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Morbosa Corrispondenza – Capitolo 12

By 5 Dicembre 2024One Comment

Toni

Detestava le cravatte; la stoffa sembrava sempre ribellarsi, avvolgendolo con le sue trame di seta. Le sue mani, di solito così forti e decise, diventavano nervose nel lottare con il nodo, un piccolo tormento che lo esasperava. Toni sospirò, frustrato. Forse il vero problema non era la cravatta in sé, ma la consapevolezza che sua madre si stesse cambiando nell’altra stanza. Quanto avrebbe voluto dare una sbirciatina, maledizione. Alla fine, lasciò ricadere le braccia lungo i fianchi, con la cravatta appoggiata sul collo come una sciarpa inutile.

“Toni!” Era sua madre Mena a chiamarlo.

“Sì, mà?”

“Puoi venire un attimo?”

“Eccomi!”

Toni entrò in stanza, restando senza fiato. Mamma era stupenda, con un’eleganza naturale che lo lasciava attonito. I suoi capelli castani, morbidi e lucenti, scivolavano lungo le spalle sfiorando il tubino nero che stava indossando.

Il vestito, realizzato in un tessuto liscio e leggermente opaco, era progettato per aderire perfettamente al suo corpo formoso ma tonico, con una linea elegante che esaltava ogni curva. Scivolava con grazia sulle sue gambe tornite e toniche, aderendo perfettamente alle cosce piene. Il tessuto elastico delineava il suo sedere tondo, sodo e ben proporzionato e modellava e la vita stretta con una precisione tale da sembrare cucito su misura per lei.

“Di-dimmi…” mormorò Toni, incapace di staccare lo sguardo da quella visione. Non avrebbe mai detto che fosse la stessa donna, disperata e piangente, di poco tempo prima.

“Mi aiuti col vestito?” chiese Mena, tirando indietro i capelli castani con calma e naturalezza, scoprendo la schiena nuda e mostrando la cerniera ancora aperta. Si voltò leggermente verso di lui, in un gesto che sembrava un invito.

Quella schiena era stupenda, abbronzata e liscia, punteggiata da piccole macchie solari che la rendevano ancora più invitante.

Dio, che voglia di venirle addosso.

Il tubino le avvolgeva il corpo come una seconda pelle, modellando e sollevando delicatamente il busto e scendendo fino a sfiorare le ginocchia con un taglio sobrio ma profondamente seducente.

Toni si avvicinò senza staccarle gli occhi di dosso finché le sue mani non si posarono delicatamente sulla parte inferiore del vestito, dove iniziava la cerniera, e cominciò a tirarla su con lentezza, avvicinandosi sempre di più a lei. Chiudendo la cerniera, percepì sotto le dita la morbidezza della pelle di sua madre sotto il vestito. La cerniera saliva lungo la schiena liscia, stringendo il tessuto intorno alla sua vita sottile e fermandosi appena sotto la nuca, dove la scollatura del vestito si apriva elegantemente.

Sul seno, olivastro e prosperoso, un crocifisso dorato.

Dio, che voglia di sbirciare nella scollatura.

E di venirle addosso, ovviamente.

Nel chiudere la cerniera, si impose di guardare sua madre negli occhi. Mena sorrideva al riflesso nello specchio, le labbra, piene e sensuali, si aprivano in un sorriso soddisfatto.

Non la vedeva così sorridente da un po’, strano – vista la situazione – anche se non poteva che esserne felice.

Il vestito nero ora aderiva completamente al corpo di mamma, delineando ogni curva con precisione quasi chirurgica. Il giovane non poteva fare a meno di ammirarla: il sedere ben delineato e proporzionato, la vita stretta, il décolleté pieno che si faceva notare sotto la scollatura del vestito; tutto in lei era perfetto.

Contagiato da quei sorrisi, Toni non riuscì più a resistere e si avvicinò a lei, stringendola dolcemente da dietro, posando le mani sui suoi fianchi sodi e sentendo il tessuto liscio sotto le dita.

Con un gesto delicato, le loro mani si strinsero, lasciando che il calore dei palmi si fondesse.

Quanto avrebbe voluto che le sue mani percorressero libere quel culo sodo, esplorando ogni curva generosa, scivolando su ogni dolce piega.

Riuscì, con un rapido movimento, a occultare meglio il pene duro nei pantaloni per non fargli sentire la sua eccitazione, il suo desiderio di fotterla. Valutò mentalmente la possibilità di andare in bagno a trovare sollievo nella fantasia ma preferì restare lì a guardare e accarezzare la sua Dea.

Non sapeva se stesse approfittando del loro legame familiare per ottenere quelle carezze o se quella nuova consapevolezza della sua passione incestuosa lo avesse condannato a percepire il calore del suo corpo filtrare attraverso il vestito.

Lei non disse nulla di quell’abbraccio, si limitò a ridacchiare e a stringergli le mani senza guardarlo. Le dita di Mena iniziarono a muoversi lentamente, accarezzando la superficie ruvida della mano di Toni con una delicatezza quasi ipnotica.

Con tono divertito, fu Toni a parlare.

“Ti sei messa così in tiro per il compleanno di Alessio? La festa di un quattordicenne?” Chiese Toni, notando la mano di sua madre accarezzare la sua con tenerezza quasi insistente.

“Certo!” Perché?”

“Mamma, non pensi di essere un po’… troppo elegante?” le disse, con una risata leggera.

La pressione della mano di mamma era lieve, ma insistente, come se volesse imprimere nella memoria quel momento, quel contatto. Come se vedesse la mano di suo figlio per la prima volta.

Lei rise in risposta, il suono caldo e profondo, e gli lanciò uno sguardo complice attraverso lo specchio.

“Credo sia l’unico evento che interessi a tua Zia Teodora, avrà speso un sacco di soldi. Ci sarà tanta gente, mica vorrai che vada in tuta” rispose con tono ironico, facendo una piccola piroetta.

Il tubino nero si muoveva appena sul sedere di Mena, rimanendo aderente e seducente, e i suoi capelli castani ondeggiavano lievemente ad ogni movimento per poi tornare di nuovo a stringergli le mani nella stessa posizione.

Le lunghe unghie ben curate scivolavano lungo il dorso della mano di Toni che fu tentato di tacere e abbandonarsi quella carezza, sentendo un brivido percorrere il corpo.

Però doveva chiederglielo: non aveva mai avuto il coraggio di farle quella domanda, però poteva essere una buona occasione.

Maledizione, gli veniva difficile concentrarsi, sua madre continuava ad accarezzargli la mano come se la volesse consumare. Chissà perché.

“A proposito di soldi..” Disse Toni, quasi in un soffio.

“Sì?” Chiese Mena, riscuotendosi da quella carezza alla mano del figlio.

“Li hai chiesti a lei, vero?”

“Cosa?” Stavolta Mena si voltò, stranamente preoccupata.

“I soldi per l’ospedale. È arrivata la ricevuta del saldo a casa. Hai pagato tu, mamma? Hai chiesto soldi alla zia?”.

“Ho pagato io, ma non ho mai chiesto aiuto a nessuno della nostra famiglia”. Scandì Mena, di colpo ombrosa, prima di proseguire: “La supereremo insieme, ricordi? Me lo avevi detto tu, Toni. Non abbiamo bisogno di chiedere la carità a nessuno. Figurati poi se mia sorella possa anche solo pensare di spendere soldi per qualcosa di generoso. Impossibile!”.

“Ok, allora dove hai trovato i soldi?” Chiese Toni, ansioso.

Mena lo fissò, intensamente. Avevano gli stessi occhi, forse quelli di lei erano leggermente più chiari.

Poi, voltandosi, si chinò leggermente per prendere dal pavimento un paio di scarpe nere abbinate, lucide e con tacchi alti.

“Ho lavorato vent’anni in Palestra e avevo dei risparmi, credi che solo tuo padre portasse soldi a casa?” Chiese Mena, continuando a guardarsi allo specchio.

Le sue gambe si piegarono con grazia indossando le scarpe, una alla volta, mentre il vestito si tendeva sulle sue forme accentuandone la rotondità e rivelando quanto fosse perfettamente aderente.

Toni non capiva più niente.

Avrebbe voluto indagare di più ma era inebriato, turgido di lussuria per lei, non riusciva a smettere di guardarla ora che i tacchi la sollevavano ulteriormente, slanciando la sua figura già alta e affusolata.

“Non pensare che abbia dimenticato che tuo padre giaccia in un letto di ospedale, ogni mio sforzo è per lui”. Aggiunse lei.

“Scusa.. Hai ragione. Temevo ti fossi ridotta a implorare quella taccagna della zia”.

Lei sorrise, guardandolo con aria materna.

“Scuse accettate”. Concluse Mena e con un gesto improvviso, si chinò verso di lui e lo baciò sulla guancia, il contatto dolce e inaspettato.

Il suo rossetto, di un rosso vivace, lasciò un’impronta ben visibile sulla pelle chiara del figlio, un segno indelebile di quel momento intimo e giocoso.

Toni era nel pallone, come un ragazzino di dodici anni al primo bacio. Rimase fermo, sorridendo e accarezzandosi la guancia macchiata di quel rossetto così profumato, avvertendo un leggero rossore diffondersi sul suo viso.

Mena scoppiò a ridere, il suono limpido riempì la stanza.

“Oh no! Ora devo rimetterlo!” Esclamò Mena, divertita, sistemandosi i capelli e guardandosi allo specchio.

La sua risata era contagiosa, e Toni non poté fare a meno di unirsi al suo divertimento, scoprendo che quel gesto scherzoso aveva reso l’atmosfera di nuovo leggera e distesa.

“Come sto?”

“Sei bellissima..” E si voltò, fingendo di sistemarsi meglio la cravatta con una mano e cercando con l’altra mano di nascondere meglio quel serpente massiccio che si divincolava tra le sue gambe.

Mena, che lo osservava da dietro con un sorrisone, si avvicinò e gli sussurrò: “Sfugge da tutte le parti, vero?” La sua voce era morbida e stavolta fu a lei a stringerlo da dietro con gli occhi brillanti di complicità.

“Che intendi, mamma?” Chiese Toni, col cuore in gola.

“Una mamma lo sa..”

“Cosa?”

“Che a venticinque anni non sai ancora indossare una cravatta!” Esclamò Mena ridendo a crepapelle e, senza aspettare risposta, si posizionò di fronte a lui e prese la cravatta dalle sue mani; poi, con movimenti sicuri, cominciò a sistemarla intorno al colletto della sua camicia.

Mena scosse leggermente la testa, ridendo. “Oh, povero caro.. Per fortuna non si gioca a calcio in giacca e cravatta!”

Toni rise, un po’ imbarazzato. “È solo che… non ci sono abituato,” si giustificò, ringraziando la mamma. Mentalmente ringraziò anche la cintura del pantalone per aver occultato la sua erezione, si sarebbe seppellito se lei l’avesse scoperto.

Percependo le dita abili di mamma muoversi con precisione, lui non poteva fare a meno di notare il profumo leggero che emanava dai suoi capelli castani, ora così vicini a lui. Il suo busto si avvicinava a quello di Toni e lui sentiva il calore della sua presenza così vicina, il tocco delicato ma deciso delle sue mani sul colletto della camicia.

“Vedi? Ci pensa mamma”. Gli disse con tono dolce, facendogli l’occhiolino e tirando su la cravatta dopo averla annodata con facilità.

Forse l’idea di segarsi non era poi così malvagia, pensò; per come stava, sarebbe durato pochi minuti. La ringraziò ancora e le schioccò un bel bacio sulla guancia, per poi allontanarsi.

“Vado un attimo in bagno, mà!”

“Va bene, nel frattempo rimetto il rossetto!”

Finalmente solo. Finalmente un attimo di “sano” autoerotismo.

Iniziò a scappellare il glande bollente, guardando allo specchio l’impronta del rossetto sulla sua guancia e godendo delle proprie dita che torturavano quel cazzo d’acciaio e accarezzandosi lo scroto con l’altra mano.

“Sbrigati Toni, dobbiamo andare alla festa!”

“Agli ordini, capo!” urlò Toni dal bagno, senza smettere di masturbarsi, duro come un tronco di legno e pronto a eiaculare nel water, sognando di farlo su quel tubino da urlo.

Agli ordini..

Luigi

“Mastica e sputa. Da una parte il miele. Mastica e sputa. Dall’altra la cera.”

Aveva ragione De André.

Questo era il percorso giusto. Fantasticare, sognare, masticare la cera cercando di percepire il sapore del miele.

Senza gustarlo davvero, senza gustare Anna… prima che tutto si dissolva come neve.

Da quando Luigi aveva iniziato a scambiarsi messaggi con Francesca, riusciva a tenere a bada i suoi impulsi verso la figlia Anna, trovando sfogo nelle fantasie condivise in chat con la donna.

Apprezzava il modo in cui Francesca sembrava sempre sapere cosa dire, con quella naturalezza che lo affascinava.

Tra poco le avrebbe scritto, approfittando del fatto che Anna fosse fuori, assieme a Toni, al compleanno del cugino di lui.

Fu in quel momento che qualcuno suonò alla porta di casa.

Marta, la sua collega. Cazzo.

Colto alla sprovvista, aprì la porta.

Marta entrò disinvolta, quasi come se fosse la padrona di casa.

“Ciao Luigi! Finalmente vedo casa tua!” esclamò la collega, senza curarsi dell’espressione confusa sul volto di lui ed entrando rapidamente in casa, lasciando ondeggiare piano il suo caschetto castano di capelli.

“Ah, sì… certo,” balbettò, confuso.

“Non ti ricordi, vero?”

“Cosa?”

“Ti avevo chiesto in ospedale se ti facesse piacere vederci oggi per un drink, ricordi? E poi, guarda, ti ho portato una bottiglia di bollicine!” tirò fuori una bottiglia dalla sua borsa, poggiandola sul tavolo come se fosse la cosa più normale del mondo.

“Sì… forse ero distratto,” mormorò Luigi, cercando di non sembrare completamente perso. Dovevano averne parlato il giorno in cui aveva conosciuto Francesca ed era.. distratto.

“Non mi mostri casa?” Disse Marta e senza aspettare una risposta iniziò a esplorare le stanze con una curiosità evidente, ignorando Luigi intento a versare le bollicine in due calici.

C’era qualcosa di invadente nel modo di muoversi di Marta, come se cercasse di assorbire ogni dettaglio del mondo di lui; dopo alcuni giri, lo sguardo di lei si posò su una cassettiera bianca su cui erano poggiate delle foto di sua figlia Anna.

In una delle foto, Anna indossava un costume da bagno nero, semplice, ma che esaltava la sua figura slanciata. Era in piedi sulla spiaggia, il vento che le scompigliava i lunghi capelli neri, lo sguardo rivolto altrove, come se fosse inconsapevole del potere che emanava. La pelle ambrata, gli occhi profondi e magnetici.

Marta sorrise.

“Chi è questa splendida creatura?” chiese Marta, senza voltarsi. Il suo tono, apparentemente leggero, nascondeva un sottile filo di malizia confermato dai suoi furbi occhi castani dietro gli occhiali dalla montatura pesante.

“È mia figlia,” rispose Luigi, con una voce che si fece più tesa, posando i calici sul tavolino.

Marta si girò verso di lui, il sorriso che le increspava le labbra.

“Davvero? Ah, sì. Ricordo che me ne avevi parlato.” Disse Marta, facendo un passo più vicino alla cassettiera e chinandosi a osservare meglio le foto.

“Devo dire che somiglia moltissimo alla figlia di Monica Bellucci, com’è che si chiama? Deva Cassel… stessa bellezza ammaliante.”

Luigi restò in silenzio per un momento, la mascella appena contratta. Non era la prima volta che qualcuno faceva quel paragone, ma sentirlo con quel tono insinuante lo metteva a disagio.

“Sì,” disse infine, cercando di mantenere il controllo, “assomiglia molto a sua madre.”

Marta parlò sommessamente, sorseggiando le bollicine dal calice su cui lasciò l’impronta del solito rossetto marrone: “Immagino che sia dura per te…”

“Mia moglie mi manca, questo lo ammetto”.

Marta sorrise e lo interruppe con un tono dolce, anche se leggermente provocante: “E non sei preoccupato per tua figlia? Ci saranno sempre più sguardi su di lei, soprattutto quando indossa…poco” Fece una pausa, guardando di nuovo le foto in costume da bagno.

Lui la guardò, stringendo appena il bicchiere, ma mantenendo la calma: “È ancora una ragazza,” rispose secco.

Marta fece un passo verso di lui, avvicinandosi tanto da poter percepire il suo respiro. “Deve essere una cosa di famiglia… la bellezza, intendo.” Disse Marta a denti stretto.

Lui la guardò fisso, gli occhi impassibili. “Forse,” rispose semplicemente, tagliando corto, senza volerle dare altra corda. Il fastidio stava crescendo, ma non lo avrebbe mai mostrato.

“Sarai il classico papà geloso, vero? Quello che sorveglia ogni movimento della figlia.” Fece una risatina leggera, volutamente provocatoria.

Luigi strinse leggermente le labbra, il fastidio ormai visibile. “Sono orgoglioso di mia figlia per molte ragioni,” rispose fermo. “Non solo per la sua bellezza.”

Marta rise ancora una volta, sollevando il bicchiere come per brindare.

Bevve un sorso del suo vino. “Hai davvero fatto un buon lavoro, sai?” disse infine. “Complimenti, papà.”

Lui non rispose, limitandosi a fissarla per qualche istante prima di distogliere lo sguardo e lasciando che il silenzio calasse nella stanza.

Il volto tondo e regolare presentava un nasino a patata, delle belle guance paffute e candide, un lievissimo accenno di doppio mento visibile solo quando rideva forte.

Marta sorrise inclinandosi verso di lui e sussurrandogli all’orecchio: “Sai, credo che tra noi potrebbe esserci qualcosa di speciale…”, e accarezzandogli le spalle con le mani; il nasino tondo di lei era a pochi centimetri da Luigi quando Marta gli diede improvvisamente un bacio sulle labbra.

Luigi, sorpreso, scattò all’indietro e irritato sbottò: “Marta, dai, che stai facendo?”

Lei, visibilmente sorpresa, si fermò. “Pensavo… sembravi… credevo che stessimo bene insieme, no?”

“Non ho mai detto una cosa del genere,” replicò Luigi. “Non ricordo nemmeno di averti invitata qui.” Il silenzio che seguì fu imbarazzante. Lei, apparentemente colpita, abbassò lo sguardo. “Mi dispiace… forse ho frainteso.”

Luigi si avvicinò alla porta, invitandola a uscire. Ma prima che potesse andarsene, lei si voltò e chiese con un sorriso imbarazzato: “Posso andare in bagno un attimo?”

“Va bene..”

La guardò sparire nel corridoio, e per qualche minuto tutto rimase silenzioso.

Cosa voleva Marta da lui? Non sapeva che aveva di meglio da fare?

Marta

Qualcuno diceva che la casa di una persona ne riflette l’anima, e se fosse vero, allora Luigi e sua figlia Anna dovevano essere due bei androidi.

Era tutto in ordine, tutto immacolato. Bianco ovunque. Interessante.

Marta si sedette sul wc e si rilassò al suono della pipì che scorreva.

Luigi era un bel porcone, ne era certa. Un robot-porcello.

Doveva solo trovare il codice giusto per arrivare ai circuiti.

Abbassò lo sguardo in direzione del lavello, dal cui bordo inferiore pendeva qualcosa.

Curioso, un piccolo lembo di disordine in quello spazio maniacalmente tenuto.

Allungò il braccio, infilando la mano sotto il bordo del lavandino, e capì.

Eccolo lì, il piccolo segreto del suo capo.

Ora doveva solo pensare a come sfruttarlo.

Le serviva tempo.

No, si disse Marta.

Pensare è per gli stupidi, mentre i cervelluti si affidano all’ispirazione.

Uscì dal bagno e rivide la porta della camera di Anna.

Luigi

Quando Marta riapparve, la situazione prese una piega surreale.

Lei era uscita dal bagno con dei vestiti diversi da quelli che indossava prima.

Rimase così sbigottito da non riuscire nemmeno ad imprecare.

Era la divisa scolastica della figlia, che le stava decisamente stretta: la gonna era troppo corta e la camicia tirava sul petto senza riuscire a tenere fermo quel seno strabordante. Il sorriso sfacciato di prima era tornato, insieme a una scintilla di sfida.

Luigi balzò in piedi, scioccato. “Cosa…”

Lei scrollò le spalle, come se fosse la cosa più naturale del mondo. “Stava lì appesa, e ho pensato che sarebbe stato divertente provarla. Non ti piace?”

“Marta..”

Provò a distogliere lo sguardo, ma non poté ignorare che Marta lo stringesse a sé e i loro corpi si unissero in un contatto carico di tensione.

“So cosa vuoi, papà. Forse lo hai sempre voluto.” Mormorò Marta, dolcemente oscillando sul suo corpo e provocandolo con un’intensità crescente.

Luigi non rispose, ormai incapace di ricordare cosa avrebbe dovuto dire e lasciava che ancheggiasse sensualmente contro di lui.

“Lo sento, papà, ce l’hai duro.” Marta rise e si allontanò sedendosi sulla poltrona di fronte a Luigi, sculettando e facendo ondeggiare piano la gonna di Anna.

La vide alzare la gonna, le gambe divaricate.

Era senza mutandine.

Luigi chiuse gli occhi sentendo quell’emozione consueta e, istintivamente, portò le mani sul pantalone.

Maledizione.

“So che lo vuoi, papino porco”.

Era troppo. Luigi esplose: “Sei stata tu a voler essere scopata fin dall’inizio,” le disse, buttandosi su di lei e afferrandola per i fianchi.

“Sei solo una troietta. Una piccola troia schifosa”.

Marta gemette piano, sentendo le mani di Luigi che, bruscamente, si impossessavano del suo corpo e le loro bocche si univano in un bacio sempre più intenso, perdendosi l’uno nell’altra, lasciandosi trasportare da un desiderio inarrestabile.

“Sì ma ora scopami, papà” rispose, ridendo.

Senza più timori le afferrò il seno. Erano tette più grosse di quelle di Anna, ma comunque belle sode. Il sottile tessuto delle spalline del reggiseno di Anna si ruppe facilmente, lasciando che le tette generose di Marta emergessero prepotenti dalla camicetta della divisa.

Luigi cominciò a baciarle il collo, aromatizzato da un profumo dolce e sensuale, familiare. La Vie Est Belle di Lancôme.

Il profumo che utilizzava Anna.

Le aveva rubato anche il profumo; era proprio una puttana folle.

Luigi abbassò i pantaloni, senza smettere di baciarla ovunque, con passione; le labbra carnose di Marta si fusero alle sue e le loro lingue si intrecciarono frenetiche mentre le mani di Marta si intrufolavano sotto ai suoi boxer impastandogli il cazzo turgido e le palle; dopo alcuni vellicamenti, glielo tirò fuori, ridendo nel vedere come quella grossa nerchia fosse incredibilmente rigida, con la cappella violacea lucida come una boccia di biliardo.

“Ma guardati, sei tutto eccitato. Sono io che ti faccio quest’effetto, papà?”, disse Marta spostando le mutandine rosa di Anna ed esponendo una figa pelosa e piuttosto carnosa.

“Sì, puttana!”

Poi, mugolando, Marta allargò le gambe invitandolo ad infilarsi tra le sue cosce.

Con l’indice e il medio percepì quanto fosse umida quella nicchia, pronta ad accoglierlo mentre i polpastrelli stuzzicavano quel pelo fitto e quelle grandi labbra calde ed impregnate di umori.

Con il dito medio e l’indice Luigi si fece strada tra le piccole labbra, penetrandola fino a percepire il calore avvolgente e la morbidezza delle labbra della vagina in cui le dita scivolavano così facilmente che anche una terza e una quarta si unirono senza difficoltà, nonostante quella fica pelosa non avesse molto in comune con quella di sua figlia, che doveva essere liscia e depilata come quelle delle altre nuotatrici.

Quel contatto suscitò un fremito nel corpo di Marta, che si mosse con intensità, come scosso da un vento impetuoso. Poi strinse le cosce attorno alla sua mano, quasi temendo che quel momento di piacere potesse sfuggirle.

“Oh, papà! Mi piace! Mi fa impazzire!”

In quello stesso istante, Luigi sentì la mano di Marta avvolgersi attorno al cazzo, iniziando a muoversi con un ritmo lento e deciso facendo scorrere la pelle tesa sulla massa carnosa e lui con l’altra mano impastava i meloni grossi e pieni della ragazza.

“Papà! Lo voglio dentro!”

Senza esitare ulteriormente Luigi si precipitò su di lei, appoggiando il cazzo sporgente in tutta la sua durezza tre le sue cosce dalla pelle liscia e vellutata. Ormai fuori controllo, le alzò il bacino e puntò il glande gonfio e duro contro l’ingresso della figa. Non scopava con una donna dalla vacanza in Brasile ma ne aveva una voglia tremenda.

Gli umori vaginali di Marta, secreti in abbondanza, lo favorirono nella penetrazione; per cui bastò una semplice spinta per entrarle dentro, trovandola già lubrificata e pronta a ricevere i suoi colpi fino alla radice, affondi cadenzati dal rumore dei testicoli di Luigi che sbattevano sul sedere di Marta.

“Ah! Sì! Sììì” urlò la collega negli spasmi del momento.

Il suo viso delicato e gli occhi castani riflettevano una smorfia di godimento per l’emozione che Marta stava vivendo. I capelli castani, lisci e corti, ondeggiavano leggermente, sfiorando le sue gote pienotte. La sua bocca, dalle labbra morbide, si apriva verso la sua, accogliendola con una dolcezza unica.

Anche se non potevano competere con la bellezza delle labbra di Anna, erano calde e vogliose. Come dovevano essere quelle di sua figlia.

In quella posizione, Luigi iniziò a pompare come un forsennato dentro la fica calda e accogliente di Marta.

Il profumo, i vestiti di Anna.

Il cazzo che scompariva in quell’apertura calda e accogliente come quella di Anna.

Il cazzo, duro come il ferro, unto dai viscosi liquidi vaginali che scivolava frenetico spingendosi ritmicamente dentro e fuori le labbra della figa mentre lei lo fissava negli occhi e lui continuava a chiamarla troia e puttana.

“Mmmmm sì papà, sono la tua troia!”

Stava godendo come una maiala, scossa da un orgasmo imminente.

“Sei una troietta, dillo! Volevi essere scopata da giorni! Vero?” grugnì Luigi.

“Sì, Sì! Sì!..non ti fermare!” gemette Marta, implorandolo di continuare a chiavarla.

Osservare il corpo di lei tremare leggermente, travolto da un’ondata di piacere, accresceva in lui un’intensa eccitazione, avvicinandolo rapidamente all’apice. In quell’istante, il corpo di lei si irrigidì in un ultimo tremito, eruttando un caldo fluido vaginale che avvolse il suo cazzo, segno dell’appagamento profondo di Marta.

Sul volto di lei, un sorriso quasi beffardo di godimento si distendeva mentre lui seguitava a martellarle la fica scossa dallo spasmo delle pareti vaginali che lo avvolgevano come una stretta infuocata ogniqualvolta affondava il cazzo interamente dentro di lei, finché Luigi non iniziò ad avvertire i primi conati di sborra e, sfinito, afferrò Marta per la schiena e la trattenne, mantenendola strettamente vicina al suo corpo ed eiaculandole dentro tutto lo sperma e la voglia che si erano accumulate nei suoi coglioni.

“Anna!”

“Papààà! È Bellissimo! Mmmmm!”

Il tempo si fermò, nell’aria solo l’odore degli umori dei due.

“Marta, quello che è successo è stato un errore” mormorò Luigi con voce tremante.

“Davvero?” Replicò Marta, con tono divertito, abbracciata a lui.

“Mi fai pensare a… cose che non dovrei. Perché ti sei vestita.. in quel modo?”

“Dovresti nascondere meglio i tuoi segreti, papà. Mutandine di Anna incluse.”

“Sei davvero una zoccola..”

“Dai, lasciati andare. A volte bisogna solo divertirsi. È il piacere che conta, no? Posso essere come tu mi vuoi.”

“Come in una specie di gioco di ruolo?” Curioso, pensò Luigi, in poche settimane era passato dalla solitudine ai giochi di ruolo online a.. questo.

“E la cosa non ti dispiacerebbe affatto, vero?”

“Sì, lo ammetto… è affascinante, anche se strano.”

“Finalmente ti vedo davvero presente, mio bell’androide!”

“In che senso?”

“Lascia perdere!” Rise lei.

Poteva funzionare? Chissà, pensò Luigi, poi avvertì “La vie est belle” nelle narici.

“Regola numero uno”. Esclamò lui. “Questi, via!” Aggiunse, mettendo la mano a coppa sui peli del monte di Venere della collega.

“Non si nuota bene, con questi!” Replicò Marta, ridendo e baciandogli la bocca.

Teodora

“Perché è un bravo ragazzo! Perché è un bravo ragazzo! Perché è un bravo ragazzo! Nessuno lo può negar!”

“Auguri Ale!”

“Tanti auguri!”

Teodora, in piedi accanto al tavolo, non aveva occhi che per suo figlio Alessio seduto a capotavola, circondato dai suoi amici.

Era così tenero, con quei capelli che gli cadevano disordinati sulla fronte e il sorriso timido, sempre gentile.

Era la sua festa di compleanno e Teodora voleva che tutto fosse impeccabile, senza tralasciare il minimo dettaglio.

Non aveva badato a spese; per l’occasione, aveva ingaggiato un catering esterno per rendere il buffet indimenticabile.

Il locale era in un’ampia villa fuori città che era stata affittato per l’intera giornata.

Persino la torta, maestosa, era stata ordinata da una pasticceria di lusso, decorata con i personaggi Marvel preferiti dal figlio.

Non aveva invitato solo amici e parenti, ma praticamente mezzo Paese. Tra gli ospiti c’erano anche i membri della parrocchia, inclusi i catechisti e il suo parroco, Don Ugo, seduto in disparte con la fronte aggrottata, guardando la festa come se fosse lì per dovere più che per piacere. Con l’aria arcigna di un mastino vecchio e scontroso, Don Ugo sembrava fuori posto tra i festeggiamenti, eppure, come sempre, era stato invitato da Teodora con grande insistenza. Ovvio che dovesse venire. Con tutti i soldi che Teodora donava alla chiesa, era il minimo. E poi, avere il parroco presente dava un tocco di rispettabilità all’evento.

Quello sì che era un parroco, non come quel bellimbusto frivolo di Don Marco.

Teodora non poteva fare a meno di tenere d’occhio Alessio, assicurandosi che non gli mancasse nulla. Si avvicinò per sistemargli il piatto.

“Alessio, hai provato queste tartine? Le ho comprate apposta per te!”

Gli riempì il piatto prima che lui potesse dire qualcosa. Non doveva preoccuparsi di nulla quel giorno, perché c’era lei per questo.

Nessun altro della sua famiglia le dava tanta soddisfazione.

Vide l’altro figlio, Luca, aggirarsi nervosamente tra gli ospiti e si allontanò per parlargli.

“Luca, vieni qui!” lo chiamò in disparte.

Quando si avvicinò, gli chiese con tono perentorio: “Hai detto al DJ di mettere la musica, come ti ho detto?” Luca rimase fermo, balbettando, finché lei gli diede uno schiaffo sulla guancia per svegliarlo.

“Dai, non fare il pigro! Fai come ti dico!” gli disse dandogli uno schiaffetto, stavolta col dorso della mano, sulle labbra.

Dal giorno del loro “incidente”, amava dargli questi schiaffetti col dorso della mano. Gli avrebbero ricordato chi comandava e di non fare altre schifezze.

Non riusciva ad ammetterlo nemmeno a sé stessa ma si divertiva un mondo nel vedere come Luca chinasse la testa e questo le dava un senso di potere.

Lo guardò correre dal DJ e si concesse un sorriso soddisfatto: bravo cagnolino.

In un angolo della stanza, Lia, l’altra figlia, la fissava con un’espressione disgustata, le braccia incrociate sul petto. Taceva, ma il suo sguardo parlava chiaro.

Sentiva che sua figlia la odiava con ogni fibra del suo essere. Meglio. L’odio l’avrebbe fortificata. Ignorala, pensò Teodora. Non poteva rovinare un giorno importante come quello.

Come poteva non capire quanto si stesse impegnando per Alessio? E i sacrifici che una madre deve fare per imporre la disciplina in casa? Un giorno Lia l’avrebbe compreso. Era giovane, aveva tempo.

La sua attenzione venne poi catturata dalla sorella Mena e dal nipote Toni, bello come un attore.

Mena, invece, sembrava totalmente fuori posto. Il suo abbigliamento, ridicolmente seducente per una festa di compleanno, la lasciava disgustata. Un abito attillato, trucco eccessivo e un crocifisso tra i seni bene in vista. Teodora la guardò con un misto di incredulità e compassione: come poteva non rendersi conto di quanto fosse fuori luogo?

Considerò l’ipotesi di cacciare sua sorella dalla festa per la sua evidente troiaggine ma decise di lasciar correre per non rovinare l’atmosfera.

Dopotutto, aveva già messo in riga a Mena: l’ultima volta che sua sorella aveva provato a chiederle soldi, lei le aveva risposto per le rime. Tutti dovevano stare al proprio posto. Un giorno, anche lei l’avrebbe ringraziata.

Tuttavia, ciò che Teodora apprezzava davvero era la vista di suo nipote Toni in compagnia della fidanzata Anna. Così felici insieme. Sperò che si sposassero presto e le sfornassero tanti magnifici nipotini. Provò una nota di invidia per Anna e ripensò al marito Sergio, sparito chissà dove dopo averla abbandonata. Che ragazza fortunata ad avere accanto un ragazzo così aitante, una vera incarnazione di vigore e forza, con quelle spalle larghe e muscoli scolpiti che si intravedevano sotto la maglietta. Che bicipiti possenti, che magnifica figura. Teodora si costrinse a reprimere un pensiero fugace e peccaminoso.

Il resto della festa continuava, e lei tornò a concentrarsi su Alessio. Anche se vedeva i suoi amici divertirsi con lui, non poteva permettere che gli rubassero la scena. Voleva che Alessio godesse quel momento insieme a lei. Quando rideva troppo con gli amici, lo richiamava per scattargli una foto.

“Alessio, fermati un attimo! Dai, fammi un sorriso!”

E lui lo faceva, obbediente.

Arrivò il momento della torta, bellissima. Ma non poteva lasciargli tagliare la torta da solo.

“Aspetta, Ale, lascia che ti aiuti. Non voglio che ti sporchi,” disse Teodora, afferrando delicatamente il coltello insieme ad Alessio per guidarlo nel tagliare la torta assieme a lei.

Gli amici si davano di gomito gustandosi la scena, ma a lei non importava: sapeva cosa fosse meglio per Alessio.

“Evviva! Tanti auguri! Discorso! Discorso!” Urlarono gli invitati.

Un inserviente portò un microfono ad Alessio che, un po’ imbarazzato, iniziò a parlare prima che Lia, avvicinandosi furtivamente, glielo strappasse gentilmente di mano. Ma che diavolo combinava sua figlia? Pensò e fece per avvicinarsi a lei. Troppo tardi. Aveva iniziato a parlare.

“Scusate l’interruzione. Volevamo fare un annuncio, visto che siete in così tanti.” disse Lia ad alta voce.

“Questo compleanno è un momento di felicità, ma è anche l’occasione per dimostrarci davvero cristiani. E solidali tra noi.”

Dove voleva andare a parare?

“Vorrei quindi mandare un pensiero anche a mio zio Roberto che è oggi in ospedale e necessiterà di tanta assistenza per riprendersi.”

Ok Lia, hai fatto il bel gesto di menzionare Roberto e hai rovinato l’atmosfera con la tua malinconia, ora levati dalle scatole. Poi facciamo i conti. Fece, di nuovo, per avvicinarti.

“Ed è per questo che sono lieta di dirvi che mia madre intende pagare tutte le spese mediche dello zio Roberto.”

Ma che cazzo stava dicendo? Ma era ritardata?

“E anche tutte le spese per accudirlo, assisterlo e provvedere alle future cure”.

Brutta puttana. Figlia di satana. I serpenti escono dalle tue labbra.

“Zia Mena, Toni. Nulla vi mancherà in questi mesi. Questa è la promessa di Mamma”.

Ci fu un momento di silenzio, Teodora aveva la nausea. Pensò seriamente di gonfiarla di botte proprio lì. Chiuse gli occhi, inferocita.

Li riaprì quando sentì un coro entusiasta, centinaia di persone stavano applaudendo.

Si guardò intorno e vide i suoi parrocchiani, catechisti e preti che brindavano alla sua salute.

“Hai fatto davvero un gesto di pura carità cristiana, Teodora. Brava. Sei un faro di questa comunità.” Disse Don Ugo, sinceramente colpito.

“Vieni qui, mamma. Prenditi questo applauso, te lo sei meritato.” Urlò Lia, un sorriso falso come quello del maligno sull’albero.

Teodora si muoveva rigida, le labbra petulanti atteggiate a un sorriso di circostanza, gli occhi fissi su un punto imprecisato; assentì svogliatamente alla sorella Mena che, con voce mielosa e finta, le riversava addosso un torrente di sperticati ringraziamenti. Puttana anche lei. Come Lia.

Chi dei suoi parenti aveva partecipato al complotto?

Il suo petto si alzava e abbassava, ma Teodora non poteva permettersi di urlare. Il sorriso era diventato quasi una smorfia, i denti che digrignavano appena, cercando di mantenere un controllo che minacciava di sfuggirle da un momento all’altro, sorridendo bonariamente solo per ricevere l’abbraccio di Toni, quasi commosso.

Dopo altri convenevoli, Teodora si avvicinò alla figlia e le sussurrò: “Non è finita qui. Usciamo subito o ti massacro davanti a tutti, quanto è vero Dio.”

Lia

Si era già mentalmente preparata alla rissa mentre uscivano e aveva tenuto d’occhio le mani di sua madre per tutti il tragitto.

Videro Luca fuori dal palazzo, forse intento a prendere aria; Lia gli fece segno di andarsene, vedendo Teodora alzare una mano verso di lei e preparandosi a ricevere la violenza materna in prima persona.

Se non altro, Lia avrebbe finalmente potuto dire alla madre quello che pensava di lei.

Si sarebbe difesa, non era una codarda.

Purtroppo, Teodora fu più lesta; la sua mano tagliò l’aria con un sibilo, prima di abbattersi sulla guancia di Luca con uno schiocco secco, simile a uno schianto; un manrovescio violento, preciso e brutale che lo fece cadere per terra.

“Perché lo hai fatto? Luca non c’entrava nulla, non era nemmeno in sala in quel momento.” Urlò Lia, con le lacrime agli occhi.

“Mamma..No..” Mormorò Luca, istintivamente rannicchiatosi sul prato, il vestito elegante sporco di fili d’erba.

“Levati dai coglioni, sgorbio. Lasciaci sole e chiudi la porta.” Lia controllò un attimo suo fratello che si stava allontanando, catatonico. Non era nulla di grave, anche se si era spaccato un labbro. Maledetta.

Si voltò per affrontare sua madre, ma non ce n’era bisogno. La trovò seduta su un divano da giardino, intenta a fissarla.

Forse più calma dopo l’esplosione di violenza, Teodora le fece segno di sedersi.

C’era un trucco?

Lia si sedette nella poltrona opposta, interdetta; non aveva paura della sua vuota violenza e le piantò addosso i suoi occhi di ghiaccio, così simili a quelli di suo padre.

Con enorme sorpresa e un pizzico di piacere, vide sua madre distogliere lo sguardo e iniziare a ringhiare, con tono basso e rabbioso: “Sei esattamente come lui, sai? Uguale. Ogni volta che ti guardo vedo la sua faccia da bastardo, quel suo modo arrogante di sfidare tutto e tutti. Basta. Non ti voglio più qui.”

“Quello che stai facendo a questa famiglia è ingiusto ed è una violenza, te ne rendi conto? Papà se n’è andato per scappare da te.” Mormorò rabbiosamente Lia.

“Tu mi parli di violenza? Tu non sai nulla della violenza, puttanella. Sei come lui. Lo stesso egoismo, lo stesso disprezzo per chi vi pulisce la merda dal culo. Basta. Sei fuori. Fuori da casa, fuori dal cuore.”

Lia trasalì. Non aveva mai sentito sua madre esprimersi così.

“È inutile che fai quella faccia stupita.” Sibilò Teodora. Non c’è spazio per te in questa casa. Sei fuori, capito? Studia, fai quello che vuoi, ma da oggi sei sola. Non ti voglio più vedere in casa.”

“Vorresti che me ne andassi? Lasciandoti spadroneggiare su Luca e Alessio? Non ci penso proprio.”

“Non hai molta scelta, piccola Lia.” Ghignò sua madre, beandosi dell’espressione interrogativa sul volto di Lia prima di proseguire: “La tua partenza risolverà due problemi. Da un lato non ti dovrò più vedere ciondolare in casa, dall’altro lato tuo zio sarà ben accudito. Io coprirò le sue spese mediche e tutto il resto, come hai detto tu. Ma tu… tu te ne andrai.”

“Cosa c’entra lo zio? Perché lo tiri in mezzo? Mi stai ricattando!”

“Sai bene che senza di me tuo zio non ce la farebbe. Vuoi che il vegetale sia innaffiato? Vattene, e io mi occuperò di tutto. “

“Non posso credere che tu stia davvero dicendo questo. Se non provvederai a lui, l’intera parrocchia ti isolerà come meriti.”

“Mettimi alla prova. Vuoi davvero rischiare sulla pelle di quel povero moribondo?”

Lia esitò. Le parole le uscirono con molta fatica, stavolta: “Mi vergogno di averti come madre.”

“Oh, gioia. Sono molto più generosa di quanto pensi. Invece di sbatterti in mezzo a una strada, continuerò a provvedere a te. Io ti pagherò tutto: libri, affitto, cene. Dirò in giro che stai studiando come una matta, che non hai tempo per nient’altro, che sei una figlia perfetta e in cambio tuo zio avrà tutto quello di cui ha bisogno.”

Un momento di silenzio, carico di tensione.

“Ma non ti voglio più vedere qui. È chiaro?”

Lia sapeva che stava facendo un patto col diavolo che regalava i suoi fratelli a quella megera ma non poteva avere lo zio Roberto sulla coscienza.

Non aveva molta scelta. Annuì, piano.

“Domani stesso partirò.”

Teodora fece una smorfia di compiacimento e alzandosi sputò per terra, proprio accanto alla figlia.

“Brava.” Disse, rientrando.

Lia rimase lì, quasi in lacrime; sentì la vergogna di avere una madre così meschina, carne della sua carne e sobbalzò quando sentì una voce dietro di lei.

“Ne valeva la pena?” Chiese Anna, sola, appartata dietro una finestra. Doveva aver sentito tutto.

“Forse no. Mi sono lasciata trascinare..” Rispose Lia, malinconica.

“Ti succede spesso..” Precisò Anna con tono leggermente scherzoso.

Lia ridacchio tristemente, scuotendo la sua bella chioma bionda.

“E adesso?” Domandò Anna.

“Temo che dovrò andare via, per un po’.” Lia sentì un magone. Proprio adesso che..

Anna con una mano tremante, sollevò il viso di Lia e le sfiorò le tenere labbra in un bacio dolce e malinconico. Si staccarono appena, senza altre parole.

“Tranquilla, biondina. Noi non ci perderemo mai.”

Non riuscì a dire altro, sentendo l’abbraccio della mora stringerla, con trasporto, il silenzio rotto solo dal fruscio delle foglie mosse dal vento.

One Comment

  • eric23 eric23 ha detto:

    Un altro capitolo eccellente, intrigante e pieno di carica erotica ma non solo.
    Sai veramente scrivere benissimo. La carica emotiva di ogni personaggio è palpabile e nulla è lasciato al caso.
    Non vedo l’ora di leggere gli altri capitoli.
    Spero solo che non finisca presto, anche se la trama sembra avere ancora tanto da dire.
    Avrei tantissime curiosità da chiederti, se volessi, senza disturbo, puoi contattarmi alla mia mail ericcantona2312@yahoo.com .
    Mi farebbe un enorme piacere.
    Grazie ancora per le tue storie.
    Eric

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