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Racconti Erotici Etero

Notifica rossa

By 24 Febbraio 2019Dicembre 16th, 2019No Comments

Un botto improvviso svegliò Lucrezia dal suo sonno, risvegliandola bruscamente. Buttò uno sguardo ancora assonnato lungo la stanza cercando di capire cosa fosse successo, prima di notare la fonte di quasi tutti i suoi risvegli anticipati. Matisse la fissava beatamente dal comodino leccandosi la zampa, facendole intuire di aver appena rotto la sua lampada nuova.
“Chi me l’ha fatto fare di adottare un gatto?” sbuffò la ragazza rigirandosi nelle coperte.
Con gli scuri della finestra chiusi, la stanza era completamente immersa nel buio; l’unica fonte di luce proveniva dal led color blu del telefono che in quel momento lampeggiava insistentemente, facendo quasi intuire l’impazienza del mittente, un ragazzo piuttosto piacente, conosciuto giorni prima a lavoro.
Ancor prima di sbloccare il telefono Lucrezia aveva già capito di chi si trattasse.
Gli amici la prendevano sempre in giro per quella sua strana abitudine di dividere le notifiche per importanza: blu quelle che la interessavano, viola quelle che potevano aspettare, bianche quelle delle quali non le importava nulla.
“Ci vediamo questo pomeriggio, che dici?” lesse sullo schermo.
“Cazzo.” pensò Lucrezia guardando l’ora. Le 14 passate.
Si rizzò sul letto svogliatamente.
“Ciao Marco! Scusa, ho visto solo ora il messaggio, ti va stasera?”
“Da Guido alle 21. Ci conto eh!”

Sospirò. Ultimamente si lasciava andare con qualunque uomo. Se lo facesse per tristezza o per vera voglia era difficile capirlo, era sempre in lotta con sé stessa, vittima della sua instabilità, della sua insicurezza.
Tendeva a guardarsi dall’esterno, come fosse uno spirito fuori dal proprio corpo, due entità diverse ed uguali.
L’una agiva in base ai dettami della società: composta, educata, sorridente; l’altra si limitava a studiarne le reazioni, le analizzava, catalogava, come un computer che studia parametri su parametri per migliorare le prestazioni future.
Talvolta le piaceva considerarsi la scrittrice del suo personaggio: creava situazioni in modo da viverle in prima persona, valutava l’impatto psicologico e ne studiava aspetti positivi e negativi per poi reputare se ne fosse valsa la pena.
Se ad una delle sue metà le emozioni non piacevano e quindi cercava di non viverle in prima persona, l’altra era perennemente in lotta col proprio animo, chiedendosi il perché di certe sue azioni, il perché non riuscisse a vivere e comportarsi naturalmente come gli altri.
Tutti quei continui ripensamenti su ogni sua azione, ogni sua parola, pesavano come un macigno e nessuno era a conoscenza di quel rimuginare eterno che la portava quasi alla pazzia.
Crescere in una famiglia antiquata, con dei genitori severi e di mentalità chiusa, l’aveva indotta a condurre una vita mai sopra le righe, dedita allo studio, senza poter dedicare del tempo nemmeno alle cottarelle adolescenziali.
Eppure il suo vero io, la sua metà viva, voleva di più, cercava trasgressione, cercava sensazioni che non la facessero sentire come la metà malata in una figlia pressoché perfetta, una sensazione che ricongiungesse le due parti del suo essere, facendola diventare non più spettatrice ma protagonista della propria vita.
Le aveva provate tutte, ma in nessun caso era riuscita a ricongiungere mente e corpo. Nonostante le sensazioni nessuna di queste era cosi potente da coinvolgerla del tutto, la sua mente era sempre altrove, pronta a studiare, analizzare e catalogare ogni minima azione compiuta dal corpo. Gli errori erano sempre in numero maggiore e del momento in sé rimaneva solo un imbarazzante ricordo da dimenticare.
Le era capitato solo una volta di sentirsi finalmente viva, felice e soprattutto unica.

Pochi incontri di sfuggita per non destare sospetto, le sue mani ovunque sul suo corpo come le sue labbra, accadeva tutto così in fretta – o così ne aveva la percezione- che non riusciva a pensare a nulla se non a quanto le stesse piacendo.
Si era concessa completamente in ogni posizione ed in ogni luogo. Le bastava vedere la sua notifica, rossa, l’unica che non seguisse la sua solita regola, per sentirsi scaraventata dentro un turbinio di sensazioni dal quale non voleva più uscire. Ne era completamente assuefatta, lo cercava, lo bramava, lo usava per farsi usare.
Quando sparì tutto d’un tratto dalla sua vita, Lucrezia tornò a sdoppiarsi, ricadendo nel baratro dal quale era stato lui stesso a salvarla.
Lo cercò ovunque, in ogni uomo avuto poi, in ogni piccolo rimasuglio di ricordo, ma nessuno lo eguagliava, nessuno sapeva davvero quale fosse la chiave per guarirla.

E così era successo di nuovo. Era finita a letto con Marco senza volerlo davvero e non riusciva a farsi prendere dal momento.
Si erano visti alle nove, come pattuito, e avevano ordinato un paio di drink. Era salita in casa sua di sua spontanea volontà e non aveva fiatato quando lui le aveva sfiorato le labbra, per poi prendere coraggio e portarla in camera.
Lo vedeva scendere fino ai suoi capezzoli, sentiva l’impegno che ci stava mettendo nel succhiarne uno titillando l’altro, eppure le veniva da pensare soltanto che non si stesse impegnando abbastanza. Lo vedeva impaziente nel voler concludere quegli sciatti preliminari per passare al sodo, sentiva di non essere minimamente presa mentalmente da quel ragazzino eccitato.
Recitava la sua parte, come sempre, chiedendogli di scoparla al più presto perché aveva una gran voglia.
“Sì, voglia di finirla.” pensava.
E lui non si fece pregare, comincio un lento e noioso dentro e fuori, ansimando in maniera fastidiosa, cercando di eccitarla con qualche frase spinta, ottenendo invece l’effetto contrario.
Venne quasi subito lasciandola a bocca asciutta ma sollevata dal fatto che fosse finita.

“Perché mi vado a cacciare in queste situazioni se poi non riesco a farmi coinvolgere? Perché continuo a pensare e pensare e pensare…Dio, qualcuno mi fermi”

“Lù?”
“Lù? Tutto bene?”
Lucrezia si girò lentamente fissandolo negli occhi scuri.
“Più che bene” Gli rispose sorridendo, prima di baciarlo teneramente sulle labbra.
Marco sembrò calmarsi, sorrise e chiuse gli occhi addormentandosi quasi all’istante.
Solo allora il vero umore di Lucrezia si fece vivo sul suo volto.
Non aveva funzionato, nemmeno questa volta.
Si rivestì in fretta, buttò uno sguardo sul ragazzo, gli aggiustò teneramente le coperte.
“Che colpa ne hai tu, sono io quella strana” pensò.
Se ne andò nascondendosi dietro la sciarpa spessa, affrontando il gelo di quell’inverno, immergendosi nella nebbia fitta che, in quell’istante, le appariva comunque meno torbida del suo cuore.
Si fermò su un ponte, ad osservare l’acqua scura.

“Se devi vivere così, tanto vale farla finita adesso, non credi?”
“Basta.”
“E’ da almeno un mese che ci ritroviamo qui alla stessa ora. Chiediti perché.”
“FINISCILA.”
Era ricominciata. La lotta contro sé stessa andava avanti da mesi e lo sentiva, sentiva che prima o poi l’altra metà l’avrebbe sopraffatta del tutto.
“Portatemi via da qui…mettetela a tacere…”

“Aiutami.” pensò, sfinita.

Non aveva ancora finito di formulare quel pensiero che la vibrazione del telefono destò la sua attenzione.
Guardò incredula il colore del led, rosso.
“Sei ancora mia?”
Tre parole.
Un vortice furioso si impossesso di lei. Era infuriata, allibita, confusa. Le lacrime iniziarono ad attraversare le sue guance rosse per il freddo.
“FOTTITI” urlò.
Così come ne era uscito, era rientrato prepotentemente nella sua vita, come se avesse sentito ogni cellula del suo corpo chiamarlo, invocarlo, come se avesse risposto alla sua richiesta d’aiuto.
Lo odiava, lo odiava quasi più di quanto odiasse sé stessa.
Eppure stava correndo, contro ogni ragionamento razionale voleva vederlo, toccarlo, respirarlo.
“Fermati” pensava.
Ma per la prima volta dopo anni, forse da quando era venuta al mondo, si lasciò alle spalle le sue paure, le sue insicurezze, le incastrò in quella nebbia fitta che la avvolgeva, prima di uscirne più leggera, più sicura, viva.
E mentre all’inizio del ponte erano due le ragazze pronte ad attraversarlo, una di loro era caduta nell’acqua scura del fiume, e quella sopravvissuta correva, correva di volata verso la sua fonte di libertà.

“Sei ancora mia?”
“Lo sono.”

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