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Racconti Erotici Etero

Medievistica

By 27 Maggio 2011Dicembre 16th, 2019No Comments

Era inutile che continuasse a correre. Si fermò con le mani sui fianchi e il fiatone. Erano già le 10:29, la lezione era iniziata da un pezzo. Ad Agata non piaceva arrivare in ritardo e poi la volta precedente il professore l’aveva guardata con sincera disapprovazione, spazientito, e lei si era sentita il viso in fiamme. Soprattutto, non le piaceva attirare l’attenzione dei compagni. Non restava che cercare un posto tranquillo dove studiare per il resto della mattinata, si disse, e si diresse verso la biblioteca.

“Lei non capisce, io devo darci un esame su quel libro, non potete avere un’altra prenotazione!”

“Mi dispiace ma non hai fatto richiesta per rinnovare il prestito nei tempi stabiliti.”

“Ma mi serve, porca puttana! Non ce l’hanno in libreria!”

“Non ti scaldare, non è colpa mia, sono le regole!”

Emanuele fece un gesto di stizza e si allontanò imprecando sommessamente. La bibliotecaria si voltò verso la collega con uno sguardo sollevato, in cerca d’intesa, ma ricevette in cambio un sorriso appena abbozzato, tipico di chi ha l’aria di saperla lunga. Non sarebbe stato certo l’unico piantagrane della giornata.

Entrando dalla porta a vetri e dirigendosi verso gli armadietti Agata fu urtata da un ragazzo magrissimo e biondissimo.

“Libro di merda…” lo sentì bofonchiare mentre usciva a grandi passi dalla biblioteca.

Rimase un attimo interdetta e poi si avvicinò agli armadietti, dove ripose lo zaino dopo averne estratto il necessario per una intensa mattinata di studio: libro, astuccio, cellulare (scarico), bottiglietta d’acqua, Oro Ciok. Si augurò buona fortuna e si mise alla ricerca di una sala non troppo affollata dove dedicarsi in santa pace al suo libro, senza nessuno che le lanciasse occhiate indiscrete, nessuna amica in vena di chiacchiere davanti a un caffé, in poche parole nessuna distrazione.

Nel momento in cui raggiunse una delle panchine del giardino antistante la biblioteca, Emanuele si sentì pervadere da un profondo imbarazzo. Non tanto per l’inqualificabile comportamento avuto nei confronti del personale bibliotecario, quanto per la figuraccia fatta di fronte a quella ragazza della quale, pur con uno stato d’animo alterato, non aveva potuto fare a meno di notare il seno prosperoso. Una terza abbondante, avrebbe detto, nonostante il tentativo di lei di nasconderla sotto un’ampia camicia a quadri sui toni del viola. Del resto, non era stata una buona settimana per lui: da un paio di giorni aveva rotto con la sua storica fidanzata e poi l’esame da preparare in così poco tempo. E come avrebbe potuto fare per il libro? Dopo attenta riflessione stabilì che l’unica cosa da fare era cercarne un’altra copia, anche un’edizione precedente, da qualche parte ce ne sarebbe pur dovuta essere una.

Niente da fare, alla fine dell’ultimo corridoio Agata stava iniziando a perdere le speranze. Non c’era un posto a pagarlo in nessun angolo della biblioteca, neanche nell’aula computer, in cui alcune persone si erano addiritura ammassate sui tavoli destinati alla consultazione. Non le restava che dirigersi verso l’ala di medievistica. Questa sezione della biblioteca, uscita praticamente indenne dalla recente ristrutturazione, era alquanto inospitale. Umida e caratterizzata da un persistente odore di muffa, era illuminata da una misera lampada a neon che non prometteva troppo in termini di durata. La minuscola scrivania che vi era collocata poteva ospitare al massimo un libro per volta e chiunque se la fosse accaparrata avrebbe dovuto accontentarsi di sedere su uno degli sgabelli che di solito venivano usati per raggiungere i libri collocati più in alto sugli scaffali. Agata vi si accoccolò, legò i capelli con un gommino, tirò su le maniche e aprì il libro.

“189.4 VAN, 189.4 VAN, 189.4 VAN..”

Emanuele stava ripetendosi a bassa voce la collocazione di quella che sperava essere una copia non troppo malridotta del libro che gli serviva, mentre si inoltrava tra le file di scaffali del settore di medievistica. Ad un tratto, giunto in fondo ad una delle sale, scorse la ragazza con la camicia a quadri. La quale, non appena lo vide, avvampò di colpo e, sottratta a chissà quali pensieri, abbassò lo sguardo sul libro davanti a sé mordicchiando nervosamente il cappuccio della penna. Lui ne approfittò per osservarla: bassina, castana, formosa nonostante l’evidente tentativo di infagottarsi in un paio di jeans larghi e scoloriti e nella camiciona che aveva già notato in precedenza. Neanche un filo di trucco su un paio di occhi nocciola, in verità molto dolci.

“La sua più grande paura è attirare l’attenzione.”, pensò Emanuele.

“Oh, sì, sì, sbattimi! Lo voglio, lo voglio, spingilo dentro!”

“Ti piace, eh? Ti piace il mio cazzo duro nella tua fichetta vogliosa, puttanella!”

Agata era quasi arrivata al termine della fantasia nella quale si era rifugiata per fuggire alla noia dello studio, fantasia che la vedeva protagonista insieme al suo professore di linguistica, quando l’intruso – ma era lo stesso ragazzo che l’aveva quasi fatta cadere per terra all’ingresso? – la riportò troppo violentemente alla realtà. Non appena questo si voltò, iniziò a sbirciarlo timidamente. Era il ragazzo più magro e biondo che avesse mai visto! La maglietta grigia di un paio di taglie più grande, le Converse scolorite, le mani una che scorreva i libri in ordine alfabetico e l’altra che grattava un folto cesto di ricci. Quando si voltò poté scorgere una rada barbetta incolta e due occhi d’un blu scurissimo. Avrebbe voluto annegarci…

“Mi servirebbe lo sgabello.”

“Ah, sì, s-sì, scusa.”, disse Agata senza muoversi di un millimetro.

“Lo sgabello.”

“Oh, perdonami!”, farfugliò sentendo un vivo rossore salirle alle guance.

Emanuele aspettò di darle le spalle e poi, con un tono tra il divertito e il provocatorio, le chiese:

“Non mordo mica. Come mai sei finita qui a studiare? Quel neon frigge parecchio, non so per quanto ne avrà ancora.”

“Nelle altre sale non c’era posto, e poi non mi piace studiare in mezzo ad altri. Mi distraggo facilmente anche da sola.”, replicò lei.

“Sei carina. Dovresti valorizzarti di più.”

Agata, che nel frattempo si era alzata ed era rimasta imbambolata con le braccia incrociate sul petto, fece un passo indietro e spalancò leggermente la bocca per la sorpresa.

“A me piaci. Sai, se quella lampada smettesse di funzionare, tu ed io…”

Le gote color porpora, gli occhi sgranati e la bocca ormai completamente spalancata, Agata non riuscì ad emettere un suono.

“Sto scherzando. A dire il vero, l’ho detto solo per vedere la tua reazione. Hai l’aria di essere una ragazza dannatamente timida.”

“Sì, hai ragione.” ammise Agata leggermente rincuorata ma ancora tutta rossa “Lo stesso invece non si può dire di te. Ti ho sentito mentre discutevi al bancone dei prestiti. Hai poi trovato il libro che ti serviva?”

“L’ho trovato, sì, ma non posso prenderlo in prestito.”

“Lo so, i libri di questa sezione sono riservati alla consultazione.”

All’improvviso la lampada sopra di loro iniziò a ronzare e per qualche secondo si spense del tutto. Riprese poi a funzionare ma emettendo un rumore molto poco rassicurante. Agata ed Emanuele rimasero immobili, come se il tempo per loro si fosse fermato. Il ronzio continuò per ancora una manciata di istanti, fino a quando con un sibilo sommesso il neon non si spense definitivamente. I due ragazzi non avrebbero saputo dire chi avesse preso l’iniziativa ma in un attimo le loro mani erano sotto i vestiti e fra i capelli l’una dell’altro. Le lingue si intrecciavano, i respiri affannosi.

“I-io mi chiamo Aga…” iniziò a dire lei senza riuscire a finire la frase tanto era l’impeto di quello che – se ne rendeva conto in quel momento – era un perfetto sconosciuto.

“Emanuele!”, gridò lui tutto d’un fiato mentre le sfilava la camicia senza neanche sganciare i bottoni.

Fu poi la volta della canottiera sotto la quale – notò stupito – non portava il reggiseno. Il suo seno era ancora più bello di quello che gli era sembrato e, come a voler compensare la mancanza della vista, si diede a morderlo con avidità, strizzandolo e succhiando i capezzoli. Lei trattenne a stento un gemito e approfittò della posizione di lui per slacciargli la cintura dei pantaloni, che caddero sulle scarpe con la cerniera ancora sollevata. Un’erezione imponente guidò le sue mani fino all’altezza delle mutande, che in un batter d’occhio furono abbassate insieme ai pantaloni. Gli si inginocchiò davanti e glielo prese in bocca, accorgendosi di come gliela riempisse completamente, facendole venire le lacrime agli occhi ogni volta che cercava di andare più a fondo. Sollevandosi, gli sfilò la maglietta e lo leccò sul petto, su fino al collo e al lobo dell’orecchio. Lui a quel punto le tolse i jeans e la fece sedere sul tavolo, con le gambe divaricate. Strusciò il suo membro sulla calda apertura del corpo di lei, che iniziò a fremere di piacere e gli spinse la testa verso il basso. La leccò fino a che non fu completamente bagnata, poi le mise un dito dentro e iniziò a masturbarla. Agata si sollevò e strinse le dita intorno al suo pene, facendo su e giù con un ritmo irregolare, dettato più dal suo piacere che dal desiderio di far godere l’altro. All’improvviso non ce la fecero più e senza badare alle conseguenze i loro corpi si avvicinarono fino a quando il cazzo gonfio e pulsante di Emanuele non fu completamente penetrato nella fica di lei.

“Sh! Cos’è stato?”, chiese la ragazza allarmata da un rumore improvviso.

“Ma niente, è la fotocopiatrice nell’altra stanza.”, tagliò corto Emanuele accompagnando la risolutezza della sua affermazione con un deciso colpo di reni che portò Agata all’orgasmo senza che quasi se ne accorgesse.

La testa riversa, mugolò per quache istante prima di realizzare che, sempre toccandole i seni, anche lui accelerò il ritmo finò a raggiungere l’orgasmo. Un orgasmo silenzioso ma molto potente. Stettero distesi per un po’, con il fiato rotto dalla fatica e dall’adrenalina, fino a quando lui non si risollevò, cercò la maglietta – e il libro – a tentoni e si allontanò senza dire una parola. Agata tremava e non riusciva a credere a quello che era appena successo. Un fiotto caldo di sperma le colava lungo la gamba facendola rabbrividire per l’eccitazione che non si era ancora del tutto sopita. D’un tratto una luce improvvisa la fece trasalire: era il monitor del suo cellulare, le era arrivato un messaggio.

“Ma dove sei finita?”

Era Federica, la sua amica con la quale aveva appuntamento per pranzo. Guardò l’orologio. Le 13:07. Almeno stavolta avrebbe avuto un buon motivo per aver fatto tardi. Si rivestì nel buio, nella stanza accanto ancora il rumore della fotocopiatrice in funzione, e si avviò lungo il corridoio allontanandosi dalla sezione di medievistica.

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