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Racconti Erotici Etero

Nel mezzo ci sono io

By 29 Maggio 2013Dicembre 16th, 2019No Comments

Ognuno ha il proprio modo di espiare i propri peccati.

C’è chi si affida all’anestetico caldo e sicuro della religione, demandando a un Dio che non vede e che non sente, la remissione delle proprie colpe o del proprio senso di colpa e dei propri dolori.

In fondo non ha ragione John Lennon quando dice che

‘God is a concept
By which we measure
Our pain’

Ma non è una domanda.

Non vi è punto interrogativo ad elemosinare conferme nelle altrui solitudini.

Non è una domanda, ribadisco.

E’ un assunto.

E’ un asserzione.

C’è invece chi intraprende la strada del proprio privato ‘cammino di Santiago’ e si affida alle cure redentrici di un seguace di Freud.

Lunghe ed estenuanti sedute, finalizzate ad estirpare una sorta di male oscuro o semplicemente a portare alla luce un personalissimo e troppo spesso incompreso e inascoltato L.O.L. (lato oscuro della luna).

Su Dio non posso dire niente.

Non lo conosco abbastanza per poterne parlare.

Sulla scoperta del L.O.L., potrei dire, forse poco di più.

Potrei dire quanto è dolorosa la strada che corta alla scoperta del sé.

Potrei dire quanto è faticosa.

Potrei dire che alle volte si ha sensazione di lottare contro i mulini a vento (non avrete mica creduto che mi sia chiamata Dulcinea solo perchè in un Musical degli anni ’70, la donzella in questione , veniva designata come una puttana capace di ispirare grandi imprese in un nobile ‘sbrindellato e scalzo’ come il fu compianto Don Chisciotte? Nel libro di Cervantes in realtà costei era solo una contadina povera ed ignorante’altro che cortigiana di alto bordo!).

Ma poco di più, potrei dire, che non sia già stato detto.

Quindi’

Non vi dirò niente di tutto ciò.

Non è questo il momento e non è questo il tempo.

Vi racconterò semplicemente una storia.

La MIA storia.

Vi racconterò la storia di una delle tante Dulcinea che hanno abitato la mia pelle.

E ve la racconterò con lo spirito sornione di un folletto oppure con la leggiadra malinconia di una fata.

Con il candore di una novizia e con la lascivia di una cortigiana.

Vi racconterò quello che è stato e che non è stato.

Vi racconterò verità soavi come bugie.

E narrerò di menzogne incoercibili come confessioni.

Vi narrerò la mia storia con voce tremate ed occhi affogati di pianto.

E ve la racconterò con il sorriso beffardo ed insolente di un fauno o di un satiro.

Non parlerò di sesso.

Non solo di sesso almeno.

Ma il sesso c’entra.

Come sempre.

Il sesso è l’inizio e la fine di molte storie.

Nel sesso mettiamo noi stessi.

Mettiamo il nostro corpo.

Mettiamo la nostra anima e le nostre abilità.

Qualche volta mettiamo anche il nostro cuore.

Troppo spesso dimenticando di scriverci sopra la parola ‘fragile’.

E troppo spesso, con forza uguale, ma in direzione contraria, scrivendoci sopra a caratteri cubitali ‘vuoto a perdere’

E poi’

E poi mettiamo le nostre fantasie.

Le nostre perversioni.

I nostri inganni.

Il sesso è l’alpha e l’omega di questa storia.

Nel mezzo, ci sono io.

Doctor, doctor won’t you please prescribe
somethin
A day in the life of someone else?
Cuz I’m a hazard to myself’

I wanna be somebody else.
(Don’t let me get me – Pink)

Ci sono momenti nella vita di ognuno di noi, in cui necessariamente desideriamo essere qualcun altro.

Dico necessariamente perché, il più delle volte, non è una scelta manieristica o di stampo new age, una cosa del tipo ‘abbandono i miei abiti di sempre e divento un altro inseguendo un maestro, un guru o un personale e mistico alter ego’.

Nella maggior parte dei casi è una questione di sopravvivenza ed il pensiero che sottende a questo, chiamiamolo, desiderio è la ferrea volontà e la razionale consapevolezza che ci potremmo salvare solo se non ci facciamo prendere da noi stessi, in quanto siamo il nostro peggior nemico.

C’è stato un momento in cui, anche io come molti, ho davvero desiderato essere qualcun’altra, pur di non dover sopportare quel senso di soffocamento che, schiacciandomi il petto in modo continuato e continuativo, mi impediva di fatto di respirare e di vivere normalmente.

Vi hanno mai spezzato il cuore, tanto da desiderare di non averne più uno, perché se non ne avete più allora vuol dire che nessuno ve lo potrà mai più rompere nuovamente?

Eh già, perché il cuore è un gran figlio di puttana, cari miei.

Fa un sacco di discorsi, fa un sacco di promesse sul fatto che non si farà fare più del male, che starà attento la prossima volta, che è diventato grande e che ora ha capito la lezione e bla, bla, bla’

E poi, come il peggiore alcolista inveterato al primo shottino offerto (non dico nemmeno un’intera bottiglia di pessimo whisky,ma un misero shottino) pensa’ma sì dai’cosa vuoi che succeda mai, in fondo come dicevo prima’sono diventato grande e cazzuto e nessuno mi fotterà mai più, al massimo fotteranno quella che mi ospita e il più delle volte con suo sommo piacere.

Quindi andiamo, buttiamoci, questa volta andrà tutto bene!

E, inevitabilmente, poco tempo dopo siamo a raccogliere nuovamente i pezzi del nostro cuore temerario, la cui unica colpa in fondo, in fondo è solo quella di essere un po’ zuccone e di non riuscire mai a tenersi a quella dovuta distanza di sicurezza, cosa che almeno ci permetterebbe di non smusarci frontalmente contro un Tir.

Ok’chiudo questo preambolo che ritengo vi abbia già tediato oltre modo.

La storia che sto per raccontarvi prende le mosse da questo avvenimento (dal mio cuore ridotto a brandelli), da un nome e da un viso che non dimenticherò mai e da uno dei periodi più incasinati, convulsi, agitati e tutto sommato divertenti della mia vita.

Sì perché dovete sapere che io ho questa caratteristica che mi ha salvato il culo più volte: quando mi girano i coglioni a fiamma o quando sto male per qualcosa, sviluppo un’indiscussa abilità che mi rende apprezzabile come animatrice in feste di compleanno, addii al nubilato, bar mitzvha o cene aziendali.

No, non divento troia, non più del solito almeno!

Divento una sorta di Gabriele Cirilli in gonnella (vi ricordate quello di ‘chi è Tatiana’?) anche se rispetto a lui sono più carina e soprattutto ho due tette che a tutto mi fanno assomigliare tranne che ad un uomo e forse nemmeno a Tatiana!!!!

Quindi’sempre per citare un grandissimo film che ho già ricordato in altri racconti e che non mancherò di menzionare ancora (Berlinguer ti voglio bene’andate a vedervelo per carità prima di morire’) ‘ Fine diricreativo si principia avviare i’ curturale!!

E per culturale (tranquilli è detto con ironia e anche un pizzico di caustico sarcasmo) intendo che si parlerà di sesso ovvero di quello che ritengo essere l’interesse principale e primigenio che induce chi si affaccia più o meno timidamente a Milu a venire a sbirciare i racconti di noi, chiamiamoci ‘autori”molto pomposamente detto (e anche un po’ pompinosamente diciamocelo pure!!!).

Quindi’Once upon a time’

Ero al terzo anno di Università ed era appena terminata la lezione di ‘Storia della chiesa medievale e dei movimenti ereticali’.

Come ogni studente che si rispetti, conclusa la lezione mi trovavo nell’atrio della facoltà intenta a fumare una sigaretta e a cazzeggiare con i miei compagni di corso.

Il nuovo anno accademico era appena iniziato e quindi ancora si sprecavano i racconti su cosa avessimo fatto durante l’estate, su come erano andati gli esami della sessione di settembre/ottobre, su quali corsi avremmo seguito in quel nuovo anno e altri discorsi di tal guisa.

Mentre sono intenta a chiacchierare con un mia carissima amica calabrese di nome Virginia la quale mi stava raccontando della sua vacanza in interrail, mi sento toccare la spalla e mi volto, trovandomi davanti il viso sorridente di Francesco.

‘Ehi Francy, come stai? è da un po’ che non ci vediamo’come è andata l’estate?’ gli chiedo io abbracciandolo e dandogli un fraterno bacetto sulle guance.

‘Mi sono adagiato sulla passera, questa estate” mi risponde lui laconicamente.

Reprimo una risata perché, dovete sapere, Francesco non era esattamente né un adone, ne tantomeno un t(R)omber de famme.

Piuttosto piccolo (anzi’basso proprio), un po’ rotondino e con una capigliatura che dire improbabile era un complimento (portava infatti i capelli da una parte rasati e con una sola treccina, dall’altra lunghi e colorati di fuxia e verde fustagno) non aveva di certo attributi fisici evidenti tali da attirare gli sguardi né di donne, né di uomini, né di trans!

Ora è vero che l’abito non fa il monaco e che dobbiamo andare oltre le apparenze, alla ricerca (vana il più delle volte) dell’essenza profonda di che ci sta di fronte’ok’ma anche l’occhio vuole la sua parte e con Francesco era impresa ardua!

Aveva dalla sua tuttavia un carattere allegro, sempre pronto alla battuta, ironico, per niente ipocrita e terribilmente intelligente e profondo.

‘In che senso scusa’di quale passera parliamo?’ gli domando.

‘Della passera di mare’questa estate mi sono strafogato come un porcello e adesso’guarda qui come sono messo!!!’

Mentre dice queste cose si prende con le mani una consistente lonza che, nel corso di questi due mesi, è andata ad ingrossare visibilmente il suo girovita.

‘Che passera avevi capito’malpensante’ ride lui con la sua naturale autoironia.

‘Quella a cui pensi tu ogni volta che ti fai una pippa!’ gli rispondo io ridendo sgangherata.

‘Sono proprio contento’ dice Francesco guardandomi sorridente.

‘Di cosa?’

‘Di ritrovarti sempre così signora’è sempre un piace ascoltare le tue dotte disquisizioni!’.

Mentre io e Francesco continuiamo, tra un sigaretta e l’altra, il nostro scambio di battute, mi accorgo che si è avvicinato al nostro gruppetto un ragazzo che non conosco.

‘Ciao Francesco” dice il nuovo arrivato rivolgendosi al mio amico che nel frattempo ha tirato su la maglietta mostrando dal vivo, a tutti i presenti, la sua pancetta prominente.

‘Uè ciao Tommaso’vieni dai che ti presento un po’ di gente’ gli risponde Francesco tirando giù la maglia, senza il minimo imbarazzo

‘Lei è Virgina che vergine ormai non è più da mo’, lui è Giorgio che è come me, tanto simpatico quanto brutto, quella là con i capelli viola è Martina, poi ci sono Sergio e Claudio che sembrano gay e in effetti lo sono e questa è Miki ovvero la versione dark e più brutta di Britney Spears!’.

‘A chi le dai e a che le prometti, vero Francy???’ dicono alcuni dei presenti, introdotti con tanta e tale dovizia di particolari.

‘Che volete farci sono di natura scherzosa’ risponde lui.

‘No, no, no’Francy, tu sei uno scherzo della natura, come me d’altronde’ echeggia Giorgio (quello brutto, ma simpatico).

Ridiamo tutti con lui e di noi stessi. Io per prima.

In effetti la descrizione di Francesco (a parte per il brutta, s’intende!!!) è davvero calzante: all’epoca e in quel particolare frangente, ero una sorta di incrocio tra la versione lolita della cantante di ‘Baby one more time’ ed Abby Sciuto di NCIS (che ancora nessuno conosceva a quei tempi!).

Indossavo infatti una minigonna scozzese rossa, calze nere sopra il ginocchio, una maglia, nera anch’essa, con un teschio, i miei immancabili Doctor Martins e portavo i capelli raccolti in due codine con tanto di campanellino legato all’elastico.

Do una gomitata nel fianco a Francesco, mentre tendo la mano sorridente a Tommaso.

Lui prende la mia mano e la stringe con vigore.

‘Bella stretta’ penso io ‘la mano mencia è odiosa’soprattutto in un uomo!’

‘A me non sembri la brutta copia di Britney Spears’anzi’ti trovo molto carina!! Secondo me Francesco dice così solo perché non gliel’hai data!!! Comunque i sonaglini alle code sono assolutamente adorabili’ mi dice lui sorridente, continuando a tenermi la mano e guardandomi negli occhi in un modo tale che ho sentito subito un pericolosissima stretta allo stomaco.

Io non ho mai creduto nel colpo di fulmine.

Fino a quel momento.

Continuiamo a tenerci la mano e a guardarci negli occhi e solo l’intervento di Francesco ci costringe e ritornare al presente.
‘Oh, basta’lasciagliela la mano, Tommy’ok, Miki’mi sa che hai fatto colpo!!!!’.
Lasciamo andare le mani e sorridiamo entrambi un po’ imbarazzati e torniamo nel gruppo.

Mi sento strana in quel momento e non riesco più a seguire le chiacchiere dei miei amici.

Mi accendo un’altra sigaretta e, fingendo di ascoltare i vari aneddoti che gli altri stanno elencando, di fatto me ne vado nel mio mondo, fatto di desideri, progetti, sogni, paure e naturalmente segoni mentali a non finire.

Mi brucia quasi la mano che questo strano sconosciuto ha tenuto prima.

Non capisco cosa sia questo formicolio che sento nello stomaco e alla base della nuca; mi sento inspiegabilmente incastrata, come se fosse accaduto qualcosa che non avevo previsto e che tuttavia mi ha come trascinato via.

‘E tutto per una stretta di mano, pensa se mi avesse messo una mano sul culo!!!’ penso tra me.

‘Sarebbe stato meglio’almeno si sarebbero ristabilite le giuste distanze’ aggiungo, constatando mentalmente che è stato proprio il modo di porsi diretto e quasi sfrontato di Tommaso che mi ha fatto sentire quella scarica elettrica.

Ho sempre odiato avere la percezione che le cose succedano mio malgrado.

Di fatto sono una persona che ama avere il controllo su tutto, sentimenti compresi.

Ero e tuttora sono una donna che programma minuziosamente qualsiasi cosa: la spesa settimanale, gli impegni con i vari incastri tra appuntamenti diversi, persino quali vestiti mettermi e quali accessori abbinare.

Non lascio niente al caso, io.

Oddio è anche vero che poi, programma-programma alla fine perdo sempre qualcosa tipo chiavi, occhiali e cellulare ed ogni volta che vado fuori, prima di uscire di casa, devo fare l’appello e la conta ‘celo,manca’; ma in generale amo la pianificazione minuziosa delle mie giornate!

Con Tommaso è stata la prima volta, in vita mia, che qualcosa è successo senza che lo avessi previsto, né voluto, né cercato.

‘La vita è quello che ti succede mentre stai facendo altri progetti” diceva John Lennon.

Non avete idea di quanto possa essere vero!

Né di quanto possa essere pericoloso.

CONTINUA

Da quando Francesco ci aveva presentati, incontravo Tommaso in ogni dove.

Se andavo alla mensa della facoltà lui immancabilmente arrivava dopo due minuti e si metteva a mangiare al tavolo con me; mentre ero nel cortile della facoltà intenta a fumare e a riguardare gli appunti presi durante le lezioni, lui appariva; lo vedevo materializzarsi nei corridoi dell’Università, in biblioteca, al bar’ovunque, tanto che alle volte mi guardavo intorno con aria circospetta perfino quando dovevo andare in bagno, nel timore di trovarmelo appostato dentro allo sgabuzzino del cesso.

Ricordo una volta che ero in ascensore (per salire al secondo piano, va bene e allora??? L’edificio della facoltà di lettere della mia città è un edificio antico e i suoi due piani sono alti quanto l’Empire State Building’quindi ascensore tutta la vita per salire!!!)’insomma, dicevamo, ero in ascensore e ricordo di aver pensato ironicamente (a quel punto della storia potevo ancora permettermi l’ironia): ‘Stai a vedere che quando si aprono le porte dell’ascensore, mi ritrovo davanti Tommaso!!!’

E, incredibile dictu, quando l’ascensore si è fermato e le porte si sono aperte lui era lì davanti a me.

Abbiamo spalancato gli occhi entrambi e lui ha esordito con ‘Giuro che non ti sto pedinando’ forse conscio che tutte quelle casualità cominciavano a diventare leggerissimamente sospette.

‘Macchè, tranquillo,Tommy’mai pensata una cosa simile!!!!’ ho risposto io, benedicendo il fatto che Pinocchio fosse solo una fiaba e che a me il naso non sarebbe diventato lungo, andando in tal modo a dimostrare che stavo spudoratamente mentendo.

Tutto questo preambolo per dire che allora ero veramente convinta che il destino mi stesse lanciando inequivocabili, quanto benevoli, segnali del tipo: ‘Questa volta andrà bene’!’

E certo, perché quando uno una cosa non se la va a cercare, ma gli capita tra capo e collo; quando tutte le coincidenze del destino (bastardo porco e porco bastardo anche se quello lo si scopre sempre a posteriori) ti indicano una certa direzione; quando senti uno stano formicolio nello stomaco e improvvisamente le lunghe giornate in facoltà diventano leggere come farfalle; e infine quando tutto l’universo sembra cospirare affinchè si realizzi quello che il tuo cuore timidamente e sottovoce chiede’perché pensare che qualcosa possa andare storto?

Perchè se il cuore è un gran figlio di puttana, come ho già avuto modo di dire, la sfiga è la madre di questo cuore e quindi una grandissima troia.

Inoltre, mai dimenticare la fottuta legge di Murphy (Dio lo stramaledica, lui e la sua sfigatissima massima che porta più merda della Signora Fletcher) che come tutti sanno, sentenzia lapidariamente che ‘se qualcosa può andar male lo farà’ e nel peggiore dei modi, aggiungerei io, giusto per pignoleria.

Tommaso era quello che possiamo definire un adorabile bastardo’ non bellissimo, ma tremendamente sexy, proprio per quella studiata nonchalance che sicuramente lo contraddistingueva dal resto dei ragazzi che frequentavo all’epoca; carino, gentile, mai sopra le righe, sempre pungente e quasi caustico, assolutamente conscio del proprio carisma e della propria intelligenza e prontissimo ad usare sia l’uno che l’altra, in modo alternato o congiunto, come armi di distruzione di massa.

Piuttosto alto e magro, con un fisico ben tornito anche se non troppo muscoloso, portava i capelli, di un castano scuro, corti e spettinati (non credo fosse un vezzo, credo solo fosse il risultato delle numerose ritrose) e vestiva sempre in modo accuratamente alternativo.

La cosa di lui che mi ha conquistato tuttavia sono stati gli occhi che erano di un bellissimo color nocciola ed avevano un’espressione così intensa e mutevole che potevi perderti nel tentativo di leggervi dentro tutta la caleidoscopica gamma di emozioni che in un nanosecondo manifestavano.

Quando qualcuno, che a lui stava evidentemente sulle palle, diceva una stronzata, se osservavi attentamente l’espressione delle sue iridi, quasi potevi vederle attraversate da un lampo di vittoria, come a dire: ‘Ora ti sputtano”.

Eppure quegli occhi che a molti incutevano timore e che sembravano, in alcun frangenti, quasi luciferini, sapevano essere anche dolci e sensuali e potevano conquistarti con un semplice battito di ciglia.

Mai fidarsi di occhi del genere, mutevoli quanto il cuore di colui a cui appartengono!

***

Il nostro primo bacio, io e Tommaso, ce lo siamo dati nel sottoscala di un locale dove una sera eravamo andati, insieme ad altri compagni di Università, a sentire un concerto di musica magrebina.

Date retta a me’qualunque possa essere il peccato che avete da scontare, affidatevi alla magnanimità o alla collera, se preferite, di Nostro Signore oppure rimandate alla prossima vita la vostra redenzione appesantendo ulteriormente in questa il vostro Karma, ma non flagellate la vostra anima e le vostre orecchie con la musica magrebina!

Personalmente, dopo dieci minuti che stavo ascoltando quei suoni di imprecisata natura avevo già in mente di mettere su una ditta di pulizie a domicilio: già perché le palle mi era talmente rotolate a terra che con poca fatica e massimo realizzo avrei potuto spazzare e tirare a lucido metri quadri su metri quadri di pavimenti!

Ma allora il mio spirito imprenditoriale era decisamente down, come oggi del resto.

L’idea di questo concerto era stata di Francesco e, sia prima che dopo, era apparso talmente tanto entusiasta della sua idea che a me era venuto il lecito sospetto che durante l’estate in realtà non si fosse adagiato soltanto sulla passera (di mare), ma anche su vagonate di Lsd o di metanfetamina tagliata male e che avevano innegabilmente lasciato numerosi neuroni cadavere lungo la strada.

‘Allora ragazzi” aveva esordito Francesco una mattina durante una pausa tra una lezione e l’altra ‘questo sabato al Siddartha c’è un concerto di musica magrebina’ci suona un tipo che è amico di Lucio, il mio nuovo coinquilino. Che dite ci andiamo???’

Ci guardiamo tutti un po’ perplessi e nessuno osa dire niente.

Francesco è il Ragionier Filini del nostro gruppo: ha decisamente molta iniziativa, questo bisogna riconoscerglielo, però, il più delle volte, ci trascina a vedere delle cazzate al confronto delle quali la ‘Corazzata Kotiomkin’ è un capolavoro avanguardista anziché un cagata pazzesca.

Una sera dell’inverno precedente per esempio, ci aveva trascinato in un locale sperso nelle campagne per vedere una performance teatrale MUTA.

Due ore, interminabili e silenziose (guai a fiatare’), a vedere quattro stronzi che mimavano, male per giunta, le azioni invece di parlare e che avevano un’espressività facciale (basilare nelle rappresentazioni mute) degna delle peggiori lobotomie anteguerra.

Francesco, a tutt’oggi, deve andare ad accendere un cero alla Madonna ogni giorno perché poco ci era mancato che lo lasciassimo in aperta campagna, al buio, al freddo e, per aggiungere un po’ di lecito sadismo, ignudo!!!

Si era salvato solo perché era l’unico che conosceva la strada e a fine serata un navigatore umano si era rivelato fondamentale per tornare a casa sani e salvi, tenuto conto dell’incommensurabile tasso alcolico a cui avevamo dovuto far riscorso per sopportare lo spettacolo (pietoso!!!).

‘L’ingresso costa solo 10 mila lire (eh sì cari miei’a quei tempi c’erano ancora le lire’) e le bevute sono illimitate” aggiunge Francesco, sapendo che con questa precisazione le sue quotazioni sarebbero schizzate alle stelle.

E infatti, come volevasi dimostrare, l’aggettivo ‘illimitato’ legato indissolubilmente al sostantivo ‘bevuta’ ingenera immediatamente un plebiscitario consenso generale da elezione bulgara.

‘Miki’tu ci vai?’ mi chiede Tommaso che, guarda caso, è seduto vicino a me, sfiorandomi il dorso della mano.

‘Penso di sì’se non altro per prendere poi per il culo Francesco e poi’sì’per la bevuta illimitata! Tu, vieni?’ gli chiedo sentendo che il cuore accelera i battiti.

‘Sì ci vengo’ma solo perché’voglio vederti danzare” e inizia a canticchiare la canzone di Battiato che porta il medesimo titolo.

‘E sai che spettacolo” sdrammatizzo io, diventata nel frattempo rossa per l’emozione di sentirmi accomunata a quella canzone.

Lo spettacolo è alle dieci e mezzo e noi abbiamo fissato di trovarci di fronte alla facoltà alle nove in modo tale da poterci fare un birra al pub prima di avventurarci al locale: non fa mai male arrivare preparati quando si tratta di presenziare ad una delle iniziative di Francesco e non si sa mai quanto possa rivelarsi provvidenziale un’adeguata alcolemia.

La sera, prima di uscire, passo quasi un’ora a decidere cosa mettermi, a sistemarmi i capelli e a truccarmi

Non voglio essere nè troppo sexy, né troppo sportiva: vorrei cioè trovare quel giusto mix che mi faccia sentire desiderabile, ma anche comoda e a mio agio.

In poche parole non vorrei snaturarmi e non vorrei fare la figura di quella che si tira a lucido solo per impressionare uno carino e che sembra interessato a lei.

Tuttavia, per pura vanità femminile, non voglio nemmeno dare l’impressione di essere una di quelle che agguantano la prima cosa che trovano nell’armadio.

Insomma’dupalle’con tutti questi segoni va a finire che faccio tardi e che mi tocca pure mettermi la tuta da ginnastica che giace da due settimane sulla sedia accanto al mio letto!

Legandomi le mani, che altrimenti partirebbero leste e birichine alla volta del prossimo segone (mentale), opto per un vestitino nero di lana sottile corto (ma non troppo’) con le maniche a pipistrello e scollato sulla schiena, che mi fa due tette da urlo diciamocelo, e degli stivali neri anch’essi con appena un pochino di zeppa (non si sa mai’vuole vedermi ballare’con i tacchi non mi riesce e va a finire che inciampo!).

Mi trucco in modo scrupoloso, senza esagerare, curando in modo particolare gli occhi e le labbra che rendo lucide e rosse come ciliegie mature.

Completano il quadro i miei capelli, questa volta acconciati a principessa Leila di Guerre stellari, ovvero con due trecce fermate a crocchia ai lati della testa.

Per questa volta niente campanellini’non vorrei dar fastidio ai magrebini mentre suonano!!!

Mi guardo allo specchio e l’immagine che rimanda tutto sommato mi soddisfa; infilo la mia mantella nera con cappuccio, i miei guanti lunghi fino a sotto il gomito e armata di propositi tutt’altro che casti mi avvio verso la mia facoltà.

Ho appena parcheggiato la macchina che sento arrivare un sms.

Lo leggo. E’ di Francesco: ‘Dai sbrigati, ritardata’aspettiamo solo te’

‘Guarda che si scrive ritardataria’scemo!’ gli rispondo smanettando sui tasti del cellulare, mentre mi incammino velocemente all’appuntamento ‘Ho appena parcheggiato, il tempo di caracollare fino a voi e ci sono. E poi scusa, ma non si era detto che il quarto d’ora accademico di ritardo era compreso nelle tasse universitarie?’.

‘Il quarto d’ora va bene, i quaranta minuti un po’ meno” mi risponde lui.

‘Ops (faccina con linguina di fuori a dire’mi hai beccato’)’arrivo!’.

Finalmente giungo a destinazione e dopo qualche battuta sul mio ritardo cronico (cosa per cui dovrei chiedere un tagliando di riconoscimento o quanto meno un’esenzione!) ci avviamo tutti al pub che, fortunatamente, è proprio dietro l’angolo.

Mentre chiacchiero con Virginia, sento cingermi le spalle.

Giro il volto di lato e vedo che è Tommaso che con nonchalance mi ha abbracciato.

‘Sei perdonata!!’ esordisce lui.

‘Per cosa scusa?’

‘Per essere arrivata tardi!’

‘E cosa avrei fatto per meritarmi il tuo perdono?’ gli chiedo io un po’ interdetta da questo scambio di battute.

‘Sei troppo carina stasera’ecco cosa hai fatto!’.

Lo dice continuando a tenermi un braccio intorno alle spalle e guardando la strada, mentre un sorriso quasi beffardo gli increspa le labbra.

Faccio appello a tutto il mio autocontrollo, per seguitare a camminare con disinvoltura e chiamo a raccolta i miei neuroni, perché in questo preciso momento, ho bisogno di lasciarmi condurre dal loro pilota automatico, poiché da sola non ce la farei; mi sento le gambe molli e avverto una sensazione di formicolio allo testa.

‘Anche tu sei carino stasera’ dico dopo almeno due minuti di silenzio, durante il quale lui è apparso perfettamente a proprio agio, mentre io mi sono sentita come San Lorenzo sulla graticola.

In effetti stasera Tommaso è bello come poche altre volte l’ho visto: indossa un paio di pantaloni neri larghi alla gamba, ma che, in modo inspiegabile, arrivano a mettere in evidenza il suo culo (da urlo!!!), sopra indossa un maglioncino di lana fine con lo scollo a V che delinea in maniera provocante e provocatoria le sue spalle che trovo essere la parte più sexy di lui.

Quando entriamo nel pub, noto che siamo gli ultimi: è rimasta una sola sedia, per il resto il locale è strapieno.

‘Vieni” mi dice Tommaso, sedendosi e trascinandomi dietro di lui ‘ti tengo in braccio io”

‘Ma no dai’ti peso!!!’ mi schernisco, facendo il gesto di tirarmi su.

‘E dai’ e quanto peserai mai’.

‘Ok’ gli dico sedendomi sulle sue ginocchia ‘Ma se ti peso me lo dici e mi alzo’.

‘Va bene, se mi schiacci, ti scaravento per terra’no problem!’

Mi cinge la vita e quasi sento una scarica elettrica nel punto in cui mi tocca.

Non sono di certo pesante, proprio per niente, però mi sento stranamente imbarazzata dal trovarmi seduta sopra di lui.

Non riesco quindi a rilassarmi e sto con le gambe in tensione per non gravare sulle cosce di Tommaso.

Dopo neanche cinque minuti infatti sento i muscoli indolenziti e quasi tremanti per lo sforzo: mi muovo un po’ e mi agito, ma quando faccio per alzarmi, Tommaso passa entrambe le braccia intorno alla mia vita e mi dice piano all’orecchio: ‘E rilassati un attimo’Miki, non mi pesi per niente, anzi’mi piace moltissimo tenerti in braccio’fosse solo per il tuo profumo di vaniglia!’.

Depongo le armi e mi abbandono, pensando dentro di me: ‘Se ti viene l’ernia, sono cazzi tuoi!!!’.

Al momento di andare via, verifichiamo che siamo dodici: troppi per andare con due macchine, pochi per andare con tre.

‘Io ho la moto’ dice Tommaso ‘io posso venire con quella e qualcuno viene dietro con me!’.

Mi sento in un momento tutti gli occhi puntati addosso, compresi quelli di Tommy.

‘Perché mi guardate??’ chiedo rivolta alla muta platea che mi sta occhieggiando.

‘Vai tu con lui, no, Miki’!!’ dice Virginia e mi fa l’occhiolino.

‘Sì dai vieni tu’ormai ho ponderato bene il tuo peso e so che la mia moto lo sopporta!’ le fa eco Tommaso.

Io mi sento avvampare, ma ormai sono incastrata.

‘Va bene, vengo, ma pelamordiddio Tommy, vai piano che ho paurissima”

Arrivati alla moto mi metto il casco e mi isso su quella bestia a due ruote.

Tommaso mette in moto e parte.

Non va piano, anzi corre, non come un pazzo, ma in maniera sostenuta.

E a me non resta altro da fare che stringerlo forte, tanto che mi viene il dubbio che stia andando veloce apposta per farsi tenere stretto.

Per il concerto, il locale è stato sistemato in modo da dare l’idea di entrare in una tenda nel deserto; alle pareti sono stati approntati dei tendaggi di un caldo color ocra e sul pavimento, ricoperto interamente da tappeti, sono stati sparsi ovunque numerosi cuscini. Completano l’atmosfera delle lanterne multicolore e dei tavolini bassi su cui campeggiano degli interessanti narghilè e delle teiere in metallo cesellato da cui promana un invitante profumino di tè alla menta.

Le luci sono soffuse e l’aria profuma di gelsomino.

Finalmente il concerto ha inizio.

Al centro della scena appaiono due musicisti: uno suona una specie di chitarra e l’altro un tamburo.

Per la sala si sentono riecheggiare le prime note.

La musica magrebina ha un che di aspro, quasi di stonato.

Non so se non sono un granchè i musicisti che abbiamo di fronte o se è proprio la tipologia di musica che è così, ma dopo venti minuti non ne possiamo già più e a niente servono il tè alla menta, né i narghilè riempiti solamente con del comune tabacco.

Mi avvicino all’orecchio di Tommaso e a bassa voce gli sussurro ‘Mi sto facendo due palle, grosse come una casa!!’

‘Ma tu non hai le palle!’ mi risponde lui.

‘Non le avevo, ma mi sono cresciute e adesso mi è pure venuta l’orchite!!!’

‘Non ti piace la musica magrebina’mi pare di capire!’

‘Preferisco gli Skunk Anansie’!’

Tommaso mi guarda con intensità.

Mi sento nuda di fronte a quello sguardo. Non riesco a sostenerlo e mi volto nuovamente a guardare il duo al centro della scena.

Non faccio in tempo a girarmi che sento vibrare il cellulare.

Tiro fuori il telefonino dalla tasca e vado a guardare il messaggio.

Cos I don’t want you, to forgive me’You’ll follow me down’!

Mi volto con gli occhi spalancati.

Se fossi una Medusa, potrei pietrificare Tommaso che mi sta osservando con la coda degli occhi.

Mi tremano le mani.

Mi tremano le labbra.

Mi alzo, spinta da un impulso.

‘Dove vai?’ mi chiede Tommy.

‘Ho bisogno di un po’ d’aria e ho bisogno di fumare”

Scappo velocemente e mi rifugio nel sottoscala del locale.

Fuori fa freddo, l’aria è pungente, ma mi fa bene.

Mi accendo una sigaretta e inspiro profondamente.

Sento qualcosa di caldo insinuarsi lentamente e inesorabilmente dentro di me.

Sento una sensazione di languore alla bocca dello stomaco.

E’ un sentimento di panico, avvelenato d’amore.

So che lui mi spezzerà il cuore, ora ne ho la certezza.

Non vuole che lo perdoni, vuole trascinarmi giù e vuole che lo segua.

Forse sono ancora in tempo a salvarmi, penso mentre inspiro la mia sigaretta.

Forse se mi allontano adesso, non mi farò del male.

Mi sento condannata, come Jessica Alba in Dark Angel quando vede il corvo oppure Sandra Bullock quando in Amori e Incantesimi avverte il rumore dell’insetto, entrambi messaggeri di sventura.

Voglio davvero seguirlo giù?

La vita è buffa alle volte e ci mette di fronte a delle scelte, che forse non sono scelte.

Non si tratta di decidere tra una strada o un’altra: si tratta di scegliere tra vivere o sopravvivere.

Si tratta di optare tra una grigia quotidianità e le luci stroboscopiche (molto scopiche’a pensarci bene!!!) dell’amore.

Quindi come si fa a scegliere’quando non si ha scelta!

Quando il nostro cuore ha già scelto per noi.

Voglio davvero seguirlo giù?

Voglio davvero farmi ingannare dalle mie emozioni e farmi dominare dalla sua volontà (sempre per citare gli Skunk)?

Fin dove sono disposta ad arrivare per lui?

Fin dove’

Mentre sono presa dai miei pensieri, con la sguardo perso nelle nebbie del tempo e la sigaretta mi si è quasi consumata tra le mani, sento due mani calde cingermi la vita.

‘Prenderai freddo”mi dice Tommaso mettendomi sulle spalle il giubbotto.

Mi volto e sento che le lacrime mi pungono gli occhi.

Lo so’sono perduta’lui mi spezzerà il cuore e non mi chiederà di perdonarlo e mi trascinerà giù.
Quale scelta è quella giusta?
Rischiare o desistere?
Forse l’unica possibile è vivere.

‘E’ vero ho freddo’!!!’ gli dico mentre, con slancio imprevisto, mi rannicchio tra le sue braccia.

‘Vieni qui’ti scaldo io’ dice Tommaso prendendomi il mento.

Ci guardiamo negli occhi per un momento che pare eterno.

Poi le sue labbra toccano le mie e finalmente le nostre lingue si perdono nel nostro primo bacio.

Fin dove sono disposta ad arrivare?

Adesso so la risposta, in questo momento la sento dentro tatuata a fuoco nell’anima come un marchio indelebile.

Fino alla fine e forse anche più giù.

La prima volta che ho fatto l’amore con Tommaso, mi ha tremato il cuore.

Non tanto per la repentinità, per la violenza quasi, con cui mi ha penetrata.

In realtà credo che non esista altro modo di fare l’amore, di farlo veramente intendo, se non quello di desiderarsi fino a sentire male, se non si può essere istantaneamente e completamente fusi e persi l’uno nel corpo dell’altra.

Mi ha tremato il cuore perché ho sentito che stavo facendo la cosa più giusta, con la persona più sbagliata.

Mi sono sentita predata.

Mi sono sentita braccata.

Il bello è che sapevo esattamente che ero preda di me stessa, del mio amore, del mio bisogno di farlo essere vero e reale.

Se ripenso adesso a quel sentimento che mi ha attraversato come un scarica elettrica, posso dire che sapevo esattamente come sarebbero andate le cose.

Solo che io volevo essere più forte di ogni sua perplessità, di ogni suo timore, di ogni suo dubbio.

Volevo essere quel qualcosa di speciale che così raramente capita nella vita.

Volevo un amore da vivere al di là del bene e del male.

Volevo la mia favola’poco importava se fosse a lieto fine o meno.

Solo che ignoravo, in quel momento, quanto cara mi sarebbe costata questa favola.

Tommaso si stacca da me e mi guarda.

Poi tocca, con il suo, la punta del mio naso.

‘Hai il naso freddo’!’ mi dice.

‘Come i gatti quando stanno per morire!!!’ gli vorrei rispondere, ma mi rendo conto in tempo che è una battuta macabra e decisamente fuori luogo per questo momento.

‘E’ vero’ mi limito a dire ‘fa freddo qui fuori, torniamo dentro”.

Faccio per incamminarmi verso la porta di servizio del locale, ma Tommaso mi trattiene per una mano.

‘Senti” mi dice mentre noto che dalla sua bocca esce del fumo, inequivocabile segnale dell’arrivo del primo vero freddo ‘ a me la musica magrebina, mi ha già rotto le palle’ce ne andiamo???’

‘Non si dice ‘a me mi’ gli rispondo io pentendomi immediatamente di quella affermazione del cazzo.

‘Come scusa?’ mi chiede Tommaso, sorridendo sotto i baffi.

‘Oh Gesù di Dio’solo pompini’la bocca la devo usare per fare solo pompini’ripetilo Miki’solo pompini’Devo proprio recitare questo mantra la sera prima di uscire, altro che”.

‘No niente Tommaso, ‘giuocavo”Che dicevi? Ah sì la musica’in effetti le idee di Francesco sono sempre terrificanti’è colpa nostra che ancora continuiamo a dargli credito’Con questa ha veramente toccato il fondo. Oddio anche lo spettacolo di danza sperimentale”.

Mi accendo una sigaretta, mentre parlo.

Sto sparando parole (e forse anche cazzate) a tavoletta ed evito di guardare Tommaso negli occhi.

I suoi invece non mi lasciano un attimo.

Vorrei trovare la voce per chiedergli perché mi sta guardando in quel modo, come se volesse leggermi dentro.

‘E se salutassimo gli altri e ce ne andassimo da me, a fare l’amore tutta la notte?’ mi chiede Tommaso a brucia pelo, allungando una mano a sfiorarmi lo zigomo.

Mi va il fumo di traverso, tossisco e per un momento credo di essere diventata cianotica, ma cerco di darmi un contegno, anche perché in questo momento mi sento la caricatura demente di Kermit, la rana dei Muppets Show.

Tiro su con il naso un paio di volte prima di parlare, cercando di far rilassare le mie corde vocali nel tentativo di riappropriarmi di una tono normale: essere la caricatura demente di Kermit può al limite andare bene (forse)’ avere la sua voce’anche no!

‘Certo che tu non vai per metafore o allegorie!!’ dico a Tommaso, guardandogli i piedi.

‘Cosa dovrei dirti’vieni su da me a vedere la mia collezione di farfalle?’.

‘Non so perché, ma ho il leggerissimo sospetto che tu mi stia sfottendo’ gli rispondo trovando finalmente il coraggio di alzare lo sguardo su di lui.

Pessima mossa’perché mi ritrovo inchiodata dai suoi occhi nei confronti dei quali ero ormai certa di avere stabilito una sorta di dipendenza.

‘Ti ho detto solo quello di cui ho voglia’Miki. Non c’è bisogno che ci giri intorno’quindi ti chiedo di nuovo: vuoi venire a casa mia a fare l’amore con me tutta la notte e anche di più?’.

Sento i suoi occhi incollati addosso.

Mi fa quasi male quello sguardo.

Perché è pieno di promesse che so che non potranno mai essere mantenute.

‘Non guardarmi così, Tommaso’ riesco solo a mormorare.

‘Così come?’ mi domanda di rimbalzo lui, avvicinandosi a me e sfiorandomi nuovamente le labbra con un bacio leggero.

‘Come se mi amassi’ rispondo io, sentendo inspiegabilmente un nodo di pianto alla gola.

‘Vieni via con me’ho voglia di respirarti stanotte’ mi dice lui, baciandomi questa volta con violenza.

Lo so che ha glissato, che ha accuratamente evitato di rispondere o di commentare la mia affermazione.

Sorrido adesso se ripenso alla spietata lucidità con cui ho sempre capito tutto delle intenzioni di Tommaso.

Senza per altro che questa lucidità mi sia servita a una bene amata minchia’questo è bene precisarlo per dovere di cronaca!

Durante la nostra storia mi sono sempre sentita divisa, scissa, quasi schizofrenica.

Perché se da una parte volevo crederci con tutta me stessa a questo amore, e solo Dio può sapere quanto ci ho creduto, dall’altra capivo quali fossero le sue reali intenzioni o meglio quanto oscuro fosse il suo amore.

Ma non c’è peggiore cecità di quella del cuore.

Non c’è peggior labirinto in cui smarrirsi.

E io con lui ero una cieca che vagava in un labirinto, senza la reale volontà di uscire da questo labirinto.

‘Allora’che mi dici?’ mi chiede Tommaso, staccandosi dalle mie labbra.

Il suo alito profuma di un misto di tè alla menta e tabacco, probabilmente ha fumato il narghilè.

‘Andiamo” trovo infine il coraggio di rispondergli.

Entro dentro al locale e cerco Virginia per avvisarla.

‘Senti Virgy’io vado via con Tommaso” le dico ballonzolando imbarazzata da un piede all’altro.

‘Nooooo’ecchiloavrebbemaidetto” sogghigna lei, mentre la sua bocca produce un arco perfetto da orecchio a orecchio, mettendo in mostra i suoi denti bianchissimi.

‘Come scusa?’.

‘Ma dai, Miki’è tutta la sera che ti guarda con occhio spermatico. Mi chiedo come tu abbia fatto a non rimanere incinta’fino adesso per lo meno. Chissà cosa ti fa quello!!!Secondo me scopa da Dio!!!’

‘Virginia’ma che dici’ le dico, scattando su come una molla, mentre sento le orecchie prendere fuoco alla sola idea.

‘Ahaha’l’idea non ti spiace però’a giudicare dal colore delle tue orecchie! Potessi ci scriverei un trattato di antropologia su di loro’anzi no, una tesi di laurea, chissà di che colore sono quando vieni!!!’

‘Virginia’ma che ti sei fatta stasera??’

‘Io niente e nessuno, tu tra poco ti farai qualcuno invece!!!’

‘Virgy, ma sei matta??’ le chiedo ridendo, sentendomi pur sempre un tantino imbarazzata.

‘Miki, vai’e non tornare prima di” fa una pausa teatrale contando sulla punta delle dita ‘ almeno sei o sette orgasmi!’.

‘Facciamo dieci già che ci siamo’cifra tonda’suona meglio!!!’ le dico, dandole una scarmigliata ai capelli.

Virginia si alza, mi viene vicino e mi abbraccia.

‘Tengo il cellulare acceso nel caso tu avessi bisogno’ mi dice improvvisamente seria, spontaneamente chioccia come solo lei sa essere.

‘Grazie, Virgy” le rispondo.

‘Ehy Miki” mi apostrofa mentre sono già di spalle.

‘Dimmi’ ‘dico voltandomi e vedendo che lei fa il numero ‘nove’ con le dita delle mani.

‘E domani mi racconti tutto, fin nei minimi particolari’voglio un lungometraggio porno’dettagliato centimetro per centimetro’.

Poi si ributta tra i cuscini a fumare il narghilè (chissà dentro cosa c’é’che fa anche rima!!!).

Scuoto la testa e mi avvio verso Tommaso che mi aspetta, con aria impaziente alla porta.

Passo davanti a Francesco, lo saluto e gli dico ‘Francy, mi raccomando a Virginia che stasera ha bevuto più di uno scaricatore di porto bulgaro”

Francesco annuisce lentamente e poi mi guarda con occhi vacui’testimoni inequivocabili e impietosi di un mix letale tra birra, whisky e hashish’ ‘Tranquilla’ ha l’ardire di rispondermi ‘ci penso io”

‘Sì eh’allora stiamo messi in una botte de fero!!!’ gli dico ridendo.

‘Finalmente’ mi dice Tommaso ‘credevo che Virginia non ti lasciasse più andare via!’.

‘Scusami’era un po’ su di giri stasera!’.

Montiamo in moto e ci avviamo verso casa di Tommaso che è in una strada laterale, rispetto alla via principale che costeggia il chiostro del nostro ateneo.

Pur non essendo uno studente fuori sede, Tommaso abita da solo in questo appartamento composto da due camere, una cucina e un bagno.

La casa è sua, ristrutturata personalmente da sua madre che è un importante architetto specializzato in interior designer, e lui la divide con Sebastiano, un ragazzo siciliano che, ogni volta che va in Sicilia, torna con una valigia piena zeppa di manicaretti direttamente confezionati da sua madre, comare Crocefissa (Lilla per gli amici).

‘Sebastiano non c’è stasera?’ chiedo a Tommaso, entrando in casa sua e sentendomi improvvisamente preoccupata all’idea della presenza di un’altra persona.

‘No, è in Sicilia’domani si sposa un suo cugino o una cosa del genere. Torna martedì. Abbiamo la casa tutta per noi’scegli tu da dove cominciare perchè ho intenzione di scoparti in ogni angolo’ mi dice avvicinandosi e cingendomi la vita.

Non ricordo altre parole tra di noi, da quel momento in poi.

Ricordo solo il profumo della sua pelle.

Il sapore dei suo baci.

Il suono della sua voce.

Il tocco delle sue mani.

L’immagine del suo viso così carico di desiderio

Ricordo la voluttà, priva di qualsiasi incertezza, quando mi ha fatto distendere sul tavolo e mi ha tirato giù la zip degli stivali e poi a fatto scendere le calze lungo le mie gambe.

Ricordo come ha sollevato il vestito arrotolandolo sopra l’ombelico, come mi ha aperto le cosce, come si è posizione nel mezzo ed esse.

Senza staccare gli occhi dai miei, l’ho sentito slacciarsi la cintura, sbottonarsi i jeans e stendersi su di me.

Mi ha baciato, come se volesse mangiarmi, non solo baciarmi.

‘Che sapore buono hanno le tue labbra” ricordo di avergli sentito dire.

‘E’ lucidalabbra al melone’.

‘La prossima volta mettitelo anche su un altro tipo di labbra’mi piace tantissimo il melone’ dice, mordendomi poi la lingua.

Sento che sta sfregando la punta del suo sesso contro il mio che è dischiuso per l’eccitazione e bagnato.

Mi sento emettere un gemito, un misto tra piacere e impazienza e muovo verso di lui il bacino.

‘Lo vuoi, eh??’ mi dice Tommaso alitandomi sul collo e continuando la sua azione di sfregamento.

‘Sì” gli rispondo.

Effettivamente una risposta un pochino più originale potevo trovarla’ma trovatevi voi in quella situazione e poi ne riparliamo se siete in grado di comporre trattati di oratoria forense!

‘Quanto lo vuoi! Dimmelo, troietta’quanto lo vuoi, eh!?’.

‘Tanto, Tommy’lo voglio tanto, lo voglio tantis”

Ricordo di non essere riuscita a terminare la frase, perché Tommaso con un unico movimento fluido è entrato dentro di me.

E a me è tremato il cuore.

Ricordo che ha iniziato subito a tenere un ritmo sostenuto.

Tanto sostenuto che dopo pochi affondi sono venuta.

Ricordo che é stato un orgasmo intenso, ma troppo breve: di quegli orgasmi che accrescono la voglia invece di placarla, che ti fanno dire ancora e ancora e ancora.

Ricordo che Tommaso mi ha guardato come a dire ‘di già???’ e io, di rimando, sempre con la sola espressione facciale, rispondergli ‘eh già!!!’.

Con la mano gli ho fatto cenno di continuare’tipo il giudice Santilicheri di Forum.

Kermit non basta’penso dentro di me’sono un incrocio tra la rana e Miss Piggy’dementi e ubriachi’!

‘Continua Tommy, per favore’ ricordo di avergli chiesto nel mentre che ritrovavo il dono della parola insieme a un minimo sindacale di decenza e intelligenza ‘continua, ho voglia di venire ancora!’.

‘Non hai che da chiedere’

Ricordo il suo cazzo che entra e esce da me.

Ricordo i suoi gemiti, i miei, ricordo le mie gambe sostenute dalle sue braccia, la mia testa ribaltata all’indietro, il solletico dei suoi capelli che sfiorano la pelle nuda delle spalle, la sua barba che graffia dolcemente i miei capezzoli, ricordo perfino il profumo di sapone di Marsiglia che emanava la sua maglietta.

Ricordo il mio secondo orgasmo’lungo, modulato, travolgente.

Ricordo che il mio corpo ha vibrato, le mie labbra hanno sussultato, i miei occhi hanno tremato, come quando si sta per piangere.

Ricordo di averli spalancati nel momento in cui le contrazioni mi hanno portato via.

Ricordo l’espressione di Tommaso quando il piacere ha travolto anche lui.

Ricordo i suoi occhi chiusi, le sue labbra leggermente dischiuse, le sue ultime spinte, il suo respiro spezzato,

Ricordo il silenzio che è seguito, la luce soffusa della lampada da salotto, il ticchettare dell’orologio sopra la tavola, il vago odore di incenso che aleggiava nella stanza.

Ricordo le mani di Tommaso che accarezzano i miei capelli, le sue labbra che non vedo, ma che sento atteggiate al suo solito sorriso

Ricordo che avrei voluto che quel momento durasse per sempre.

Avrei voluto portarlo via, chiuderlo in uno scrigno e lasciarlo lì.

Inesplorato e intatto e obliato.

In ogni storia c’è un attimo incantato che è perfetto e lucente come un diamante.

Non è un attimo’è ‘l’attimo’…è quel momento in bilico, sospeso in un limbo in cui tutto è ancora possibile.

CONTINUA Un sorso di rum

Il viso di Tommaso è ancora nell’incavo tra il mio collo e la spalla; il suo respiro sta tornando normale, i battiti del suo cuore anche.

Lo sento sorridere e sento che è un sorriso dolce, rilassato, un sorriso da bambino quasi’uno di quei sorrisi che tanto raramente gli ho visto dopo.

Esce da dentro di me e si sposta, appoggiando la testa sulla mano sorretta dal gomito.

Siamo ancora vestiti.

‘E io che credevo che ti avrei spogliato lentamente e che avremmo fatto l’amore dolcemente per ore’non ti facevo così scatenata e selvaggia’ ‘ mi dice Tommaso guardandomi negli occhi. Nei suoi aleggia un’espressione a metà tra l’ironico, lo stupito e il compiaciuto.

Mi porto di scatto le mani sul viso a coprirmi gli occhi e con la voce attutita dico ‘Oh Madonna, che vergogna’!’.

Sorrido, anche se sono davvero stupita del mio comportamento ‘scatenato e selvaggio’.

Nel sesso non sono mai stata particolarmente paziente: ho bisogno di sentire l’urgenza, ho bisogno di sentirmi divorata dall’impazienza, di sentirmi smaniosa.

Con Tommaso tuttavia è stato un qualcosa di sconosciuto, di travolgente e di oscuro.

Non era l’impazienza dell’orgasmo a dettare i miei gesti.

E’ stato il bisogno di sentirlo parte di me e di sentirmi io parte di lui.

E’ stata la necessità di sentire i nostri corpi mischiarsi.

E’ stata l’esigenza improcrastinabile di sentirlo MIO.

E’ stata la languida consapevolezza che quello era il nostro momento e la spietata certezza che quell’attimo sarebbe durato troppo poco, a farmi essere così famelica.

‘Ma no! Vergogna di cosa? ‘ risponde Tommaso seriamente ”Mi piacciono le donne che si lasciano andare; che vivono la propria sessualità con consapevolezza e con ‘ fa una breve pausa come a cercare le parole ‘ con incantata disillusione.

Sono stato con ragazze molto attraenti e all’apparenza sensuali e’piene di promesse. Poi, al dunque, le ho viste ritrarsi’diventare da panterone, gattine. Imbranate, impacciate’più attente a sembrare delle puttanelle patinate da youporn che donne vere e proprie, delle donne da letto’Tu sei diversa!’

‘Nel senso che io sono una pantegana invece che una panterona??’ gli chiedo, mentre scoppio a ridere e con la coda dell’occhio vedo che anche Tommaso ride, guardandomi però con lo sguardo di chi si chiede ‘Ci è o ci fa?’.

Mi tiro su a mia volta e scendo dal tavolo.

Senza i miei tacchi mi sento una nana accanto a lui e adesso che siamo nuovamente uno di fronte all’altra, mi sento anche lievemente intimorita.

Tommaso ha sempre avuto la straordinaria capacità di leggermi dentro e l’incredibile freddezza e alle volte crudeltà di usare a suo esclusivo vantaggio questa sua peculiarità.

‘Non ti ritirare adesso! ‘ mi dice avvicinando la sua bocca alla mia ‘ ‘soprattutto non ti rilassare e non ti rivestire!’.

Poi mi da una bacio lieve sulle labbra e mi prende per mano portandomi così verso la sua camera.

La sua stanza da letto è un miscuglio di stili; è un mosaico, un guazzabuglio di sentimenti manifesti e nascosti, di ricordi, di nostalgie e forse di rimpianti.

I colori prevalenti sono il nero e il rosso.

La parete su cui è appoggiata la testata del letto e quella di fronte sono color rosso ciliegia, mentre quelle laterali sono nere spruzzate di rosso metallizzato, quasi a ricreare degli schizzi di sangue.

la testata del letto è un cornice ricoperta con ritagli di giornale, probabilmente fatta con la tecnica del decoupage, ma non da chi lo fa per hobby, ma da un professionista estroso e capace.

In linea con la cornice sono i comodini e il cassettone.

Sono ritagli di giornali vecchi: la grafica ricorda gli anni ’60/’70 intramezza da pagine di fumetti, rigorosamente in bianco e nero.

I muri sono ricoperti di foto e poster, il più bello dei quali è la riproduzione della copertina dell’album ‘London Calling’ dei Clash.

La cosa che mi colpisce di più però è lo specchio posto in obliquo sopra il letto.

Appoggiato sulla cornice del letto e sorretto da una catena che va ad agganciarsi ad un uncino fissato al muto, lo specchio risulta inclinato in modo da rimandare una visuale perfetta di quello che succede sul materasso, rigorosamente coperto da biancheria nera.

Mi sento avvampare pensando a noi che facciamo l’amore e a quello specchio.

In un angolo noto un bellissimo narghilè e due custodie per le chitarre.

‘Suoni la chitarra?’ gli chiedo. Non lo avevo mai sentito dire niente in proposito.

‘Sì’ mi risponde accennando un sorriso ‘ al Liceo io ed altri tre amici avevamo anche un gruppo’io suonavo la chitarra e cantavo, Milo suonava il basso, Simone la batteria e Carlo era la seconda chitarra! Suonavamo a tutte le feste della scuola! Eravamo molto apprezzati e ricercati!’

‘E che tipo di musica facevate?’ chiedo, sentendo una lieve stretta di gelosia per le implicazioni di quel ‘ricercati’.

Ricordo anche io il gruppo che suonava alle nostre feste al liceo.

Erano, come il gruppo di Tommaso, quattro ragazzi con i capelli lunghi, i jeans sdruciti, le magliette a maniche lunghe sotto e maniche corte sopra e l’aria da bello e dannato alla Curt Kobain che fa tanto figo al liceo!

Della loro musica ricordo poco; se non erro facevano principalmente cover (Clash, Nirvana, Pearl Jam, Sound Garden) .

Quello che ricordo bene invece è ciò che si diceva di loro e della loro attività paramusicale.

‘Quelli ‘ diceva sempre Giorgiana, la mia amica del cuore del Liceo ‘ se lo fanno a punta da quanto scopano’te lo dico io’.

E mentre lo diceva si percepiva chiaramente il rammarico di chi avrebbe tanto volentieri dato una mano (e non solo quella) ai quattro ragazzi (uno alla volta o tutti e quattro insieme) a dare un’ulteriore appuntatina al matitone!

‘Giorgy’datti da fare!! Hai una bella voce’proponiti come corista’come valletta, come asta per il microfono’!’ le dicevo io, prendendola in giro.

E lei, sempre con occhio peccaminoso mi rispondeva”oh sì’la reggerei proprio volentieri l’asta ad uno di loro!’

‘Anche a tutti e quattro’se uno le cose le fa, le deve fare bene!!!’
‘Hai ragione! Crepi l’avarizia’a tutti e quattro!!!’.

Purtroppo il suo sogno erotico, anzi i suoi sogni erotici, si erano diplomati 3 anni prima di noi e a Giorgiana non era rimasto altro che finirsi dai ditalini per altri due anni fino a quando non ha incontrato Bernardo, il sant’uomo che ancora oggi la sopporta e la soddisfa!

Una cosa però Giorgiana diceva con cognizione di causa: i quattro ragazzi del gruppo che aveva questo nome ‘Macchiavelli?m’arrangiucchio’ scritto così con la doppia C e tutto attaccato, in ‘onore’ della nostra scuola il ‘Liceo Ginnasio Machiavelli’, erano pieni di ragazze che morivano loro dietro.

Ergo, specialmente l’ultimo anno di liceo, scopavano come ricci tanto da ‘farselo a punta’.

Giuro che dopo aver sentito Giorgiana usare questa espressione, non ho più guardato con gli stessi occhi un appunta lapis, senza sentire un brivido al basso ventre.

A mia discolpa adduco le tempeste ormonali dell’adolescenza, perché’cazzo’un appunta lapis è tutto tranne che un oggetto erotico!!!

Ripensando quindi a loro, potete capire il perché della mia sottilissima, per quanto inspiegabile gelosia.

‘Facevamo Cover principalmente’rock e musica italiana di autori come Guccini, De Andrè, Banco del mutuo soccorso, CCCP. Cantavamo a tutte le feste della scuola e anche a qualche evento del quartiere. Di solito ci pagavano in birra e pizza, ma ci sentivamo così fighi che al confronto i Metallica erano dei barboni’ci chiamavamo ‘Buldog French on the Road e ci divertivamo un sacco’

‘E ve lo facevate a punta” dico a voce credevo bassa ma non abbastanza da non farmi sentire da Tommaso.

‘A punta??’ dice lui, ridendo con gli occhi.

‘No scusa’ ‘ mi affretto a rispondere sentendomi di nuovo paurosamente simile a Kermit (vaffanculo ai Muppet’s!!!) ‘ ‘La mia amica del liceo era solita sostenere che chi cantava o suonava in un gruppo al liceo’scopava tanto da farselo a punta’tipo le matite con l’appunta lapis’capito no?’ e mentre lo dico mimo il gesto di appuntare una matita come se Tommaso fosse un ritardato, incapace di cogliere il senso della metafora.

Sorride ironico e io mi sento così deficiente che mi vorrei tirare sulla testa una delle due lampade in bronzo a forma di drago che campeggiano sui due comodini o perche no, la chitarra acustica nell’angolo per vedere se anche la mia testa di cazzo può andar bene come cassa di risonanza.

Sono seduta sul letto e abbasso lo sguardo andando a guardarmi’ le mani mente gioco con le unghie.

Tommaso si avvicina.

Si siede accanto a me e, avvicinandosi al mio orecchio, mi sussurra ‘Se vuoi lo puoi verificare anche subito se me lo sono fatto a punta oppure no!’.

Spalanco gli occhi e lo guardo.

Avete presente i manga giapponesi? Quei fumetti dove molto spesso il viso dei personaggi è distorto in smorfie e faccine strane?

Ecco io mi sentivo come uno dei personaggi di quei manga’con l’aggravante dell’alcool, , bevuto con spudorata disinvoltura per non soccombere alla musica magrebina e che ancora non avevo smaltito del tutto.

Preda dell’alcool, di Kermit e dei Muppet’s tutti e di qualche demone giapponese rinchiuso tra le pagine di qualche manga, mi alzo e con un’audacia che lascia stupita me per prima, mi metto in piedi di fronte a Tommaso.

Guardandolo fisso negli occhi mi tolgo lentamente il vestito e lo getto ai miei piedi.

Poi mi tolgo il reggiseno e lascio che il mio seno si manifesti in tutta la sua abbondanza.

Infine con gesti lenti e quasi teatrali, mi sciolgo le crocchie e lascio che i capelli ricadano sulle spalle e sul davanti a lambire i capezzoli.

Sono nuda di fronte a lui, ma la mia nudità va ben oltre quella fisica.

Mi sento come se fossi senza pelle.

Mi sento come se mi stessi offrendo.

Tommaso mi prende le mani, mi fa avvicinare e mi induce a mettermi a mettermi a cavalcioni su di lui.

‘Sei bella sai con i capelli sciolti! Li tieni sempre legati e in modo buffo per altro: codine, treccine, crocchie’sembri una bambina alle volte! Con i capelli sciolti invece sei una donna e una donna bellissima per giunta. Con le tue acconciature ti camuffi, ti nascondi, alle volte ti mascheri. Così sei tu’e con quegli occhioni blu che sembrano dilatarsi quando ti emozioni’sei innocentemente porca’!’.

In un attimo sono sdraiata sul letto e Tommaso viene sopra di me.

Si è tolto i pantaloni e le scarpe (e anche i calzini!), ma per il resto è ancora vestito.

Mi porta le braccia sopra la testa e mi bacia il viso, il collo, le scapole, il seno.

Poi scende.

Mi bacia e mi lecca la pancia, l’ombelico, il pube.

Sento un brivido attraversarmi il corpo e dischiudo le gambe per accogliere la sua testa.

Tommaso tuttavia si alza all’improvviso e io mi tiro su di scatto a sedere cercandolo.

‘Resta qui, torno subito’ mi dice.

Torna pochi istanti dopo con una bottiglia in mano e due bicchierini.

‘Evviva si beve’ penso dentro di me, annotando poi mentalmente di chiamare subito il Sert, dichiarando un fastidioso problema con l’alcol.

‘Sdraiati’ mi intima Tommaso.

Il suo tono è di quelli che non accettano repliche e io allora eseguo, anche perché in quel momento mi sento come uno dei cani di Pavlov; ipnotizzata dalla promessa dell’Alcol.

Lui si siede sul letto e apre la bottiglia.

Subito nell’aria si spande un aroma di liquore piacevolissimo e caldo, inebriante.

‘Questa bottiglia me l’ha portata Concita, la tata mia e dei miei fratelli, quella che ancora adesso è la colf a casa dei miei.

Sono 25 anni che è con noi; da piccoli stavamo sempre con lei.

Ricordo che era bella da giovane: aveva 23 anni quando ha cominciato a lavorare per i miei e quando siamo cresciuti siamo comunque rimasti tanto affezionati a lei e al suo modo di fare leggero e delicato.

L’ultima volta che è stata a Cuba, mi ha portato questa bottiglia.

Il vero rum di Cuba, altro che Pampero e compagnia bella.

E’ un nettare! Ora te lo faccio assaggiare!’

Tommaso versa il liquore ambrato nei bicchierini e me ne porge uno.

Avvicino alle labbra il bicchiere e l’aroma del rum mi punge le narici; è forte, ma ha un profumo fantastico, nel quale mi sembra di sentire un retrogusto di dattero e uva sultanina: sicuramente è una mia suggestione da sommelier denoattri!!!

Lo assaggio e”accidenti se è buono’ dico a Tommaso spalancando gli occhi per la sorpresa del gusto.

Adoro il vino, mi piace la birra e sono amante del Negroni (il cocktail’!!!!), ma solitamente brandy, whisky, rum, grappa non sono tra i miei alcolici preferiti.

Questo però è favoloso: alcolico al punto giusto, il suo gusto non viene sopraffatto dalla gradazione, ma rimane rotondo e pulito e anche quando lo butti giù, non avverti quel fastidioso, per quanto momentaneo, bruciore allo stomaco. Si avverte invece un piacevole calore che inebria le viscere e scalda il cuore.

‘Sdraiati’ mi dice all’improvviso Tommaso togliendomi di mano il bicchierino non ancora svuotato e andando a poggiarli sul comodino.

Ipnotizzata dal suo tono autoritario e lievemente stordita dal rum, eseguo docilmente il suo ‘ordine’.

‘Chiudi le gambe. Serrale!’.

Continuo ad eseguire docilmente: magia del rum.

Mentre sto per chiedergli cosa abbia intenzione di fare, sento un qualcosa di caldo e liquido, riempire la coppa che naturalmente viene a crearsi tra pube e interno coscia.

‘Oddio Tommy, brucia!’ gli dico, evitando però di aprire le gambe e di bagnare di conseguenza il letto.

‘Non aprire le gambe’ mi risponde lui.

E subito si piega su di me e viene a bere il rum dalla mia intima coppa.

Sento un piacevole formicolio tra le gambe: un misto di piacere e di bruciore, che diventa sempre più piacere man mano che il rum finisce e le labbra di Tommaso aderiscono maggiormente alla mia pelle.

‘Questo rum’corretto a questo modo’è delizioso’ dice, leccandomi sempre più insistentemente.

La sua lingua lenisce il bruciore dell’alcol.

Prove un calore languido che va piano, piano spandendosi in tutto il corpo.

Mi gira un po’ la testa, ma non è per il rum.

E’ vertigine.

‘Apri le gambe adesso!’.

Il rum è finito’il calore è ancora intatto.

Tommaso soffia delicatamente tra le mie grandi labbra.

Avverto dei brividi quando l’aria arriva a contrastare il calore del liquore.

Avvicina la bocca’mi sfiora con le labbra e con la lingua.

Si ferma sul clitoride e lo succhia’con dolcezza implacabile.

Sento arrivare da lontano un orgasmo che sembra una di quelle onde per il surf.

Parte piano e man mano che si avvicina alla riva, cresce, cresce sempre di più.

Ed io non ho altra volontà che cavalcare l’onda, lasciarmi condurre dalla sua forza, dalla sua violenza, dalla sua dolcezza, fino al punto di rottura e ricadere giù, travolta.

se fossi un libro, saresti…

se fossi un libro saresti…

‘Asta la vittoria siempre’ dico aprendo gli occhi.

‘Ci avrei scommesso che avresti detto qualcosa del genere! No, non sei prevedibile ‘ mi dice Tommaso interpretando l’espressione del mio viso ‘ ‘E’ solo che tu sei la versione ubriaca di Pippo, Pluto e Paperino insieme. Non potevi stare zitta!’.

‘Bene’ penso tra me e me ‘possiamo aggiungerli alla lista, insieme a Kermit & company!’.

Mi sento stanca e vado mettermi sotto le coperte.

Tendo la mano a Tommaso invitandolo a raggiungermi. Lui finisce di spogliarsi.

Lo trovo bello. Mi piace tutto di lui: il suo corpo, il modo di muoversi, il modo di muovere le mani. Come fa l’amore.

Aveva ragione Virginia: Tommaso scopa da Dio. E io devo ricordarmi di tenere il conto degli orgasmi. Per ora siamo a quanti? Tre o quattro mi pare. Ho già perso il conto.

‘Se fossi una canzone saresti? Dimmelo a caldo, senza pensarci’ Mi chiede lui, mentre mi attira a sé e mi abbraccia di dietro.

‘Bella Ciao’.

‘Perchè’.

‘Me la cantava sempre mia nonna per farmi addormentare!’

‘E te lo ricordi? Non eri troppo piccola?’

‘Odiavo Bella Ciao da piccola, ecco perché la ricordo. Quando la nonna mi prendeva in braccio e iniziava a cantarla, significava che era il momento della nanna e io non volevo mai dormire!’

‘Chissà che scassacazzi eri da piccola! E adesso perché ti piace invece? Sei una contraddizione perpetua tu’.

‘Proprio perché mi riporta a quando ero bambina e a mia nonna che mi faceva trovare il tavolino apparecchiato di fronte alla televisione con una tazza di caffellatte e il pane con la marmellata di more della Chiaverini e i riccioli di burro sopra!’.

‘Sei stata una bambina fortunata. Hai avuto chi si è preso cura di te. Anche se sarai stata sicuramente una scassacazzi, tanto per ribadire!’.

Ci penso. Cerco di ricordare come fossi da bambina e non affiora la sensazione di essere stata agitata. Ero molto solitaria e stavo bene per conto mio. Facevo i giochi che volevo e come volevo io. Inventavo storie, mi travestivo e non amavo condividere il mio mondo interiore, già troppo affollato dalla mie altre me.

Mi piaceva fare finta di essere una donna di spettacolo, tutta paillettes e lustrini. Adoravo truccarmi e avevo una passione smodata per le scarpe con il tacco alto che prendevo, non autorizzata, da mia zia, la sorella più piccola di mia madre cha abitava ancora con i miei nonni quando io sono nata.

Ricordo in particolare un paio di stivali bianchi con le frange e dei brillantini.

A ripensarci adesso, sembravano stivali da circo, ma allora li adoravo. Mia zia invece non era per niente contenta e cercava invano di nascondere le sue scarpe.

‘Tu invece? Se fossi una canzone saresti?’ gli chiedo a mia volta.

‘Sarei’Non sono una signora di Loredana Bertè!’

Non ero sicura di aver capito bene. Gli chiedo conferma accennando il ritornello.

‘Sì, sì quella canzone lì. La cantava sempre la tipa che aiutava mia madre nelle faccende. Era una ragazza giovane quando veniva da noi. Bellissima. Mi sono finito dalle seghe pensando a lei da adolescente. E quella canzone, ogni volta che la sento, mi fa eccitare.

‘Dio Tommaso, sei un cazzo di pervertito!’

‘Zitta troietta!’ mi risponde, dandomi un puffetto sul culo ‘Riprendiamo il nostro gioco’.

Rido. Era facile ridere con Tommaso. In quei nostri primi momenti tutto sembrava coordinarsi perfettamente. Io dicevo una cosa e lui rispondeva a tono come se avesse già conosciuto la domanda. Oppure lui pensava una cosa e io dicevo qualcosa in tema con il suo pensiero. Dicevamo le stesse cose, nello stesso momento alle volte.

C’era una tale sintonia tra di noi che io pensavo che il nostro incontro fosse determinato da qualcosa di superiore.

Vivevamo con leggerezza il nostro conoscersi. C’era intensità, ma mai pesantezza.

‘Inizio io! Se io fossi una città sarei Bologna. Non so perché. Ho come l’impressione di essere a casa quando sono a Bologna. Come se quella città mi chiamasse. Tu?

Io ci penso un attimo.

Ho sempre desiderato andare a Gerusalemme. Capisco quello che dice Tommaso perché con Gerusalemme, pur non avendola mai vista, sento lo stesso richiamo, lo stesso senso di appartenenza.

‘Gerusalemme’ gli rispondo. E aggiungo ‘Però non ci sono mai stata!’.

‘Non si può giocare con te, fai come cazzo ti pare! Riproviamo, ti do un’altra chance. Se fossi un libro, saresti?’

Bene, bene. Questo è un terreno dove posso sfoggiare la mia cultura, le mie conoscenze. Posso darmi arie da intellettuale, anzi come dice Francesco a proposito del proprio intelletto, posso vantarmi di essere il Re Sole in fatto di letture colte e impegnate.

E invece dalle mie labbra, involontariamente, esce ‘E’ una vita che ti aspetto’ di Fabio Volo.

‘Non ci credo!’ esclama Tommaso, ridendo scandalizzato ‘E io che ti immaginavo una radical chic in fatto di letture! E lo confessi anche che leggi Fabio Volo!’.

‘Oh guarda’ tento di giustificarmi’ ha scritto delle belle cose!’.

‘Tranquilla Vale, anche a me piace la cioccolata bianca. Nessuno è perfetto!’.

‘Sentiamo qual è invece il tuo libro, Maestro!’.

‘Maestro mi piace. Direi che mi si addice proprio. Dunque, vediamo figliola, se fossi un libro sarei ‘Memorie delle mie puttane tristi’ di Marquez’.

Ho sempre creduto che fosse un libro tarato per un pubblico più femminile e mi scopro stupita di trovare questo titolo citato da Tommaso.

L’ossessione che ogni cosa fosse al suo posto, ogni faccenda a suo tempo, ogni’parola‘nel suo’stile, non era il premio meritato di una’mente‘in’ordine, ma tutto il contrario, un intero sistema di’simulazione‘inventato da me per’nascondere‘il’disordine della mia’natura‘ cita a memoria lui.

Si dovrebbero ascoltare con più attenzione le persone: si capirebbero molte cose della loro natura. Le parole che usiamo o che non usiamo, sono spesso dichiarazioni implicite del nostro io. Le sfumature sono importanti: è nei dettagli, nelle pieghe dell’anima che si annida con più verisimiglianza la nostra reale essenza; non in quello che dichiariamo pubblicamente, che diventa la nostra bandiera, ma in quello che omettiamo e che sbuca fuori all’improvviso, sfuggendo al nostro controllo.

La citazione del libro di Marquez avrebbe dovuto rivelare molto della personalità di Tommaso. In realtà avevo sentito risuonare in me l’eco lontana di un campanello di allarme; le parole ‘simulazione‘ e ‘disordine‘ avevano in qualche modo allertato i miei sensi, ma decisi allora di ignorare la mia intuizione a favore della favola. E sticazzi (che in questo caso sta proprio bene).

‘Quale era il tuo catone animato preferito da bambino?’ chiedo a Tommaso riallacciandomi ai ricordi di quando eravamo piccoli.

Il caffellatte e il pane con la marmellata di mia nonna mi avevano fatto tornare in mente i cartoni animati della mia infanzia.

Prima che lui risponda ‘Il mio era Lady Oscar’ dico ‘Sai che ci ho scritto anche una fan fiction? Ho inventato un finale alternativo: Oscar e Andrè non muoiono. Lei si salva dalla tisi e lui non diventa cieco. Vanno a vivere in Normandia per qualche tempo e poi tornano a Parigi. Dopo varie peripezie legate alla Rivoluzione, a Maria Antonietta e a Robespierre, alla fine vivono insieme felici e contenti. Ancora non ho finito però. Sono solo al ventiduesimo capitolo!’.

‘Non esiste il lieto fine nelle storie d’amore’ dice Tommaso con improvvisa durezza ‘nessuno ci ama davvero per sempre. Nessuno! Ti facevo più scafata, invece anche tu credi alle favole. Ma che vi insegnano da bambine? Tutte a gridare all’emancipazione e invece non sognate altro che di mettere su famiglia, sfornare figli e stirare camicie. Patetiche siete!’.

Mi sento come se mi avesse tirato un secchio di acqua gelata. Ho appena condiviso con lui una cosa mia intima e lui reagisce come se avessi detto un qualcosa per cui essere punita. Il suo commento tagliente mi fa sentire stupida e sbagliata,

Mi agito nel letto. Improvvisamente sono a disagio. Non avevo immaginato che Tommaso potesse cambiare umore così repentinamente.

Mi alzo.

‘Dove vai?’ mi chiede.

‘Si è fatto tardi. Devo rientrare!’.

‘Prima però mi devo vestire. Che cazzo di freddo fa?’ penso. E inizio a cercare i vestiti che sono sparsi per tutta la casa.

Pippo, Pluto e Paperino sono ritornati sobri. Kermit si è sfavato e la sua voce adesso è normale.

Tommaso esce dal letto e mi abbraccia da dietro mentre io mi sto infilando le calze e sono su una gamba sola. Kermit si rianima un po’: le sono sempre piaciute le pose acrobatiche.

‘Scusami!’ mi dice piano sottovoce.

Mi divincolo ‘Non fa niente’.

Non lo guardo. I suoi occhi sono pozzi neri adesso e non si riesce a vedere il fondo.

Lui mi attira a sè ‘Scusa Vale, davvero. Non volevo essere così, così”.

‘Stronzo è la parola che stai cercando’.

‘Stronzo’ ribatte lui.

Questa sua ammissione di colpevolezza, mi ha già fatto sciogliere. Realizzo che sono davvero fottuta con lui, perché può essere crudele se vuole e quanto vuole, senza che io reagisca davvero come dovrei.

‘Dai, torna a letto che prendi freddo!’

Rientro sotto le coperte e cerco di rilassarmi. Mi rimane addosso tuttavia una sensazione strana, come una nota stonata che suona fuori dal coro.

Sento la mano di Tommaso insinuarsi tra le mie gambe.

Il sesso tra noi è la cosa, forse la sola, che ha sempre funzionato alla perfezione, tanto che credo di esserne stata davvero dipendente.

E’ sempre bastato che mi toccasse per farmi momentaneamente dimenticare qualsiasi torto subito e per farmi diventare smaniosa del suo estro erotico.

Lo lascio fare. Lascio a continui ad accarezzarmi l’interno coscia e faccio aderire maggiormente il mio corpo al suo, lasciando che i miei glutei tocchino il suo sesso.

Poi mi scosto un po’

”Così non si fa! Non ci si struscia al cazzo di un uomo e poi ci si allontana!’.

Continuo a muovere delicatamente il sedere finchè sento che si è eccitato.

Mi sciolgo dall’abbraccio e sparisco sotto le coperte.

E’ la prima volta che lo prendo in bocca da Tommaso. Ha un buon sapore, la pelle è liscia e mi piace sentire i suoi sospiri mentre la mia lingua gli sfiora la punta e lo lecca in tutta la sua lunghezza. Sento il respiro di Tommaso farsi più roco e intenso.

Sento che sta per venire, quando all’improvviso mi fa allontanare e mi fa mettere a quattro zampe. Facciamo l’amore così, da dietro.

Entra facilmente dentro di me e si attacca con le mani alle mie tette. Mi stimola con le dita i capezzoli. Credevo gli mancasse poco all’orgasmo. Invece vengo prima io.

‘Ho capito come ti piace scopare!’ mi dice. Poi da un’ultima spinta e viene anche lui.

Ora sono davvero sfinita e voglio dormire un po’.

Le note stonate si sono per il momento acquietate.

Nel momento che precede il sonno, Tommaso mi tocca una spalla e mi dice ‘Il mio cartone preferito era Lamù. Sognavo sempre di farmela!’.

‘Te l’ho detto che sei un cazzo di pervertito’.

Non so se l’ho detto o se l’ho solo pensato. So solo che sento le braccia di Tommaso che mi attirano a sé e che non c’è nessun altro posto dove in questo momento vorrei essere.

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