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Racconti Erotici Etero

Pendolari

By 30 Dicembre 2008Dicembre 16th, 2019No Comments

&egrave davvero insopportabile. Sempre in ritardo. Perché per pochi minuti di tragitto mi autocostringo a trascorrere quasi ogni sera delle mezze ore in stazione? Me lo sono chiesta diverse volte. Forse per la pigrizia. Non dover tirar fuori la macchina. E poi cercare il parcheggio, niente posti riservati. Tutte quelle manovre. Scendere dal letto, igiene, colazione, trucco e vestiti, ed essere pronta a sfidare i semafori. Mentre sgambare sulla bicicletta mi aiuta a svegliarmi, e anche il lavoro &egrave vicino alla stazione. Male che vada, se ho fatto una nottata insonne, quei cinque minuti di sonnecchiamento in treno aiutano anche loro’ ma meglio evitare di ricadere nella trappola dei sogni.

I ritardi quasi certi mi aiutano a non fare i conti con la mia vita. Complici eventuali straordinari, l’ora prima della cena &egrave consegnata, anziché ad attività organizzate (si tratti di lavoro casalingo o qualche hobby), alla casualità: lettura di giornali, telefonate occasionali, passeggiate sui binari. Chiacchiere con gli altri pendolari, alcuni dal percorso breve come il mio, quasi tutti meno fortunati.

A 45 anni suonati tutto questo tempo perso mi fa male. Sono una donna matura, zitella non per scelta, con un posto di responsabilità in un lavoro quasi solo burocratico, il massimo della schiavitù. Jogging nel week-end e palestra per la quale non so che ho pagato a fare l’abbonamento, non ci vado mai. Dicono bella signora, ma forse &egrave il signora che fa un po’ male. Le ultime scopate vere anni fa, cantavo e Claudio me lo sapeva dare. Poi &egrave tutto finito nelle liti e il canto da allora mi disgusta quanto le balere. Ero ancora ragazza. Poi sono passati anni e lutti, sono rimasta in una casa troppo grande, sola senza uomini.

Stasera cinquanta minuti, ma sono fortunata perché &egrave quello prima del mio, quindi netti sono venti minuti soli. I treni seguenti sono dispersi nella nebbia lombarda. Ho le parole crociate e a casa non mi aspetta nessuno. Il ragazzo seduto affianco a me invece sembra molto più scocciato, forse &egrave qui da mezz’ora in più di me. Si tortura un’unghia, poi telefona. Io non distolgo gli occhi dal cruciverba sillabico ma con un orecchio raccolgo le sue parole. Sono un diversivo importante per me le telefonate degli altri pendolari, inevitabile farmi i fatti altrui. Del resto sono parole così sganciate, così riferite a un nulla di riferimenti, nomi o numeri, che non si tratta davvero di una violazione della privacy. Così Carlo (‘Pronto’, sì sono Carlo”) spiega che &egrave impossibile, ormai ad un’ora decente non ce la fa. Partano senza di lui, niente aperitivo, si farà vivo direttamente alla cena con il suo regalo. Saluta e chiude. Intasca il cellulare da qualche parte. 25 anni o poco meno, giubbotto casual, montatura leggera e capelli a spazzola. Portatile a tracolla, ora che ha trovato da sedersi e ha ottemperato alle sue comunicazioni si rassegna a sfilarlo e lo sistema tra le sue gambe. Sfiora appena il mio ginocchio destro, mi scosto leggermente e si scusa.

Poi reclina la testa e chiude gli occhi. Mentre proseguo i miei giochi con grande concentrazione ogni tanto sbircia ancora le mie calze nere ricamate a rombi e i miei stivaletti con tacco. Un po’ natalizia, sì. Sono fiera che si noti la mia tenuta un po’ originale di oggi. Ma non pensavo di aver fatto una scelta feticistica. Le gambe, lo so, sono davvero belle. Quando cantavo mi dondolavo perennemente sempre sui tacchi, e sentivo gli occhi viscidi di tutti percorrermi le calze dal malleolo all’inguine. Più tardi nel furgone la lingua di Claudio faceva il resto. Amo le mia ginocchia in particolare, così scolpite.

Diventa inevitabile scambiare due parole con Carlo.
Il ritardo monta, anzi partono le soppressioni, c’&egrave stato un vero incidente ad un passaggio a livello. Carlo ora si agita: la festa di compleanno della suo amica viene via via erosa dagli annunci. Ormai sono le sette e una parte di noi potrà contare sul pullman della linea extraurbana, uno all’ora, lentissimo e più scomodo (stasera poi lo faremo scoppiare più del solito), ma stasera può andare. Carlo no, non &egrave di strada e studia preoccupato i tabelloni degli orari.
‘Non hai molta scelta: se ho capito bene dove devi andare, o vieni con noi e cambi, oppure ti fai venire a prendere da qualcuno in macchina’
‘Grazie signora. Ma non saprei: amici tutti out, a casa non ho nessuno. Mi sa che mi tocca l’odissea’
‘Seguimi, se ci organizziamo riusciamo a sederci’
‘Con vero piacere, signora”
‘Sandra. Signorina, prego’
‘Ulp’ scusi ok. Carlo’

&egrave meno difficile del previsto, per l’emergenza all’autostazione hanno pensato bene di aggiungere un veicolo spostandolo da un’altra corsa poco usata.
Così ci ritroviamo sul pullman una affianco all’altro. A stretto contatto. ‘Preferisce il finestrino’ ‘Sì grazie’ Mi infilo per prima. Carlo mi lascia abbastanza aria, ma si ostina ad osservarmi vistosamente le natiche e le gambe’ non credo solo per sorvegliare che io ci passi comodamente. Lo sguardo si prolunga troppo, mi rimane appiccicato, lo sento mentre mi siedo. Anche dopo, cerca le mie ginocchia. Insomma, lo arrapo. Ma si limita a rispondere timidamente alle mie domande. Laurea, basket, stage’ Da oggi, per sei mesi. Probabilmente però in macchina’ l’esperimento decisamente andato male, forse non converrà l’abbonamento con questo andazzo che io stessa gli racconto.
‘Non so. A lei sembra convenire ancora meno: per pochi minuti di viaggio, ne perde mediamente tre volte di più solo per le attese. C’&egrave così tanto traffico per casa sua, Sandra?’
‘Dammi del tu’sai, dovresti provare. Poi c’&egrave l’abitudine, la poca propensione alla guida’magari alla fine come tempo ci rimetto. Comunque credo di risparmiare molto col treno: benzina, manutenzione, rischi, stress. Uso la macchina solo per le spese il sabato o la sera, centro commerciale aperto fino alle 21’.
‘Ammiro questa serenità’
‘Serenità? Ti sembriamo sereni noi pendolari?’
‘Tu di sicuro. Io ho fatto l’Università a Bologna. Città a misura di studente e di bicicletta. Potrei accettare una nuova offerta là’quasi quasi. Un’altra sera così e impazzisco’
‘Pensaci. Ma così non ci vedremmo più!’

Ora piove. Alle sette e trentacinque sono arrivata. Carlo perde un’occasione di strusciarsi con me. ‘Scendi anche tu Carlo, devi cambiare’
‘Ok Sandra, ti faccio strada’ Il pullman si svuota. Rovisto nella borsa per cercare l’ombrellino. Rosso carminio esplode nel buio ‘Bello’io ho il cappuccio’ ‘Non &egrave qui che passa il tuo, vieni che ti accompagno.’ ‘Sandra, non deve’non devi disturbarti così’ ‘Non preoccuparti, ormai la serata &egrave andata e poi ci passerei comunque, e a piedi. Ho la mia bici da tutt’altra parte, in stazione’. Seguiamo un drappello di altri passeggeri del nostro stesso pullman.

A questo punto non so cosa inventarmi, perché mi &egrave venuta voglia di lui. Prima solo una fantasia passeggera, come immagino avrà fantasticato lui, gli occhi sulle mie calze. Poi ci penso seriamente. Poi mi rassegno, non me la sento proprio di invitarlo.

Io, signorina datata in spolverino, camicia di seta e maglioncino di cachemire, gonna al ginocchio e calze burlesche, tacchi alti ma non aggressivi. Fisico pieno ma asciutto in 1,60 m. Bel culettone con natiche a chicco di caff&egrave, seno terza con grande areola, ventre non piattissimo ma tant’&egrave, pelo: tutto quello compatibile con la palestra. Poi un altro po’ lo sfalcio per il mare quand’&egrave stagione. Carlo non vede nulla però, non vede ancora, ma so che lo immagina.

Io, caschetto nerissimo alla valentina ma taglio più alto, rossetto scuro come piace a me, fondotinta e mascara, grandi occhi un po’ a palla. Naso a patata e mento quadrato. Testa inscritta in una sfera perfetta, caschetto incluso. Faccia un po’ scolpita insomma, fumettistica ma disneyana, con trucco non proprio leggero. Mi piace disegnarmi con classe e ironia, caricatura di donna fatale. Occhiali montatura nera finissima, lenti strette.

Seguiamo un drappello di altri passeggeri del nostro stesso pullman.
Alla fermata già un nugolo di persone con gli ombrelli. Accenno una corsetta col mio ridicolo ombrellino che non riesce a coprirci entrambi: infatti la mia spalla sinistra e la sua destra sono zuppe.
‘Lascia Sandra, vado da solo, non mi bagno, dai, ho il cappuccio. Grazie”
‘Ciao”
In quel momento arriva. La calca ondeggia, si rimescola, chi finisce nella pozzanghera, chi sale e chi scende, ombrelli che si chiudono, altri che si aprono’Carlo saluta con la mano, poi si sforza di salire. In un attimo l’autobus &egrave già pieno.
Mi lancio, lo afferro per la manica mentre spinge per entrare.
‘Lascia stare, vieni con me, ti porto io”
‘Sandra”
Altri due passeggeri si affrettano e sono assorbiti dall’ammasso umano, poi le porte si richiudono, sono riuscita a tenerlo.
‘Vedi, ci sarei stato’
‘Ma no, dai, vieni da me’
‘Ok. Grazie, Sandra, sei troppo gentile’

Arriviamo a casa, sotto la tettoia cerco le chiavi. Rovisto nella borsa, poi spingo. ‘Ti aspetto qui con la macchina’
‘Ma no che hai capito, entra pure, scaldati un attimo’
‘Ma’non vorrei essere invadente’
‘Scherzi?’
Sale le scale, poi si guarda attorno spaesato. ‘Togli la giacca, posa la borsa. Dammi tutto e siediti un attimo. Devo andare in bagno’
‘I miei amici’.’
‘Dammi tutto! Dai”
‘Ok’
‘Bravo, così’Ok! Sulla poltrona, vai comodo’
Appoggio le sue cose in cucina. Il cellulare vibra nella tasca della giacca. Lo sfilo furtivamente. ‘Giulia’. Lo spengo.
‘Se hai bisogno del bagno vai pure per primo, a me serve più tempo e non vorrei trattenermi. Non ti vergognare, &egrave lì.’
‘Non mi sembra il caso”
‘Vai!! Dopo due ore di strapazzi, &egrave il caso. Non vergognarti se ti scappa’
‘Grazie’

Nel frattempo metto sul tavolino qualcosa da bere. Quando Carlo torna due minuti appena, lo faccio accomodare e vado in bagno. Noto che &egrave tutto perfettamente in ordine, anche se il risucchio dello sciacquone e una chiazza di umidità nell’asciugamano testimonia che ha usato i servizi. Chissà se ha frugato nelle mie cose! Avvampo al pensiero. Io lo avrei fatto, come faccio sistematicamente dalle mie amiche. Ma forse un uomo non ci pensa e la biancheria intima piegata e profumata non gli interessa molto, senza carne dentro. Ma la carne sì. Decido di spogliarmi completamente. Poche abluzioni per togliere il sudore della giornata. Poi un’adeguata dotazione di intimo sexy. Si starà chiedendo cosa combino qui dentro’ con il whisky in una mano, nell’altra una rivista. O forse si starà masturbando mentalmente facendosi delle fantasie?
(continua) Lasciamo perdere, niente intimo sexy. Solo la mia carne massiccia e i miei peli. Così come sono lo affronterò e mi farò penetrare, anche contro la sua volontà. Mi osservo a figura intera nel grande specchio come non facevo da tempo. Sono sicura di quello che faccio? Non sono così perfetta. Il mio corpo &egrave pieno di chiaroscuri a macchie, tutt’altro che marmo tornito. Il mio corpo &egrave affaticato, l’interno delle cosce cede, le mammelle lasciate libere assumono una strana forma. Una grossa vena blu traspare sulla mammella destra, le areole scurissime sono poco gradevoli: toppo contrasto. Sono infatti pallidissima e un po’ spaventata. Sul corpo nudo, un corpo del genere, con il piumone di peli neri che risale dalla vagina, il mio caschetto e la mia frangetta sanno di artefatto, di innaturale. Faccio quasi ridere. Beh!, meglio che fare pena.
Non rimarrà disgustato? Sorpreso certamente; ma poi? Si sentirà vittima di una tardona rimbecillita, o gratificato dalla mia oscenità, dalla mia degradazione a troia? E il mio corpo? Gli farò repulsione? Lo immagino abituato a ben altro. Sempre che non sia ancora vergine’
Cosa gli dirò?
Certo molto dipenderà dalla sua reazione. Se la prende bene, &egrave un attimo: gli dico spogliati, e gli faccio quello che voglio. O potrebbe farmi lui quello che vuole.
Se fosse un pervertito, un violento? Lo escludo. Uno che mangia le unghie.
Se la prende male, lo faccio: gli chiedo per favore.
Tremo dal freddo.
Esco nuda? Aggiusto il trucco. Niente profumi. Niente occhiali, vedere un po’ annebbiato mi aiuterà a non prendermi troppo sul serio, come in un sogno confuso.
Tremo ancora. Siedo sulla tazza per prendere un respiro profondo. Sta passando troppo tempo. Rovisto ancora nel cassetto. Prendo il vibratore per sciogliermi un po’; l’ho lasciato qui ieri sera dopo averlo igienizzato. Lo passo sotto l’acqua calda. &egrave scarico! Come sempre. Con le sole dita torno a sciacquarmi la vagina. Andrà tutto bene.

&egrave ora di uscire. Non mi prendo cura di creare una scenografia. Niente luci spente o soffuse, niente. Affronterò direttamente la luce giallo elettrico del mio soggiorno e i suoi occhi. Scalza, le serpentine sotto il pavimento garantiscono tepore.

Apro la porta. Non sento nessun rumore, neanche un respiro. Carlo sta sulla poltrona con la testa reclinata da un lato e gli occhi chiusi, di certo un cedimento alla stanchezza.

Avanzo. Sono a un metro da lui quando apre gli occhi.
Strabuzza gli occhi.
Non ha parole.
Reazione positiva o negativa?
‘S…s’signora.’ Ora ha spostato lo sguardo sul mio pube, del resto poco sotto l’altezza dei suoi occhi
‘Ti voglio’
&egrave come paralizzato.
In un attimo gli sono addosso. Le gambe divaricate sui braccioli della poltrona, aderisco col bacino al suo corpo (ora si &egrave rizzato col busto) e saetto la lingua verso la sua faccia. Con le mani sotto le sue ascelle guido le sue braccia a stringermi. Forse spiazzato da questa agilità (anch’io mi sorprendo), non fa resistenza e accetta i miei baci. Mi sfrego contro la fibbia della sua cintura mentre mi sostiene impastandomi le chiappe con le mani. Dopo un breve scambio di lingua comincia a limonarmi le mammelle. Senza molto criterio, come un cucciolo affamato, esplora il mio corpo. Estrae dalla mia vagina alcune dita già impiastricciate. Il liquido comincia a filare. Mi adagia a sedere sul tappeto. Per terra non &egrave freddo.
‘Spogliati’ spogliati”
Ansimando comincia a svestirsi.
‘Che porcella’ ci avevo fantasticato prima’sembra un sogno’
‘Ti piaccio?’
‘Sei bellissima’
‘Sei di bocca buona’
‘Cosa vuoi?’
‘Sbattimi. Di là’

Lo trascino in camera da letto stringendogli il grosso pene eretto. Mostruosamente circonciso, con una cicatrice ancora evidente. Ma bellissimo, la cappella di un rosso acceso, pochissimo pelo chiaro.

Mi butto all’indietro sul letto, piego le gambe in alto e le apro offrendogli il mio seno e tutta la mia fregna allagata.
‘Mi piace guardarti negli occhi’
‘Ok’Ok’che bella figa’
Dopo penetra nella mia carne, le prime volte un po’ incerto, devo guidarlo io. Ma sono già lubrificata. Presto impara la direzione giusta e avvia una serie di vigorosi estrai ‘ affondi. Steso su di me spinge troppo, mi allontana facendomi strisciare indietro col copriletto. Poi mi richiama a sé tirandomi per le cosce e riaffonda. Mi sembra di essere una bambola’ o un attrezzo ginnico! Gli spasmi di piacere mi sconvolgono, le sensazioni suscitate dal potente e veloce meccanismo si amplificano. Quello che Carlo vede non sono i miei occhi, ma un volto continuamente centrifugato dal piacere. A bocca aperta tiro metri cubi d’aria a ritmo forsennato. Ansimo come una cagna emettendo ogni tanto urli, ma non dalle corde vocali: vengono proprio dal petto. Anzi, dalle parti basse. Ogni colpo &egrave un picco che sembra irripetibile.
Ci fermiamo venendo in un orgasmo squassante che sembra annegarmi. Mi si mozza il respiro, la sensazione &egrave che lo sperma mi sia risalito alla gola annegandomi. Prendiamo fiato. Lo tira fuori ancora avvolto e gocciolante di sperma, mi invita a sdraiarmi del tutto e mi monta sopra per un bacio appassionato. Mi lecca il collo. Avverto il suo membro perdere rigidità, morbidamente schiacciato su una mia coscia. Guardo il soffitto gridando con gli occhi la mia vittoria. Un giovane puledro ha cavalcato dentro di me.
Ma non può bastare. Ci scaldiamo in un lungo abbraccio. Il pene di Carlo già recupera.
‘Se fossi uscita vestita? Ti avrei deluso?’
‘Sai non &egrave da tutti i giorni entrare in casa di una’ estranea. La cosa puzzava un po’ ‘
‘Ci credevi? Poi il sonno ha prevalso’
‘Ce l’avevo già duro’ Se fossi uscita solo con quelle calze”
‘Ho visto che ti hanno eccitato’Anche tu però, ci hai saputo fare!’
‘Ho imparato all’università. E mi aiuta lo sport. Poi con te &egrave stato tutto più facile. Abbiamo saltato molti passaggi, non mi sono esaurito in un corteggiamento’Sembri finta, una maschera, un’attrice”
‘E la festa? I tuoi amici?’
‘Staranno bene anche senza di me. Stasera resto qui. Posso?’
Fa un saltello sul letto. Mi chiede se può leccarmi la figa. Beata gioventù!

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