulla sua vigorosa tetta. Anzi, mi carezzò i capelli, la gota.
Era bellissimo stare così.
Mi guardava con molta dolcezza, e mi sembrava cogliere una certa malinconia nei suoi splendidi occhi, velati dal pianto.
Mi accorsi che stavo cullandola, e che le piaceva.
Mi venne in mente che, forse, pensava a Nico.
Ad un certo punto emise un profondo sospiro. Mi prese il volto tra le mani, lo sollevò, e mi baciò. Di nuovo sulle labbra, ma questa volta non fu un rapido sfiorarsi.
Si alzò.
‘Devo andare, mi aspettano nell’istituto che mi ospita.’
‘Tornerai?’
‘Vuoi?’
Assentii col capo, e confermai con la voce.
‘Si, sto bene con te.’
‘Domani?’
‘A cena?’
‘Potrei, ma devo tornare prima delle dieci di sera.’
‘A domani!’
Sul pianerottolo, in attesa dell’ascensore, l’abbracciai di nuovo, e la baciai, poco filialmente.’
Vidi dalla finestra che si allontanava, a passi rapidi, come se fuggisse.
La pizza con Camilla fu ottima, e’ il seguito la sorprese piacevolmente.
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Io mi vanto di essere razionale.
I pensieri di quel mattino, di contro, erano confusi, perfino assurdi, dettati da malintesa impulsività.
Perché ero attirato da M.Laura?
Non certo perché vedevo in lei mia madre. Era fisicamente completamente diversa. Non mi mancava la possibilità di spassarmela con qualche bella mia coetanea, senza parlare della passionale Camilla. Non mi erano mancate esperienze con vogliose quarantenni, perché più di una mamma dei miei amici si era mostrata generosa consolatrice ed esperta sex-trainer. Allora?
Cercai di convincermi che era il ‘mistero’ dell’abito; il diabolico e malefico desiderio di ‘far peccare’ un’anima votata al Signore.
Non era vero. Niente di tutto questo. Anche se, per la verità, la curiosità di sbirciare sotto certe tonache femminili l’avevo sempre avuta.
Prima di uscire per ordinare una ‘cena da portar via’, poiché certamente non potevo chiederlo a Camilla senza scatenare curiosità e una certa gelosia, conclusi che c’era un solo motivo: M.Laura mi eccitava, infiammava, in un modo che non mi era mai capitato prima.
Al ‘Gourmet’ suggerirono qualcosa di freddo e di un certo tono: cocktail di gamberetti, aragosta sgusciata con velour de Mayonne, e contorno di ostriche, frutti di bosco al porto, vino bianco, e, per finire, champagne d’annata. Non era a buon mercato, ma quando si &egrave in ballo.
Alle diciannove sarebbe venuto il tutto, avrebbero apparecchiato e lasciato in fresco le portate. L’indomani sarebbero passati a ritirare piatti, tovagliato, ecc.
Beh, Camilla l’avrebbe visto, certo, ma le avrei detto che era venuta la sorella di mamma, la zia Elisa. E lei sapeva che sorta di donna sofisticata e svenevole era. Sembrava sempre che avesse la puzza sotto il naso.
Furono puntualissimi, rapidi, efficienti. Dieci minuti in tutto.
Beh, in effetti era tutto apparecchiato con raffinatezza e buon gusto, nella sala da pranzo.
Io ero in tiro: pantaloni ingualcibili, polo di cotone, sandali.
Nel guardare quello che avevo fatto preparare per la cena, mi venne da sorridere. Scossi la testa.
Era più adatto per una cenetta intima con prevedibile’ coclusione.
Non lo avevo mai fatto, prima.
E per chi lo avevo fatto?
Per una suora quarantenne!
Sì, però, per una femmina che, lasciando stare abito ed età, mi attizzava da morire. Il solo pensiero’.
Pensavo a ‘ sotto quella specie di tonaca.
Sciocco, sotto una gonna, un sari, un kimono, una futa, uno sciamma, un barracano, od altro vestimento, c’&egrave sempre la ‘stessa cosa’. Cambia colore, villosità, anche un po’ la forma esteriore e la dimensione interna, ma quando si &egrave lì’
Mancava un minuto alle otto, quando gracchiò il citofono.
Attesi sul pianerottolo, e dall’ascensore uscì una visione che non mi attendevo. M.Laura aveva gonna nera e blusa bianca. In testa un leggero foulard che tolse subito. Era veramente affascinante.
Un abbraccio, un lieve sfiorare di gote, entrò.
Andammo in salotto.
Mi guardò insistentemente.
‘Ma sei che sei tale e quale A Nico? Preciso, indistinguibile. Una rassomiglianza emozionante!’
Ecco, forse il fulcro poteva essere questa somiglianza.
Piano, Marco, piano. Non pregiudicare tutto.
Sedemmo, le offrii un aperitivo poco alcolico, ma fresco e frizzante, che appressò moltissimo.
‘Scusa, M.Laura, ma gli volevi bene tanto?’
Mi guardo con occhi trasognati.
‘Tanto? Non c’&egrave misura per l’amore che provavo, che provo, per lui. Amore inteso nel significato più ampio, totale, della parola. Intesa meravigliosa, affetto, tenerezza, attrazione. Sì, anche attrazione. Naturale, logica, tra due esseri che intendono fondersi e produrre nuove vite.’
Le presi la mano, tra le mie.
‘Posso farti una domanda, M.Laura’ indiscreta?’
Assentì, lentamente, con lo sguardo nel vuoto, lontano.
‘Sì’ l’abbiamo fatto’ e dopo di lui non poteva, e non potrà mai esserci nessun altro!’
Aveva la mascella serrata, dura.
Mi limitai a carezzarle la mano.
‘Scusami, M.Laura”
‘No, Marco, anzi’ mi fa bene parlarne. E’ la prima volta che ne parlo, dopo tanti anni.’ ‘mi guardò teneramente- ‘Mi sembra chiacchierare con lui, come facevamo, vicini, così come lo siamo noi, sognando il futuro, che non sapevamo come sarebbe stato crudele.’
Azzardai una lieve carezza sul volto, pelle liscia vellutata. Le dita sfiorarono le labbra. Poggiò la sua mano sulla mia.
‘Ancora un po’ di aperitivo, M.Laura?’
‘Ma sì, forse &egrave meglio’ ma dimmi cosa hai preparato per la cena?
Mi alzai, versai dell’altro aperitivo, glielo porsi.
‘Vieni, ti faccio vedere, ma’ non l’ho preparata io’ io l’ho scelta. Vieni.’
Andammo nella sala da pranzo, dove avevo acceso anche le candele sulla tavola.
M.Laura restò a bocca aperta.
‘E’ splendido, Marco, io non ho mai visto una cosa simile. Sono cibi che conosco per descrizione, ma che una suorina non ha mai avuto l’occasione di assaggiare. E’ una cena, come dire, mondana, elegante, raffinata, poco adatta a una suora.
‘Diciamo, allora, che &egrave per Laura e per Marco!’
‘Diciamo così. Ma non farmi bere troppo, al rientro in istituto non voglio camminare come una ubriaca”
‘Prego, accomodati.’
Già il cocktail di gamberetti era abbastanza alcolico, poi il vinello, che sembrava leggero, fresco, si lasciava bere. Ed io curavo che il calice di Laura non fosse mai vuoto.
Lo champagne fu accolto con gridolini festosi.
Il foulard era su una sedia, i capelli sciolti, solo rarissimi fili d’argento.
Aveva un comportamento spontaneo, quasi infantile. Mi guardava e annuiva compiacendosi di tutto, il cibo, il vino, lo champagne.
Le proposi di berne ancora una coppa, sul divano, in salotto.
‘Certo, Nico, ancora una coppa.’
Mi aveva chiamato Nico!
Le porsi il bicchiere, alzai il mio, mezzo vuoto, brindammo.
‘A te, Laura!’
‘A te, Nick!’
Ancora così, e per di più con quello che doveva essere il modo confidenziale di chiamarlo.
Una voce interiore mi diceva che ero spregevole: profittare della circostanza del momento, averla fatto bere più del normale per sopire i suoi freni inibitori.
Un’altra, invece, mi diceva che ognuno &egrave responsabile delle proprie azioni. Non era una minorenne ingenua e indifesa’
No, riprendeva la prima, ‘indifesa’ sì, e in un certo senso anche sprovveduta e soprattutto facilmente aggredibile.
Mentre così mi tormentavo, sentii che si era avvicinata a me, percepivo il tepore delle sue cosce che premevano le mie.
Aveva deposto la coppa sul tavolino, e mi guardava in modo insolito.
‘Ti ho chiamato Nico’. Anzi Nick’ come lo chiamavo confidenzialmente. Sei proprio come lui’ ti comporti come lui’. Sei tenero, premuroso, affettuoso’ Mi sento ridicola’ alla mia età’ non immaginavo che avrei potuto riprovare certe sensazioni che credevo sepolte per sempre. Una specie di ritorno alla vita’ Ricomparsa di sensazioni’ emozioni’ impulsi’ Vaghezza di rivivere trepidazioni del passato, smanie di una volta’ e nel contempo sgomento!’
Mentre parlava, lentamente, sottovoce, interrompendosi spesso, la parte mefistofelica di me mi aveva suggerito di metterle una mano sulla spalla e di attirarla, teneramente’ per i seguito’ si sarebbe visto.
Appoggiò la testa sulla mia spalla, con gli occhi che, forse, rivedevano scene del passato.
Le carezzai il volto, con la massima tenerezza.
Lasciava fare, come soggiogata’
Le sfiorai la guancia con le labbra, giunsi alla bocca, le baciai cercando timidamente di schiuderle’ andavano cedendo’ aprendosi’ accolsero la mia lingua che cercava di intrufolarsi, guardinga. Incontrai la sua. Dapprima immobile, poi prese a muoversi, appena, ricambiava la carezza della mia. Insistei, sentivo che andava sempre più ricambiando’
D’un tratto, si avvinghiò al mio collo, con fervore, e il bacio fu appassionato, ardente, intenso’ Respirava affannosamente’ Non mi fu difficile sollevarla e farla sedere sulle mie ginocchia, senza che le nostre bocche si staccassero’ in un bacio che (sono proprio abietto a pensare così) aveva del cinematografico. Ma da parte sua era intenso, goloso, avido, insaziabile.
Il suo corpo vibrava’
La mia destra ritenne giunto il momento, s’infilò nella blusetta. Afferrò, al di sopra del reggiseno, non di seta o di pizzo, una bella e tonda tetta; la carezzò, si accertò, malgrado la stoffa, che il capezzolo era turgido. Non fu facile introdursi sotto il bordo inferiore, ma ci riuscì’ pelle calda, liscia, vellutata e sensibile’ ad ogni stretta ad ogni titillare del capezzolo corrispondeva un più bramoso succhiare della mia lingua che, ormai era del tutto imprigionata in quella meravigliosa bocca, che la succhiava freneticamente.
La parte mefistofelica mi ricordò le frasi imparate a scuola: carpe diem’ in horam vivere’ cogli l’attimo’ vivi alla giornata’
La mano lasciò la tetta e cautamente andò sotto la gonna, sulla coscia nuda, al di sopra dell’elastico. E proseguì, mentre insistevo e coadiuvavo, intanto, in quel bacio senza fine’ a deep endless kiss’
Percepii un momentaneo irrigidimento delle gambe. Ma solo un attimo.
Erano larghe le mutandine, e folti riccioli di seta, morbidi, ma tanti, accolsero le mie dita sempre più audaci.
Laura aprì gli occhi, senza staccare la sua bocca dalla mia, mi guardò con un’espressione sgomenta, come stesse per piangere. Le sue nari erano appena arrossate e frementi. Cercai di rispondere con uno sguardo dolce e implorante, stringendola ancora di più e’ proseguendo con la mano’
Era abbondantemente bagnata, là, tra le gambe, e la sua linfa aveva intriso parte dei riccioli che le ornavano il sesso. Sesso caldo, morbido, palpitante.
Come il dito, timidamente, entrò in lei, sentii le pareti della vagina contrarsi, il grembo sobbalzare. Non dovevo lasciare la presa, per nulla al mondo’. Un seno era scoperto, mi abbassai a succhiarle il capezzolo, mentre il dito, laggiù, faceva la sua parte. Ormai i freni erano allentati, e quello che temevo era che i miei freni stavano per cedere e tutto sarebbe accaduto nei miei pantaloni’
Incredibile, Laura ebbe un orgasmo improvviso e squassante. Si aggrappò a me’ sussultò, si rimescolò’ poi, lentamente, andò placandosi.
Mi guardò, smarrita, ma con volto estatico, rapito.
Parlava a stento.
‘Non dovevamo’. Non dovevamo’ non mi &egrave mai capitato’ o dio’ cosa ho fatto’ devo andare via’ scappare”
La sollevai lentamente, alzandomi, e senza lasciarla la portai, di peso, verso il telefono.
La mia bocca era vicina al suo orecchio.
‘Telefona in istituto, trova una scusa, dì che dormirai da un’amica”
‘Non posso’ non posso’ devo andar via”
Alzai il ricevitore, glielo porsi.
‘Che numero?’
Lentamente, con grande esitazione e perplessità, mi diceva i numeri.
Io, a mano a mano, premevo le cifre.
‘Pronto’ pronto’ sono Madre Laura. Sto da un’amica, una vecchia amica di istituto’ sì é fatto tardi’ &egrave lontana’ dormirò qui’ c’&egrave una cameretta per gli ospiti’ domani andrò direttamente al seminario’ buona notte.’
Mi restituì la cornetta.
La rimisi a posto.
Laura seguitava a guardarmi.
La condussi nella mia camera, la deposi sul mio letto. Un letto molto vasto, di quelli che si chiamano a una piazza e mezzo.
Tolsi la camicia.
Lei era restata immobile.
Le sfilai le scarpe’ le calze’ le mutandine’ la tirai su, a sedere, sul letto’ fu la volta della blusa del reggiseno’ un paio di tette da sogno’ ora era il momento della gonna.
Via!
Rimase così, nuda, con gli occhi aperti. Splendida.
Ora toccava a me.
Quando pantaloni e boxer caddero sul pavimento, emerse tutto il mio desiderio. Prepotente, evidente.
Gli occhi di Laura furono pieni di pianto.
Ero indeciso, in quel momento’
In piedi, con lei distesa’
Mi tese le mani, con un sorriso che non so descrivere’
Le andai vicino, presi a carezzarla, baciarla, lambirla, dappertutto.
Lasciava fare, carezzandomi dolcemente i capelli.
La baciai tra le gambe, la lingua la lambì, frugò, penetrò, esplorò, e sentivo il montare della sua eccitazione, sempre più prepotente, l’ondeggiare del grembo, del bacino, il distillare del suo piacere che le contrazioni della vagina spingevano nella mia bocca.
Era il momento.
Lei, infatti, alzò le ginocchia, si sostenne sui talloni.
Ero tra le sue gambe, col fallo impaziente che s’indirizzò subito verso quello scrigno incredibilmente giovane e fremente. Era stretta, abbastanza, ma il mio glande si fece strada, dolcemente ma inesorabilmente, e atteso, goduto, abbracciato’
Una sensazione mai immaginata, e che solo con lei, provai.
Allora e in seguito.
Fin quando gli eventi della vita non ci separarono.
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