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Racconti Erotici Etero

PerdutaMente

By 30 Marzo 2018Dicembre 16th, 2019No Comments

Sabato sera, le una di notte. Siamo da poco rientrati da una serata in compagnia degli amici di Matteo, la classica pizza tra coppiette in apparenza felici, in cui mi &egrave toccato parlare e fare anche finta di divertirmi con le fidanzate dei suoi amici, insopportabili e stupide. Eccomi qui sdraiata sul letto, di schiena, con le cosce aperte e le gambe accucciate, con indosso solo slip e reggiseno. Matteo &egrave sopra di me, in mezzo alle mie gambe, con indosso solo i boxer, e mi bacia il collo. &egrave il suo modo solito di procedere, talmente prevedibile che potrei dire esattamente ogni mossa che succederà nei prossimi dieci minuti. Ecco, ora sta iniziando a baciarmi il seno, mentre lo fa prova a slacciarmi il reggiseno, non gli riesce mai subito e devo aiutarlo. Quindi prende in bocca un capezzolo e lo lecca avidamente, poi lo succhia un po’. Starà così un altro mezzo minuto e poi farà la stessa cosa con l’altro seno. Mi leccherà il seno, poi il collo, prima di mettermi la lingua in bocca. Questa operazione può durare anche a lungo, ma dal suo modo di muoversi capisco che stasera farà un po’ prima, perché ha iniziato prima del solito a infilarmi una mano nelle mutande e a ficcarmi le sue dita dentro la fica. Mi fa un po’ male, gli dico di fare più piano. Con le mani, tutto sommato, &egrave la parte migliore della scopata. Mi sfila le mutandine dalle gambe, e appena fatto mi stringe forte una natica. Penso che vorrei sentire più male di così, o almeno sentire qualcosa. Quindi inizia un secondo giro, lecca il collo, poi le tette, poi mi bacia sulla bocca, e più fa così, più accelera, più infila le sue dita dentro di me. Sento il suo membro duro sfiorandolo con l’interno della coscia. Ha il cazzo molto grosso, quasi spropositato. Lo immagino rosso e tumido. Ora che gli &egrave venuto bello duro non resisterà a lungo prima di infilarmelo dentro. E infatti, eccolo. Si sfila i boxer, per la prima volta lo sento muoversi libero in mezzo alle mie gambe, puntare tra le labbra della fica. Mi bacia in bocca affondando la lingua. &egrave il momento. Toglie le dita e lo infila. Piano ti prego, piano. Lo aiuto un poco. &egrave dentro. Spinge solo un poco all’inizio, poi quasi si ferma quando sente un po’ di resistenza. Sta a me. Sono bloccata da lui e dal peso del suo corpo sopra il mio, e provo a muovere il bacino in avanti e all’indietro, col suo cazzo dentro. Lui &egrave rigido, sento il suo respiro sul mio collo. Sono passati 15 o 20 secondi. Mi dice amore, sto per venire, lo dice mentre cerca di tirare via il cazzo per non venirmi dentro. Gli dico, no ti prego aspetta, stai tranquillo, sto prendendo la pillola. Questa cosa lo tranquillizza un poco. Sta a me adesso, muovo avanti e indietro l’addome per cercare il mio orgasmo prima che lui mi schizzi in anticipo. Ma &egrave un destino segnato, già lo sento contrarsi e pulsare dentro di me. Mi chiama amore. Amore. Amore un cazzo. Sono lontana minimo tre minuti dal mio orgasmo. E non &egrave vero che sto prendendo la pillola.

Dopo essere venuto, a Matteo piace stare sopra di me, mentre il suo cazzo mi si ammoscia dentro. Normalmente resta così a lungo e io gli accarezzo la testa il collo e le spalle, dolcemente, come si fa con un bambino. Normalmente, ma stasera passano 3 minuti o forse quattro, lui inizia a ronfare, questo non lo sopporto, mi fa tenerezza il suo bisogno di rilassatezza, ma io non ho avuto il mio cazzo di orgasmo, e che ora si metta addirittura dormire no. Mi sfilo dal suo membro appiccicoso e scivolo con fatica da sotto al suo corpo. Vado a lavarmi, ok? Ah sì vai prima tu. Vado in bagno, accendo la luce, mi piazzo con le gambe aperte sotto il bidet lasciando che il getto dell’acqua calda mi sciacqui le parti intime. Lui entra in bagno. Con l’uccello moscio che gocciola ancora del suo liquido, se lo tiene con la punta delle mano e aspetta in piedi dietro di me, giusto il tempo che mi alzi dal bidet e mi asciughi.Torno in camera e mi butto sul letto a pancia in giù, completamente nuda e con le gambe divaricate. Riesco a distinguere tutti i battiti del mio cuore. Sento il ticchettio dell’orologio sul canterano. Aspetto che rientri dal bagno, eccolo, sento che si muove verso la sedia dove ha lasciato i suoi panni. Immagino che stia cercando nelle tasche una sigaretta. Sento il rumore dell’ accendino. &egrave il segno che per stasera ha finito. Non che stasera sperassi in qualcos’altro. Te ne vai? gli chiedo, mi dice se non ti dispiace amore domattina devo alzarmi presto per studiare, ho l’esame di abilitazione Martedì. Ma certo dai, vai pure ci sentiamo domattina. Sento che si veste, io resto nella mia posizione senza nemmeno alzare la testa, quando &egrave pronto si avvicina e mi dà un bacio sulla guancia e poi, per qualche inspiegabile motivo, mi dà un bacio anche sul culo nudo. Immagino che così si senta più uomo. Un ultimo ciao, e poi sento aprire il portone, si accende la luce delle scale del condominio che vedo riflessa attraverso la finestra, sento sbattere la porta. Ancora un altro’ minuto, due, la luce delle scale si spegne e in quello stesso momento mi trovo a cercare a tastoni per terra il mio computer portatile sotto il letto. Giuro che non ho programmato nulla di quello che sto facendo. Mi muovo istintivamente come se sapessi già cosa farò, ma lo faccio in modo quasi totalmente incosciente. Mi connetto all’indirizzo di un sito di incontri che ho già aperto altre volte, la sera, quando mi sento più sola, o più annoiata. In pochi minuti ho già quattro o cinque contatti, non riconosco nessuno tra quelli con cui avevo già parlato, tranne lui, un nome ridicolo di chat, cazzogrosso o cazzoritto, o qualcosa del genere, uno di quelli che in cuor mio speravo di trovare. In precedenza ci eravamo già scambiati foto e comunicato desideri e aspettative. Come sei, mi aveva chiesto, gli avevo risposto 1,72 peso 56 kg, terza abbondante di seno, capelli mori e lunghi, bel culo, fica depilata a baffetto sottile. Come il simbolo della Nike, mi aveva scritto con l’emoticon del sorriso. Come sei tu, mi aveva risposto alto 1,86 peso 82 kg ho 31 anni faccio palestra, che lavoro fai, il grafico, non sei un nerd vero, no tutto il contrario, dai scambiamo foto ok. Come ti piace scopare, mi aveva scritto, gli avevo risposto che mi piace essere sbattuta forte, presa da dietro, che il mio ragazzo non lo fa mai. Il culo lo dai, ho risposto di no, ma quando ha insistito gli ho detto che vedremo. Chissà. Le foto del corpo non le scambiamo tramite chat, ma da un anonimo servizio email. Sei una gran fica mi aveva scritto, ma anche lui non &egrave male. Ora siamo in chat da due minuti. Che fai, mi scrive, vuoi che ci vediamo? Non lo so. Ma sei col tuo ragazzo? No sono sola. Vediamoci, ho voglia, mi scrive. Ho scritto sì, vediamoci, senza nemmeno pensarci, obbligando me stessa a qualcosa che istintivamente mi fa paura, il cuore che batte a mille. Dimmi dove e quando, posso venire da te, vivi sola? No qui no, vivo con altre persone, meglio in un parcheggio. Allora ci vediamo alla rotonda davanti all’autostrada, mi dai il cellulare? No, il cellulare no. Ti devi fidare, e comunque non garantisco di venire.
Allora ci vediamo alle 2 e mezzo. Parcheggio della rotonda. Che auto hai?

Sono in macchina. Mi sento braccata, costretta a fuggire un destino che la parte cosciente di me non vuole. Ma ho bisogno di questo, del calore di un corpo, di essere stretta da due mani forti e ruvide, di sentire qualche parola volgare. Di qualunque qualcosa mi faccia sentire meno sola.
Prima di uscire ho bevuto due bicchieri di whisky, e passando davanti ad un posto di blocco non sento la paura ,nulla, non ho timore che i carabinieri mi fermino e mi facciano il test alcolemico. Sono un po’ in ritardo, pensavo di metterci meno a quest’ora. Ma ora spero di non trovarlo, mi sentirei fortunata e grata se lui non ci fosse.
Il parcheggio si trova un po’ in discesa, sotto il piano della strada. Entro faccio un giro del piazzale, senza fermarmi, lo faccio un’altra volta senza nemmeno guardarmi attorno, decido di andarmene, ma proprio mentre mi avvio verso l’uscita, una macchina mi si avvicina dietro, mi lampeggia. &egrave lui. Mi fermo prima dello stop di fronte alla strada principale e mi si accosta. Apre il finestrino, mi scruta e sorride con i suoi denti un po’ radi. Dice ciao bella, pensavo che non venissi.
La sua faccia non mi piace. Non &egrave il mio tipo. &egrave grezzo. Ma ho voglia di provare qualcosa, ho una smania addosso che &egrave più forte della paura. Vuoi salire me, mi dice? Gli dico che preferirei seguirlo, se lui si avvia davanti a me con la sua macchina. E no, sali da me, dai! insiste, mica ti mangio, dice.
Parcheggio la macchina nel piazzale quasi vuoto ed esco, la chiudo a chiave e la luce che lampeggia illumina il mio corpo. Sono vestita con una minigonna attillata e sopra una giacchetta corta di pelliccia sintetica.
Apro la portiera della sua macchina sul lato passeggero, lui non scende di macchina. Mi dà un bacio sulla guancia, ciao Simona piacere Mirko. E dove mi porti?
Mirko ha dei pantaloni chiari morbidi, penso bianchi, e una ampia maglia leggera, sul beige. Si capisce che &egrave un bel ragazzo, sportivo, ha un buon profumo maschile, ma in questo momento ho soprattutto paura, mi sento prigioniera di questo tizio che non conosco, e mi chiedo perché sono qui. Lui forse capisce questo, mi allunga una carezza sulla faccia, scostandomi i capelli. Tutto bene?
Gli dico di si, che sono solo un po’ nervosa. Stai tranquilla, mi dice, nessuno ti obbliga, se non ti va ti riporto indietro. No no, gli dico, mi va. Mi va, anche perché non ho alternative, non voglio stare sola e questo sconosciuto &egrave la cosa che mi fa meno paura in mezzo alla notte, ai campi, alla stradina di campagna che lui imbocca con sicurezza, sapendo esattamente dove andare.
Mi mette una mano sul ginocchio. E ce la tiene facendo un lieve movimento a sfiorare l’interno. Mi sembra di intuirlo sorridere, ma non riesco a guardarlo in faccia. Imbocca un’altra stradina. I fari illuminano le zolle di un campo, in mezzo a filari di vite. Fa una manovra, per girare la macchina, rimettendola nel senso del ritorno. Si ferma. Spegne il quadro, lasciando accesa solo l’autoradio, con una musica di merda di fondo. Gli chiedo di spegnere, mi dice: perché? non ti piace? No, preferisco senza musica.
Mi guarda. Ancora ho la sua mano sul ginocchio, e come prima lui accarezza la gamba sinistra, la più vicina al cambio. Mi chiede ancora se va tutto bene, te l’ho già detto si, tutto bene. Mi dice, buttiamo giù i sedili? Non so come si fa. Faccio io, dice. Allora si avvicina con il suo corpo al mio, con un movimento molto armonioso, quasi rispettoso, non so se di me o della sua macchina, in cui si muove con perizia. Avverto il calore del suo corpo senza che mi si appoggi addosso. Trova una levetta sotto il sedile alla mia destra e appoggia una mano sul poggiatesta mentre mi abbassa giù. Si avvicina con il viso, mentre fa così, e subito mi caccia la lingua in bocca. Lo lascio fare. Una lingua ruvida, forte, che cerca la mia, e aspira con forza. Mi apre la giacchetta e passa le sue mani sopra la maglietta di raso che ho sotto. Mi cerca il seno, lo palpeggia con forza e sicurezza. Non mi stacca la lingua dalla bocca, nemmeno un secondo. Sento il soffio delle sue narici sul mio viso mentre con le mani si infila sotto la minigonna, e la tira su sollevandola con la mano libera. Un altro movimento, veloce della mano si infila sotto gli slip, e me li sfila con forza, come se volesse strapparmeli. Gli dico di fare piano, mi prende per i capelli e continua a baciarmi in bocca, mentre si slaccia i pantaloni, e si tira giù in pochi secondi pantaloni e mutande, liberando il cazzo che sfioro appena con il dorso delle mani. Gli dico ti prego, fai più piano. Mi prende per i capelli e mi dice, succhiami troia. Non lo faccio mai con Matteo, lui mi accompagna il viso al suo membro già duro e tenendomi stretti i capelli, apro la bocca e me lo infila. Inizio a leccarlo, mentre me lo spinge già in gola. Ha delle gambe muscolose, belle, gli e le sfioro con le mani, ma non sopporto di avere il suo coso in bocca, mi sento soffocare. Si muove con ritmo come per scoparmi la gola. Dopo un po’ sembra che si scocci, penso che non gli piaccia il mio pompino, mi dice problemi? Mi sento umiliata, gli dico no, tutto ok. Allora mi dice di girarmi, abbassa anche il suo sedile, portandolo al livello del mio, ovvero non completamente giù, e mi fa sdraiare appoggiata ai due sedili con lo spazio vuoto sotto di me, sto a pancia in giù con le mutandine calate e la gonna tirata su. Mi prende per i capelli, e mi fa girare il volto, vuole che lo baci così. &egrave anche abbastanza dolce quando mi fa sentire il suo fiato e la lingua sul collo, e poi inizia a massaggiarmi la fica con le mani. Da lì scende, e mi infila il viso là sotto. Sento la sua lingua vigorosa che mi esplora le grandi labbra e si infila nella vagina. Mi sento ansimare, mi piace sentire il mio corpo che risponde facendomi mugolare senza che io riesca a controllare le mie reazioni. Succhia con vigore, quasi mi volesse dimostrare che ne &egrave capace. In chat gliel’avevo detto, che il mio ragazzo non me la lecca mai.
E va avanti così per un bel po’, sento un calore invadermi, la testa che scoppia, un frastuono nelle orecchie. Poi decide che &egrave il suo momento, e fa una pausa, i pochi secondi che occorrono perché si infili il preservativo. Sento che mi massaggia la passera con le dita, allargando un poco le labbra, per valutare la disponibilità. Tutto bene? Chiede. Non gli rispondo. Sono pronta. Mi passa la cappella ripetutamente nel solco, e la mia eccitazione &egrave enorme. Si infila piano, con una dolcezza imprevista, date le circostanze. Lui &egrave ancora vestito, ha solo i pantaloni calati e la maglietta ancora indosso. I primi affondi sono lenti, dolci, come per farmici abituare. Ogni affondo successivo &egrave profondo, lo sento in tutta la sua forza. All’orecchio mi dice parole oscene, le solite, che sono una gran troia e che devo preparami a farmi sfondare il culo. Non gli rispondo nulla, continuo ad ansimare come se non potessi fare altro che sopportare questa situazione. I vetri dentro la macchina sono appannati, mi sembra di stare in una dimensione fuori dal mondo, in mezzo alla notte, in un posto dei miei pensieri che conosco da sempre. Ora sta sbattendo, si &egrave ricordato cosa gli avevo detto in chat. Sbattuta forte. Sento le ossa del suo bacino ad ogni colpo, quando sbattono sulle mie natiche. Il ritmo di quel corpo forte e armonioso che non conosco e che imprime al mio un movimento che non so controllare. Mi tiene le mani sui fianchi costringendo il mio bacino a muoversi col suo. Mi schiaffeggia il culo con forza. Ora mi dai il culo, troia. No, no. Ti prego. Lo dico senza convinzione, non potrei opporre nessuna resistenza se lo volesse davvero ma capisco solo dopo un po’ che lo dice per eccitarsi. Il suo respiro si &egrave fatto pesante e affannoso.
Continua a montare, con una mano mi stringe i capelli, con l’altra si &egrave infilato e mi dilata con le dita come per aprirmi meglio. E così ho il mio orgasmo, finalmente.
Lui non sembra accorgersene, continua a scoparmi con forza, mi chiede se può venire schizzandomi in faccia. Gli dico che preferisco se continua così. Non dice più nulla, e avverto il suo orgasmo dai colpi secchi del suo bacino, più che dalla pulsazione del suo membro. Si appoggia completamente sopra la mia schiena, e si stacca quasi subito, si vede non ne può più di quella posizione scomoda.

Con calma si tira su i pantaloni. Io rimango zitta. Tutto bene? &egrave la quarta o quinta volta che lo ripete, da quando abbiamo iniziato, e nemmeno stavolta gli rispondo. Mi sento svuotata di tutto, di ogni pensiero, anche della paura che avevo prima di venire qui. Mi tiro su gli slip, mi riabbasso la gonna e mi rimetto a sedere. Stavolta il sedile lo tiro su da sola, ho capito come si fa.
Accende il quadro della macchina, e mette in moto. Mi chiede se mi &egrave piaciuto. Si, certo, ma lo dico freddamente. Riaccende l’autoradio, con la stessa musica di merda sentita prima. Una canzone che conosco, la metteva anche un mio ex quando voleva fare il romantico, prima di limonare.
Stavolta lo lascio fare, ritrova la strada principale e poi anche il parcheggio. Ci rivediamo vero?
Lo guardo. &egrave un bel ragazzo, il suo corpo &egrave da impazzire ma non mi piace la sua faccia, i suoi denti radi, ha la pelle abbastanza scura e butterata. Mi dice, dammi il tuo numero. Ti chiamo io, gli dico, lo scrivo sul mio cellulare. Fammi uno squillo, mi dice. Ti mando un messaggio quando arrivo a casa, gli dico, ok? Mi dice che va bene, ma lo fa per non insistere. Lo sa anche lui che non ci rivedremo più.
SI allunga davanti a me per baciarmi, lo assecondo senza convinzione. Mi fa ribrezzo.
Esco fuori. Da gentleman, aspetta che anche io sia dentro la macchina, per non lasciarmi sola in un posto così alle tre di notte, e aspetta che metta in moto. Mi saluta, e va via. &egrave finita, ancora viva.

Sono le tre e mezzo, sulla via del ritorno ci sono ancora alcune puttane. Le guardo con i loro vestitini attillati e i loro volti tristi. All’altezza di un lampione c’&egrave una ragazza di colore, forse non avrà neppure vent’anni, sta dormendo in piedi. Le poche macchine in giro sono di ragazzi di ritorno dalle loro uscite. Mi fermo ad un semaforo, sul vialone. Mi si affianca un fuoristrada blu. Dentro c’&egrave un ragazzo, sbadiglia. Sento che mi guarda, con la coda dell’occhio. Evito il suo sguardo e conto ogni secondo che mi costringe a stare ferma allo stop. &egrave verde, era ora.
Parcheggio nella via parallela alla strada di casa, faccio qualche decina di metri a piedi in mezzo al silenzio delle strade. Le luci delle case sono tutte spente. Apro il portone del palazzo e salgo le mie scale. Mi spoglio e mi infilo sotto le lenzuola. Finalmente, a casa. Riapro gli occhi, &egrave giorno. Il suono delle campane della chiesa del quartiere, mi ricorda che &egrave Domenica mattina. Ho mal di testa, e credo di averlo avuto tutta la notte, e una sorta di senso di oppressione. Succede, quando bevo troppo o faccio troppo tardi. Quando ero più piccola il suono delle campane della Domenica mattina mi trasmetteva una gioia infantile, e ora penso con nostalgia al suono delle campane della mia infanzia e ai giochi che facevamo nel cortile della chiesa, subito dopo la funzione.
Dentro le narici sento ancora l’odore del ragazzo che ho incontrato stanotte. Mirko. Me lo sento addosso sulla pelle ed &egrave come se ne avessi ancora impregnati i capelli, o come se quell’odore si fosse trasmesso al pigiama. In casa fa un po’ freddo. Vado in cucina, con indosso solo il perizoma, lo stesso indossato ieri sera per l’appuntamento e che non mi sono ancora cambiata, e la corta maglietta del pigiama. Ho bisogno di un caff&egrave.
C’&egrave qualcuno in cucina, chiedo: sei tu, Myriam? No, sono Saverio, risponde una voce maschile. &egrave il ragazzo di Myriam, l’amica con cui divido l’appartamento. Ero convinta che non ci fossero, di solito il Sabato sera lei va a dormire da lui e non viceversa. Sono quasi sicura che non ci fossero ieri sera, quando sono rientrata in casa con Matteo, la prima volta. Ma forse mi sbaglio, forse non li ho sentiti. L’appartamento &egrave abbastanza grande, ognuna di noi ha la sua camera con il bagno incluso, e solo il soggiorno-cucina &egrave in comune.r32;Saverio &egrave grassoccio e ha il pelo biondo-rossastro, quasi rugginoso, porta gli occhiali, l’ho sempre trovato presuntuoso e viscido. Ha una testa enorme, più larga sulla mascella che al livello delle tempie, ecco, una faccia a pandoro. La barba di tre giorni, e sembra che puzzi sempre un po’ di sudore. Sta preparando la colazione per sé e per la sua ragazza, spalma del burro nelle fette biscottate e le dispone a cerchi concentrici in un piatto. Poi la marmellata. Forse &egrave un po’ imbarazzato nel vedermi girare per la stanza con il culo praticamente nudo, ma essendo in casa mia, e non avendo nessuna intenzione di provocare nessuno, e certamente non lui, io me ne frego, e lui si limita a sorridere col suo modo un po’ pretesco e fintamente bonario, di chi in fondo &egrave abituato a tutto, o fa finta di esserlo. Cosa hai fatto ieri sera, mi chiede mentre metto al fuoco la moka, sono uscita con Matteo, rispondo, a cena al Baraonda, ah mi chiede, allora c’erano anche Gianmarco Giada la Giulia Fabio? si, rispondo a monosillabi, sembra che li conosca benissimo ma in realtà li conosce appena, si azzarda pure qualche battuta su qualcuno di loro, di quando frequentavano con lui l’Università, allievi architetti, anche se più piccoli di lui, che ha finito già da tre o quattro anni. Veramente mi sembra di avere ancora in bocca il sapore della pelle e dell’uccello di Mirko, e istintivamente mi metto in bocca un cucchiaino di zucchero di canna, mentre aspetto che salga il caff&egrave.
Dice che mi ha visto rientrare dopo le tre stanotte. Si, siamo stati insieme a parlare fino a tardi, rispondo. Non si fa mai i cazzi propri, Saverio. Penso che potrebbe addirittura aver visto Matteo che &egrave uscito di casa senza di me, oppure avermi visto uscire da sola alle due di notte. Ma non ho voglia di pensare a queste possibilità, mi limito a guardare il suo faccione ipocrita che sorride malizioso. E poi mi sento ancora così impregnata dell’odore del sesso fatto ieri sera in quell’auto, che mi sembra impossibile che anche lui non possa non avvertirlo. Mi verso il caff&egrave e chiedo anche a lui se ne vuole. No, grazie, ci penso da solo, dice, mentre finisce di preparare il vassoio per sé e per Myriam, per portargliela a letto. Penso al letto di Myriam pieno delle briciole delle fette biscottate di Saverio, alle briciole picchiettate qua &egrave là di burro o di marmellata, mentre si fanno le coccole. Mi sembra di sentirmelo addosso quel burro appiccicoso. Finisco di bere la mia tazzina di caff&egrave tornandomene in camera, e mi sento addosso gli occhi di Saverio che mi guardano il culo, coperto dal perizoma solo nel solco tra le natiche, e mi piace metterlo in imbarazzo, farlo schiattare un po’ di invidia, lui che &egrave abituato al culo un po’ flaccido della sua ragazza. Devo togliermi di dosso l’odore di ieri sera.
Mi tolgo gli indumenti e, prima di infilarmi sotto la doccia, mi guardo allo specchio. Ho ancora per quanto sfumati, i segni delle mani di Mirko, lasciati quando mi stringeva i fianchi mi sculacciava. Lascio che l’acqua mi scorra sulla pelle, per un tempo indefinito, e resto così, ferma, a lungo, insaponandomi e sciacquandomi più volte. Il mio bagno &egrave tutto pieno di vapore, e la finestra &egrave ricoperta di condensa. Così ripenso all’auto di ieri sera, mentre Mirko mi sbatteva sui sedili e guardavo sui vetri dei finestrini la condensa dei nostri fiati che ci si era appiccicata sopra.
Mi metto l’accappatoio, e torno in camera a prendere la biancheria intima nell’armadio, sul cellulare appoggiato sopra Il comodino vedo lampeggiare un messaggio di Matteo. Buongiorno Amore, che fai oggi? In effetti non ci avevo pensato, a cosa fare. &egrave Domenica, dovrei andare dai miei in campagna. Mio padre non sta bene, e non &egrave il caso che non ci vada. Mentre finisco di asciugarmi, ricevo anche la telefonata di Sara, la mia sorella più piccola, a cui la mamma ha chiesto di chiamarmi per capire se ci vado e a che ora arriverò. Si, rispondo, parto tra poco, a pranzo ci sono. No, Matteo non c’&egrave, sono sola, oggi.

I miei abitano a ridosso del primo paese appena fuori dalla città, in collina, dalla parte opposta a quella in cui abito io. &egrave un piccolo borgo medievale, per arrivarci mi ci vogliono circa tre quarti d’ora, quando non c’&egrave traffico. In questa prima Domenica d’Aprile il cielo &egrave terso, e nell’aria si avverte la grande festa della natura che si risveglia. Mi sento in pace, quando intravedo i posti in cui sono cresciuta, e quando entro nel vialetto di casa provo la gioia di sentirmi finalmente a casa.
C’&egrave Nora, il cane da caccia di mio padre, e mi salta addosso felice, mi si struscia addosso e mi lecca le mani, mentre la accarezzo. Il prato &egrave già pieno di margherite. Mi vengono incontro Sara e Gianluca, in suo fidanzato. Sara &egrave più piccola di me di quattro anni, &egrave l’unica della famiglia che ha seguito le orme di mio padre, e sta studiando medicina. Mio padre &egrave un chirurgo di una certa fama, ha avuto una bella carriera sporcata da una vicenda giudiziaria, per un’accusa relativa a cose amministrative dell’ospedale in cui lavora, per cui &egrave stato condannato ingiustamente, e nello stesso periodo ha anche fatto un brutto incidente, in cui &egrave rimasto ucciso un ragazzo. Ha attraversato un periodo terribile. Sara &egrave bravissima, in pari con gli esami, media del trenta. &egrave carina, gli voglio bene, ma siamo molto diverse. Anche Gianluca &egrave carino, per quanto io lo trovi insignificante e un po’ inutile. Studia filosofia, e stanno insieme dal liceo.
Salendo in casa, trovo la mamma che sta preparando il pranzo, e mio padre seduto in poltrona, guarda la televisione. Li bacio. Mio padre ha un cancro, lo combatte da un anno, non hanno potuto asportarlo completamente ma dicono i medici che sia sotto controllo. Lui &egrave stanco però, parla poco e sempre con un filo di voce.
Ci sediamo a tavola, e scende dalla sua camera anche Dario, il mio fratello gemello. Dario &egrave alto, magro, bello, ma il suo sguardo &egrave sempre triste. Non ha un lavoro fisso, vorrebbe fare il musicista, e spesso &egrave in giro per fare delle serate, poi ha imparato anche a fare il tecnico delle luci, e ogni tanto lo chiamano in tournée per qualche spettacolo. Ha un figlio di sette anni, nato da una cazzata fatta in gioventù, &egrave un bambino che adoriamo un po’ tutti in famiglia, ma lo vediamo poco perché &egrave quasi sempre con la sua mamma, con cui Dario non si &egrave lasciato in buoni rapporti. Dario ha alle spalle una storia di droga, ma ne &egrave uscito, o almeno così speriamo tutti.
La mamma ha preparato il solito pranzo della Domenica che fa da tutta la vita, io e Sara la aiutiamo a mettere in tavola, tagliatelle al sugo, vitello al forno, patate arrosto, insalata. Ha fatto anche i carciofi fritti, che piacciono molto a mio padre. Ad ogni piatto Dario si lamenta, per quanto sottovoce, sempre le solite cose dice. Mio padre invece &egrave contento di vederci tutti a tavola, ci guarda con gli occhi stanchi, ma con dolcezza. Credo di capire quello che pensa, ma cerco di rimuoverlo dai miei pensieri.
Mi chiedono di Matteo, perché non &egrave venuto. Sta studiando, ha l’esame di abilitazione, gli dico. Poi della famiglia di Matteo, poi del mio lavoro. Sto facendo pratica nello studio tecnico del padre di Matteo. Cerco di rimuovere le domande che riguardano il mio lavoro, lo faccio istintivamente, e non mi piace apparire così. A dire il vero non mi piace parlare di niente che riguardi me e Matteo. Solo la mamma mi guarda con l’aria di chi potrebbe intuire qualcosa, insomma che non va poi così bene. Papà &egrave immerso nei suoi pensieri, Sara e Gianluca parlottano sottovoce tra loro, e Dario non &egrave pervenuto. &egrave il primo ad alzarsi da tavola, prima di arrivare al dolce, e si stende sul divano.

Sono le cinque e mezzo, e sono sdraiata sul letto della mia camera, al piano di sopra della casa di famiglia. Devo aver dormito per almeno due ore, ricordo che dopo pranzo ho aiutato la mamma a sparecchiare e mettere a posto la cucina, mentre papà e Dario guardavano in tv un gran premio di moto, Sara e Gianluca sono usciti. Poi sono salita in camera, e devo essermi addormentata senza accorgermene, poco dopo essermi distesa sul letto. Sento la voce di papà che si lamenta con la mamma, non stanno litigando, ma la voce di papà &egrave tesa e la mamma risponde seccamente, come quando &egrave sulla difensiva.
Sul telefono ho due messaggi di Matteo, mi scrive dove sono e perché non mi faccio viva, in un altro mi chiede se ci vediamo stasera. Gli scrivo che sono a casa dei miei e che prevedo di restare qui a dormire stasera.
Dario &egrave in camera sua, e anche lui sta dormendo. Lo guardo affacciandomi alla porta socchiusa della sua camera. Mi assomiglia tantissimo, praticamente &egrave me al femminile, coi suoi lineamenti eleganti e la sua grazia ribelle. Ho patito tanto per lui, per le sue sofferenze, e le ho fatte mie. Poi ne ho avuto il rifiuto, perché mi sembrava che tutta la sua sofferenza soffocasse il mio stesso diritto a sentirmi infelice. Questo perché non potevo permettermi di soffrire anche io nello stesso modo, dopo tutto il dispiacere che il suo stato aveva provocato nei miei genitori. Succede spesso ai secondogeniti, di mettersi un po’ da parte, io l’avevo fatto spontaneamente non essendo neppure secondogenita, ma arrivata con lui a pari merito. Sara, invece, non si &egrave certo mai posta il problema, ha svolto il suo compito con diligenza, e così ha deciso di essere quella figlia perfetta che i miei genitori sognavano.
Io perfetta non sono mai stata, adolescenza inquieta, ma soffocata. Ero strana, così mi giudicavano i compagni di scuola o la gente del paese. Avevo strane abitudini di cui tutti parlavano. Ad esempio, uscivo da sola la sera, specie d’estate. Verso le 10, mi incamminavo lungo la strada principale, e di lì mi addentravo sui sentieri di campagna. Le macchine che passavano, rallentavano e mi osservavano. Chi &egrave quella, &egrave la figlia del dottor Corradi, ma dai, e che ci fa in giro a quest’ora.
Talvolta qualcuno si fermava e mi chiedeva se avessi bisogno di un passaggio, e sempre rispondevo no grazie, a volte con un sorriso, a volte no, senza mai guardare in faccia quelli che si fermavano a chiedere. Altre volte erano dei ragazzotti a fermarsi, mi canzonavano, mi chiedevano ehi Simona che fai, ehi Simona vuoi venire con noi, ehi Simona ma &egrave vero che ti fai scopare da quel negro del Monnalisa, ehi Simona lo fai anche a me un pompino? La risposta era il dito medio.
Il negro del Monnalisa era poi solo un ragazzo senegalese che avevo incontrato una sera in discoteca, e con cui mi avevano visto uscire. Quando andavo in quella discoteca, quelle poche volte, preferivo andarci da sola, senza compagnia di nessuno. Il ragazzo si chiamava Abdu, era un tipo tranquillo. Per un breve periodo &egrave vero che abbiamo scopato, poi siamo rimasti amici, lui aveva una moglie nel suo paese di origine, ed &egrave stato anche l’unico a cui ho consentito di accompagnarmi nelle mie passeggiate serali in campagna, anche quando eravamo rimasti solo amici. Anche Dario qualche volta veniva con me, a dire il vero. Fino ai nostri vent’anni con Dario abbiamo condiviso tutto, prima che lui facesse la cazzata di mettersi con quella stronza che l’hai inguaiato.
Lo guardo disteso sul suo letto, metto assieme i ricordi dei suoi dispiaceri e dei miei. Mi chiudo in bagno e scoppio a piangere. Mi fa bene, o almeno così mi sembra.

Sono le sei, siamo usciti a fare una passeggiata per le vie del paese, io e Dario. Il paese non &egrave molto cambiato, ma oggi ci vivono in prevalenza vecchi, e i pochi giovani che ci sono rimasti sono tutti quelli con cui non sono mai andata d’accordo. Dario non voleva nemmeno uscire, e sono stata io ad insistere. Ma ora che sono in giro con lui, mi sento addosso gli occhi e i pensieri di tutte le persone che incrociamo o ci guardano passando. Eccoli, mi sembra di sentirli, eccoli lì i figli strani del dottore, i gemelli usciti male, il fratello drogato e la sorella troia. Sui muri della vecchia scuola c’&egrave ancora scritto Simona troia, c’&egrave scritto da almeno 5 o 6 anni e nessuno l’ha mai cancellato, Simona succhiacazzi, il negro si incula Simona. Così. Non me n’&egrave mai importato nulla, ma ora che qui ci vengo poco, mi sento ancora più straniera.
La signora Tina &egrave un’amica della mamma, ci viene incontro e ci bacia. Vuole sapere di noi, di mio padre, come sta. Dario &egrave bravissimo ad essere cortese, risponde e sorride, magari lui pensa pure peggio di me, rispetto a queste persone, ma fa bene ad essere gentile. Io penso che la Tina sia solo una delle tante persone ipocrite che abitano qua, amica della mamma solo quando si vedono, ma pronta a parlarle male non appena volta le spalle.
Prendiamo un caff&egrave al bar di piazza. Ci sono i soliti vecchi che giocano a carte e si incazzano per una mano sfortunata. Quasi nessuno alza la testa. Da lì ci avviamo verso il parco. Dario parla poco, ma anche io ho poca voglia. Ci sediamo sopra la giostrina dei bambini. Piano piano lui si apre, mi dice del suo lavoro, che lo hanno chiamato per fare il tecnico delle luci in un festival di teatro importante, ma che non sa se accettare perché non si sente all’altezza. Poi mi dice che ha conosciuto una ragazza, ma che ancora non se la sente di mettercisi insieme. Io gli accarezzo la testa, piena di capelli irsuti.
Quando mi chiede di me gli dico che &egrave un periodo che mi sento molto agitata. Ho una gran smania addosso, e non trovo mai pace. Non mi piace quello che faccio, non mi piace lavorare nello studio del padre di Matteo, e sta iniziando a non piacermi neppure lui. Tutto mi pesa, enormemente, sono preoccupata per papà e non riesco a sentirmi in pace neppure con la mamma. Dario mi ascolta, per niente sorpreso. Mi chiede se penso di lasciare Matteo, gli dico che non lo so, che forse mi sento solo un po’ invischiata.
Senza accorgersene ci avviamo verso casa, stretti a braccetto che sembriamo due fidanzati.
Nel tornare vedo due ragazzi appena più giovani di me, li conosco bene perché andavamo a scuola assieme, ci salutiamo senza entusiasmo. Quando sono più distanti, li sento sghignazzare. Forse non di noi, o forse si. Tutto intorno sento fastidio.
La mamma ci vede rientrare e chiede cosa vogliamo per cena. Propone una pizza, e io non me la sento di dire di no, anche se da quando vivo da sola mangerò almeno tre pizze a settimana. Ma vado io ad ordinarle alla pizzeria, dice la mamma, due margherite, una napoli e una bufala.

Le nove e mezzo di sera, sono in macchina sulla strada di ritorno. Ero convinta che sarei rimasta a dormire dai miei, ma poi mi &egrave presa male. Domattina mi farebbe fatica svegliarmi presto, con il traffico del Lunedì non mi basterebbero due ore. E poi mi &egrave presa la smania che ormai riconosco, e che da tanto tempo mi prende ogni sera, e mi porta a cercare disperatamente qualcosa fuori di me. Ho promesso a mamma e papà che tornerò a trovarli a metà settimana. A dire il vero un gran traffico c’&egrave anche adesso, sulla via del ritorno, e sono costretta a prendere l’autostrada che perlomeno non &egrave intasata. Uscendo, mi ritrovo dalle parti dove ero finita ieri sera, quando ho incontrato Mirko. Rivedo la stradina che abbiamo fatto con la sua macchina, quando mi ha portato a scopare.
Ho già in testa che, appena rientrerò a casa, accenderò il computer per guardare di altri annunci oppure per cercare un po’ di compagni in alcune delle chat che ogni tanto frequento. La strada verso casa &egrave piena di puttane, la maggior parte sono dell’est europa, le guardo e mi immagino di essere una di loro. Più avanti, devo fermarmi per scansare una macchina che si &egrave fermata per abbordare una di loro. Rallento e la supero, e mentre mi affianco cerco di guardare chi &egrave il conducente dell’auto. &egrave un uomo abbastanza giovane, con dei capelli corti e la fronte stempiata, penso che probabilmente sarà sposato. La ragazza con cui &egrave in trattativa &egrave alta, mora, ha un vestitino dorato e luccicoso, cortissimo e attillato, porta due tacchi altissimi.
Penso che, se fossi in un’altra zona e non qui, dove rischierei di incontrare qualcuno che conosco, potrei mettermici anch’io, a provare a fare la puttana, a vedere la faccia degli uomini quando si fermano, solo per sentirmi chiedere quanto vuoi, bella bocca bella figa, dove andiamo?
Arrivo vicino a casa. Parcheggio. Mi prende la fretta di salire, scendo dall’auto, chiudo la macchina con le chiavi, recupero cellulare e borsetta, e mi incammino col passo veloce, apro il portone del palazzo e faccio le scale a piedi senza aspettare l’ascensore. In casa, metto subito a scaldare l’acqua per una tisana, tolgo il giaccone ma non mi svesto, prendo il mio portatile e mi metto sulla scrivania. In casa non c’&egrave nessuno, Myriam e Saverio sono sicuramente usciti.

Cerco in almeno tre chat diverse, due a contenuto sessualmente esplicito, e una più tranquilla, di dating. Quest’ultima &egrave la più ipocrita, piena di persone in cerca dell’anima gemella, ma penso che almeno una buona metà stia qui solo per scopare. Normalmente cerco di evitare le conversazioni di quest’ultima chat, sono più noiose che nelle altre, preferisco parlare subito di sesso in modo diretto. Mi serve per scaricarmi. Mi sono costruita un mio personaggio, cinico e sfacciato. Ho anche scattato dei selfie in bagno, per metterli in condivisione con chi mi chiede delle foto. Ma stasera nelle chat di sesso non c’&egrave quasi nessuno, in effetti la Domenica sera non mi connetto praticamente mai. Ci sono un sacco di vecchi. Poi ci sono gli imprenditori, credo che voglia dire che se ci stai, sono anche disposti a pagare. Sulla chat perbene, un tizio, dice che fa un lavoro manuale, ripara macchine. Si chiama Federico, Fede. Sulla chat perbene non posso scambiare foto troppo provocanti, a seno nudo o peggio, il sistema le censurerebbe, mi limito a mandare foto di me vestita con un abitino bianco fasciato e i tacchi a spillo, che avevo messo per una qualche festa d’estate, un matrimonio forse. Ho oscurato il viso col paintbrush. Mi dice sei bella. Lui mi manda una foto in giacca e cravatta col viso scoperto. Bella faccia, begli occhi. Gli chiedo se vuole vedere altre foto, posso mandargliele per email, mi dice ok. Allego i miei selfie, quelli fatti in bagno. In alcune sono di schiena, solo con un perizoma o anche nuda, in altre sono di fronte, sempre col viso coperto, col reggiseno o col seno scoperto. In una sono di fronte, completamente nuda, ma con la mano sinistra che copre la passerina. Le invio. Mi scrive, wow sei fica, mi dice che lui non ha foto simili da inviarmi, mi dice che gli piacerebbe incontrarmi. Ah si, quando, gli scrivo, mah una di queste sere mi risponde, e perché non stasera, gli scrivo. &egrave indeciso, mi dice sentiamoci per telefono, gli dico di no, lui insiste, e allora lo mando a cagare, io non voglio dare riferimenti miei a nessuno. Mi chiami da anonimo, insiste. Allora mi faccio coraggio, cancelletto trentuno cancelletto, il suo numero, risponde dopo il secondo squillo. Sono io. Allora che si fa, ci vediamo?

Il posto che abbiamo fissato &egrave un disco pub che si trova fuori città, un vecchio magazzino industriale che &egrave stato recentemente restaurato mantenendo la struttura originaria. Dai vetri esterni del locale si intravedono le persone sedute ai tavolini, illuminate da una luce calda soffusa. Parcheggio la macchina nel piazzale davanti, ed esco aggiustandomi il corto vestitino, di panno blu morbido lungo le gambe, e il giubbotto di jeans. Riconosco subito il tizio, &egrave in piedi davanti alla scalinata d’ingresso. Bel ragazzo, molto, sarà alto un metro e novanta, indossa una camicia bianca , un po’ da tamarro, con delle rose rosse ricamate sul colletto che porta fuori da un paio di jeans attillati. Ha i capelli lunghi raccolti in una specie di crocchia sopra la testa, barbetta incolta di 2-3 giorni, il naso a punta. Un orecchino a sinistra. Sorride. Federico. Ciao. Sei un po’ in ritardo, mi fa notare, pensavo che non venivi più. Ho trovato parecchio traffico per strada, mi giustifico. Mi rendo conto che ho poca voglia di parlare, tanto meno di giustificarmi o di raccontare ad uno sconosciuto una cosa qualunque della mia vita. Se mi chiedesse subito di andare a scopare, gli direi di si. Gli chiedo se dobbiamo entrare dentro per forza. Mi guarda con l’aria un po’ stupita muovendo leggermente le sue labbra sottili in un sorriso appena accennato, come se non avesse capito o non volesse proprio cogliere. Beviamoci una cosa assieme, no? Non riesco neppure a guardarlo in faccia, ma intimidita e imbarazzata lo seguo, stando sempre mezzo passo dietro a lui che avanza nel locale, e si siede in un tavolino appartato, che sembra fatto apposta per gli incontri come il nostro. Ci sediamo, lui ordina un Manhattan e io un doppio whisky, penso di mostrargli così che non sono una ragazza perbene, l’avrà capito. Parla. Non c’eri mai venuta qui, tu quando esci di solito dove vai, quali altri locali frequenti. Rispondo con qualche giro di parole, ma lo trovo noioso. Mi chiedo se non poteva dirmi, evitando tutta questa pantomima, che non aveva voglia di scopare, o almeno non subito, poi mi ricordo che in fondo, quella in cui ci siamo conosciuti, &egrave una chat di dating, e non di incontri di sesso al buio. Può darsi che Fede si aspetti di trovare una fidanzatina, o qualcosa del genere, e non di scopare al primo incontro. Gli chiedo che lavoro fa, riparo macchine, risponde, ah fai il meccanico come quelli che riparano le auto o i motorini. No, mi risponde, non quel meccanico, io riparo macchine industriali. Bello, gli dico, quindi però nella tua officina non fate come nelle officine del meccanico dove hanno i calendari con le donne nude con la fica al vento e in pose da troia. Ah sì, mi risponde divertito, alcune ditte fornitrici ce li mandano, ma noi non li esponiamo al pubblico, sai com’&egrave, il dirigente quando passa ad ispezionare l’officina non gli piace quella roba, pensa che sia volgare se vengono ospiti in visita all’azienda. Ah gli dico, al tuo dirigente non gli piace la fica? Penso di sì, mi risponde con l’aria un po’ imbarazzata, ha tre figli. Che cazzo c’entrano tre figli, gli dico. Mi rendo conto che sto esagerando, per cambiare discorso, gli chiedo cosa ha fatto oggi. Sono uscito con una ragazza, mi dice, anche lei conosciuta sulla chat ,ah gli dico, ed era carina, gli chiedo. Si, carina, ma non c’era proprio pelle, non so se mi spiego. Feeling vuoi dire, non vi siete piaciuti? Non troppo, dice. E quindi non &egrave andata bene, no? Non troppo, ribadisce. Capito, gli dico, se fosse andata bene, quindi stasera non saresti qui, ma saresti ancora a scopartela, no? Lo sto mettendo davvero in imbarazzo, mi guarda un po’ smarrito. E tu che hai fatto oggi, mi chiede. In fondo si vede, &egrave un bravo ragazzo, mi sento un po’ in colpa. Gli racconto qualcosa della mia giornata, senza dare troppi dettagli, gli dico che sono stata nel mio paese nativo, pranzo in famiglia, passeggiata in paese. Poi gli dico di quanto mi piacciono le colline intorno al paese d’estate, quando la sera vado a camminare, e mi sento invadere da un senso della natura, una specie di senso panico, ecco. Mi guarda senza espressione, secondo me non ha capito un cazzo. Allora gli dico che sono rientrata a casa, &egrave che mi sono collegata alla chat di dating, che non conosco ancora bene, frequentandola da poco. Mi chiede se ho già fatto altri incontri. Si, qualche volta gli rispondo. E mandi a tutti quelle foto che hai mandato a me per email? No gli dico quelle non le ho mai mandate a nessuno. Ovviamente non &egrave vero, ma mi rendo conto che lo dico perché mi piace solleticare il suo ego maschile. Infatti ora lo vedo più tranquillo e rilassato. Forte di una maggior confidenza, sfiora con le dita il dorso della mia mano destra, che gioca con il bicchiere di whisky, quasi come un cliché. Mi chiede se ho voglia di fare un altro giro di drink. No, mi alzo presto domattina, e poi devo guidare, e se poi mi fermano &egrave un casino. Alla domanda di rito sul mio lavoro, rispondo che faccio un lavoro noioso. Mi guarda con l’aria di chi non capisce proprio perché io mi debba annoiare, ma non sei un ingegnera? Dice.r32;Avrei voglia di alzarmi e di andarmene via, ma da una parte mi sento un po’ in colpa con lui per le mie parole un po’ provocatorie di prima, un po’ lui continua accarezzarmi il dorso della mano sfiorandolo con le sue dita, e non mi dispiace. Si fa coraggio, mi dice, sei fica, ingegnera sai. Hai un bel corpo e anche un bel culo. &egrave un complimento che non mi dispiace, detto da un ragazzo apparentemente perbene come lui che deve avere fatto chissà quale sforzo per tirare fuori una cosa simile. Per certi aspetti mi ricorda la timidezza di mio fratello, e mi fa simpatia. Grazie, gli dico e sfodero il mio sorriso più bello, il primo davvero autentico di questa serata con lui. Mi chiede se voglio uscire per fare due passi. Non ne posso più di stare qua dentro, e ovviamente gli dico di si. L’aria fuori &egrave fresca, il piazzale illuminato dalle luci dei lampioni. Dove andiamo? Ci incamminiamo lungo una strada sterrata che costeggia un parco pubblico i cui cancelli sono chiusi a quest’ora. Da una parte c’&egrave un fossato da cui siamo divisi da un ciglio erboso, dall’altro la recinzione esterna del parco, che &egrave illuminato anche la notte e la luce penetra un po’ dalla siepe subito dietro la rete. &egrave una stradina di breccino e terra compatta, dura e asciutta, ma ci sono in terra delle pozzanghere lasciate dalle piogge cadute negli ultimi giorni che ancora il terreno non ha assorbito. Lui mi tiene per mano, e camminandomi a fianco mi sfiora con il bacino, come se fossi la sua ragazza. Camminiamo in silenzio per qualche minuto. Sinceramente inizio ad avere un po’ di freddo, nonostante il mio giubbottino di jeans. Lo guardo, nella sua camicia bianca con ricami sul collo, ma tu non ci hai freddo, gli chiedo. E lui, lui fa una cosa completamente estranea alla sua natura di ragazzo per bene. Mi si mette davanti, fa un passo verso di me, mi costringe a fare uno, due passi indietro, e mi prende anche l’altra mano con la sua mano libera, quindi si porta le mie mani per farmi toccare il suo pacco in mezzo alle gambe. Mi fa toccare la sua eccitazione. Davvero notevole. Quindi, alla fine pensi che sono una troia, gli dico con la faccia seria. No, non penso niente, penso che &egrave tutta la sera che mi provochi, e penso che tu mi abbia preso per scemo. Dice, sei tu che pensi che io non sia capace di farti mugolare come una cagna in calore.
Con un movimento naturale, che non riesco a non subire, mi fa arretrare ancora di qualche passo finché non mi poggia con la schiena contro alla rete di recinzione lungo la strada, con le mani mi sfiora il collo, e avvicina il suo petto al mio, sento il suo fiato sul viso e sul collo, e con le braccia mi avvinghia stretta a lui, con una mano mi accarezza la schiena, con l’altra sfiora la gonna e mi palpeggia il culo. Quindi scende sotto il vestito, si infila sotto, e tocca il filo del perizomino che indosso stasera e la carne nuda che trova intorno. So quello che pensa, la mia eccitazione e il mio respiro vogliono dire che sono già disponibile e pronta. Non cerca mai di baciarmi in bocca, sembra interessato solo a sentire il calore e l’odore del mio corpo. Sento la sua mano sotto che si &egrave infilata nel solco della natiche, e da lì scende a sfiorarmi più in basso, nei punti dove sono più sensibile. Infila l’altra mano sotto il ginocchio sinistro, e tiene la gamba sollevata dal mio corpo, in modo da aderire meglio col suo ventre al mio. Mi si attacca addosso così, per farmi sentire la sua erezione contro il mio sesso, mi ha alzato completamente il miniabito appena sotto l’ombelico, e la stoffa dei suoi jeans &egrave a contatto col mio perizoma. Va avanti così, strofinandosi il pacco sulle mie mutandine. Mi sento la vulva gonfia. Vorrei almeno un bacio, e cerco di trovare il suo viso con le labbra, ma riesco a malapena a sfiorare il suo mento. Dai suoi movimenti capisco che si sta slacciando la cintura, e si sbottona i pantaloni, poi quasi nello stesso gesto si abbassa le mutande in modo da restare solo con il sesso scoperto. E quindi fa gli stessi movimenti di prima, solo che stavolta contro le mie mutandine ci strofina la carne nuda del suo membro durissimo. Vorrei che mi penetrasse così. Avvicino le mie labbra al suo collo, gli do dei piccoli baci, per dargli il segnale che mi rende disponibile. Infilo le mani sotto la sua camicia, a toccare il suo corpo, il suo pelo liscio, le sue natiche davvero possenti che sono ora scoperte. La sua mano, che prima si stava affossando sotto le mie natiche e mi premeva sul clitoride, ora lui la fa risalire lungo la mia schiena, sul collo, infine con un movimento prepotente fa il gesto eloquente di chi vuole che mi abbassi con la testa. Con decisione mi spinge giù. Vuole che mi inginocchi, vuole un pompino. Allenta la presa sulla gamba e preme anche con l’altra mano sulla spalla, e lascia che il suo petto si scosti dal mio, per lasciarmi solo lo spazio di inginocchiarmi. Mi trovo inginocchiata a terra, con il vestito alzato e la pelle delle cosce e del sedere a contatto con l’erba. Sfioro con le labbra la punta del suo pene, caldo. Sento la sua cappella gonfia, vorrei tenermela fuori dalla bocca, cercando di ruotare la lingua tutto intorno alla punta. A lui non basta, preme piano ma con decisione la punta del suo membro contro la mia bocca, pur senza essere troppo irruento, per conficcarmelo meglio, senza accennare il movimento di scopare. Lo fa con movimenti lenti, e io lascio che il suo bavaglio di carne esplori la cavità della mia bocca. Succhia bene, dice, con la voce irriconoscibile e alterata.
Mi fa freddo. Sento i fili d’erba che mi solleticano la fica, ora che sto inginocchiata. I piedi li ho tutti storti, dietro, in una posizione innaturale, mentre lui mi si stringe addosso, appoggiandosi con una mano alla rete di recinzione, con l’altra mi tiene la testa con la morsa forte della sua mano, per evitare che non molli la pressione nemmeno un secondo. Succhio lentamente, in alcuni momenti cerco di aspirarglielo più forte, e lo sento contrarsi e sospirare. Vorrei che mi gettasse per terra lì , essere rotolata in quel ciglio d’erba e scopata con forza animale. Credo che capisca che desidero questo, come d’altra parte aveva ben capito prima, cosa pensassi di lui, credendolo incapace di fare qualcosa. Sono stata sciocca, e lo capisco solo adesso. Difatti, fa questo per punirmi.

Continua così per un tempo che mi sembra lunghissimo, tanto che mi sembra di soffocare. Riesce solo a dire questo: l’avevo capito che ti piace il cazzo. Lo dice mentre ha afferrato la mia testa con le unghie di tutte e due le mani. Sento il suo orgasmo che mi inonda la gola. Non riesco né a respirare né ad ingoiare il suo seme, ho un colpo di tosse, e quindi una specie di conato di vomito, mentre il suo sperma mi cola ai lati della bocca, e lui ci &egrave ancora ben inficcato dentro. Solo quando &egrave sicuro di non averne più, solo allora si toglie.
Si volta, senza guardarmi, lasciandomi a terra. Quindi, con calma, si pulisce con dei fazzoletti di carta che poi getta in terra, si tira su le mutande, i pantaloni, e si stringe la cintura. Hai ragione, dice, &egrave un po’ freddo anche per me, ho solo questa camicia addosso.
Io mi alzo, mi ricompongo, e mi avvio verso il piazzale prima che sia lui a farlo. Stavolta sono io mezzo passo davanti a lui. Passando davanti al pub, vedo dalle finestre illuminate le coppie che si guardano e sorridono. Non mi sento troppo umiliata, perché mi sembra di essermi meritata la sua punizione. Prima di risalire in macchina mi dice che se mi va ci possiamo anche risentire. Gli dico, ok. Ovviamente sono sicura che non lo vedrò mai più, non riuscirei mai a guardarlo in faccia.

Sono le undici e mezzo, nemmeno troppo tardi, considerati gli ultimi tempi. Sulla strada del ritorno non c’&egrave quasi nessuno. Domenica sera. Vedo un bar aperto, e mi fermo. Al barista chiedo un pacchetto di Lucky Strike, che non fumo più da anni. E un whisky doppio, che ingurgito in pochi secondi. Devo alzarmi presto, domattina.

Lunedì, piove. Sono in fila da più di mezz’ora davanti ad un semaforo ingorgato, occupato dai vigili che fanno passare solo una macchina per volta. Sono uscita di corsa, e non ho neppure fatto colazione. Ho preso la macchina, e non lo scooter, lo faccio sempre quando piove. Sul cellulare, una decina di messaggi di Matteo. Che ieri sera mi ha cercato un sacco di volte, e non rispondevo mai. Che ha provato a cercarmi anche a casa dei miei, che gli hanno detto che ero andata via da loro subito dopo cena, senza essermi fermata a dormire. Che lui ha poi sentito anche Saverio’ cazzo c’entra Saverio? Allora mi sono incazzata. Gli ho scritto che ieri sera ero stanca morta, sono andata a letto presto, e che avevo il cellulare scarico, che non l’ho rimesso in carica subito, e che, in ogni caso, non capisco perché ora lui debba addirittura contattare quel viscido di fidanzato della mia compagna di casa per sapere dove sono. Poco dopo mi ha chiamato, quando ero già in macchina. Ero solo preoccupato di sapere dove fossi, mi dice. Non sono una bambina, Matteo. &egrave ovvio che mi sento una merda, e dal cielo piove sporco come fa sempre quando soffia un po’ di scirocco, acqua mista a sabbia che i tergicristalli che gracchiano non riescono a ripulire. Devo cambiare le spazzole, cazzo. Mi guardo allo specchietto retrovisore, osservo la mia espressione corrucciata, le occhiaie le ho mascherate bene con il fondo tinta e il mascara e la matita esaltano un’espressione divenuta arcigna, in cui non mi riconosco. Ripasso il lucidalabbra osservandomi allo specchietto. Ecco, le labbra di una succhiacazzi. Mi guardo e cerco di capire che espressione faccio quando lo dico prima a bassa voce, poi in modo più convinto. Simona sei una troia succhiacazzi. Che schifo di faccia. Poco credibile. Lo ridico, allora, per convincermi che &egrave così. Simona sei una troia succhiacazzi che gode a farsi sbattere dagli sconosciuti delle chat. Muovo la lingua in maniera oscena, per vedere che faccia &egrave questa, chi &egrave questa qui, se sono davvero io.
Mi accorgo che c’&egrave una signora, in una macchina vicina che mi sta guardando, mentre il marito guida e le parla. Faccio finta di niente, per non incrociare il suo sguardo.
Penso a Matteo, e mi sento in colpa con lui per il mio comportamento degli ultimi giorni. Così, di impulso, prendo il cellulare, gli scrivo, ti amo, invio. Risponde subito, ti amo tantissimo anche io, e non vedo l’ora di aver dato questo cazzo di esame per stare un po’ assieme. Lo leggo e penso che sono proprio una stronza, che &egrave un ragazzo d’oro che non merita di stare con una come me che lo prende per il culo.
Dove sono, chi sono? Vedo il vigile davanti a me, e aspetto che mi faccia segno quando &egrave il momento di passare. Una sua collega lo aiuta dall’altra parte della strada, bloccando il traffico che viene dalla via trasversale, dove anche io devo girare. &egrave il mio turno, giro a sinistra, e dopo pochi metri mi fermo ancora, sulla coda successiva. Questa scorre appena un po’ meglio. C’&egrave un ragazzo a terra, e un motorino sdraiato in mezzo alla strada, deve essere scivolato per via della pioggia. &egrave arrivata un’ambulanza, le macchine rallentano per guardare cosa &egrave successo al ragazzo. Indossa ancora il casco, e lo tengono a terra per non farlo muovere. Sono in ritardo, ho una riunione alle nove, così dò un colpo di clacson a quello davanti a me che rallenta per curiosare. Mi chiedo che cosa sto facendo della mia vita, visto che siamo tutti così deboli e precari. Scoppio a piangere.

Lo studio dove lavoro si trova al penultimo piano di un palazzo di quattordici, di recente costruzione, in zona centrale. Ho avuto anche difficoltà a trovare parcheggio, e mi &egrave toccato andare in un garage a pagamento nemmeno vicino. Arrivo trafelata a prendere l’ascensore, mi scappa la pipì. Appena entro, la Gianna mi dice subito che gli altri sono già in riunione e non potevano fare aspettare i clienti, forza vai subito. Gli dico, devo prima andare in bagno, e la vedo sbuffare con la faccia scandalizzata. Gianna &egrave una ragazza di 35 anni, anche bella, mora, con due tette e un culo spettacolari, da noi risponde al telefono, gira le email, segue un po’ l’amministrazione, insomma non fa un cazzo, ma ha sempre qualcosa da ridire su quello che faccio io. Vado in bagno, ho mal di pancia, ma credo per via della tensione. Quindi entro nella saletta della riunione dove ci sono tutti: Cosimo, il responsabile dello studio quando il capo non c’&egrave, Antonio, il numero due, Gabriele, il mio compagno di stanza, oltre ai due tecnici e al legale della committenza, un’azienda per cui abbiamo progettato e stiamo seguendo la costruzione di un nuovo centro commerciale alla periferia Nord della città.
Cosimo mi guarda male e Antonio mi chiede cosa &egrave successo. Scusate, dico, ho trovato un incidente. Continuano a parlare del progetto, a cui peraltro ho lavorato moltissimo anche io. Il loro architetto chiede spiegazioni su alcune coperture in vetro, propone delle modifiche. Gabriele &egrave diligente nel prendere appunti. Cosimo impartisce ordini. Quando chiedono chiarimenti riguardo a un aspetto o un altro del progetto in cui ho lavorato anche io, o magari Antonio, puntualmente Cosimo si rivolge ad Antonio. Riferendosi agli altri, i loro titoli sono sempre: ingegnere, architetto. Quando parlano di me, per tutti, io sono solo Simona. E chiaramente, quando c’&egrave una critica da fare, magari su errori che non sono neppure fatti da me, allora si dice: vedi Simona, questo non va bene, vedi Simona questo si deve migliorare.
Solo l’architetto dell’azienda, un uomo sulla quarantina, ogni tanto mi guarda e mi fa un sorriso di solidarietà, evidentemente questo modo di trattarmi, così evidente, piace poco anche a lui. A un certo punto viene fuori la questione di alcuni bagni del centro commerciale, una specie di servizi comuni ai vari esercizi perché abbiamo pensato di metterli in una zona dove l’azienda aveva previsto degli uffici. In realtà dobbiamo cercare di connettersi facilmente con il sistema fognario che oramai &egrave stato già deciso dal Comune. L’azienda inizia a lamentarsi di alcune scelte, Cosimo dice che anche lui aveva capito le loro esigenze e dà la colpa a me, che evidentemente ho fatto di testa mia e non avevo capito. Allora dico le mie ragioni, e spiego perché non si poteva fare diversamente. Il loro ingegnere mi ascolta, e mi dà ragione, dice per ora lasciamo così e sentiamo a direzione, proviamo a convincerli. Cosimo &egrave irritato, lo conosco, e gli dà fastidio che io mi sia permessa di contraddirlo per difendere il mio lavoro. Ma guardate che per noi non &egrave un problema modificare il progetto, gli dice. No no, noi siamo convinti, dice l’ingegnere dell’azienda, ci sembra che questa parte del progetto sia ottima e dobbiamo solo spiegarla alla direzione. Insomma va avanti così per un po’. Guardo Cosimo, &egrave incazzato nero. Mattinata di merda.

Sono quasi le due, e sto sotto la doccia della palestra. La palestra si trova al piano terra dello stesso palazzo in cui abbiamo gli uffici, l’ho scelta così vicina per comodità. Normalmente ci vengo in pausa pranzo e il lunedì c’&egrave il corso di walking, sui tapis roulant, che &egrave veramente un massacro, però mi aiuta a scaricarmi i nervi. Anche Antonio viene nello stesso orario, ma va a pomparsi i muscoli nella sala degli attrezzi.
Guardo le altre ragazze che fanno la doccia negli spazi di fronte. Penso che puoi capire tutto di un’altra donna, che immagine ha di sé stessa, da come si depila la fica. La fica totalmente depilata &egrave priva di tutto: di eros, di ironia, di gusto. Meglio una bella foresta, mi sembra meno oscena, anche se spesso chi se la lascia non ha molta considerazione di sé. Io amo la landing strip, in versione sottile, il baffettino sottile che prosegue idealmente lo spacco delle grandi labbra. &egrave un’immagine pulita, ma nello stesso tempo mi ricorda che sono una donna, e la parte animale che &egrave in me si &egrave semplicemente evoluta. La landing strip in versione standard, &egrave normalmente una striscia più spessa, io la trovo volgare, ordinaria. Esco e mi asciugo, mi rivesto, ma non ho tempo per asciugarmi bene i capelli, Cosimo ha detto che dopo pranzo dobbiamo parlare, quindi mi sbrigo per riuscire a mangiare almeno un tramezzino e un caff&egrave al bar di fronte. Massimo, il barista, &egrave davvero un bel ragazzo, alto e ben piazzato, quando mi porge il caff&egrave mi dice sottovoce ehi Simona ma noi quando usciamo? Gli sorrido, almeno &egrave simpatico. Veramente me lo farei senza pensarci, se facesse su serio, e se non avessi un po’ di remore ad andare a letto con quelli che conosco e che poi rischio di ritrovarmi davanti nella vita di tutti i giorni. E poi lui conosce bene anche Matteo. Non ho mangiato niente da stamani e ho i crampi allo stomaco, un tramezzino non mi fa veramente un cazzo, ma mi devo sbrigare. Chiamo l’ascensore e mentre aspetto mi guardo in una specie di quadro fatto con degli specchi montati su dei prismi, che riflettono l’immagine in tanti modi diversi. Vedo la mia immagine spezzata in tanti frammenti, e in fondo mi sento così, frammentata. Arrivo in ufficio, e Cosimo &egrave già nella sua stanza che mi aspetta. Stranamente non sembra così incazzato come temevo. Anzi, si scusa se stamani mi ha dovuto rispondere male ma, mi dice, &egrave un progetto importante ed &egrave normale che ci fosse un po’ di tensione. Però non ha apprezzato, dice ancora, di essere smentito su una cosa che dobbiamo cercare di modificare per venire incontro all’azienda. Ma guarda che non ti ho affatto smentito, non mi permetterei, gli dico, solo che le avevamo pensate tutte e quella era la soluzione migliore, più che altro l’unica. Allora inizia ad alzare la voce, sei troppo presuntuosa, non hai ancora esperienza, e poi io devo capire’ devo capire, secondo lui, che ci sono dei momenti per parlare e dei momenti per stare zitta. Vuol dirmi, con il suo nervoso modo di esporre, che di fatto, quando non c’&egrave il Professore, &egrave lui il responsabile dello studio, e che non posso permettermi di dire la mia senza averlo prima consultato. Il Professore, &egrave il padre di Matteo, ed &egrave anche l’unico motivo per cui la parte di merda nei miei confronti resta piuttosto contenuta nei toni: perché in fondo sono sempre la fidanzata del figlio del capo. Poi, per stemperare il clima, mi chiede se lo accompagno a prendere un caff&egrave, e io allora lo seguo, e qui lui mi dice che comunque mi apprezza, che sono brava, e devo solo fare esperienza. Cazzate.
Il resto del pomeriggio lo passo nella mia stanza, che condivido con Gabriele, a disegnare al computer. Odio disegnare, &egrave un lavoro così tecnico che dopo un po’ mi fa sentire un automa, mi sento ancora più sola e mi sembra che mi manchi l’aria. Gabriele parla sempre poco, si mette le cuffie e ascolta la sua musica. Ha tre anni più di me, ma si &egrave laureato lo stesso giorno mio. A volte provo a parlarci, allora si toglie le cuffie e mi chiede, che hai detto? Che hai fatto nel fine settimana, gli chiedo. Sono stato fuori con la mia ragazza, al lago. E ti &egrave piaciuto siete stati bene? Si, un bel posto, dice, e mi descrive un po’ cosa hanno visto, un cazzo di niente, un museo, mangiato in qualche ristorantino sul lago. Insomma, non &egrave che si sprechi a raccontare. Appena capisce che non insisto con le domande, si rimette le cuffie. E così mi rimetto a disegnare. Mi sento soffocare. Allora vado in bagno, mi chiudo dentro e apro la finestra. Mi metto a respirare lentamente, vorrei stare in campagna dai miei, in qualunque altro posto al mondo, purché all’aria aperta.
Mi metto a guardare sul cellulare, prima le news. Poi controllo anche uno dei siti che ogni tanto frequento, questo &egrave un sito di annunci a cui mi collego veramente di rado. Anche qui avevo postato alcune foto mie fatte con l’autoscatto e il volto coperto. Trovo un sacco di richieste non lette, quasi tutte oscene. C’&egrave addirittura una richiesta di oggi, un tipo che dice, ho letto il tuo annuncio, sei bella ecc. mi trovo nella tua città per lavoro, mi piacciono le studentesse e se ti va di accompagnarmi a cena, poi vediamo. Immagino che non abbia scritto solo a me. Rispondo al suo messaggio, gli dico: potrei essere interessata, ma dammi qualche dettaglio in più. Guardo le sue foto, tutte rigorosamente in giacca e cravatta, con il volto coperto. In una &egrave al mare in costume da bagno. Un tipo nemmeno male, piuttosto in carne, dichiara di avere 48 anni, ma secondo me ne ha almeno 55.
Torno in stanza e mi rimetto al computer. Muovo ferri virtuali, piastre e bulloni intorno a pareti e travi di cemento armato. Adatto, estendo, taglio, estrudo. Ho sempre odiato pensare che avrei fatto un lavoro così noioso. Mi sembra di sprecare la mia vita, il mio talento. Mi &egrave sempre piaciuto scrivere, e per me sognavo un destino da scrittrice, oppure da attrice. La recitazione era l’altra mia passione, ma sono rimasta scottata da un’audizione fatta per un importante scuola quando avevo diciassette anni. Allora ero forse troppo piccola, ora, a parte che ho smesso di fare teatro da qualche anno, forse non sopporterei il peso di una ulteriore bocciatura. Ha smesso di piovere. Dalle finestre, il sole di primavera che a quest’ora del pomeriggio batte sul mio tavolo, mi dà fastidio e mi fa venire caldo. Mi tolgo la maglia di cotone più pesante che ho sopra, e resto con una magliettina scollata. Davvero, mi manca l’aria.
Gabriele continua il suo lavoro, imperturbabile a tutto. Controllo il mio cellulare, il tipo dell’annuncio ha risposto subito al mio messaggio. Mi scrive che sta cercando compagnia per stasera, mi propone di andare con lui in un ristorante di pesce che si trova poco fuori città, che sa ‘come va il mondo’, ma al tempo stesso che avrà piacere della compagnia anche se non dovessimo finire a letto. Mi sembra di capire, che intende pagare, e la cosa sul momento mi fa abbastanza schifo.
Poi penso che ho mangiato solo un tramezzino da stamani, e tutto sommato l’idea di farmi una buona cena di pesce, senza pagare, con uno sconosciuto che oltretutto non sembra così pericoloso, non &egrave così male. E poi mi piace che lui mi pensi come una studentessa, in effetti sul sito di annunci e informazioni risalgono a due anni fa, e solo i selfie (i soliti, quelli di me seminuda davanti allo specchio, col culo e il seno nudo) sono recenti. Una studentessa a cui un uomo più grande e in carriera offre denaro per sentirsi più giovane. In fondo non sono così diversa dalle puttane che osservavo passando per strada nei giorni passati.

Sono le 19, uscita dal lavoro un’ora fa, sto andando verso le colline ad incontrare il tipo dell’annuncio. Non riuscivo a passare da casa per cambiarmi, e non mi andava di andare ad un appuntamento vestita in jeans e una maglia di cotone.
Sono stata in un noto negozio di intimo, comprato un perizoma di pizzo nero con fianchetto e reggicalze della stessa serie, calze nere, giarrettiera. Poi ho comprato anche un abitino di cotone aderente, con un generoso scollo a V. e due sandali bianchi, con il tacco alto. Mi sono cambiata nei bagni del centro commerciale, un filo di trucco, matita, mascara e solo un poco di lucidalabbra. Sopra, giubbottino di jeans chiaro, che fa più studentessa.
Mi arriva una telefonata di Matteo. Che fai stasera, mi dice, perché non ci vediamo 10 minuti. Gli dico, mi spiace Matteo, ma non penso sia una buona idea. Poi pensavo tu dovessi studiare e ormai ho fissato di andare al cinema con un’amica. Chi? Diletta, un’amica dell’università. Ovviamente una che lui non conosce. E cosa andate a vedere? Un film che dura tre ore più la pubblicità, una di quelle storie di un regista orientale che lui bolla come pallose, e forse non ha nemmeno tutti i torti. Allora, ci sentiamo quando &egrave finito, mi dice. OK, gli rispondo. Mi sento veramente una puttana.

Il ristorante &egrave una struttura moderna che fa anche hotel. Lo conosco di fama, anche se non ci sono mai venuta, nel senso che &egrave abbastanza famoso come ristorante di pesce. Lui mi ha scritto che sarà un po’ in ritardo, e se posso aspettarlo nella hall dell’albergo. Così entro, mi siedo sui divani di pelle nera, e aspetto. Un normale albergo, un po’ pacchiano, con dentro statuine di gesso di divinità antiche, e vasi di fiori di terracotta un po’ dappertutto. Arriva un cameriere e mi chiedo se desidero bere qualcosa, ordino un doppio whisky, anche se a stomaco vuoto non &egrave il massimo.
Mi metto a sfogliare i giornali di oggi, le riviste prevalentemente per uomini, e anche un po’ delle pubblicità che trovo sopra i tavoli, servizi di massaggi, e night club. Sono ormai parte di questa cosa, qui per una funzione. Eppure sono convinta che in qualunque momento posso ancora alzarmi e andare via, tornarmene a casa o magari andare davvero al cinema a vedere il film cinese che dura tre ore. Il cellulare l’ho spento.
Buonasera, stavi aspettando me? Mi volto, alle mie spalle c’&egrave lui, un uomo sui 55, come avevo previsto, capelli brizzolati e fronte stempiata, evidentemente robusto, due grandi mani una delle quali mi porge come un fatto dovuto, un sorriso a denti stretti, poco spontaneo, e una smorfia anche un po’ volgare nel viso. Ha due guance molto rosse, e anche un nasone rosso un po’ spellato dai primi giorni di ole. Mi chiede se vogliamo bere qualcosa prima di andare, ho già ordinato una cosa mentre aspettavo, gli dico. Sinceramente mi mette anche un po’ in imbarazzo dargli del tu. Quando lui vede arrivare il cameriere con il mio doppio whisky, ordina un aperitivo poco alcolico a base di frutta. Cos’&egrave quello che hai preso, mi chiede, un doppio whisky, ah, dice, hai intenzione di ubriacarti? Forse, gli dico con un sorriso un po’ forzato.
Mi fissa per un po’, io mi sento imbarazzata, dopo un po’, gli sorrido in maniera nervosa. Incontri spesso altri uomini? Mi chiede. No, veramente non incontro mai. Si accende una sigaretta e mi guarda, non penso che mi creda. Mi dice che sembro più giovane dell’età che ho dichiarato, e in effetti &egrave vero, tutti mi dicono che dimostro di meno, poi mi chiede cosa studio. Giurisprudenza, gli dico. E tu cosa fai nella vita? Mi dice che &egrave nel management di una multinazionale che opera nel settore alimentare, che viaggia spesso per lavoro tra l’Italia e l’estero, soprattutto in Francia. Mi chiedo cosa ci faccio qui, a parlare con questo tizio dalla faccia paonazza. Meno male, arriva anche il suo drink.

Sono passate due ore, e siamo ancora al ristorante. Si mangia bene qui, tutto sommato, grande antipasto di pesce a crudo, risotto di pesce in bianco, ora sto aspettando il dessert, un flan di cioccolato. Non ho bevuto molto, ma il doppio whisky bevuto a digiuno mi ha dato un po’ alla testa. Lui si chiama Paolo, ha alle spalle due divorzi, un figlio grande avuto dalla prima moglie, e una figlia più piccola avuta dalla seconda. La cena &egrave stata meno noiosa di quanto temessi, abbiamo parlato in generale, non di politica e nemmeno di calcio, e con un uomo &egrave già un buon punto. Parla di soldi, di lavoro, e certamente &egrave un tipo abbastanza noioso. In città conosce bene tanti posti, locali dove si mangia, dove si beve. A un certo punto, forse per riportare la discussione su qualcosa di più finalizzato al buon esito della serata, mi chiede se sono fidanzata. SI, gli dico. E com’&egrave che frequenti altri uomini? Ci penso un po’, di primo istinto vorrei dirgli la verità: perché mi sento sola, disperata e chiusa, perché cerco una via di fuga e ho bisogno di sperimentare me stessa. Poi penso che non capirebbe, allora gli dico, perché mi piace. Ti piace cosa? Cosa ti piace in un uomo. Dipende, mi piace la sicurezza, mi piace la dolcezza di uno sguardo buono, mi piace la rabbia quando si manifesta, la forza, le spalle, l’odore di maschio, il pelo, due belle mani, mi piace il sesso.
Mi guarda tranquillo, quasi compiaciuto. Gli dico ti rendi conto, potresti essere mio padre. Non ho intenzione di essere tuo padre, ma di portarti a letto, se lo vorrai. Non ho intenzione di forzarti né di convincerti. Allora tira fuori una busta e mi dice, questo &egrave il regalo per te. Mi hai preso per una puttana, gli dico. No, al contrario, mi fa, la busta &egrave per te, perché sei stata gentile ad accompagnarmi a cena, e non c’entra se ora decidi di accompagnarmi in camera o di andartene quando hai finito di mangiare il dolce. Fa il signore, mentre io, se me ne andassi, mi sentirei una merda. Gli dico, va bene, forse per curiosità o forse solo perché non ho voglia di restare sola. Perché non apri la busta, mi chiede, per dirmi se ti va bene. Perché non mi va, rispondo. Finito il dolce, Paolo fa segno al cameriere di mettere la cena nel suo conto, e mi dice vieni. Mi sento abbastanza agitata, e mi gira ancora la testa per il bere. Arriviamo all’ascensore e saliamo, in silenzio. Al quarto piano esce, e avanza accanto a me mettendomi una mano sul fianco, accanto al culo, come si fa con una donna con la quale ci si accinge a fare l’amore. La porta della camera si apre con una scheda elettronica, entra per primo, mi fa passare e chiude la porta alle mie spalle. Una camera da letto comoda, con un letto grande, dipinta con dei motivi grigi, rossi e blu un po’ ondulati, come delle gigantesche conchiglie. Dalle lampade sui comodini viene una luce soffusa. Mi chiede se ho bisogno del bagno, gli dico di no. Lui invece va, e io resto ad aspettarlo in piedi, girando per la stanza. Dall’alto della collina si vede la città di notte. Riesco a intuire la piazza della zona lungo il fiume, dove si affacciano i miei uffici. Penso a Cosimo, al suo modo noioso e stizzitO di redarguirmi per la discussione avuta oggi con gli altri tecnici. Paolo esce dal bagno, si avvicina. Mi volto e lo guardo con la testa bassa. Cosa vogliamo fare? Stai tranquilla, dice.
Nel frattempo si &egrave tolto i calzini, poi la camicia e i calzoni, indossa dei boxer aderenti. &egrave peloso, non male fisicamente ma ha la pancia e una catena d’oro al collo. Vuoi che mi spoglio anche io, gli chiedo. Lui mi chiede se &egrave possibile che io lo faccia fare a lui. Ok, gli dico. Sto tremando. Mi prende il vestitino dai due lati delle gambe, con le sue mani grosse, e pian piano me lo tira su, srotolandolo e scoprendo le gambe, i fianchi, il seno nudo, alzo le braccia e lo aiuto a sfilarmelo completamente.
SI sorprende nel vedere il mio intimo, e mi accarezza i fianchi. Sei bellissima dice. Mi chiede di voltarmi. SI avvicina con le sue mani, e mi accarezza i fianchi, gli piace soffermarsi sul culo, poi mi abbraccia da dietro, mi accarezza i seni, con una mano e con l’altra si infila con sicurezza dentro le mutandine. Lo sento già duro dietro di me, vestito solo dei suoi boxer. Mi morde le orecchie, leccandomi i lobi. Lentamente la sua mano scivola sotto il sedere, mentre sento il suo fiato sul collo, mi sbottona il reggicalze. Poi mi scopre il sesso facendomi calare le mutandine Così, mentre mi mordicchia e lecca i lobi delle orecchie, mi sussurra parole oscene. Che bella fica giovane che hai, Simona, chissà quanti cazzi hai già preso, non vedo l’ora di mettertelo dentro. Lo sento ansimare con il respiro affannoso, non lo conosco e per quello che so potrebbe venire anche entro pochi secondi, oppure avere un infarto. Invece no, continua così a massaggiarmi il seno e la fica con le mani mentre mi struscia il cazzo dietro il culo. Evidentemente ha bisogno di sentirsi sicuro di poter esercitare il suo potere su di me. Inizia a leccarmi sul collo sbavando, troppo, mi dà fastidio ma lo lascio fare,’poi con una mossa brusca, quasi irruenta, ha uno scatto e mi si porge davanti piegando la testa e leccandomi avidamente il seno che stringe tra le grosse mani quindi, con mossa altrettanto irruenta e legata alla sua debordante passione, mi fa arretrare seguendo l’avanzare del suo corpo contro il mio, e facendomi di stendere sopra il letto. Fai piano, ti prego. Ma non mi ascolta. Ansima e sbuffa furiosamente con desiderio quasi ringhioso come un animale che sta per addentare la sua preda e mi sbava sopra il corpo con la sua bocca, leccando in modo osceno il mio addome, l’inguine e poi la fica. Come un animale, egli assapora con avidità il mio frutto che stasera gli &egrave stato porto in sacrificio. E lui lecca, lecca con passione, con una brama antica, avverto distintamente che il suo obiettivo non &egrave il mio piacere, ma la sua eccitazione, il piacere che trova a sentirmi ansimare, a godere della sua sfrontatezza, Sento il calore della sua bocca, la sua lingua massaggiarmi con forza il clitoride, la vagina bagnata dalla sua saliva e dal mio desiderio. Riesce a provocare in me disgusto ed eccitazione, nello stesso momento
In mezzo al pube sento il soffio nelle sue narici mentre il mio respiro stesso si &egrave fatto affannoso. Questo respiro questo affanno &egrave diventato involontario e godo al pensiero di sentirmi totalmente passiva e succube della volontà di un maschio, per quanto egli sia volgare nella sue guancione rosse, per quanto non mi piaccia e mi faccia orrore. L’ho voluto io, io l’ho cercato. Le mie dita sfiorano la sua testa stempiata, dai capelli cortissimi e morbidi, mentre le sue mani mi stringono forte la piega delle ginocchia e mi tengono le gambe sollevate in una morsa, in modo che l’oggetto del suo desiderio gli sia esposto nel modo più osceno, sento la vagina e il clitoride contrarsi, il mio lamento si &egrave fatto più forte ed &egrave diventato un grido. Allora con la bocca lui risale sul mio corpo, mi lecca l’ombelico l’addome più su, e poi tutto, fino al seno, fino al collo fino a cercare il mio volto, la mia bocca. Ho un moto istintivo di repulsione, ruoto appena la testa, &egrave il segno che non intendo baciarlo. Vuoi essere scopata, chiede. Non rispondo nulla, mi limito a voltare lo sguardo. Lo vedo aprire il cassetto del comodino, prendere un preservativo, tirarlo fuori, appoggiarselo alla punta del pene e srotolarselo lungo l’asta, con la sicurezza di chi lo fa da sempre. Quindi con le mani riafferra le gambe sotto le ginocchia e con forza, mi solleva spostandomi in una posizione per lui più comoda. Appoggia la punta sulla mia apertura e lentamente spinge fino a ficcarsi bene dentro.
I suoi movimenti sono lenti e sicuri, con affondi lunghi e profondi dentro di me, a scavare la carne. Mi soffermo ad ascoltare il suo respiro eccitato, e il mio gemito. Con la sua bocca cerca la mia, e ancora lo rifiuto. Lui evidentemente non ci sta, perché non può costringermi a rendere completo il suo dominio su di me e allora deve umiliarmi. Ti piace il cazzo, eh Simona, mi dice. Quanti cazzi hai preso questi giorni? Il tuo ragazzo &egrave capace di sfondarti la fica? Che si tratti di una punizione si capisce dal modo violento e rabbioso con cui affonda i suoi colpi dentro di me, diventati violenti, come se volesse farmi male aggiungendo alla mia depravazione morale la dimostrazione della forza fisica con cui potrebbe schiacciarmi. Penso a Matteo, alla sua incapacità di farmi godere. All’ennesimo tentativo di Paolo di infilarmi la sua lingua in bocca non sono più in grado di opporre resistenza. Mi bacia in modo strano, esplorando rabbiosamente con la sua lingua ogni angolo della mia, tracciando ogni particolare della mia bocca, rimarcando Il suo dominio su di me, ormai totale, e quando non mi bacia mi ripete ossessivamente le frasi oscene di prima. Da quanti cazzi ti fai sfondare, puttana? Non accenna mai ad accelerare, come se volesse resistere più a lungo possibile dentro di me. Si solleva con il busto allontanando il suo petto e la pancia dalla mia restando conficcato dentro, con un moto istintivo ma privo di forza io tengo le sue braccia quasi a volerlo frenare, lui allora prende le mie mani da una parte che dall’altra e se le piazza sopra le sue natiche, mi vuol far sentire i suoi movimenti mentre mi scopa. La cosa che più lo eccita sono i miei lamenti, i gemiti che seguono il mio respiro, e che gli fanno dire godi puttana. Eppure, al netto delle volgarità che dipendono dalla situazione di sudditanza in cui mi trovo, la sua forza tranquilla, la sua convinzione sono tali da portarmi a pensare che questo &egrave un maschio che sa esattamente cosa fare, la sua testa non &egrave mai staccata dal suo desiderio. &egrave stato sposato due volte, e questo &egrave il sesso che lui ha imparato a fare in anni di esperienze, con le mogli, le compagne, le amanti, e tutte le puttane con cui &egrave stato. Questo &egrave quindi un condensato del sesso coniugale, e io sono divenuta parte della storia di quest’uomo. Nel suo muoversi su e giù, contrae le grosse natiche pelose che posso sfiorare anche con i miei talloni, nella mia posizione con le gambe accucciate. Lui sente, dall’intensità dei miei gemiti che &egrave il momento, accelera anche il suo movimento, &egrave completamente sudato, anche lui ringhia emettendo come dei gridi sordi, sembra che avverta precisamente il momento in cui avrò il mio secondo orgasmo, che coincide anche con il suo. Urla come un animale. Si libera. Così. &egrave così.

Devo essermi addormentata nel suo letto, lui &egrave accanto a me, a pancia in su. Russa. Non so che ore sono. Cercando di non far rumore mi rivesto, recuperando i miei indumenti in giro per la stanza, sparsi tra la moquette che riveste il pavimento e il fondo del letto. Lui non si accorge di me, esco di stanza chiudendomi la porta alle spalle. Le luci del corridoio dell’hotel si accendono automaticamente illuminando il mio passaggio. Mi sento un po’ come una ladra che fugge di notte da dentro una casa che non conosco. Scendo le scale a piedi, per non prendere l’ascensore, e passando davanti alla hall vedo il portiere di turno che mi guarda in silenzio, e poi mi dice buonanotte. Fuori ha ricominciato a piovere, &egrave mezzanotte e mezzo. Prima di avviare la macchina e di muovermi verso casa, riaccendo il cellulare. C’&egrave un messaggio di Matteo, mi dice come &egrave stato il film. Gli scrivo, il solito film cinese, un po’ noioso, ho dormito quasi tutto il tempo e non ti sei perso niente. Ci sentiamo domattina. Buonanotte, amore mio.

Martedì, ore 7,15. In cucina, sto preparando il caff&egrave. Cose da fare stamani: andare in studio, più tardi visita a un cantiere, e poi stasera molto probabilmente uscirò con Matteo. &egrave oggi che ha l’esame. Mentre il caff&egrave sale, arriva Myriam, la mia compagna di casa, vuoi un caff&egrave, le chiedo. Mi dice che devo ancora darle i soldi delle ultime bollette del gas e dell’acqua, quasi trecento euro. OK, le dico, oggi prelevo, anche se mi girano un po’ le scatole perché in casa c’&egrave sempre quel ciccione del suo fidanzato che si fa la doccia mattina e sera, fosse per me dovrebbero pagarne due di quote.
Gli dico, va bene, e lei mi dice, senti, ti volevo parlare di una cosa. Quando dice ‘senti’, lo dice sempre calcando sulla ‘e’, in modo un po’ lagnoso. Quella ‘e’ profuma di litigio. Che c’&egrave, Myriam, dimmi, e lei mi dice che ora non &egrave il caso introdurre l’argomento e preferisce parlarmene con calma, vuole solo sapere quando sarò a casa. Myriam &egrave una ragazza bassa, magrolina, coi capelli crespi rossicci, di origine meridionale. Anche lei ha studiato ingegneria, poi ha trovato un posto all’ufficio tecnico comunale, sembra sempre imperturbabile a tutto, ma poi quando discute diventa una iena. Forse tra qualche mese potrebbe andare via di casa, a convivere col suo Saverio, o così spero, magari &egrave questo che deve dirmi. Zuppo due biscotti nel caff&egrave, che normalmente bevo a digiuno, ma siccome ho paura di far tardi anche stamani e ho paura di non farcela a fermarmi al bar per fare colazione, decido di mangiare qualcosa a casa. Stamani &egrave bel tempo, posso tranquillamente andare in motorino. Mi vesto, pantaloni a vita bassa, neri, ampi sulle gambe, sopra una maglietta larga, nera, fin troppo elegante, decorata di Swarovky colorati. Mi sistemo i capelli, infilo gli occhiali a specchio, e poi direttamente il casco, prendo la borsetta e ci frugo dentro per vedere se ho preso tutto, il cellulare, le chiavi, ci trovo anche la busta che mi aveva dato ieri sera quell’uomo, Paolo, e già lo avevo dimenticato, apro la busta, ci sono dentro dei soldi. Trecento euro. Non male dai, c’ho guadagnato una cena, e non devo neppure andare a prelevare. In fondo, si guadagna di più a fare la puttana che l’ingegnere. Busso a Myriam. Le dico, tieni, mi ero dimenticata di aver prelevato ieri sera, e le porgo la busta. Mi ringrazia, con la faccia un po’ stranita. Dietro la porta, intravedo il corpaccione di Saverio, a letto, bocconi, che sta ancora dormendo.

In studio, c’&egrave la Gianna seduta al suo solito posto, che si mette lo smalto alle unghie. Mi dice, ciao, falsissima come sempre, mi chiede se ho visto un film che davano ieri sera in televisione, prova a iniziare a chiacchierare di qualcosa, ci prova spesso, specie al mattino quando ha ancora meno voglia di fare qualunque cosa, lei che già di solito non fa un cazzo. Mi chiede se ho visto il Professore, lo fa sempre in un modo un po’ curioso, pensa che, essendo fidanzata con Matteo, io veda tutti i giorni suo padre, mentre invece non &egrave affatto così. &egrave arrivato Cosimo? Le chiedo. Si &egrave nella sua stanza. Appoggio le mie cose alla scrivania, Gabriele &egrave già arrivato e alza appena la testa per salutarmi. Anche Antonio &egrave arrivato, ed &egrave già nella sua stanza. Quando lo saluto, chiude in fretta una finestra di internet dal suo pc, ho il sospetto che fosse un sito porno, o comunque qualcosa di non mostrabile agli altri, ogni tanto l’ho beccato che lo fa, e non mi scandalizzo affatto, tutto sommato mi sembra più normale lui degli altri due. Cosimo &egrave in stanza, concentratissimo a lavorare su un computo metrico. Gli chiedo a che ora dobbiamo andare al cantiere. Alle due e mezzo, risponde. Poi mi chiede a che punto sto con il mio lavoro, e quanto mi manca a completare alcuni elaborati.
Cosimo &egrave un uomo abbastanza ordinario, sui 45 anni, sposato, una figlia. Si comporta come se fosse il titolare dello studio, in realtà &egrave associato solo per una quota piccola, la maggioranza delle quote infatti sono in mano a Scarpi, il Professore, che detiene il potere effettivo di decidere tutta l’attività, quali lavori prendere e quali no. Cosimo ha sempre lavorato qui, subito dopo laureato, ovviamente con il Professore. &egrave un uomo dedito al lavoro. Si carica di molte responsabilità, e fa spesso molto tardi la sera, col risultato di essere sempre nervoso e suscettibile per ogni cosa. &egrave un uomo con poca fantasia, se così si può dire. Va in vacanza con la moglie sempre nello stesso posto, e ogni sabato sera, se lo cerchi in giro, lo trovi sempre nella solita pizzeria. Credo che il suo unico sfogo e diversivo sia quello di andare a puttane. Una volta che mi &egrave capitato di lavorare al suo computer, perché c’era una consegna urgente da fare e il mio pc non andava, mi sono messa a curiosare nella sua cronologia di internet, e ci ho trovato un sacco di siti di puttane. Così ho continuato a investigare, un po’ per curiosità e un po’ perché, quando mi ci metto, sono davvero stronza, e così in un taccuino che tiene nel secondo i cassetto in basso a destra della sua scrivania, ho trovato nomi ‘ufficiali’ di clienti, tecnici e fornitori, mischiati a nomi strani, scritti evidentemente in un codice che conosce solo lui, ma se prendi quei numeri e li metti su internet cosa trovi? Ma annunci di puttane! Sono sicura che il giorno da lui dedicato al sesso clandestino sia il venerdì pomeriggio, quando lui esce sempre dal lavoro un po’ prima, intorno alle cinque del pomeriggio, dicendo che deve andare a fare la spesa. Un paio di volte, per curiosità, l’ho anche seguito, da lontano, e l’ho trovato a girare a piedi in una strada vicina alla stazione, famosa per ospitare appartamenti di professioniste del sesso, quando &egrave sotto il portone prescelto, chiama sul cellulare, quindi lo vedi passeggiare nervosamente nei dintorni del portone, e dopo un po’ lo vedi entrare, quando evidentemente la puttana di turno &egrave pronta per riceverlo. Lui di sesso parla poco volentieri, a differenza degli altri due maschi dello studio, Antonio e Gabriele, che si sentono molto spesso parlare sottovoce delle loro scopate o dei loro desideri. A volte, quando io sono in bagno, oppure loro sono entrambi a prendere il caff&egrave alla macchinetta, pensando che nessuno li ascolti, io mi metto a origliare i loro discorsi. Fra questi, uno dei loro preferiti &egrave parlare di me, del mio culo, e di come loro vorrebbero che gli fosse offerto, ovvero, regolarmente, a pecora, a novanta gradi, oppure a ‘pi greco mezzi’, espressione che piace molto agli ingegneri. Ovviamente nessuno di loro ci ha mai esplicitamente provato con me, essendo io la fidanzata ufficiale del figlio del Professor Scarpi. Gabriele &egrave un ragazzo tranquillo, credo che sia soddisfatto di sé e della sua vita, ha una ragazza molto carina con cui sta bene insieme ed evidentemente sono molto soddisfatti. Lei, quando passa a trovarlo, la vedi, ha sempre un’espressione radiosa, si capisce da lontano che sono una bella coppia, che scopano tanto e bene. Antonio invece &egrave single, ha 32 anni, palestrato, bassino. Per un certo periodo, ho pensato che avesse una tresca con la Gianna, ma ora non sono così sicura, per quanto sia palese che, a lei, Antonio piaccia, e sicuramente per tanto tempo gli ha sbavato dietro. Non so se gliela abbia mai data. Lei ha un compagno che fa l’odontotecnico, ma non hanno figli. Invece, sicuramente, Antonio ha avuto una relazione con Marina, la ragazza che lavorava qui prima di Gabriele. Io e Marina ci siamo incrociate allo studio per un breve periodo, qualche mese, lei &egrave una delle persone più divertenti che io abbia mai conosciuto, spesso problematica, si incazzava per un nonnulla, non riconosceva l’autorità costituita, ma, a livello sessuale, era una donna davvero libera. Bellina, bionda, la faccia da bambolina, il seno quasi piatto ma un culo spettacolare almeno quanto il mio. A lei non gliene fregava un cazzo di Antonio, ma so che qualche volta, essendo tutti e due liberi, hanno scopato. Lei non si faceva problemi a raccontarmi le cose che le succedevano, con Antonio o con altri, e ovviamente quello che so mi &egrave stato riferito direttamente da lei.
In realtà, nel periodo in cui scopava con Antonio, Marina andava a letto anche con altri. Era un periodo in cui le piaceva ‘buttarsi via’, un po’ come ora sta succedendo a me. In realtà Marina aveva una sorta di predilezione per gli uomini fidanzati, o addirittura sposati, le piaceva tantissimo combinare casini e questo contrastava con il suo aspetto fanciullesco e il suo viso da bambolina. Una volta si era innamorata di un tizio del suo quartiere, che aveva conosciuto in palestra, ovviamente fidanzato. Erano diventati amanti e scopavano spesso a notte fonda, quando lui rientrava dalle serate con la fidanzata ufficiale.
Il tizio era poi andato all’estero a lavorare, negli Stati uniti, e in quello stesso periodo non solo si era lasciato con la fidanzata, ma aveva mandato affanculo anche la sua amante. In realtà Marina lo amava tantissimo e aveva pazientato tutto quel tempo, almeno due anni, nell’attesa che lui si lasciasse. Ci era stata così male che poi si era buttata nelle storie più assurde. Ad esempio, si era messa con un poliziotto, anch’egli sposato, ma giovane e decisamente prestante, lui godeva nel seviziarla e farle male. Un’altra storia, più comica, riguardava un tizio, un meccanico che lavora qui nel quartiere e che, a dire della Marina, era il sosia del commissario Montalbano, o meglio dell’attore che ne interpreta il personaggio nell’omonima serie televisiva. Così un giorno, con la scusa del motorino che non partiva, perché si era ingolfato o aveva le candele sporche, lei si era avvicinata all’officina di Montalbano, e tanto aveva detto, tanto aveva fatto, era riuscita, stando a quello che lei diceva, a farselo. Un gran tamarro, mi aveva riferito, ma scopa bene, e ho goduto pensando di essere scopata da Montalbano.
Antonio, nel periodo in cui scopava con lei, era innamoratissimo, e si vedeva. Poi però, stando almeno a quello che lei mi ha riferito, una volta, in seguito ad una prestazione particolarmente intensa da parte di lui, Antonio si era così convinto di averla conquistata che deve avergli semplicemente detto, e allora, che si fa? Intendendo che ormai lui pensava che fosse scontato per loro mettersi assieme, e magari ufficializzare il loro rapporto. E Marina deve avergli risposto, intuendone le intenzioni: allora un cazzo! E deve averlo mollato così. Da quel momento non ha più voluto saperne di lui, e Antonio ha passato qualche mese a frignare in giro. A dire il vero non sono neppure sicura che Marina mi raccontasse proprio tutto, ad esempio sono abbastanza convinta che ci abbia provato anche con Matteo. Io non ne sarei stata gelosa, e in ogni caso non &egrave questo il motivo per cui a un certo punto io e lei abbiamo interrotto i rapporti. Abbiamo litigato, perché lei sosteneva, in seguito ad una lite da lei avuta sia con Cosimo sia con il professore, che io, da amica, avrei dovuto difenderla. Ma io non potevo, neppure se avessi voluto, ero in studio da troppo poco tempo, e sinceramente mi sembrava che lei, col suo modo arrogante di porsi, avesse torto marcio. In ogni caso, questo, secondo me, non avrebbe dovuto impedirci di continuare ad essere amiche, ma per lei evidentemente non era così, Marina era affetta da una sorta di manicheismo relazionale, o bene bene, o male male, e così ero ormai finita nella lista dei nemici. Se ne &egrave andata via dallo studio sbattendo la porta. Mi &egrave dispiaciuto, perché con lei mi divertivo un sacco, e dopo il suo abbandono ho iniziato ad annoiarmi.

Martedì pomeriggio, con Cosimo a visitare un cantiere. Lui ha la direzione dei lavori, e a me &egrave stato dato l’incarico di responsabile della sicurezza. Così, quando arriviamo, ricevuti dal l’ingegnere della ditta che ha in appalto i lavori, facciamo l’ispezione di tutto il cantiere, valutando lo stato di avanzamento dei lavori, e alcuni aspetti più critici. Poi Cosimo va con l’ingegnere della ditta a fare un giro per vedere come sono state realizzate alcune fondazioni, e io vado da sola a vedere un altro lato dei lavori. I manovali sanno che sono qui, non era una visita a sorpresa, quindi indossano tutti il casco protettivo, tranne uno, il solito, un albanese bassino, sui ventidue anni, un po’ tarchiato, piuttosto carino, con dei bei riccioli neri, e gli occhi verdi. Mi guarda sempre con aria di sfida, sembra che non aspetti altro che io mi incazzi con lui, come peraltro ho fatto già altre volte. Lo guardo seria, e gli dico, guarda che se non ti frega un cazzo della tua sicurezza, a me invece importa molto di non andare in galera, e questo se succede qualcosa di cui sono responsabile, per omesso controllo, per cui cerca di rigare dritto, ma se invece vuoi trovare il modo di restare senza lavoro, credo che tu sia sulla strada giusta. Per quanto io resti seria ed impassibile, quando gli dico questo, e sia anche veramente incazzata, lui mi guarda con aria divertita e dice sì sì certo, scusa, guarda che Io porto sempre il casco, ma oggi fa caldo. Più fa così, e più mi incazzo. Alla fine, quando ha ottenuto il suo scopo, quello di vedermi incazzata, si mette il casco, e mi assicura che lo indosserà sempre. Continuo la mia ispezione, mentre lui ridacchia con un suo amico, e con la coda dell’occhio, quando sono abbastanza lontana da loro, vedo che lui mima un verso come per dire, questa me la inculo.
Mi metto ad osservare gli operai sui ponteggi o sul tetto, di quelli che lavorano sul tetto non ce n’&egrave nemmeno uno che abbia l’imbragatura messa correttamente. C’&egrave un ragazzo rumeno, si chiama Sergey, lo chiamano tutti Sergi. Non &egrave la prima volta che lo vedo, diciamo che &egrave uno che si fa notare parecchio. Moro bellissimo, occhi neri, un fisico che &egrave la statua di un dio greco, scolpito nel petto e nell’addome, già brunito dal sole, praticamente un cazzo con le gambe.
Anche lui ha l’aria un po’ sfrontata, ma credo sia un po’ tipico dei ragazzi dell’est, in realtà ha un atteggiamento più timido, ed &egrave molto rispettoso, &egrave sicuramente un buon ragazzo. Quando lo chiamo, lui scende dal ponteggio come se fosse facilissimo, come da una scala dolce, &egrave giù in pochi movimenti, cinque piani in pochi secondi, &egrave ora davanti a me, manco avesse volato. &egrave a torso nudo, ed &egrave uno spettacolo vederlo, sinceramente. Guarda, gli dico, che per lavorare lassù in cima, come fai, ti devi mettere l’imbragatura, e la devi mettere per bene, non tanto per fare. Lui dice, ah io non lo so, se nessuno mi spiega. Mi sta prendendo in giro anche lui, evidentemente, abbiamo fatto un corso apposta, gli abbiamo spiegato tutto sulla sicurezza, perché si indossano il casco, le imbragature, le scarpe antisfondamento, eccetera eccetera. Gli dico, sempre per la tua sicurezza, non si sta a torso nudo sul posto di lavoro. E lui dice, a ma fa caldo, oggi, io non resiste. Anche tu ti spogli quando hai caldo, mi dice. &egrave evidente, mi sta proprio prendendo per il culo. Mi dovrei incazzare anche con lui, ma in realtà il primo caldo dell’anno da molto fastidio anche a me, mi sento già fiacca, avrei voglia di togliermi la maglietta di dosso , e con questa maglietta nera fa ancora più caldo . Ci sono tanti uomini nel cantiere, uomini più anziani , spesso magri e con delle facce scavate dagli anni e dalla fatica, oppure anche uomini con delle grasse pance sfatte e le braccia possenti, oppure anche ragazzi giovani, quasi sempre dell’Europa dell’Est, albanesi, rumeni, bulgari, il cantiere &egrave pieno di polvere, la polvere si mescola al sudore, guardo i conducenti dei mezzi salire e scendere dai mezzi di lavoro, i camionisti salire e scendere dai grossi camion, avrei voglia di salire in una di quelle cabine dei camion, con il caldo che fa, per quanto ancora sopportabile, e di farmi sfondare a turno da tutti loro, nessuno escluso. Una voce, dentro di me, mi dice Simona sei una bambina veramente cattiva, e forse la mia psicologia &egrave molto più semplice di quella dettata dalla insoddisfazione dalla tristezza e dalla noia, forse sono solo una grandissima troia affamata di cazzo. Guardo Sergi, le sue braccia possenti, il suo volto maschio, il suo petto scolpito. Ingegnere, mi dice, quando vuoi, vieni, e ti faccio visitare io il cantiere, dice così Sergi e mi guarda con l’aria di uno che sa veramente cosa farmi vedere, e io gli dico vedremo, uno dei prossimi giorni, volentieri. Stai attento alla tua sicurezza, gli ricordo.

Le quattro e mezzo, e sto rientrando nello studio, in macchina assieme a Cosimo. Lui &egrave nervoso, gli gira veramente il cazzo si lamenta che questo &egrave l’ennesimo cantiere in cui le cose non vanno, i lavori procedono a rilento, e ognuno fa il cazzo che gli pare, il titolare dell’impresa &egrave uno che &egrave amico del Professore, non gli si può dire niente e in queste condizioni lui non se la sente più di lavorare, di prendersi queste responsabilità. Mentre mi parla, nervosamente, quasi a voler ribadire la sua contrarietà, batte le mani sul volante. Ce l’ha con Scarpi, dice che ha abbandonato lo studio a se stesso, ma nonostante questo vuole essere sempre lui a prendere l’ultima decisione, in questo modo non si cresce mai, si prendono solo i pesci in faccia, e lui così non sa se riuscirà a continuare. Non so perché mi dica questo, perché si sfoghi con me. Evidentemente sa che con me può parlare, nonostante io il professore lo veda un po’ più spesso, non solo nello studio dove ormai capita di rado, ma tutte le volte che vado a casa di Matteo. A un certo punto, dopo una pausa, mi chiede di Matteo. Oggi aveva l’esame di abilitazione gli dico, a quest’ora dovrebbe avere finito, penso che tra un po’ mi chiamerà per dirmi com’&egrave andata. Dopo una pausa, mi chiede, in modo un po’ risentito, se ho capito cosa Matteo intenda fare nei prossimi mesi. Credo di sapere cosa voglia dire Cosimo, ha una paura matta che suo padre infili Matteo nello studio, e piano piano metta lui a comandare. Che poi in realtà, sarebbe proprio questa l’intenzione del Professore. Ma non quella di Matteo lui non vuol proprio fare l’architetto, o tantomeno lavorare in uno studio tecnico, lui vorrebbe fare la carriera universitaria, oppure andare all’estero, fare un dottorato di ricerca, o qualcosa del genere. Ma non mi va di riferire a Cosimo questi particolari, penso che non siano cazzi suoi. Gli rispondo, per quanto ne so &egrave probabile che Matteo venga qui a lavorare. lo dico solo per farlo schiattare e lui, un po’ stizzito dice, non fraintendermi, Simona, io lo dico per lui, penso che lui non sia molto adatto per fare questo lavoro, &egrave un ragazzo buono, ma per fare questo lavoro sai, ci vogliono i peli sullo stomaco. Mi viene il vomito ma lo lascio parlare, mentre guardo fuori dal finestrino, il sole caldo della primavera e i ragazzi sdraiati sulle panchine. Mi prende un magone, ho nostalgia della mia adolescenza, e se potessi tornerei indietro di 10 anni, quando finita la scuola, ai tempi del liceo, si stava sulle panchine a parlare con gli amici, sognando chissà quale futuro radioso, In fondo ho solo 26 anni, e mi chiedo come sia possibile essere arrivata a questo punto, che mi gira il cazzo già dal mattino, e devo avere a che fare con gente di merda. Quando torniamo allo studio mi siedo in stanza, con Gabriele, e continuo a fare le cose di sempre, a disegnare, al computer, ancora una mezz’ora ed ecco, arriva finalmente la telefonata di Matteo, L’esame &egrave andato bene, mi chiede se ci vediamo stasera, io gli dico volentieri, ma sono in motorino, forse meglio domani sera, allora lui mi dice che viene lui a prendermi allo studio, mi propone di andare a cena a casa dei suoi, infatti &egrave stanco e preferirebbe stare a casa a vedere un film, e poi magari potrei dormire lì da loro, domattina può riaccompagnarmi lui in ufficio. L’idea di passare la serata a casa dei suoi, un po’ mi inquieta, ma sono tre giorni che non ci vediamo, e mi sembra inevitabile andarci stasera, in fondo di cazzate negli ultimi giorni ne ho fatte abbastanza.

Alle sette e mezzo, sono con Matteo a prendere un aperitivo. Sono contenta di rivederlo. &egrave stato dolcissimo, &egrave arrivato in studio con un regalino, un profumo davvero buonissimo che ha voluto comprarmi, pensando a me, quando si &egrave trovato davanti alla vetrina di una profumeria. L’ho guardato e gli ho detto fissandolo negli occhi, grazie, ma quand’&egrave che mi regali un completino intimo sexy, qualcosa che ti faccia veramente allupare quando lo indosso? &egrave diventato tutto rosso. Questa cosa di Matteo mi piace un sacco, mi intenerisce la sua insicurezza e la sua timidezza, ma mi rendo conto che questo &egrave qualcosa più legato al mio naturale istinto materno che alla parte animale che &egrave dentro di me, &egrave che mi porta ad avere desideri che non so contenere e a fare tante cazzate. Quando siamo a prendere l’aperitivo, lo guardo, &egrave davvero carino con i suoi capelli castano chiari, un po’ mossi, i suoi bellissimi occhi chiari, la sua timidezza e il suo essere così profondamente buono, una persona che sa darti un amore infinito senza stancarsi mai di te. Siamo seduti l’uno di fronte all’altro, e ogni tanto non riesco a trattenermi dalla tentazione di accarezzargli i capelli. A un certo punto fa qualcosa di insolito, dico per lui, mi chiede, con candore, se mi &egrave mai capitato di sentire desiderio per altri uomini, da quando stiamo assieme. &egrave strano, perché lui di solito non fa mai questo genere di domande, penso che semplicemente abbia bisogno di affrontare l’argomento, perché forse si rende conto che tra noi non va tutto benissimo, specialmente nel sesso. Forse ha solo bisogno di sentirsi rassicurato. Io non voglio essere completamente ipocrita. Gli dico che non ho mai amato nessuno tanto quanto amo lui, ed &egrave vero, che sono felice di stare con lui, ma che sono una donna e quindi &egrave normale, quando vedo un uomo che mi piace, un figo, così come immagino faccia lui quando vede una donna attraente’ insomma, &egrave naturale che questa cosa mi scateni qualcosa dentro. Faccio una risata sguaiata, in cui faccio fatica a riconoscermi. In realtà mi sento una merda. In realtà, sono una merda.

Matteo e i suoi genitori abitano in collina subito a ridosso della città, in una tenuta che la sua famiglia ha da generazioni, dal soggiorno di casa c’&egrave un’ampia vetrata che si affaccia su un grande giardino e c’&egrave una vista mozzafiato sulla parte più bella della città, si vedono il duomo e i monumenti del centro storico. &egrave un posto molto bello, ma i primi tempi, quando ci venivo, questo mi metteva in soggezione, perché non mi sentivo all’altezza di loro, nonostante mio padre sia un medico e tutto sommato anche io venga da una buona famiglia. Proprio il fatto che venga da una buona famiglia credo sia stato un motivo importante, per Matteo, che mi ha reso presentabile ai suoi genitori, che hanno sui loro figli delle aspettative molto elevate.
Matteo &egrave il secondo di tre fratelli, il più grande fa l’avvocato, ed &egrave diventato in poco tempo uno degli avvocati più bravi della città, di cui tutti parlano e a cui tutti si rivolgono. L’altra sorella, Anna, ha ventotto anni ed &egrave già un matematico bravissimo, ha fatto delle scuole di specializzazione di primissimo livello, un dottorato in Germania, ed &egrave richiestissima in varie Università all’estero, sta intraprendendo una carriera scientifica di primissimo livello.

Matteo, a livello scolastico, non &egrave certamente stato brillante come i suoi fratelli, alle superiori &egrave stato anche rimandato a settembre, e anche all’università, in alcuni esami si &egrave accontentato di voti bassi, tipo 18 o 19. Negli ultimi anni meglio, da quando ci conosciamo sì &egrave sicuramente rasserenato, e ha preso un po’ più coscienza di sé, &egrave diventato anche bravo, e quando ho potuto, per diversi esami l’ho aiutato anche volentieri. Per il padre il rendimento scolastico di Matteo non &egrave mai stato un problema, la madre invece &egrave una persona amara, che non si &egrave mai fatta scrupolo di lamentarsi del figlio.
Quando parla con lui, gli dice sempre Matteo, non ti impegni abbastanza, Matteo dovresti essere molto più ambizioso di come sei, eccetera eccetera. Anche con me lei &egrave sempre fredda, si rende conto che sono importante per Matteo, ma pensa che io sia una che si &egrave approfittata di lui e che si &egrave subito insinuata nella loro vita.
Matteo ne ha molta soggezione, ogni volta che lei lo critica con una delle sue battute sarcastiche e amare, lui sta zitto o borbotta qualcosa sottovoce, senza farsi sentire.

A casa di Matteo non si cena mai prima delle nove. Suo padre non rientra mai prima di quell’ora, e sua madre, fa pochissimo in casa. Lei fa la professoressa di storia e filosofia in un liceo. Le cose di casa, compresa la cena, le fa fare tutte alla Evelina, una signora rumena che vive in Italia ormai da anni, e che ha sempre lavorato per la famiglia Scarpi. Mentre aspettiamo, io e Matteo siamo seduti sul divano e lui mi dice del suo esame, una stronzata dice, alla fine, le domande erano facili, a parte che lui per l’emozione &egrave riuscito a sbagliare perfino una semplice domanda di costruzioni. La madre di Matteo arriva poco dopo, un po’ trafelata, con la solita aria indifferente &egrave un po’ risentita. Allora, come &egrave andato l’esame, gli chiede.
Bene, gli risponde matteo, non era difficile, bene, gli dice sua madre. poi subito a ruota, e domani che fai pensi di dormire tutto il giorno? Domani, le risponde Matteo, ho in programma di andare all’università a parlare con il professore con cui mi sono laureato. Lui mi ha detto che parlerà con un suo collega in Inghilterra, potrei avere la possibilità di fare un dottorato, la madre scuote la testa in segno di disapprovazione, gli dice che il dottorato sua sorella Anna lo ha iniziato che aveva ventiquattro anni e non trenta come lui che si &egrave laureato così tardi e con così grandi difficoltà, poi gli riferisce dei successi dell’altro fratello Giampiero, laureato a ventiquattro anni, massimo dei voti, già associato al più grande studio della città quando ne aveva ventisette, eccetera. Gli dice anche che lui dovrebbe solo ringraziare il fatto che suo padre, oltre al culo che si fa all’Università, ha uno studio professionale avviato, e dovrebbe andare direttamente lì a lavorare, come d’altra parte fa anche Simona, sottolinea, e senza avere ulteriori pretese, e soprattutto senza perdere altro tempo che sei già abbastanza grande.
Mi chiedo perché sua madre lo debba umiliare così, &egrave perché lui le lasci dire tutto questo.
Infine arriva il padre, il grande professor Emiliano Scarpi. Sorride allegro, mi bacia e mi fa una gran festa, poi bacia anche il figlio e si complimenta con lui, gli chiede chi fossero i commissari, gli chiede che domande gli hanno fatto, all’esame, e Matteo riferisce. Il professore annuisce lasciando capire che conosce bene i membri della commissione e sorridendo poi gli dice, allora Matteo domani perché non vieni in studio? E Matteo gli dice papà non lo so, magari ci vengo Giovedì, se per te non &egrave un problema, perché domattina vorrei andare da Brentani a sentire della possibilità di un dottorato in Inghilterra. Il padre scuote la testa. Dice solo, Brentani &egrave un cretino, fai come ti pare.

Finita la cena, sono le undici. A tavola Scarpi mi ha chiesto delle cose dello studio, se va tutto bene, come vanno i cantieri, come si comportano i ragazzi. Sua madre Elisiana &egrave sempre irritata, quando suo marito si rivolge a me. Ora sono con Matteo, seduta sul divano del soggiorno, mentre sua madre sta dando una mano ad Evelina a risistemare casa e suo padre &egrave già andato a coricarsi. Matteo ha preso un film di fantascienza, ma dura non meno di 2 ore e mezzo, e io non credo di resistere. Oltretutto mi &egrave presa malissimo, vorrei tornare a casa, a casa degli Scarpi mi sembra mi manchi l’aria. Gli dico, Matteo, perché non mi accompagni a casa, io domattina devo alzarmi presto, così evito di disturbarti e vado al lavoro in macchina, per conto mio. Lui dice di no, stasera dormi qui dai, domattina ti accompagno e non farti problemi se dobbiamo uscire di casa alle sette e mezzo o prima. Ma ormai mi &egrave presa malissimo, gli dico Matteo sono stanca, voglio andare a dormire, e in effetti &egrave proprio così, sono stanca, e per via delle mie cazzate, sono andata sempre a letto tardi negli ultimi giorni. La madre interviene e dice ha ragione Simona, mandala a dormire, lei deve andare al lavoro domattina, ed &egrave come se dicesse a Matteo, non come te che non fai nulla. Elisiana mi ha fatto preparare la stanza di Anna. Ovviamente non esiste che lei pensi che io e Matteo si possa dormire assieme nello stesso letto. Non so immaginare cosa lei pensi davvero, se &egrave così ipocrita da pensare che io possa arrivare vergine al matrimonio, o se preferisce far finta che io e lui non si scopi, o cos’altro. In realtà penso che Elisiana sia una donna molto insoddisfatta, per quanto ne so, per sentito dire da altri, le si attribuiscono varie relazioni extraconiugali, con un altro professore della sua scuola, o addirittura con un famoso macellaio del centro storico.
A parte questo, lei va in chiesa tutte le domeniche, organizza varie iniziative di beneficenza, ed &egrave anche presidente di una associazione di destra, pare sia filomassonica.
Vado in camera di Anna, sua madre mi ha lasciato sopra il letto con pigiama pulito, e una coppia di asciugamani, i lenzuoli sono puliti. La camera &egrave piena della personalità di Anna, una ragazza che anch’io ammiro, mi &egrave sempre sembrata molto pulita, e forse si &egrave salvata proprio perché ha cercato di stare più lontana possibile dalla madre. Sta con un ragazzo svedese, un figo pazzesco, ma un po’ nerd come lei.
Le pareti sono piene dei diplomi, dei titoli di studio, dei premi conquistati da Anna in anni in cui ha fatto un po’ di tutto, medaglie d’oro alle Olimpiadi della Matematica e quant’altro. Mi stendo sul letto, mi infilo solo la maglia del pigiama, e leggo un libro di racconti russi che ho trovato nello scaffale della libreria, mi sento un po’ a casa, e un po’ in prigione.

Simona, Simona? Apro gli occhi, c’&egrave Matteo seduto sul letto accanto a me. Mi sono addormentata, senza accorgermene, lui mi dice scusami Simona, non ti volevo svegliare, volevo solo darti la buonanotte, mi dà un bacino sulla fronte, come se fossi una bambina. Mi fa tenerezza, forse anche un po’ di pena, gli chiedo se ha visto tutto il film, lui mi risponde sì, che ore sono, lui mi dice sono le due, mi dice vado a dormire, buonanotte Simona e fa per alzarsi, io allora gli dico aspetta. Sono mezza stordita dal sonno. Aspetta gli dico, gli do un bacio in bocca, lento e dolce, gli dico, perché non ti spogli, lui mi dice, dai &egrave tardi, domattina devi svegliarti presto. Gli dico che ho voglia di fare l’amore con lui, sussurrandoglielo alle orecchie. Dice ok. Che cazzo di risposta, ok. Si vede che &egrave a disagio, forse teme che sua madre sia ancora in giro per casa, lei infatti &egrave insonne e dorme poco la notte. Mi dice, facciamo piano però, i miei dormono. Decido allora di fare da sola, gli sbottono la camicia, e mentre il suo petto mi si apre, gli dò dei bacini umidi sulla pelle, sui capezzoli, sul suo addome, conosco i punti che gli fanno piacere e lo fanno eccitare. Il suo respiro si fa eccitato, ma &egrave come se fosse costipato. Gli dico, stenditi, mettiti giù. Gli slaccio la cintura senza sfilargliela, gli sbottono i jeans e infine gli tiro giù la cerniera dei pantaloni, lui dice aspetta, faccio io, io gli dico no stai fermo, gli sfilo i pantaloni e quasi assieme gli tiro giù le mutande, lui protesta borbottando, come fa quando sua mamma lo reprime, ha il cazzo ancora un po’ moscio e so che non gli piace che io lo veda così, non in tiro. Lo fa sentire insicuro. Non lo faccio mai con lui, ma stasera ho voglia così, prendo il suo pisello moscio in bocca e inizio a succhiarlo piano, lui dice no no, che fai, Simona, ma non &egrave capace di fermarmi, perché ho deciso così. Ruotando la lingua sopra la sua cappella, lo sento gonfiarsi dentro la mia bocca e quando &egrave tutto eretto, solo allora me lo sfilo di bocca e gli lecco tutta l’asta con la lingua fino a solleticargli il prepuzio, e alterno le lunghe leccate a baci intensi con le labbra, mentre gli succhio la cappella. Ha ancora le scarpe e i calzini e i pantaloni sotto le ginocchia, e forse vorrebbe spogliarsi. Gli chiedo di stare fermo. Stai fermo amore, oh cavolo, oh cavolo dice, &egrave qualcosa che non si aspettava, 3 anni che stiamo insieme e mai una volta che gli abbia fatto un pompino come si deve, lui non me l’ha mai chiesto, e d’altra parte non &egrave la cosa che preferisco, d’altra parte lui non me l’ha nemmeno mai leccata, ogni tanto ci prova ma &egrave sempre un disastro e pare quasi che lo faccia con imbarazzo e senza provare piacere nel farlo.
Mi dice solo, un po’ sorpreso, Simona così mi stai mettendo male, E stai zitto per una volta gli dico, sono la tua ragazza no? In realtà credo che il suo imbarazzo principale sia la presenza di sua madre, ancora insonne che gira per casa. Lecco e succhio il suo uccello con molta lentezza, voglio che si rilassi completamente, ogni tanto lo guardo con la coda degli occhi, nella stanza illuminata sommessamente solo dalle luci che provengono dall’esterno, dalle finestre che danno sul giardino di casa. Matteo ha un cazzo davvero enorme, il più grosso che abbia mai visto, e anche ben disegnato. Se solo avesse un briciolo più di autostima e magari frequentasse qualche palestra, potrebbe tranquillamente avere una carriera da attore porno E io continuo a salivarlo su e giù, lungo tutto il membro, lentamente, senza nessuna fretta, accarezzandolo con i polpastrelli le sue cosce pelose, e lo sento godere lentamente in silenzio. Lui mi chiede se gli faccio almeno togliere le scarpe, io mi volto e gli do circa il tempo necessario che lui si tolga le scarpe e i pantaloni, giusto il tempo che mi occorre per togliermi a mia volta i calzoni del pigiama e le mutandine, ora stai fermo gli dico stai giù con la schiena, lui &egrave disteso lungo il letto e io mi metto sopra lui massaggiandogli l’uccello con la mia patatina, su e giù, su e giù, la mia saliva &egrave mescolata ai miei umori e ai suoi, infine gli prendo il cazzo con le mani me lo appoggio sopra la vagina e piano piano me lo infilo tutto dentro, di fronte a lui, facendolo entrare tutto, anche se mi fa un po’ male inizio a muovere il mio bacino indietro e avanti dolcemente, come se fossi seduta sopra una palla del pilates, lui non sa dove mettere le mani, me le appoggia sopra il seno con un movimento poco naturale io con la stessa dolcezza le prendo e me le metto accanto ai fianchi, voglio che senta i miei movimenti, sono io che lo sto scopando. I miei movimenti del bacino si fanno più ampi e solo leggermente accenno ad andare su e giù, voglio che senta ogni movimento del mio addome e del mio culo, voglio che capisca che può fare e può avere molto di più dalla sua vita e anche da me, sono eccitata e tutta bagnata, non mi sentivo così con lui da un sacco di tempo, quante scopate inutili abbiamo fatto nel frattempo, quanto amore sprecato, lui mi dice, sto per venire, gli urlo cazzo! concentrati idiota, e anziché fermarmi mi metto a cavalcarlo, voglio il mio orgasmo, sento che stasera posso averlo! Inarco la schiena all’indietro, e mi muovo con voluttà frenetica. Poi mi riavvicino a lui , mi stendo sopra il suo petto con il cazzo sempre ben conficcato in mezzo alle mie gambe, sono io che lo sto scopando, lui mi dice solo: sei sicura che prendi la pillola? Gli dico, sei uno stronzo, mi stendo sopra il suo corpo appoggiando il mio seno al suo petto, mentre lui mi accarezza il culo che muovo contraendo le natiche, su e giù. Mi dice, non resisto, Amore. E io gli dico, ma si, vieni Amore, vieni, e mentre sento che il suo cazzo si libera, io aumento il ritmo e lo sbatto ancora, e urlo, si si! Eccomi amore, eccomi, si. Insieme, finalmente.

Nel silenzio della notte, Matteo mi abbraccia, sono sopra di lui. Intorno, una gran pace. Si sentono cantare i grilli del giardino.
Nel sonno, una voce mi chiama. Simona, Simona. Sono in mezzo a uno dei miei sogni ricorrenti, c’&egrave una specie di mostro con le ali da uccello e gli artigli da rapace, ha la testa di uno degli assistenti universitari di Scarpi, uno con cui ho sempre parlato poco ma che mi ha sempre messo una grande inquietudine addosso, non so perché ma ho sempre pensato che costui mi odiasse. Il suo volto &egrave deformato da un enorme becco con cui gracchia il mio nome, io sono legata su una roccia a strapiombo sopra un dirupo, completamente nuda, con le braccia appese, come in una rappresentazione di Prometeo, e anche le mie gambe sono legate da due opposti lati e divaricate, aperte in modo osceno. La creatura mostruosa ha un cazzo enorme in mezzo alle gambe, e mi sta violentando con ferocia animale, inarcando tutto il corpo da uccello, mentre sbatte le ali e urla il mio nome che risuona nell’eco della vallata. Questa voce, diventata uggiosa e lamentosa, mi chiama ancora. Simona, Simona, sveglia sono le sette. Apro gli occhi, sono distesa sul letto di Anna, senza mutande e con la fica in bella mostra, la signora Elisiana &egrave dietro la porta, accostata, e mi sta dando la sveglia. Matteo deve essere andato in camera sua, penso che avrà provato a coprirmi con il piumino del letto prima di andarsene, in qualche momento della notte, poi devo essermi scoperta, perché il piumino &egrave ora per terra. Con una voce incerta e roca, dico, grazie, scendo, arrivo subito.

Sono quasi sicura che la signora si sarà affacciata in camera, mi avrà visto che dormivo, prima di riaccostare la porta e bussare, così come sono convinta che stanotte non possa non aver sentito i miei gridi, mentre facevo l’amore con Matteo.
Con molta fatica, mi rimetto gli indumenti sparsi tra il letto e il pavimento, le mutandine, i pantaloni e la maglietta del pigiama, prendo gli asciugamani dalla sedia e anche i miei vestiti, gli stessi che avevo ieri, e vado in bagno, dietro all’angolo del corridoio, accanto alla camera.
Mi lavo a pezzi.
Torno in camera solo per riprendere la borsetta e i miei trucchi, rientro in bagno per mettermi velocemente un po’ di leggero fondotinta, la matita, il mascara, obbligatorio, il lucidalabbra, esco dal bagno e mi avvio per andare a bussare in camera di Matteo, ma trovo la signora Scarpi, giusto davanti alla porta e mi dice, non svegliarlo, lasciamolo dormire. Stamani ho la mattina libera, dice, e posso portartici io al lavoro, devo andare in centro. Mi fa incazzare da morire l’idea che io non possa disturbare Matteo perché lei ha deciso così, proprio lei che &egrave sempre così rigida con lui, ma ad ogni modo, per evitare discussioni, la seguo. Ho già preparato il caff&egrave, dice, vieni.

La signora Scarpi ha una macchina grande, un fuoristrada bianco che guida malissimo, in modo nervoso e a scatti, come fanno le donne quando non sanno guidare. Appena in macchina, prima di avviare, si accende una sigaretta, e mi chiede, tu fumi, no? non di mattina, no, grazie. Avvia, sgassa, parte ed esce dal grande cancello in fondo al vialetto della tenuta Scarpi e, dopo una grande svolta, ci si apre davanti la grande immagine del centro storico della città e dei suoi monumenti. Lei ha un soprassalto, che ho già visto altre volte e quindi immagino che lo faccia sempre, emette un gridolino di soddisfazione, dice, eccola, la nostra città, guarda come &egrave bella. E poi, di seguito, quando ero giovane, dice, venivo sempre su questa collina a studiare, prima di conoscere Emilio, mi portavo dietro i libri e mi sedevo in un prato a studiare, a preparare gli esami, proprio in questo periodo che precede la sessione estiva. Dice, ho sempre fatto tutti quanti gli esami, durante la sessione estiva, e i miei figli, voglio dire Enrico ed Anna, sono stati proprio come me, bravissimi in tutto. Matteo no, rimarca, lui &egrave l’unico che a scuola ha sempre penato.
&egrave evidente che sta per dirmi qualcosa, e la lascio parlare.
Mi chiede se io abbia qualche idea riguardo alle intenzioni di Matteo, tu hai capito cosa vuole fare lui nella vita? Io gli dico le solite cose, quelle che so, cio&egrave che ancora non mi sembra abbia le idee molto chiare, e che tuttavia proprio oggi va a parlare con Brentani, il suo prof della tesi, e potrebbe avere una buona prospettiva di fare un dottorato all’estero, in Inghilterra’ Mi interrompe, e dice letteralmente, sono tutte stronzate. Matteo ha già trent’anni, dice, non certo l’età in cui si inizia un dottorato di ricerca, e d’altra parte cosa vuole fare lui, la carriera universitaria, oggi, &egrave praticamente impossibile, non &egrave adatto, assolutamente no e no. Matteo dovrebbe seguire il lavoro di suo padre presso lo studio, la parte tecnica, l’attività professionale che il padre, essendo professore universitario e con impegni crescenti, non può più seguire a tempo pieno, e si consideri fortunato che ha la fortuna di avere un padre dalle mille risorse, che non gli ha mai fatto problemi, e quindi quella &egrave la sua strada, una strada praticamente spianata. Parla in modo nervoso, risentito. Provo a dirgli che forse Matteo non se la sente di stare troppo vicino all’attività professionale del padre, che forse ha bisogno di uno spazio di creatività suo, di sentirsi libero, di provare un’esperienza che sia davvero e interamente sua. Mi risponde incazzata, queste sono tutte cazzate, dice, tu sei la fidanzata, e certamente non lo aiuti a dirgli queste cose. E ancora, mi dice, non &egrave che sei tu a non aver piacere che lui si avvicini allo studio, perché non ti fa piacere che venga a lavorare lì dove sei te? Sono sbigottita, mi limito a dirgli che forse &egrave il contrario, forse la repulsione che ha Matteo verso il lavoro che potrebbe fare nello studio &egrave tale che non ha neppure voglia di avvicinarcisi, nonostante la mia presenza possa servire ad attirarlo e fargli da stimolo.
Non l’avessi mai detto, lei inizia a sproloquiare, dice che di Matteo ho un’idea sbagliata, che Matteo &egrave estremamente condizionabile dagli altri, e quindi anche da me, che lui per rendersi autonomo ha bisogno di trovare qualcuno che non solo lo rispetti, ma che al tempo stesso lo sproni a dare di più e a fare meglio. Accenno appena a replicare, ma lei non mi fa parlare, mi aggredisce con la voce dicendo: eppure dovresti saperlo! Cosa succede nelle famiglie, dovresti saperlo, pensa a tuo fratello, quando si &egrave troppo deboli e ci si fa condizionare dagli altri, lui ha fatto un figlio con una che l’ha messo di mezzo no? Si &egrave rovinato la vita, no? Anche con la tossicodipendenza, ecc. no? A questo punto mi incazzo, le urlo cosa c’entra Dario, lei non lo deve neppure nominare mio fratello! E lei, urla più forte, dice, io non voglio che Matteo faccia la fine di tuo fratello Ecco dove voleva arrivare la stronza, ce l’ha con me perché ieri sera ci ha sentiti scopare. Pensa che io voglia mettere di mezzo suo figlio, che poi lui ha appena trent’anni, povero cocco!
Gli dico che non posso rovinare il suo figlio più di quanto non lo abbia già rovinato lei stessa e lei, si incazza oltre misura, ci tiene a ribadire: la mia &egrave una famiglia perbene, capito stupida? per bene! I miei figli non si sono mai drogati non hanno fatto stupidaggini della loro vita, non hanno mai avuto cattive frequentazioni. Sta parlando di me ovviamente di mio fratello, della mia famiglia, e decido che &egrave ora di smetterla con questa discussione schifosa, le dico che voglio scendere di macchina, subito. Lei fa finta di non aver sentito, mi dice che io sono tenuta ad avere il massimo rispetto per la sua famiglia, come se lei lo avesse avuto per la mia, io le dico che &egrave lei a non avere rispetto di suo figlio e neppure di se stessa, le dico, mi faccia scendere, la prego, si fermi. Lei dice, ma dove vuoi che mi fermi, siamo lontani, non posso lasciarti qui, devi arrivare allo studio, non fare l’immatura. Allora mi zitto, e lo fa anche lei, passa un minuto, ne passano due, finché, finalmente, un semaforo, rosso. Appena la macchina si ferma io apro lo sportello, mi tolgo la cintura e repentinamente esco fuori dalla macchina, mentre lei mi urla, ma dove vai, torna in macchina, ma dove vai, non fare la stupida’!
Mi sbrigo ad attraversare la strada, sono subito dalla parte opposta, approfittando del semaforo, mi infilo nella prima via sulla destra, in modo da non vedermela più davanti, da farle perdere le mie tracce, più avanti giro, a sinistra, poi ancora a destra, mi infilo nel parco, un parco lì vicino, inizio a camminare senza neppure sapere dove, mi butto a terra, bocconi, distesa sopra un prato di erba fresca, e resto lì a piangere, a piangere sola. Non so perché, ma una parte di me non riesce a non pensare che in fondo questa sia solo la giusta punizione per i miei comportamenti deformi e deviati degli ultimi giorni, per voler sempre cercare qualcosa di diverso, e per voler contravvenire alle regole, per non saper gestire questa mia angoscia, quando mi sento disperata e sola. Perché non riesco mai ad accontentarmi di quello che ho, un lavoro, una famiglia che mi ama, un ragazzo che mi vuole bene. Odio quella donna, l’ho sempre odiata, il mio odio per lei &egrave più grande di qualunque senso di amore abbia mai albergato il mio cuore e, ancora, pochi attimi dopo, una parte di me pensa che anche questo sia un peccato da espiare, il fatto che non si possa coltivare un odio così grande dentro il cuore. &egrave sempre la madre del mio ragazzo, dopo tutto. Resto lì per terra, sdraiata, forse un’ora forse più. Mi aspetterei, forse, che mi arrivasse un messaggio o una telefonata da Matteo, sua madre potrebbe già avergli detto qualcosa, non appena &egrave rientrata a casa. Chissà cosa gli avrà detto ‘sta stronza.
Non riesco a non pensare che questo litigio avrà delle conseguenze, di sicuro, forse perderò il lavoro, forse mi lascerò con Matteo. Penso che dopotutto perderò solo un lavoro che non mi piace e perderò, chissà, un ragazzo che ho tradito con ogni anonimo conosciuto in chat. Non esiste al mondo una persona peggiore di me.
Esco dal parco, entro in un bar, prendo un caff&egrave. Controllo l’indirizzo e il numero civico del punto in cui mi trovo, guardando la posizione GPS del cellulare sopra la mappa, e così chiamo un taxi, per farmi portare al lavoro. Arriva ‘Parigi 38′, in 4 minuti.

Quando arrivo allo studio, la Gianna &egrave seduta al suo computer, come al solito, sta masticando un chewing gum, mi vede e subito mi fa, ciao amore tutto bene? che hai fatto? Immagino si riferisca al mio ritardo, io non le rispondo, appoggio le mie cose sopra la scrivania, mentre Gabriele, che &egrave di spalle, non alza neppure la testa, come sempre.
Pochi attimi dopo, arriva Antonio, mi dice, Simona puoi venire di là, c’&egrave Cosimo che ti vuole parlare. Mi alzo, e vedo la faccia stranita di Antonio, mi guarda preoccupato, Simona che ti &egrave successo, tutto bene? Non gli rispondo nemmeno. Quando arrivo nella sua stanza, Cosimo &egrave incazzato nero, ce l’ha con me. Simona, mi dice il preliminare va consegnato almeno entro Venerdì sera, se no questi ci fanno il culo! Si pagano le penali, capito? Il Vogliono il progetto perché Martedì deve essere approvato dal Comune! &egrave così incazzato che non mi guarda neppure in faccia, poi quando si &egrave sfogato un po’, ed alza la testa per vedere la mia reazione, di botto cambia espressione e mi dice, e che cavolo, Simona, che ti &egrave successo? Niente, gli dico. Allora inizia a balbettare, ma guarda, &egrave che’ hai una faccia, non so cosa ti sia successo, ti &egrave calato tutto il coso, il mascara, non so, hai due strisce nere lungo le guance’ vai a vederti in bagno. Vado. Allo specchio del bagno, in effetti la mia faccia appare terribile, come una maschera teatrale, le lacrime mi hanno tracciato delle strisciate nere lungo il volto, e anche le palpebre e le ciglia sono tutte macchiate di nero. Mi lavo il viso, e mi strucco come meglio posso. Uscendo dal bagno, non torno subito da Cosimo, ma mi metto a sedere, non ce la faccio a sopportare un’altra paternale e non ho la forza di mandarlo affanculo. &egrave Cosimo ad arrivare in stanza da me, dopo pochi minuti, si mette in silenzio, in piedi dietro la mia sedia e, con un gesto inconsueto per lui, mi poggia le mani sulle spalle, sotto il collo, con dolcezza, e in modo affettuoso mi dice: Simona, puoi venire con me, andiamo a prendere un caff&egrave. OK, gli dico, senza entusiasmo. Lo seguo, andiamo al bar di sotto, quando entriamo mi dice, mettiti a sedere, cosa prendi. Se non fossi assieme a lui, anche se sono solo le dieci e mezzo del mattino, ordinerei sicuramente un doppio whisky, probabilmente ne ordinerei due, anche a costo di bucarmi lo stomaco.
Un caff&egrave, gli dico. Cosimo prende i due caff&egrave dal banco, e li porta al tavolino. Simona, esordisce, io non mi voglio fare gli affari tuoi, ma &egrave da un bel po’ che non ti vedo serena. Mi dice che, in sostanza, quando sto bene e sono più serena, il mio contributo all’attività dello studio &egrave veramente fondamentale, ma quando sto così ed evidentemente c’&egrave qualcosa che non va, questo si riflette anche nel lavoro che faccio. Quindi lui si sente, in qualche modo, autorizzato a capire se c’&egrave qualcosa che può fare per aiutarmi a sentirmi meglio.
Istintivamente, gli dico: se non vi accontento, &egrave semplice, cacciatemi. Tutto dispiaciuto per le mie parole, mi dice, no, non ho detto questo Simona, anzi, il tuo lavoro resta molto valido anche quando non sei al meglio, solo che ci hai abituato a molto di più, e allora mi domando, conoscendoti, come mai tu non stia bene, me ne dispiaccio come collega, anche come amico, per quanto forse tu non pensi che io possa essere tuo amico. Se hai dei problemi, Simona, capisco che io sia un po’ più grande di te, e che tu non ti senta a tuo agio nel dirmi le tue cose, ma mi piacerebbe che tu mi considerassi come un amico, e non solo come un collega.
Ora, sarà che ho bisogno di qualcuno con cui sfogarmi, o sarà che apprezzo il suo atteggiamento amichevole di adesso, questa cosa mi fa piacere. Gli dico, Cosimo, io ci ho riflettuto, e penso che non sia giusto, che io lavori qui, in questo studio tecnico che &egrave un’emanazione professionale di Scarpi, solo perché sono fidanzata con suo figlio. In fondo sono stata messa qui per questo motivo. Questa cosa sta creando enormi problemi a voi che probabilmente non vi sentite a vostro agio nel dirmi tutto quello che pensate di me, ma crea problemi anche a me, perché in qualche modo, la mia presenza qui può condizionare l’arrivo di Matteo nello studio, che &egrave un obiettivo della sua famiglia, cio&egrave quello che lui segua l’attività professionale del padre.
Cosimo &egrave perplesso, mi dice, Simona ma qualcuno ti ha detto qualcosa? Qualcosa, gli rispondo. E lui chiede, ma chi? Scarpi? No, non lui. Ah, dice Cosimo, ma allora non conta niente, stai tranquilla. Scarpi ha sempre avuto molta stima di te e ti ha sempre difeso.
In tono confidenziale, mi ricorda che lui, ad esempio, era scettico all’inizio quando il professore propose che entrassi a lavorare nello studio come collaboratrice, soprattutto quando venne fuori che io ero la fidanzata di suo figlio Matteo, e in qualche modo lui pensava che questo prefigurasse un disegno che non gli piaceva. Ovvero, traducendo in parole povere il suo pensiero, non sopportava che io fossi una raccomandata, e che lavorassi lì in attesa dell’arrivo del mio fidanzato, il figlio-architetto del Prof. Scarpi. Ma che poi no, insiste Cosimo, con gli anni lui si &egrave reso conto di quanto io sia tenace, e brava, di che contributo posso dare all’attività dello studio, di quali capacità gli altri tecnici dello studio possano beneficiare…
Avrei voglia di dirgli che io non c’entro nulla con loro, non c’entro nulla nemmeno qui, ci sono capitata per sbaglio come per sbaglio ho fatto quasi tutte le scelte della mia vita. Avrei voglia di dirgli quante volte lui e i cari colleghi mi hanno trattata male, umiliata davanti ad estranei, come &egrave successo qualche giorno fa con i tecnici del centro commerciale, mantenendo con me una correttezza solo formale. Ma ovviamente sto zitta. Cosimo, esattamente come ha fatto qualche giorno fa in macchina, inizia a lamentarsi della piega che ha preso lo studio, che Scarpi lascia troppo fare, &egrave troppo assente, e questo crea un clima di tensione tra noi. In questo clima, magari, anche i familiari di Scarpi, la moglie e Matteo, possono creare tensioni… Se fossi in un altro momento, se non mi sentissi così debole e confusa, direi a Cosimo di farsi i cazzi suoi. Ma stamani mi sento nuda, esposta al pubblico ludibrio, quasi come nel sogno che ho fatto stamani. Gli dico Cosimo, Matteo non c’entra un cazzo, ha i suoi disagi, si sente inadeguato a tutto, va lasciato libero. Io non sono come lui, ho fatto altre scelte, mi sono laureata in qualcosa che nemmeno mi piaceva, e mi sono adattata, anche per non dispiacere agli altri, che fossero i miei genitori, la famiglia del mio fidanzato, o i miei colleghi. La cosa che mi fa stare male &egrave che per fare così, vi ho delusi tutti.
Io penso solo che sei molto stanca, mi dice Cosimo, con la faccia perplessa, e forse sei arrabbiata perché devi avere litigato con qualcuno stamani, ma non accetto che tu dica queste cose di te, non accetto che tu pensi che io mi senta deluso da te, perché non &egrave vero! Lo dice con un tale fervore, con un tono che gli &egrave così insolito, che sembra addirittura sincero. Ora andiamo, via su, mi dice, e cerchiamo a finire questo cazzo di preliminare, e quando lo abbiamo consegnato, se vuoi, allora dobbiamo parlare e cercare di lavorare meglio, con più armonia. Si alza, rientriamo in studio, lo seguo. Mi sento a pezzi, ma come una pecorella, ho bisogno che qualcuno mi indichi la strada, e mi dica cosa fare. Che mi insegni il mio posto nel mondo. In questo Cosimo &egrave bravo. Mi rimetto al lavoro.

Prima delle 13:00, in pausa pranzo, sono venuta in palestra. Ho bisogno di scaricarmi.
Il mercoledì e il venerdì seguo il corso di gambe addominali e glutei, in compagnia di ragazze che hanno dai 20 ai 35 anni, tutte molto volitive e cazzute, tutte con l’ambizione di costruirsi il culo più spettacolare della città. Nel corso si fanno praticamente solo squat e crunch in tutte le salse, in mille varianti, con pesi e senza pesi, l’allenatore si chiama Filippo ed &egrave un grandissimo marpione, credo che si sia già scopato almeno 4-5 ragazze del gruppo che quest’anno segue il suo corso, ovviamente ci ha provato anche con me ma io non potrei mai fare sesso con qualcuno che poi conosco e vedo nella vita di tutti i giorni, senza poi sentirmi morire. Forse proprio a causa del mio rifiuto, le sue battute verso di me sono sempre molto sarcastiche, e con me &egrave sempre particolarmente insistente e volgare. Ehi Simona, scendi giù bene con quegli affondi, dice. Poi mi dice all’orecchio, fai conto di dovermela appoggiare sul pacco quando sto disteso a letto. Stronzo.
Pare che lui sia fidanzato con una tipa che vive in una città del nord, o almeno questo &egrave quello che dice, e così quando qualcuna della palestra gliela dà, &egrave sempre onesto, pare che dichiari alle sue partner occasionali che lui &egrave interessato solo al sesso e che in questo momento lui non se la sente di lasciare la sua ragazza a cui &egrave molto attaccato, quindi patti chiari e amicizia lunga.
Anche questa cosa me l’ha riferita Marina, a cui il Filippo fece un discorso similare, e lei non si &egrave fatta problemi, ci ha scopato solo una volta e, stando a quello che mi ha raccontato, &egrave stato una grande delusione. Pettorali gonfi, addominali a tartaruga, gambe muscolose, e cazzo piccolo e moscio, ridicolo. Questa fu la sua sentenza.

Sono le sei e mezzo, sono stata tutto il pomeriggio in studio e ho cercato, per quanto possibile, di concentrarmi solo sul mio lavoro, sulle tavole da completare, sui pilastri, sui ferri. Sto ancora malissimo. Da Matteo, neppure una cazzo di telefonata. Sicuramente lui &egrave al corrente della litigata che ho fatto stamani con sua mamma in macchina, e ora immagino che sia più imbarazzato di me, quindi penso che sarà in ambasce e non saprà cosa dirmi. Cosimo arriva, e mi dice che forse &egrave meglio se andiamo tutti a casa e domattina torniamo in studio prima, prima delle otto, perché ci sono delle cose che lui vuole controllare personalmente, lo farà stasera da solo, ed &egrave opportuno discuterne domattina presto senza mettersi a lavorare a vuoto, nel caso in cui ci siano delle modifiche importanti da fare. Sinceramente mi stavo preparando per fare la notte in ufficio, e questa cosa mi rovina i programmi. Ora non ho voglia di tornare a casa. Finirei per entrare in qualche chat alla disperata ricerca di qualcosa o di qualcuno, &egrave brutto da dirsi, ma &egrave così, mi sento così disperata che stasera potrei fare cazzate molto più grosse di quelle che ho combinato nelle ultime settimane.
Decido di dare ascolto al mio cuore, e così chiamo la mamma. Mamma, le dico, se mi aspettate, stasera vengo a cena a casa e rimango a dormire lì. Ovviamente la mamma &egrave felicissima, la sento dal tono della voce, stasera &egrave festa, la Simona viene a casa.

Quando arrivo, con il motorino, trovo Dario, che mi stava aspettando. Mi dice, echeccazzo Simona, se sapevo che eri in motorino, sarei venuto io a prenderti in macchina. Sono quasi le otto ed &egrave ancora &egrave giorno, lui mi dice che stasera bisogna mangiare un po’ prima, perché lui ha le prove di uno spettacolo a teatro, e quindi dovrà lasciarci tra poco. Dario, gli dico, stasera avevo bisogno di parlare un po’ con te. Eh ma se lo dicevi prima, magari mi organizzavo diversamente, dice.
Dario &egrave un po’ così, per quanto io gli voglia bene, non mi &egrave mai vicino come fratello, ma &egrave sempre molto concentrato su se stesso, e finisce per essere anaffettivo. Anche mia madre &egrave una persona cara, ma non riesco mai ad aprirmi con lei, a dirle i miei problemi o quello che davvero sento. Non mi sento mai capita da lei. L’unica persona con cui potrei riuscire ad aprirmi &egrave mio padre, che ha una sensibilità fuori dal comune, ma proprio per questo non me la sento di dirgli nulla, &egrave malato e non voglio dargli ulteriori preoccupazioni. Però, non appena lo vedo, lui mi guarda col suo solito occhio da investigatore, e mi dice, Simona, tu mi devi dire qualcosa, vero. Ti devi aprire con me, sono tuo padre capito. Gli dico, papà, no no, &egrave tutto a posto, va tutto bene. Lui allora mi dice, non mi prendere per il culo, Simona, avrò qualche acciacco, ma non sono mica scemo
Papà, gli dico, va bene lo stesso se te lo dico domani? Lui mi guarda, con quel suo sguardo dolce, sa bene che non gli dirò nulla né stasera né domani, Allora mi dice, semplicemente, vieni subito qui e abbracciami, e così me lo stringo forte al petto, e cerco con ogni mio sforzo di trattenere il pianto, un pianto infinito che mi sgorga dal cuore e che mi lascio scorrere dentro.

Un quarto alle nove, Dario si alza da tavola, e noi siamo tutti seduti, controllo sul cellulare e ci trovo un messaggio di Matteo, Finalmente si &egrave degnato di cercarmi.
Mi scrive, non ho capito bene cosa sia successo stamani, ma noi due dobbiamo parlare.
Gli scrivo, grazie per esserti degnato di cercarmi. Comunque non ho voglia di parlare stasera, ci sentiamo domani. Spengo il telefono, perché non ho voglia di ricevere telefonate.

Alle nove e mezzo, mamma e papà si mettono a guardare un dibattito di politica in televisione, io ho bisogno di uscire, ma non saprei dove andare. In paese no. Vado in camera, e cerco le mie vecchie scarpe da corsa, che usavo per andare a correre nelle sere d’estate, mi metto un paio di jeans, e sopra la felpa di una vecchia tuta da ginnastica.
La strada principale che dal paese va verso la valle e da lì in città, scende dolcemente, lungo il fianco della collina, affacciandosi sulle case sparse in mezzo alla campagna fino in fondo alla vallata, che spostando lo sguardo verso occidente si addensano, a diventare la grande città illuminata la cui presenza, da qua, si intuisce soltanto. La campagna intorno a me &egrave come un teatro naturale, formato dalle terrazze degli oliveti e delle vigne. Amo questa terra, fin da quando ero piccola, e il nonno Arturo mi portava sulle spalle, e la sera scendevo con lui verso i campi, d’estate, dopo le cinque. Restavamo nell’orto, nell’oliveto o nella vigna, fino all’ora di cena, poi tornavamo in paese sull’imbrunire, con il carico di ortaggi, e io, seduta sulla carriola in mezzo al raccolto della sera, amavo l’odore delle verdure, dei pomodori appena colti, e soprattutto respirare il profumo dell’erba tagliata dei campi.
Ho preso l’abitudine di fare le mie passeggiate solitarie in campagna da quando ero un’adolescente inquieta, nei miei quindici anni, e in paese non avevo amici, solo un’amica di scuola che non abitava neppure vicino. Avere amici voleva dire omologarsi. Ci avevo provato, ma poi non sopportavo ogni volta che uscivo con vari gruppi, di dover parlare sempre delle solite cose, i maschi di calcio, le femmine di cose frivole. Le ragazze, in compagnia di altre, parlano molto anche di sesso e così, credo, i ragazzi. Ma io mi sentivo inadeguata, mi sembrava che non sarei mai potuta piacere a nessuno, perché, principalmente, io non mi piacevo.
Non mi depilavo le ascelle, le gambe e nemmeno l’inguine. Mi dava fastidio ogni volgarità, da qualunque fonte provenisse e di qualunque genere fosse. Non dicevo cazzo, fica, scopare, pompini, niente, tutto mi dava fastidio.
Non mi piaceva dovermi vestire come gli altri, essere uguale al resto del mondo, le mode, perché il mondo mi faceva schifo e c’era una distanza enorme tra il mio desiderio di pulizia e di armonia e quello che vedevo intorno, pensavo al sesso come a una cosa sporca, e in fondo credo ancora oggi di avere questo tarlo. Perché quello che cerco, nel sesso con gli sconosciuti, &egrave proprio il disgusto, lo schifo, l’osceno.
Il sesso di cui parlavano i miei compagni era la pornografia dei siti porno, le foto, gli spezzoni filmati, erano i giornaletti che qualche anno prima, quando ero ancora una bambina di 8-9 anni, un amichetto, Alessandro aveva portato a scuola. Alessandro, dolce e caro bambino che aveva una madre malata, e un padre orribile, che portava alle altre donne in casa e rinchiudeva sua moglie dentro una stanza. Quell’uomo teneva in casa i giornaletti porno a portata del figlio. Quella roba, la pornografia, mi dava il disgusto, ma non trovavo altro modo di pensare al sesso se non attraverso quella roba lì. Ovunque, nei parchi pubblici o nei cessi della scuola, ovunque c’erano cazzi disegnati e fiche che gocciolavano.
E io che amavo il mondo e lo guardavo con i miei occhi incantati di bambina, soffrivo nel sentire il contrasto tra l’infinita bellezza che vedevo intorno, e lo schifo dell’altro mondo osceno, fatto di sesso e sporcizia, che tanto piaceva ai miei coetanei. Il primo ragazzo con cui ho fatto sesso, &egrave stato quando avevo quasi diciassette anni, certamente non lo amavo e sicuramente mi piaceva meno di altri. Ma lui era il più fico della scuola, tutte gli sbavavano dietro, e io non potevo dirgli di no, quando ci aveva provato con me. Tutte in classe avevano già scopato, tranne me. Lui aveva diciannove anni e faceva l’ultimo anno, diceva che aveva imparato a scopare guardando i video su internet. In lui non ho trovato quasi nulla di piacevole né di eccitante, tutte le scopate che ho fatto assieme a lui, a parte la paura della prima volta, erano noiose, e nonostante lui volesse continuare ad essere fidanzato con me, perché stavo diventando una gran fica, sono stata io a dirgli che volevo smettere.
E poi ho vissuto anni, tanti anni di solitudine piena, estranea a tutto, ai miei compagni, al mondo, alla mia famiglia che si stava rompendo, le sofferenze di mio padre, di mia madre e poi di mio fratello.
In quegli anni, il dolore più grande &egrave stata la perdita del mio caro nonno Arturo. La sera dopo che lo abbiamo sepolto, mi &egrave venuto spontaneo uscire di casa, vestita solo di un vestitino leggero, contro il vento caldo dell’estate, e mettermi in cammino, attraversare la mia, la sua campagna, Quella strada che facevo tante volte seduta dentro la carriola portata da lui, e da lì scendere, scendere attraverso i campi e le vigne, ritrovare la bellezza sconvolgente della natura ed essere tutt’uno con essa.
Da allora, l’ho fatto per anni e anni, tutte le sere in cui il tempo lo permetteva, da Marzo ad Ottobre, che fosse il lunedì o il sabato o la domenica, verso le nove di sera mi incamminavo, e mentre le macchine percorrevano la strada principale illuminando il mio percorso con i fari abbaglianti della sera, molti pensavano, ecco la figlia stravagante del dottore, ecco la figlia di quel ladro beccato a rubare all’ospedale, ecco la sorella del drogato, la sorella di quel cretino che ha fatto un figlio con quella disgraziata, povera famiglia, povera quella donna della madre. Ma io me ne infischiavo, la sera, alla mia ora, subito dopo cena, uscivo, e la mamma, per quanto si impegnasse a dirmi, ma cosa vai a fare da sola a piedi? io non sentivo cazzi. Quale fosse il problema, io non capivo, la mia passeggiata era l’unico antidoto contro l’ipocrisia del mondo. Cosa c’&egrave di sconveniente per una ragazza di diciassette o diciotto anni nel camminare per la campagna? E così andavo, infischiandomene di tutto, dei commenti dei ragazzi che mi urlavano quando passavano in macchina o con il motorino. Quando arrivavo nei miei campi, affacciandomi a quello scorcio di campagna, spesso, nella bella stagione, mi toglievo i sandali o le scarpe, e godevo nel sentire sotto i piedi il tappeto soffice dell’erba nuda.
Sognavo. Mi sentivo veramente e pienamente intera, a contatto con la natura, con la memoria di mio nonno, con la felicità nuova che avevo nel cuore.
Le macchine che passavano non si stancavano mai di rallentare, quando mi vedevano camminare lungo la strada, alcune mi deridevano e insultavano. Tutto questo poi degenerò quando venne fuori la storia del ‘negro’. A Simona gli piace il cazzo negro, su un pezzo d’asfalto si legge ancora così.
Abdou. Senegalese. L’avevo conosciuto in discoteca.
Qualche volta, quando avevo voglia di mescolarmi con altre persone, nonostante tutto, mi era successo, il sabato sera, di andare a piedi fino alla discoteca che si trovava nel paese vicino. Ci andavo da sola anche se quella musica non mi piaceva, un frastuono orribile e assordante. Dopo aver buttato giù un po’ di alcol, tutto diventava più facile ed era possibile anche mescolarsi, capire cosa si prova a entrare in un corpo che non sai più controllare, come se non fosse più il tuo. E così ballavo, ballavo sfogandomi e saltando sopra una pista come un’invasata, prendendomi gioco dei fighettini con i loro drink in mano e i loro ridicoli tentativi di imbroccare le ragazze. Quelli che ci provavano con me, regolarmente rimbalzavano, e così mi ero costruita la fama di una pazza eccentrica.
E poi venne Abdou. Lui era stato carino, senza parlare, si era avvicinato come se volesse cercare un’empatia con me, con il modo con cui ballavo, e con grande naturalezza si era messo a fare un dialogo dei suoi movimenti con i miei. Era una cosa sensuale, affascinante, che aveva un non so che di primitivo. Abbiamo ballato così, a lungo, tutta la sera, come a lungo, senza parlare, siamo stati poi, a guardarci, a sorridere. E alla fine gli ho proposto io, perché non usciamo fuori, e lui mi ha detto bene, come ti chiami Abdou, mi ha detto. Simona, piacere.

Siamo usciti, e gli ho dato la mano, e l’ho accompagnato in silenzio lungo le strade della mia campagna, percorrendole da un lato diverso da quello che facevo di solito quando scendevo dal paese. Era la fine di maggio e sui campi coltivati a grano brillava la luce intermittente delle lucciole. Assieme a lui sono scesa, lungo i campi, caldi di passione e di desiderio. Lui mi ha detto ma non sei stanca, vuoi che torniamo indietro? L’ho baciato nelle labbra, quelle labbra sapevano di ciliegia. Ha intonato un canto del suo paese, con una voce bellissima, calda, e mi sembrava la voce stessa della natura. Sotto la grande quercia che sta in mezzo alla vigna di mio nonno, ci siamo spogliati, accarezzandoci e baciandoci, con una naturalezza che mi faceva piangere. Il suo corpo, muscoloso e magro, la sua pelle, di velluto. Provavo piacere solo nel carezzarlo. Il suo corpo, sopra il mio, e poi a fianco. Il suo sesso, l’unico organo maschile che abbia mai conosciuto capace di donare solo amore. L’odore dell’erba, Il rumore dei grilli, il sussurrare del vento sopra i campi e le fronde degli alberi. Il profumo del suo seme, come quello del grano appena raccolto. E l’amore, un amore infinito salire dentro l’anima mia, e riempirla tutta.

Giovedì mattina, sono le 7:15. Sono appena arrivata in ufficio, con molto anticipo, ma stamani mi toccava, &egrave quello che Cosimo ha preteso ieri. Ho dormito a casa dei miei, nel tepore del letto della mia adolescenza. Appena in piedi la mamma mi ha preparato una spremuta di arance, che ho bevuto al volo, come facevo sempre negli anni del liceo, in cui lei si svegliava prima per prepararmi la spremuta o uno zabaione. Quindi sono uscita alle 6:40, in motorino, approfittando del poco traffico. Al mio arrivo, la porta dello studio &egrave già aperta, non sono la prima, qualcuno &egrave già arrivato. Appoggio le mie cose sulla scrivania, entro e dò un’occhiata alle altre stanze. C’&egrave Cosimo, &egrave nella sua stanza, e con lui c’&egrave il professor Scarpi, addirittura, mattiniero come non mai. Mi saluta, &egrave allegro, ciao Simona, e il suo tono cordiale mi toglie almeno dall’imbarazzo di dovermi sentire sotto esame, con lo sguardo e la voce bassa, dopo la vicenda di ieri mattina, ovvero dopo la litigata che ho fatto con sua moglie.
Cosimo dice: aspettiamo solo che arrivino gli altri e poi facciamo un briefing, il professore ci ha chiesto di partecipare, per fare una review complessiva alla progetto e darci alcuni suggerimenti. Quindi, in attesa che arrivino Antonio e Gabriele, Scarpi mi chiede se posso accompagnarlo a prendere un caff&egrave al bar giù di sotto, capisci, dice ammiccando a Cosimo, non posso perdermi una colazione con una ragazza così bella. Cosimo annuisce e ride nervosamente, ma gli girano le palle perché intuisce che Scarpi vuole parlare solo con me, a tu per tu. &egrave chiaro, Scarpi deve dirmi qualcosa, sicuramente vorrà entrare nell’argomento della litigata di ieri. Cosa prendi, mi chiede, non appena siamo davanti al bancone del bar. Solo un caff&egrave, grazie. E non mangi nulla? Scuoto la testa. Lui non se lo fa ripetere, e da gran signore fa portare al tavolino un vassoio di pasticceria e di piccoli salati, insieme al caff&egrave. Devi mangiare Simona, si dice, non vorrai mica diventare come quelle modelle anoressiche. Mi chiede come sta mio padre. Poi mi dice, al lavoro come va? Bene. Gli dico, sono un po’ stressata perché c’&egrave un casino da fare, in questo periodo. E con Matteo? Lo guardo in silenzio, non capisco dove voglia arrivare, e quindi mi viene naturale mettermi sulla difensiva. So che ieri mattina, tu ed Elisiana, avete avuto una piccola discussione, mi dice. Sto zitta. Insiste, ti posso solo dire che lei &egrave così, mi scuso anche a nome suo, &egrave una vita che ci litigo, spesso &egrave veramente troppo entrante e non capisce che i giovani vanno lasciati stare. Tu cerca però di capirla, continua, lei &egrave una madre, si preoccupa del figlio, e per quanto io sia convinto che i figli vadano lasciati stare, voglio dire, lasciarli fare anche nei loro sbagli, francamente Matteo sta prendendo una strada che non mi &egrave chiara.
E così mi ridice tutta la storia, del dottorato offerto a Matteo dal Prof Brentani che ha delle conoscenze in Inghilterra, e che pare che Matteo si sia convinto a provarci, e sembra che lui possa partire di qui a pochi giorni per un colloquio’ ma immagino che tu sappia tutto, mi dice. Veramente no, gli dico, con Matteo non mi sento da ieri mattina, non so di cosa abbiano discusso, parliamo sempre poco di queste cose, me lo aveva accennato, ma così, come una possibilità. Certo Simona, ma capisci, anche se siete giovani, lui lo &egrave un po’ meno di te, &egrave normale che un padre e una madre a questa età si preoccupino, uno si immagina che un figlio a questa età dovrebbe avere dei progetti di vita, che ne so, mettere su famiglia, mettere la testa a posto, pensare a comprarsi casa, un lavoro stabile, queste cose qua.

Annuisco, ma lo faccio solo per non contraddirlo, mi scappa detto un ‘certo, si’. Certo, si, un cazzo. In realtà non ho ricordo che con Matteo si sia mai parlato di avere progetti di vita insieme, di avere una casa o dei figli. Forse &egrave proprio per questo che abbiamo resistito insieme per tre anni, nonostante il sesso tra noi non sia proprio esaltante.
Scarpi insiste, mi dice, sono preoccupato anche io, non lo &egrave solo Elisiana. Quel Brentani &egrave veramente un cretino, uno dei più docenti più idioti che ci sono in ateneo, &egrave giovane e presuntuoso, e non credo che possa indirizzare Matteo a fare delle scelte giuste. Dice ancora, in Inghilterra poi, tre o forse quattro anni a fare cosa? Qui Scarpi si infervora un po’. Con il dottorato oggi ti ci pulisci il culo, dice senza mezzi termini, a meno che tu non voglia fare la carriera universitaria, ma non &egrave per Matteo, &egrave una strada troppo complicata, io non intendo appoggiarlo.
Ma io che posso farci, gli dico, se lui vuole così. Lui si mette ridere, mi dice, ma come, sei la sua ragazza, e di argomenti convincenti ne hai parecchi, mi sembra, vi ho sentiti l’altra notte, quando eravate a casa, con quanto entusiasmo stavate discutendo fino a tardi. Lo dice in modo bonario, ma mi dà fastidio che voglia rimarcare questo, cio&egrave che anche lui ci ha sentito scopare, non solo moglie.
In fondo mi sta dicendo le stesse cose della signora sua moglie, semplicemente le dice in modo signorile. L’uno e l’altra mi stanno usando, mi usano per convincere Matteo a fare qualcosa , quando io stessa non sono convinta di nulla, riguardo a me o a lui. La verità, &egrave che se Matteo partisse domani per stare via quattro anni o più, non me ne importerebbe nulla. E non c’entra il voler bene o l’amore, io sono convinta di volergli bene, così come sento di non amarlo, ma non &egrave questo il punto. La verità &egrave che tutto mi ispira indifferenza e fatica, tutte le cose mi appaiono di una difficoltà insormontabile. Non ho aspettative né ambizioni particolari per il mio futuro, e non capisco come mai un padre si possa fare tutte queste domande rispetto al futuro di suo figlio. A chi appartiene la vita di suo figlio? A chi appartiene la mia?
Scarpi continua a parlare, col suo modo suadente e persuasivo. Mi limito ad annuire, ma non lo ascolto e veramente non lo capisco.

Mezzogiorno e mezzo. Sto disegnando da tutta la mattina un prospetto, una delle tre-quattro tavole richieste da Cosimo e suggerite dal Professore, per completare la presentazione del preliminare. Alle otto c’&egrave stato il briefing, con Scarpi, in cui Cosimo ha illustrato, proiettando delle diapositive, lo stato di avanzamento del progetto nello stesso modo sussiegoso e reverenziale con cui uno studente alle prime armi e un po’ leccaculo illustra il proprio lavoro al professore universitario con cui farà la tesi. Gabriele e, soprattutto, Antonio, sono stati per lo più zitti, cercando più che altro di prendersi i meriti sulle parti grafiche e sugli abbellimenti. Ovviamente c’era anche la Gianna, che quando vede il Professore pare abbia un orgasmo perenne, inizia a scodinzolare, gli dice, Professore Professore ci sarebbe da firmare questa cosa, Professore Professore vado a prenderle un caff&egrave, dell’acqua, qualcosa da mangiare’ Perfino Antonio, commentando con Gabriele il comportamento della Gianna quando in giro c’&egrave Scarpi, le rifà il verso: Professore Professore, lo vuole un caff&egrave, lo vuole un gelato, la vuole una leccatina al pistone?
Alla fine dell’esposizione di Cosimo, Scarpi ci ha dato la sua benedizione, commentando le cose che a parere suo dobbiamo migliorare ai fini della presentazione del progetto perché ‘lui conosce i suoi polli’ e sa cosa si aspettano. Per parte mia: devo finire questo cazzo di prospetto, rifare una pianta di insieme di tutti gli edifici e delle sistemazioni a verde, e poi rivedere tutta la relazione idraulica su cui pare che i tecnici del Comune potrebbero avere da ridire qualcosa . Sono l’unica dello studio, fra l’altro, che sa fare questi conti. Normalmente ci vorrebbero almeno quattro giorni di lavoro per finire, ma mi conosco, e so che se mi impegno posso farcela. Oggi non andrò a pranzo con gli altri, mangerò un panino davanti al computer. Antonio e Gabriele avranno da fare molto meno, possono limitarsi a farsi le pippe con i loro rendering del cazzo.

Alle tre, Cosimo viene in stanza. Mi dice, Simona dovresti farmi un favore, bisogna portare dei documenti che servono a Bianchi, al cantiere, io non posso andarci, perché sto messo male, ed &egrave bene che vai tu, che già lo conosci e così, se ha dei dubbi, gli spieghi .
Veramente non mi torna molto, questa richiesta, e non capisco come mai non ci possa andare la Gianna, a portare i documenti all’ingegnere, visto che non fa mai un cazzo, a parte mettere in ordine due fogli nelle cartelline e rispondere al telefono. Però penso anche che uscire un po’ dall’ufficio mi faccia bene, sono otto ore che sto seduta davanti al computer e ho voglia di respirare un po’. Cosimo &egrave incazzato con me, in realtà lo &egrave da stamani, da quando Scarpi mi ha portato a prendere il caff&egrave e lui non &egrave stato invitato, o almeno a me sembra questo. Ormai lo conosco, fa così tutte le volte, quando teme che qualcuno, io in particolare, lo voglia scavalcare o delegittimare col capo. Ovvio che non potrei farlo, neppure volendo, e non perché non ne sarei capace. Semplicemente perché non me ne frega un cazzo.

Il motorino fatica a partire, in realtà dovrei rottamarlo e comprarne uno nuovo, sono almeno due anni che lo dico, poi penso sempre che mi piacerebbe avere una moto, una moto grande e spropositata per me. Non vorrei più avere un altro scooter o un giocattolo del genere. Comunque oggi, il motorino sembra più ingolfato del solito dovrei passare da un meccanico, penso. E così, subito, penso a Montalbano. Cio&egrave, al sosia di Montalbano che fa il meccanico e lavora qui vicino, quello che Marina sosteneva di essersi scopata. La strada della sua officina non &egrave poi molto lontana dal cantiere, dove sono diretta. Così, appena il motorino si mette in moto e posso sgassare, mi dirigo da quella parte della città. Tra l’altro, tutto sembra volermi portare lì, perfino i cantieri stradali e le interruzioni lungo la strada principale che mi costringono proprio a deviare proprio per quella via lì. Ed eccola, l’officina di Montalbano. Quando sono abbastanza vicina, mi fermo e mi metto ad osservare l’andirivieni delle macchine che entrano e escono. Si affaccia un ragazzo, giovane, avrà forse vent’anni o meno. Vestito con una classica tuta blu da meccanico. Non &egrave lui Montalbano.
Non so se &egrave più la curiosità o la necessità a spingermi. Spengo il motorino, e portandolo a braccio mi avvicino, il ragazzo mi vede. Buongiorno, hai bisogno di qualcosa, chiede. Si, gli dico, sì, questo motorino non si avvia più bene, si ingolfa spesso, vorrei farlo riguardare. Lui ci sale sopra, pedala, lo mette in moto, dice, certo così a caldo, per forza parte subito, non &egrave la stessa cosa, dovresti lasciarmelo fino a domani e vediamo di ripulirlo. Impossibile, gli dico, oggi mi serve ed &egrave l’unico mezzo che ho per spostarmi. D’altra parte &egrave la verità. Allora il ragazzo chiama, Franco, Franco? Entra dentro l’officina, e dopo 20 secondi si affaccia proprio lui, Franco, il commissario Montalbano.
Dimmi tutto, mi dice, guardandomi con la faccia un po’ ebete. Gli rispiego del motorino, che non va, che ho paura di restare a piedi stasera che dovrò uscire tardi, insomma gli chiedo se si può fare qualcosa. Mentre gli parlo osservo la sua faccia. A guardarlo bene, a parte la testa pelata, non assomiglia un cazzo al commissario Montalbano, ha il naso grande con le narici pronunciate, le sopracciglia folte, la pelle spessa. Un ciondolo pendente con un teschio scende dall’orecchio destro, e anche un orecchino dalla forma di matita che si conficca nel lobo dell’orecchio sinistro. Dal collo enorme spuntano dei tatuaggi che, si intuisce, sono molto più diffusi nel resto del corpo, spuntano fin dalle mani, nonostante siano celati dalla sua divisa da lavoro, jeans e camicia a quadri che rivestono un corpo taurino, possente, molto meglio di Montalbano!
Il suo volto e i suoi occhi esprimono una espressione triviale, non esprime un briciolo di fascino. Dopo avermi fatto parlare, mi dice eh, capiti male, Oggi mi hanno dato un sacco di inculate ho sei macchine da fare di qui a stasera, non ce la faccio. Per far bene dovrei prendere il motorino e smontarlo tutto, il carburatore e tutto, e dargli una bella ripulita. Allora si piazza sul motorino, prova a rimetterlo in moto, e poi dice, ma dai, non &egrave mica messo tanto male, puoi venire anche la settimana prossima che non succede niente, vieni Lunedì o Martedì e te lo faccio, oppure se hai fretta vai dal Bennati, che lui per queste cose di motorini &egrave bravo, fa questo di mestiere. Non so per quale motivo, ma a quel punto mi scappa detto. Sono un’amica di Marina. &egrave evidente, questa mia affermazione non c’entra un cazzo e me la potevo risparmiare. Lui allora mi guarda, con un’aria prima incredula, e poi con un mezzo sorriso, ammiccante e malizioso. Dice, ah ho capito, un’amica di Marina. Allora vieni domani sera verso le sei. Assumo, allora, quell’aria sorpresa e un po’ incazzata che mi riesce benissimo quando voglio far capire che sono infastidita di qualcosa.
Non so fino a quale punto si possa essere così ambigui, e quanto mi convenga davvero esserlo.
D’altra parte sono venuta qui con l’idea di provocare quest’uomo, e perché ora mi scandalizzo? Cosa dovrei fare, l’infastidita perché questo qua ha capito il mio giochino? Gli dico va bene, grazie, se non ho problemi, di qui a domani sera, capiterò qui verso le sei, altrimenti farò diversamente. Fai come ti pare, mi dice con l’aria un po’ canzonatoria, se vieni domani, alle sei mi ci trovi. Ci tiene a mostrarmi l’espressione della sua faccia, quell’espressione che da ebete si &egrave trasformata in una faccia da presa per il culo. Ci tiene, almeno quanto io ci tengo a mostrare la mia aria un po’ ingrugnita. Sono veramente una stupida. Mi rimetto in sella, faccio ripartire il motorino e dò un colpo di gas. Lui ci tiene, prima di salutarmi e di rientrare, a dirmi, in un motorino così si va bene anche con il tacco un po’ più alto del tuo, mica solo con le scarpe basse o da ginnastica. Non so se ho capito bene, &egrave un invito a farmi rivedere, domani, con un tacco più alto. Stronzo.

Quando arrivo in cantiere, mi dirigo velocemente verso l’ufficio dell’ingegner Bianchi, e chiedo di lui, dell’ingegnere, non c’&egrave, mi dice la sua segretaria, una ragazza della mia età che conoscevo già e sta qui a fare pratica, una bella fica bionda va ammesso, mi sta un po’ sul cazzo, ed &egrave oggettivamente antipatica. Gli dico, devo consegnare questa busta di documenti all’ingegnere, &egrave importante che lui gli dia un’occhiata entro oggi. Sì sì va bene, mi dice, con aria supponente e un po’ infastidita. Quando esco, mi viene spontaneo dare un’occhiata veloce al cantiere, e non posso non osservare che tra gli operai, nessuno ha il casco di protezione, e tutte le cose che ho detto per la loro sicurezza, sono scritte come sulla carta igienica. Sarebbe mio dovere fermare questi stronzi uno ad uno e incazzarmi con loro, ma poi penso che &egrave tardi, e devo cercare di tornare al più presto in studio, e finire le tavole del progetto. E così, mi avvio lungo la strada di terra battuta che porta verso l’uscita del cantiere. Una voce mi chiama, ehi ingegnere.
&egrave Sergi, vestito come ieri, coi pantaloni di jeans sporchi di lavoro, a torso nudo, un pezzo di ragazzo che avresti voglia solo di dirgli non perdiamo tempo e scopami subito. Di diverso, rispetto a ieri, ha il casco di protezione sulla testa, che ad occhio e croce si sarà messo pochi secondi fa, unicamente perché mi ha visto in giro e ha pensato di farsi vedere da me. Gli dico, ciao Sergi, te l’ho detto anche ieri che non si sta così conciati sul luogo di lavoro, almeno una camicia, cavolo. Lui ribatte, ma ho il casco oggi. &egrave chiaro che lo dice per prendermi per il culo.
Con la faccia seria gli dico, lo sai Sergi che mi dovrei incazzare. Eh no, dice sono venuto qui apposta per salutarti, non arrabbiarti con me, sei così bella quando ridi. Nei suoi occhi c’&egrave tranquillità, voglia di giocare, un luccichio di vita, qualcosa di semplice, desiderio, ecco. Ingegnere, volevo chiederti, mi dice, se ti posso far vedere una cosa che secondo me non va tanto bene come l’hanno fatta. Gli faccio cenno di si, anche se &egrave tardi e dovrei rientrare allo studio. Mi accompagna a vedere, un’area dietro ad uno dei palazzi in costruzione, dove stanno facendo le fondazioni. Vedi, mi dice, qui i ferri non li hanno messi bene, vero ingegnere? Poi mi porta all’interno di una costruzione di cui hanno tirato su i primi piani, e mi mostra il basamento, mi fa vedere alcune magagne, insomma secondo lui non &egrave stato fatto tutto a regola d’arte. E poi, dice ancora, vieni qua, e mi conduce in un’altra stanza sempre all’interno del basamento, vedi qui, il cemento come l’hanno gettato. Non so cosa pensare, sicuramente mi sta prendendo per il culo, e io glielo lascio fare, e forse si rende conto proprio di questo, che glielo lascio fare. Ingegnere, mi dice, che pensi. Ma che parliamo a fare, &egrave l’unica cosa che riesco a dire. Mezzo secondo dopo, siamo avvinghiati l’uno all’altra, le nostre bocche sono unite e le nostre lingue si cercano con passione, le mie mani esili accarezzano il suo fusto la sua schiena possente, mentre le sue mani accarezzano ovunque, il mio corpo.

Mi alza da terra con facilità estrema, con la forza delle sue braccia, mi solleva prendendomi per le gambe mentre mi stringo forte a lui, il suo addome contro il mio, le nostre lingue si cercano. Ho voglia di lui, del suo sesso. La sua pelle sa di lavoro, di sudore , di polvere del cantiere, &egrave pieno di polvere, sulla pelle o in mezzo ai capelli, ma nulla di tutto quello che stiamo facendo, nei gesti appassionati, nei nostri desideri, nulla &egrave sporco, tutto &egrave naturale, desiderio puro. Sto appoggiata con la schiena su una colonna di cemento armato mentre avvinghiata a lui sento le sue mani che mi toccano il corpo, le gambe, il sedere, mi strapazzano il seno. Avverto il suo sesso, durissimo dentro i suoi pantaloni di lavoro sporchi e sdruciti. Non mi rendo conto chi sono, dove sono, voglio lui, lo voglio subito. Mi infila le mani, ruvide e sporche di lavoro, sotto i pantaloni, si insinua nel solco tra le natiche, e scivola giù, mi tocca il sesso, lo sente umido e disponibile.

D’improvviso si ferma. Non capisco. Aspetta un po’, mi dice, allentando la sua presa e lasciandomi scendere dal suo corpo muscoloso e tornito. Scendo giù, appoggio i piedi a terra, lui si mette un dito sul naso come a dire, fai silenzio. In effetti si sente chiamare il suo nome, Sergi!, da fuori e poi altre parole, penso sia rumeno, potrebbe essere il capo cantiere.
Sergi si stacca da me, mi lascia e si avvicina verso l’uscita, controlla che non ci sia nessuno dei paraggi che possa averci visto entrare lì dentro, e poi chiama a voce alta, e dice qualcosa in rumeno, ad alta voce, immagino che voglia dire, sono qua, arrivo subito.
Quindi si avvicina a me, e mi dice: qui non si può stare, bisogna vedersi fuori di qui. Mi dà un bacio, frettoloso ma intenso, con vigore. Contemporaneamente, e in modo francamente eccessivo, mi palpa con forza il sedere, con un gesto molto volgare, anche nella sua espressione, mutata e diventata arrogante. Ci rivediamo, stai tranquilla, dobbiamo finire il discorso. Mi sento un po’ umiliata, gli dico, e dove? E lui, dimmelo tu, tu hai casa no, vivi da sola? Gli dico, a casa non posso, vediamoci una sera, quando vuoi anche domani. Lui annuisce, dice ok, dammi il numero. Mi chiede se ho una penna, ne prendo una dallo zainetto, gliela porgo e lui si scrive il mio numero sul braccio. Mi sento stupida, mentre gli detto il mio numero, in fondo non lo conosco. Cerco ancora un contatto col suo corpo, con la sua pelle, mentre lui si avvia verso l’uscita, cerco la sua mano, gli accarezzo le braccia, vorrei un altro bacio da lui, lui insiste a palparmi, il culo e il seno, senza nemmeno guardarmi, girando lo sguardo intorno per essere sicuro che nessuno ci abbia visti, come se mi fosse indifferente. Dice solo, andiamo via, qui non si può fare.
Mentre esco, sul viottolo che conduce alla strada principale del cantiere, stando due passi dietro lui, lui grida qualcosa in rumeno, urlando verso un tetto. Poco dopo, in direzione opposta, vedo comparire Bianchi, l’ingegnere della ditta.
Mi guarda con un’espressione strana, come se sospettasse qualcosa nel vedermi vicina a Sergi, ciao Simona, mi dice, che ci fai qua. Gli dico che gli ho portato una busta, da parte di Cosimo, e l’ho data alla sua collaboratrice. Ah, ok , risponde, e ora stavi dando un’occhiata un giro? Gli dico che ero semplicemente curiosa di vedere come avevano fatto alcune fondazioni sull’altro lato. Certo, hai fatto bene , mi dice. Ho il forte sospetto che abbia capito tutto, mi sento avvampare in volto e, per come mi conosco, sarò tutta rossa in faccia .
Sergi nel frattempo si &egrave allontanato, con grande naturalezza, come se si fosse trovato lì per caso.
Bianchi gli dà un’occhiata, poi mi guarda negli occhi, mi dice, non voglio farmi gli affari tuoi, ma stai attenta a quello lì, &egrave una testa calda, fa un sacco di casini . Sì infatti , &egrave l’unica mia giustificazione, l’ho visto qui in giro e gli ho detto che non si sta in quel modo sul luogo di lavoro. Infatti, non va bene per niente, replica lui.

Rientro in ufficio, sono quasi le cinque, la Gianna non c’&egrave già più. Mi rimetto al lavoro, Gabriele, come sempre, di spalle, non alza neppure la testa. Pochi secondi dopo, Cosimo piomba in stanza, agitatissimo. Perché tutto questo tempo Simona? Che ti &egrave successo? Il motorino, rispondo, fa le bizze, &egrave un po’ ingolfato, ci ho messo un sacco a farlo partire. E perché non sei venuta in macchina? E poi stasera con cosa torni a casa? Hai consegnato la busta a Bianchi? Una serie di domande, senza manco darmi il tempo di fiatare. Rispondo un po’ infastidita, mascherando il fastidio che ho di me stessa, del mio comportamento del cazzo. Penso che se avessi scopato con Sergi, almeno avrei tardato di altri venti minuti. Gli dico che Bianchi l’ho visto venendo via, dopo che avevo consegnato la busta alla stagista che lavora con lui, e anche, riguardo a stasera, che penso che mi venga a prendere Matteo, anche sul tardi. In realtà non ho fissato nulla con Matteo, e sinceramente neppure ho voglia di vederlo. Sto solo impegnandomi a cercare di non sentirmi troppo una merda.

Sono le otto di sera, Gabriele e Antonio se ne sono andati, hanno completato i loro rendering del cazzo, venuti comunque benissimo, e quindi loro stanno a posto. Io sono riuscita a finire il prospetto e sto lavorando sulla pianta del complessivo con le sistemazioni a verde. Cosimo si affaccia, mi chiede, a che punto stai?
Gli dico, Cosimo stai tranquillo, ce la faccio a finire tutto, a costo di dover passare la notte qui. In effetti questo &egrave esattamente il mio piano, restare qui, ammazzarmi di lavoro, evitare di pensare a qualunque cosa, a Matteo, alla sua famiglia, ai cazzi delle chat, alla voglia di sesso che ho, a Sergi, al mio futuro che in questo momento mi sembra inutile e vuoto, un futuro del cazzo. L’unico futuro di cui mi devo interessare, &egrave la conclusione di questo cazzo di progetto preliminare, e poi forse posso sentirmi libera. Forse, almeno per un poco.
Cosimo mi guarda, perplesso e preoccupato, ha un’ansia addosso che la metà basta. Vuoi che vada a prenderti un panino, mi dice. No grazie vado da sola, così prendo anche un caff&egrave e mi sgranchisco un po’. Ma quanti cazzo di caff&egrave ho già preso da stamani, mi chiedo.

Mezzanotte. Mi sembra impossibile, ma la mia bellissima pianta di insieme con le sistemazioni a verde, &egrave praticamente pronta, devo solo aggiungere gli ultimi dettagli. C’&egrave il parco per i bambini, e una ciclabile lungo il fiume. Cosimo &egrave sempre stato di là, in stanza sua, ogni tanto si affaccia e mi chiede quanto c’hai? Mi chiedo cosa ci faccia ancora qui. Gli dico, Cosimo, ma non vai a casa? Mi dice, no, anch’io sono indietro con le mie cose, solo che volevo essere sicuro che almeno le tue parti fossero completate. Gli dico, veramente io ho finito tutto il lavoro col CAD, salvo i file e te li invio. Mi chiede, e la relazione sul rischio idraulico? Quella non mi dà pensiero, &egrave una cosa abbastanza standard e i conti li ho già fatti tutti. Non ho mangiato ancora niente. Quindi salvo i miei file, come gli ho detto, e glieli invio. Mangio i miei tramezzini. Rispondo all’ennesimo messaggio di Matteo che mi chiede se e quando possiamo sentirci. Vado alla macchinetta del caff&egrave che abbiamo in ufficio per prepararmene un altro, e mi rimetto al computer, apro il file con la relazione, e inizio a lavorarci.

Sono le due di notte, Cosimo &egrave seduto qui, vicino a me, e controlla parola per parola il documento che nel frattempo sto finendo di fare. La relazione sul rischio idraulico &egrave la cosa che mi piace di più, mi fa morire dal ridere l’idea che se esonda il torrente che passa accanto al centro commerciale, in seguito ad un acquazzone terribile, quasi tutte le macchine parcheggiate nel piazzale finiscono sott’acqua! Per evitare questo, dovremmo perlomeno cambiare la sezione di un ponte, oppure prevedere uno sfioratore e una piccola cassa di espansione lungo il torrente. I tecnici della ditta erano stati chiari, se necessario, possiamo accollarci anche una parte dei lavori di mitigazione del rischio. Ma a lui non piace questa possibilità, dice che il progetto così &egrave debole verso il comune, e mi chiede di verificare se, usando altri criteri, &egrave possibile immaginare che in realtà almeno il parcheggio non finisca sott’acqua. In breve, mi chiede di taroccare i conti. Scoppio a ridere, mi &egrave presa così. Mi fa veramente ridere l’idea, di questo cazzo di paese in cui la gente, per non passare guai personali, non vede altra possibilità che quella di taroccare, inventandosi criteri tutti suoi, purché i conti tornino, anche se solo formalmente.
Gli dico, come vuoi Cosimo, solo che se rifacciamo questi conti, usando altre formule, poi dobbiamo poi rifare anche tutte le tavole del rischio di allagamento. Mi dice, non preoccuparti, ti aiuto io. E quindi si &egrave messo qui, accanto a me, già da un’ora, e va avanti così, Ogni volta che gli sembra che io possa aver fatto uno sbaglio mi dice: guarda qui, ma sei sicura, stai attenta. Nella relazione, mi corregge anche le virgole, proprio lui che quando scrive in italiano fa veramente pena.
&egrave tutta la sera che penso a Sergi, alle sue braccia, a quel momento di passione non goduta, vissuto oggi pomeriggio. Sento ancora in bocca il suo sapore, le sue labbra, la sua lingua. Sono sicura che lo rivedrò, spero che accada domani, spero che lui mi chiami al numero che gli ho dato, oppure con qualche scusa tornerò al cantiere, troverò il modo di invitarlo, non so dove, andrò con lui in qualche posto, dentro una baracca, o in macchina, in un parcheggio di sera, ho voglia di lui, della sua bocca, del suo corpo, del suo sesso, voglio che mi porti in qualunque anfratto, e che mi costringa a fare quello che lui vuole. Nel frattempo, Matteo mi ha chiamato, e mi ha lasciato dei messaggi, oggi mi sembra più tranquillo, il suo papà gli avrà senz’altro detto del colloquio tranquillizzante di stamani, e quindi lui penserà che non ci sono più motivi di tensione fra noi, oppure che posso riappacificarmi con la sua mamma.
Cosimo, accanto a me, mi impedisce di pensare a qualunque cosa diversa dal lavoro, mi fa un po’ rabbia e mi chiedo come mai non vada a casa, perché non torni dalla moglie o da sua figlia.
In realtà Cosimo mi cerca tantissimo, mi sta quasi appiccicato addosso, scherza perfino, guarda qui, mi dice, oltre al fiume facciamo spagliare anche la fogna così finiscono tutti nella merda! Si mette a ridere, e la situazione &egrave talmente balzana che scoppia da ridere anche a me. Mi sembra che siamo entrati abbastanza in sintonia, ed &egrave un po’ per confidenza, un po’ per fastidio, che gli dico, coraggio Cosimo, domani &egrave venerdì, consegniamo questo lavoro, e da domani pomeriggio puoi andare a divertirti. Non ride, non so se &egrave la mia battuta che non gli ha fatto ridere, o perché si &egrave immaginato la giornata di domani. Il venerdì pomeriggio, &egrave proprio il giorno in cui Cosimo va puttane. In che senso dovrei andare a divertirmi, mi chiede.
Ma dai, gli dico, &egrave venerdì, domani sera puoi tranquillamente far tardi con tua moglie. Ah sì sì, dice, apparentemente tranquillizzato, in realtà molto interdetto. A quel punto si sente autorizzato a chiedermi, anche tu il venerdì sera ti diverti, immagino, &egrave una seratina adatta, no? Se &egrave per quello tutte le sere sono adatte, gli dico ridendo. &egrave evidentemente infastidito, nervoso, e sta tremando tutto addosso.
Guarda Cosimo, gli dico, tanto per cambiare discorso, gli mostro i dati delle ultime simulazioni, fatte con due metodi leggermente diversi, ambedue danno livelli di rischio di inondazione più bassi, e le aree alluvionate si riducono notevolmente. Finalmente lo vedo soddisfatto, dice: bene, bene, Ricontrolla i conti rifatti con i nuovi coefficienti, io esporto le superfici alluvionate, e gliele allego in un file in modo che lui possa poi montarle nella tavola, questo &egrave compito suo. Osservo le sue braccia, scarne e magre, la sua pelle bianchissima e un po’ sudaticcia, le sue mani nervose con le dita lunghe e affusolate, non so per quale cazzo di motivo, ho in mano una penna blu a sfera, e inizio a scrivergli su una mano, una scritta del cazzo, ‘Eureka’. Mi guarda emozionato, nemmeno gli avessi scritto, scopami subito. Sei contento ora, gli dico, che non li facciamo più annegare nella merda? E lui, dice, sono felice sì, e accompagna il suo sì avvicinando la sua bocca al mio collo, e inizia a baciarmi sul collo, scendendo, una, due, tre, quattro volte, ogni bacio una parola sospirata. Sono. Davvero. Molto. Contento.
Che stronzo, ci sta provando.
Non so per quale cazzo di motivo, ma scoppio a ridere, una risata liberatoria, che non riesco a trattenere.
Guardo Cosimo con aria stranita. Oh questa? gli dico. Scusa Simona, ti prego di scusarmi, mi &egrave presa così, lo dice mentre gli tremano gli occhi e le mani. Poi, con un gesto goffo e insolito, si allunga in avanti, con la testa, e prova a baciarmi. Mi ritraggo indietro, ma poco, pochissimo, spaventata più dalla repentinità del suo gesto che dalle sue vere intenzioni. Lo fisso con gli occhi spalancati,
Ehi che ti prende, gli dico. Ma &egrave una domanda stupida, lo so benissimo che gli prende!
Lui si mette lì, con la faccia un po’ impermalita, e inizia a dire, stupido, che stupido che sono, sono uno stupido, scusami scusami, ti prego.
Provo una gran pena per lui. D’altra parte, lui non mi piace, non mi attrae fisicamente, che posso farci, non mi piace il suo corpo tremante, i suoi peli che spuntano dalla camicia, non mi piace la situazione. Se in una parte di me c’&egrave tenerezza verso quest’uomo che si sta prostrando in un atteggiamento così penoso, un’altra parte di me &egrave invece curiosa di sapere fin dove lui potrebbe arrivare. E c’&egrave in me addirittura una parte vendicativa, che lo vorrebbe umiliare per le tante volte in cui mi sono sentita trattata male o presa in giro da lui, o quando mi sono sentita giudicare come una raccomandata di fronte agli altri colleghi.
Quest’ultimo, &egrave il sentimento che domina i miei pensieri, almeno momentaneamente, ed &egrave questo che, a un certo punto, mi fa essere volgare e dirgli, ehi, ma che mi vuoi scopare?
Lui ha un momento di esitazione, pochi secondi, se mi dicesse di sì, metterei da parte tutto e lo lascerei fare, giuro. Non avrei alternative.
Allora lui, come se si volesse impegnare a dare un’immagine diversa di se stesso, dice no no, mi spiace che tu abbia capito così. In realtà non &egrave così. &egrave tutto mortificato, Simona, mi dice, scusami, capisci, l’ora, la stanchezza, mi &egrave venuto così, non penserai che io…
Se solo si mostrasse un po’ più sicuro di sé e non facesse tutte queste lagne, gliela darei subito.
Infierisco, e gli dico, scusa Cosimo, ma tua moglie cosa pensa del fatto che alle quattro del mattino sei ancora in ufficio, e figurati se sapesse che sei in compagnia di un’altra donna!
Dice, non lo so cosa pensa, c’&egrave abbastanza abituata, non &egrave la prima volta che faccio così tardi quando ho delle consegne importanti da fare. Grazie per essere stata qui, dice, l’ho molto apprezzato. Gli tremano gli occhi.
Quindi non pensi più che sono una raccomandata? Ma non l’ho mai pensato, ribatte. Lo dice in maniera così perentoria che pare davvero convinto, per quanto io pensi il contrario. Quello che non sopporto, dice, &egrave un’altra cosa, ma pare che tu non te ne renda conto.
Voglio capire dove vuole arrivare, e lo lascio parlare.
E così mi dice: penso che devi aprire gli occhi, Simona, renderti conto che le persone ti usano per i loro scopi, ma non io, capisci. Credo di aver capito a cosa si riferisce, ma faccio finta di nulla. Gli dico, perché, tu non ti senti un po’ sfruttato? Un po’, sì, risponde. Ma almeno io i sentimenti, in questa storia del lavoro, cerco di non farceli entrare.
Credo che sia poco lucido, poco fa ha provato a scoparmi, allora glielo dico. E tu, cosa stai facendo con me? Lo vedi che non capisci un cazzo mi dice, scusa il francesismo, vuoi sapere se mi piaci? Ok, mi piaci, anche se sono sposato e tra noi non può esserci storia, e sono anche geloso fradicio del tuo fidanzatino. La differenza &egrave che io non ti sfrutto per i miei motivi personali, mentre lui e la sua famiglia ti usano per dare a lui le motivazioni per restare o per andarsene, ma a loro non gli importa nulla di te!
Cosimo ha ragione. Lo so, &egrave proprio così, gli dico. Ah, lo sai, e ti va bene?
Penso che non lo so nemmeno io cosa voglio, avrei voglia sì, di fare l’amore con qualcuno solo per sentirmi posseduta da un uomo vero, vorrei che Sergi fosse qui, al posto di questo imbranato coglione, rotolarmi con lui per terra. Ma ora c’&egrave Cosimo, qui davanti a me, tutto tremante e con il suo approccio goffo e ridicolo.
Con tua moglie non va bene? gli chiedo. Non c’entra nulla, mi dice, e comunque, se ci tieni a saperlo, la vita coniugale funziona così, all’inizio tutto va bene, poi con gli anni ci si distacca e il rapporto si trasforma. Vuoi dire che scopate poco, gli dico. Si mette zitto, fa solo un gesto rassegnato con le spalle.
&egrave l’unica volta che avrei voglia di baciarlo. Lo farei solo perché mi fa pena. Ma non voglio essere fraintesa, lo bacio teneramente sulla guancia, e gli do una carezza sulla testa, come si dà ad un bambino. &egrave tutto rigido, mi trattiene per le braccia, come se volesse evitare questa consolazione poco attenta al suo orgoglio maschile, allora gli dico, dai, facciamo una pausa e prendiamoci un caff&egrave. Mi dice, no, grazie, ne ho già presi troppi. &egrave evidente, dalla forma del cavallo dei pantaloni, che ha un’erezione e avrebbe un terribile bisogno di svuotarsi, ma ora si sente toccato nel suo orgoglio maschile.
Allora mi alzo, e vado in bagno, lasciandolo lì. Mi sciacquo la faccia e il collo con l’acqua fredda, per riprendermi dalla situazione, e soprattutto per svegliarmi, inizio ad avere qualche colpo di sonno, e ho almeno bisogno di rileggere la relazione tecnica almeno una volta.
Rientro nella mia stanza, Cosimo &egrave lì che mi aspetta, non so se si aspetta ancora qualcosa da me, se ha intenzione di riprovarci. Ma io mi rimetto seduta, senza parlare, senza nemmeno guardarlo, riapro il mio documento, e lo rileggo tutto, apportando le correzioni del caso, ancora un’oretta di lavoro, un’ora e mezzo al massimo, e ho finito. Poi mando tutto in stampa. Venerdì, sono le 6:45. Ho passato tutta la notte al lavoro, e anche Cosimo &egrave rimasto qui, penso che l’abbia fatto per non lasciarmi sola.
Ho già plottato tutte le mie tavole, le altre, aspetto che siano Antonio e Gabriele a farle, appena arriveranno, stamani. A questo punto, potrei anche andarmene a casa, ma anche stamani, verso le otto, ci sarà un briefing per fare il punto finale, e molto probabilmente ci sarà anche il professore. Vado in stanza da Cosimo, scendo a far colazione, gli dico, e poi vado un’oretta in palestra, qua sotto, che la mattina apre alle sette. Non ci vado mai così presto, ma più che di allenarmi ho bisogno di una doccia. Chiedo a Cosimo, vuoi che ti porti qualcosa dal bar, lui mi dice di no, lo dice con un’aria un po’ affranta. Penso che gli dispiaccia di essersi comportato così con me, di avermi esternato il suo desiderio. Cosimo &egrave una di quelle persone che pretende di avere il controllo totale di sé e delle sue azioni, e quindi probabilmente non si perdona di avere sgarrato.
La cosa buona, &egrave che mi guarda con due occhi diversi, ha un’aria smarrita, come se temesse che io possa fare o dire qualcosa contro di lui. Non lo farei mai, sono io stessa vittima di desideri che non co controllare.
Al bar di sotto c’&egrave Massimo dietro il banco, mi saluta con allegria, ma buongiorno Simona, siamo mattinieri stamani, eh insomma, gli dico, non ho dormito tutta la notte. Accidenti, mi fa, beato lui! Beato lui’. chi? gli chiedo. Ah, questo non lo so, il tuo fidanzato immagino. No no, gli dico sorridendo, magari, in realtà sono stata qui in studio, al lavoro tutta la notte, dovevo finire un progetto che va consegnato entro oggi.
Ah cavolo, mi dice sbalordito, ma tutta la notte qui da sola? Se lo sapevo venivo a farti compagnia! No, non ero da sola… c’era anche Cosimo. Cosimo? ah, e quindi te e lui… e accompagna il ‘lui’ a un gesto inequivocabile della mano e del gomito, quello che vuol dire chiaramente, avete chiavato?
Rido. No no, tranquillo, solo lavorato, che me lo fai un cappuccino?
Certo, mi dice, se vuoi ti porto anche un cornettino con la marmellata di more, che &egrave la fine del mondo. Poi, mi dice, mettiti pure a sedere, che la colazione te la porto io. E fa esattamente così, io mi metto a sedere ad un tavolino, lui mi porta il cappuccino, un bicchiere d’acqua, e una pasta, che mi presenta dicendo, guarda qua, il cornettino, come lo farei volentieri, al tuo fidanzato, un bel cornettino, e scoppia a ridere, e io con lui. Sarà ruspante e diretto, e anche un po’ fuori luogo, ma almeno &egrave simpatico.

Risalgo in ufficio che sono le otto passate, fresca della doccia che ho fatto in palestra, appena entro in studio mi imbatto in Scarpi, il quale &egrave veramente contento di vedermi, mi dice, Simona complimenti, ho guardato le tue tavole, sono stupende, non avevo nessun dubbio su di te, so quanto sei brava, ma devo dire che mi sembra un miracolo che tu abbia concluso tutto questo lavoro, ieri mattina mancava ancora tanta roba, e pensavo che ci volessero non meno di quattro o cinque giorni per concludere. Avrei voglia di dirgli, per forza, sono stata seduta per quasi ventiquattro ore consecutive, ma preferisco non farlo, arriva anche Cosimo, e anche lui mi fa dei grandi complimenti, la Gianna, che &egrave arrivata pochi minuti dopo di me, resta invece basita, come se non si aspettasse tutti quei complimenti rivolti proprio a me. Mi guarda con un sorriso tirato e la faccia invidiosa. Chiaramente gli gira che Scarpi e Cosimo non la considerino molto, si &egrave vestita con un tacco alto e una minigonna vertiginosa, una maglia scollata che mette in evidenza le sue tette fantastiche, e francamente se lo può permettere, con quel corpo. Peccato che sia stupida. Arrivano anche Antonio, e poi Gabriele. Si comincia.

Finito il briefing, Cosimo si avvicina e mi dice, Simona, ora vai a casa dai, hai bisogno di riposarti, le stampe che restano le faccio finire ad Antonio ok Cosimo, gli dico, vado, ma vorrei tornare nel pomeriggio, voglio mandare avanti anche altre cose, l’altro progetto. Lo sai che mi fa piacere vederti, mi dice. Allude evidentemente alla nostra nuova amicizia. O a quello che lui spera o si aspetta venga fuori dalla nostra amicizia. Quanto la cosa lo coinvolga lo capisco dal tremore delle braccia e degli occhi, che non nasconde il suo imbarazzo, ma anche la sua paura che io lo possa mettere in difficoltà, come pure l’eccitazione e la voglia che ha di me. Così lo saluto, saluto tutti, prendo il mio motorino, vado a casa.

Sono le dieci del mattino, sono tornata a casa, più che altro per cambiarmi. In casa non c’&egrave nessuno, Myriam e Saverio, che ormai vive qua fisso, escono sempre prima delle otto per andare ai rispettivi lavori.
Mi spoglio, in slip e reggiseno, e mi butto sopra il letto, pensando di riuscire a riposarmi e dormire per almeno due o tre ore. Sono stanchissima, eppure non riesco a dormire, ho un ronzio dentro le orecchie, come se indossassi una cuffia in cui si sentisse solo del rumore bianco, una cascata di rumori e di pensieri. Resto così, per un po’ di tempo, forse mezz’ora e forse riesco pure ad addormentarmi per qualche minuto. Poi però, suona il cellulare, che purtroppo non avevo silenziato.
&egrave Matteo. Pronto amore, tutto bene, mi chiede. Papà mi ha detto che sei riuscita a fare un bel lavoro e a consegnare il progetto. Sono infastidita da questa chiamata, in fondo non ci sentiamo da due giorni, e abbiamo solo parlato per interposta persona. Si Matteo, tutto bene, gli rispondo, ma capisci, sono stanchissima, ho lavorato tutta la notte, mi ero appena addormentata, e non avevo messo il silenziatore, immagino che tu ti sia svegliato ora. Lui fa tutto l’agnellino, mi dice che no, che si &egrave svegliato presto stamani, perché doveva scrivere delle email, &egrave che ci sono delle novità riguardo alla possibile dottorato in Inghilterra, e che oggi dobbiamo vederci, perché assolutamente me ne vuole parlare. A dire il vero, non so neppure i miei programmi di oggi, penso che rientrerò in studio nel primo pomeriggio, poi non lo so. Lui mi dice, perché non ci vediamo stasera per un aperitivo, va bene, gli rispondo. Ma poi andiamo a cena fuori, non ho voglia di stare in casa, gli dico. Allora mi saluta, ti lascio dormire, ciao amore, mi dice.
Chiudo la telefonata, e mi accorgo solo ora che ho ricevuto, già da diverso tempo, un sms da un numero che non conosco, c’&egrave scritto testualmente, in italiano stentato: oggi al pranzo, vado casa da amico, sono solo, lassame sapere se viene, te aspetta Sergi.
Mi gira la testa, dallo spavento, dall’eccitazione, mi sento come una ragazzina al primo appuntamento in cui sa che il suo ragazzo le proporrà di far sesso la prima volta. Rispondo al messaggio, scrivendo solo: a che ora? dove? dammi l’indirizzo.
Lui però non mi risponde subito, per quanto io controlli il cellulare ogni momento, ovviamente starà lavorando. Lo immagino sopra un tetto, a torso nudo, senza scarpe da lavoro adatte e senza imbragatura.
Mi sento eccitata come non mai, per ingannare il tempo senza occupare la mente, accendo il mio pc portatile, e dò un’occhiata ai siti delle chat in cui sono iscritta, al mio profilo email anonimo, in cui ricevo la corrispondenza, insomma, controllo lo stato della mia vita segreta.
Nei servizi di messaggeria delle chat, c’&egrave il solito panorama umano di gente disperata e ossessionata dal sesso. Li leggo sempre con curiosità, con quel senso di distacco che sempre si genera quando si fanno le cose con reiterata abitudine, le solite informazioni, quanti anni hai, dove abiti, come sei, altezza, peso, taglia del seno, hai un bel culo, cosa ti piace fare a letto, i pompini li fai, ti piace fartela leccare, lo prendi dietro.
Quasi tutti allegano foto, i più eleganti foto in vestiti seri, anche in doppio petto, oppure foto in costume da bagno prese al mare, oppure foto del loro uccello in erezione, e in queste, non c’&egrave mai contemporaneamente il viso, Immagino che sia un po’ per privacy, un po’ perché le foto dei cazzo le hanno tirate giù da internet, visto che sono tutti membri di dimensione esagerata, quando nella realtà &egrave difficile trovarne in così gran numero. Non rispondo a nessuno. Tra i messaggi ce n’&egrave anche uno di Mirko, il ragazzo che ho conosciuto lo scorso sabato notte, subito dopo che Matteo se ne era andato da casa mia, nella mia folle ricerca notturna. Mi ha mandato un paio di email, tutte incazzate perché non l’ho chiamato, dopo che lui mi aveva dato il suo numero di telefono.
C’&egrave anche una email di Paolo, l’uomo che ho visto lunedì sera a cena e poi in camera d’albergo. Mi ha mandato una email per dirmi che la settimana prossima starà in città tre giorni, e che se mi va potremmo vederci anche tutte le sere, ovviamente mi ricompenserebbe per il disturbo. Poi scrive se mi &egrave piaciuto il suo regalino. Gli rispondo, per cortesia, non accennando nulla riguardo alla mia disponibilità. Gli scrivo solo, grazie della busta, ci ho pagato le bollette. Fa molto studentessa bisognosa. D’altra parte &egrave la verità, che ci ho pagato le bollette. Rido, ma stupidamente, tutti i miei pensieri sono rivolti al mio incontro di oggi. Sergi, nel frattempo, non ha ancora risposto al mio messaggio.
La risposta di Sergi arriva verso mezzogiorno, c’&egrave un indirizzo, &egrave quello di un giardino pubblico, non molto lontano dal cantiere edile in cui abbiamo la direzione dei lavori, vicino a delle palazzine popolari in cui sono stati sistemati gli operai della ditta.
C’&egrave scritto, letteralmente, ci vediamo a la ora 1, cerca di nu tardaie.
Guardo l’orologio, ho meno di un’ora per prepararmi ed essere lì, meno male che ho fatto la doccia stamani, in palestra, mi metto il mio perizomino più sexy, di morbida seta bianca ricamata, che mi evidenzia il culo in modo stupendo, il profumo che preferisco, aromi di cedro e di oriente, non indosso reggiseno, ma mi infilo direttamente sopra il mio abitino preferito per il sesso, di bianca stoffa leggera morbida, aderente, con dei motivi esili di oro e di nero. Sandali bianchi, che fasciano leggermente il piede, con il tacco alto, che fanno molto zoccola.
Trucco leggero, mascara, matita, lucidalabbra mi prendo anche un ricambio, nel caso in cui stasera mi fermassi a dormire da qualche altra parte, o avessi freddo. Il giubbottino di jeans. Prendo un completo intimo di ricambio, e anche un vestitino più sobrio per stasera. Infilo tutto nello zainetto e vado, sono un po’ emozionata e mi tremano le gambe un misto di eccitazione e di paura, mi infilo in macchina, perché non so poi cosa farò stasera, anche se l’ultimo dei miei problemi in questo momento &egrave Matteo e l’idea di dover passare una serata con lui. Ogni mio pensiero &egrave occupato da Sergi. Ho voglia di lui, voglia e paura insieme, e non potrei mai rinunciare ad incontrarlo.

Sono arrivata in zona, vicino al punto dell’appuntamento, sono un po’ in ritardo, cinque minuti, non di più, ma devo parcheggiare la macchina, e trovare un posteggio in zona &egrave un casino, Mi infilo dentro il parcheggio di un supermercato, prendo il bigliettino, che mi dà diritto a non pagare se faccio la spesa entro due ore. Esco in strada, e per quanto i sandali con il tacco alto non siano comodissimi, corro come una pazza, non voglio arrivare tardi. Quando arrivo nel punto indicato, laddove c’&egrave una piazza con all’interno un giardinetto e delle panchine, non vedo nessuno.
Penso che lui non ci sia più, che magari si sarà scocciato per il mio ritardo, giro lo sguardo, e finalmente lo vedo, &egrave dall’altra parte della piazza, rispetto alla direzione in cui sono venuta e si sta sbracciando per farsi vedere, come a dire, vieni da questa parte. Indossa dei jeans strappati, che immagino sia quelli che si mette subito dopo il lavoro, e sopra un giubbottino di jeans a gilet, che gli lascia scoperte le braccia muscolose.
Mi avvicino a lui, con un sorriso un po’ tirato, lui mi guarda con un mezzo sorriso, un po’ da carogna, un’espressione che non gli avevo ancora mai visto, ma che avevo solo intuito, alla fine dell’incontro rapido avuto ieri con lui dentro quel palazzo in costruzione. Non mi bacia neppure, ma fa un gesto eloquente come per dire seguimi. Cammina, qualche passo davanti a me, come se avesse paura che qualcuno ci possa vedere.

E così entra, dentro un portone di una vecchia palazzina dall’intonaco scorticato, lascia il portone leggermente accostato, e mi fa entrare, limitandosi a dirmi sottovoce, dobbiamo fare silenzio, non conosco bene questa casa e potrebbero esserci anche altri. L’ingresso dell’edificio &egrave buio, con solo una luce bassa e triste, c’&egrave un odore forte di muffa e di chiuso e anche la scala, rivestita di una vecchia graniglia, &egrave poco illuminata. Lo seguo, stando sempre un passo dietro a lui, sul primo pianerottolo lui si volta, e mi sussurra all’orecchio, se qualcuno ti chiede chi sei, digli che sei una del condominio per fare un’ispezione. Non capisco perché fa tutto questo, ma questa cosa mi inquieta, vorrei andare via. L’unica cosa che mi consola e mi attira &egrave la visione del suo bel corpo vicino, che si muove armonioso e sicuro, e che io ardentemente desidero. Sale ancora una rampa, sul secondo pianerottolo si avvicina ad una porta, la apre, mi dice, devi fare silenzio perché io non conosco questa casa, so che ci sono dei compagni che potrebbero dormire. Ma come, gli dico, non siamo soli in casa. Non lo so, ma non ti preoccupare, dobbiamo fare piano. Vorrei andare via, ma non so come scappare. Lui entra dentro porta di ingresso, capisce che sto esitando, allora mi fa un gesto spazientito, come a dire, entra sbrigati, lo seguo, ci incamminiamo lungo un corridoio buio, con un odore terribile di chiuso, Sergi apre la seconda porta che si trova a sinistra, si affaccia, e con un altro gesto eloquente mi dice di entrare lì. Ho veramente paura, il cuore mi batte a mille. Appena sono dentro, chiude la porta a chiave. &egrave una stanza buia, con una finestra da cui passa poca luce attraverso una corte interna, un odore terribile di chiuso e di presenza umana, sembra che manchi l’aria. C’&egrave solo un piccolo armadio scassato, un tavolino pieno di disordine e di panni alla rinfusa, e un letto singolo, disfatto. Sergi, gli dico, questo non mi piace.
Mi dice, cosa non ti piace, cosa, vedrai che &egrave bello si toglie le scarpe, i calzini, il gilet di blue jeans, si sfila la cintura, e si toglie i pantaloni, restando in mutande mi dice, che fai non te spogli. Il suo corpo &egrave la statua di un dio greco, ma la mia paura &egrave ora maggiore del mio desiderio, lui si toglie anche le mutande, ha il cazzo in posizione già quasi completamente eretta.
Vuoi che ti spoglio io, non ci s’ha tanto tempo, dice. Gli dico, Sergi, io così mi sento a disagio, lui si avvicina, e stavolta senza parlare mi mette la lingua in bocca. Bacia benissimo, non capisco più un cazzo, non so più dove sono, il cuore batte all’impazzata, sono aggrappata a lui, nella stessa posizione di ieri, con le gambe accavallate e strette all’altezza del suo bacino, aggrappata al suo corpo, le braccia strette intorno a lui, la sua bocca che fruga dentro la mia bocca, le nostre lingue che si muovono insieme.
Di diverso, rispetto a ieri, c’&egrave che lui &egrave completamente nudo. Restiamo così, bocca a bocca per un po’, ho bisogno di questo, e anche lui sembra rendersi conto che deve aspettare un po’ prima di avermi, il suo bacio mi tranquillizza

Mi appoggia con la schiena alla parete, il suo bacio &egrave profondo, e intenso, come se volesse risucchiare tutto di me. Pian piano, io allento la presa delle mie gambe sul suo bacino, e così, mentre anche lui allenta la forza delle braccia con cui mi tiene sollevata, torno ad appoggiare i piedi a terra. Appena sono giù, con gesti decisi, infila la mano sotto il vestitino, come ieri, va a cercare il solco delle natiche, dove trova solo il filo del perizoma, la sua mano &egrave ruvida, forte, la mano di uno che lavora, si infila più giù, arriva a toccare la pelle nei punti più sensibili, sente la mia fica bagnata. Quindi mi bacia ancora, con intensità ancora più forte, come a voler possedere la mia bocca attraverso la sua lingua vigorosa. Si stacca solo un momento, le sue mani sono infilate tra il mio vestitino e le mie gambe nude, tira su il vestito da sotto, ha capito che può spogliarmi in un solo gesto, e lo fa, in pochi attimi. Quindi si infila ancora dentro la mia bocca, le sue mani ora si accaniscono sul mio seno, lo strapazza, stringendolo forte con le mani, mi fa male, ma sono sua, non posso oppormi. Mi solleva ancora, prendendomi sotto le gambe, da una parte e dall’altra, mi mette a sedere sopra il tavolo della stanza, coperto di un ammasso disordinato, indumenti sporchi, non so cosa, mi sfila le mutandine in pochi secondi e mi ci appoggia sopra con il sedere, non so su cosa sono seduta, su panni e indumenti sporchi immagino, lui ha buttato le mie mutandine per terra, con la bocca si fionda contro il mio sesso, lecca e succhia avidamente tutto, con la lingua esplora la mia intimità, con lo stesso senso del possesso con cui mi baciava la bocca. Inarco la schiena solo poco, per appoggiarmi con le braccia all’indietro, la mia intimità &egrave aperta, &egrave tutta per lui. Cerco di evitare solo di appoggiarmi con la schiena sopra il tavolo, la sua bocca mi fa ardere dentro, un senso di calore mi invade, mi prende dal sesso alla testa. Ma non &egrave il mio piacere che lui sta cercando, mi sta rendendo disponibile a lui. Si alza, e mi fa alzare, velocemente, sempre prendendomi sotto le gambe e sollevandomi tutta, Io sto accovacciata, preme il suo cazzo contro la mia vagina ormai tutta bagnata, mi penetra, &egrave dentro. Dentro. Mi appoggia ancora contro la parete, di schiena, vuole scoparmi così, stando in piedi. Sono impressionata dalla forza delle sue braccia, penetra in profondità, spingendo e affondando forte dentro di me. In un altro contesto, urlerei, di piacere e di dolore. Ma ho ancora paura di questa situazione, lui sta in silenzio, tutto il tempo, e sento solo il suo respiro, meno affannoso del mio, concentrato solo nel sesso, comincia ad affondare i suoi colpi con un crescendo progressivo, con una rapidità &egrave una forza sempre più grandi. Mi sta sbattendo contro la parete.
Lo fa senza più preoccuparsi di baciarmi o di darmi un qualche segnale di tenerezza, &egrave concentrato solo su quel movimento, il possesso totale che ha del mio sesso, e quindi di tutta me. Quindi, quando capisce che sono stanca di questa posizione, e anche lui lo &egrave, mi appoggia sopra il letto e mi fa distendere con la schiena, sempre con il suo membro dentro di me, e così, mi scopa, davanti, affondando deciso, e poi aumentando la frequenza dei suoi colpi. &egrave appoggiato con i palmi delle mani e le braccia tese sopra il letto, da un lato e dall’altro del mio corpo, vedo il suo bellissimo corpo dominare interamente il mio, le mie caviglie sfiorano le sue natiche, che si contraggono con frequenza sempre più rapida, alterna il ritmo forte della sua scopata ad altri momenti in cui affonda più forte il suo membro dentro di me e rallenta, per premere più a fondo. In uno di questi momenti, in cui non capisco più nulla, ho un orgasmo. Con tutto il busto, si alza, si stacca da me, mi fa girare di fianco, si mette dietro, facendomi sollevare una gamba, in modo da potermi penetrare di fianco, standomi dietro. Quindi piega tutta la mia gamba destra, facendo perno sul mio ginocchio, stringendola forte, e appoggiandola lungo il mio corpo. Il mio sesso &egrave tutto aperto ed esposto in modo osceno. Si infila.
Ogni suo movimento &egrave istintivo, per quanto sembri rispettare una sequenza di movimenti e di posizioni che lui conosce già perfettamente, e in cui si muove da padrone. Tenendomi in questa posizione, con la gamba piegata al ginocchio e sollevata, gli permette di attaccarsi a me con tutto il corpo, e così può farmi sentire il suo fiato sul collo e il suo respiro nelle orecchie. Mi lecca i lobi delle orecchie, quando riesco guardarlo nel volto, ora che mi &egrave vicino, nella sua espressione non c’&egrave più nulla del ragazzo timido e dolce che avevo conosciuto in cantiere, ora vi dominano espressioni di arroganza, senso del dominio, sfrontatezza. La nuova posizione gli permette di avere un movimento del bacino più sinuoso, e meno prepotentemente martellante. Se non fosse che continuo a sentirmi a disagio, per questa stanza semibuia, il puzzo di chiuso, le lenzuola sudate che non vengono cambiate da chissà quanti giorni, direi che questa &egrave la parte migliore della scopata. Anche lui sta sudando. A un certo punto, avvicina alla mia bocca la mano che tiene appoggiata sulla gamba piegata, non capisco cosa voglia fare, mi infila in bocca le sue dita, l’indice , l’anulare, il medio. Vuole che gliele lecchi. Lo faccio senza capire. Lecca bene, mi dice. Quindi con le dita bagnate, mi massaggia il buco del culo, mi appoggia due dita dietro e con esse preme, mi bisbiglia all’orecchio, Simona, te voglio inculare. Mi fa paura il suo modo violento di scopare, gli dico di no. Non voglio, non ora, non così. Allora lui dice va bene, questo si fa la prossima volta. Si stacca, mantenendomi la gamba sollevata, Si solleva con tutto il corpo, e facendomi girare, prendendo anche l’altra e la solleva piegandola nello stesso modo, sulle ginocchia, mi porta a stare in ginocchio sul letto, mi fa piegare in avanti, e mi mette le mani lungo i fianchi. Non &egrave ancora soddisfatto di come gli offro il mio sesso. Allora mi prende le mani e me le fa appoggiare sulla parete di fronte alla testata del piccolo letto, mi dice stai così. Mi preme una mano contro la parte più bassa della schiena, con l’altra mi fa capire che devo sollevare il bacino, e spingere il culo all’indietro, esponendogli più possibile la vagina per scoparla da dietro. Quindi, ancora, si infila dentro di me, con maggiore decisione che in precedenza. Non può avere il culo, e quindi si accontenta di avermi comunque in quella posizione, e lo fa alla maniera sua, sbattendomi fortissimo, le mani che tengo contro la parete, servono per impedirmi di sbatterci la testa. Mi scopa come si scopano gli animali, come una cagna, come una vacca. Sto mugolando senza nemmeno rendermene conto, non riesco a trattenermi, per quanto so di non poter urlare. Ho un secondo orgasmo, più forte del primo mi butto giù, con le braccia e il petto, non riesco più a stare ferma con le braccia in quella posizione, lui allora mi dice, che te prende, io non ho finito, non fare la buttana. Prende il cuscino, in cima al letto, lo prende e lo sposta in modo che possa appoggiarci sopra la pancia, così da poter esporre di più il culo stando distesa a pancia in giù. Si appoggia con i palmi delle mani, da un lato e dall’altro del letto, accanto al mio corpo, e si muove, stavolta &egrave un’onda inarrestabile che sento sopra di me, Vorrei un po’ di tenerezza. Vorrei vederlo in faccia, magari un bacio, ma lui fa, fa quello che vuole, ho le narici a contatto con queste schifose lenzuola puzzolenti, lui mi scopa montandomi e muovendo tutto il corpo, io sono solo un suo strumento, come lo &egrave questo letto che sta cigolando già da un po’. Sbatte ancora, e ancora. Si avvicina all’orecchio, sempre sottovoce, e mi dice, ti sborro dentro.
Gli dico, no, non voglio, non voglio ti prego, insisto a dire così. Se lo volesse davvero non potrei fermarlo, ma lui mi dice, come vuoi, affonda ancora qualche colpo, stavolta secco e profondo, quindi estrae il suo cazzo, me lo appoggia nel solco fra le natiche, e le stringe con le mani, come per avvolgersi tutto il membro. Sento il fiocco caldo e vischioso del suo sperma nella piega del sedere. Respira ansimando. Si avvicina a me come per voler rassicurarmi, mi dà un bacio sul collo una leccatina ai lobi delle orecchie, e cerca la mia bocca, vuole farmi voltare con la testa per darmi un bacio con la lingua. Lo respingo, mi voglio alzare, anche lui si alza, un po’ incazzato per avergli rifiutato un bacio, prende della carta da un rotolo sopra il tavolino, ne stacca qualche foglio per pulirsi, ne stacca un altro paio e me li butta sopra il culo, come per dirmi, pulisciti.
Cerco di farlo, come meglio posso, lui si rimette le mutande, poi i pantaloni, tutto velocemente. Mi dice, scusami ma mi devo sbrigare, mi aspettano in cantiere. Gli dico, ma a letto sei sempre così violento? Nel suo volto, ora che si &egrave svuotato, &egrave tornata un’espressione più umana, mi dice, perché, non ti &egrave piaciuto. Allora mi bacia, mi bacia in modo più dolce rispetto a prima. Gli chiedo, posso almeno lavarmi, c’&egrave un bagno qui? Mi dice, no, non posso, questa stanza non &egrave mia, &egrave di un mio amico che ci abita, mi ha prestato le chiavi, so che anche altri vivono qui. Poi mi dice, il mio amico vuole venti euro per questa stanza, me li presti? Penso che sia una bugia, ma prendo il mio zainetto, cerco venti euro dal borsello e glieli porgo. Un gigolò per signora chiederebbe molto di più, e d’altra parte io stessa ho ottenuto molto di più per farmi scopare da un vecchio.
Gli chiedo, tu abiti lontano? No, mi dice, sempre in questi palazzi, ma dove abito io non si può andare, ci sono sempre tante persone. Mi rimetto le mutandine, e quindi mentre mi piego per prendere il mio vestito per terra, lui, alzandosi in piedi, mi mette ancora una mano sotto, per palparmi la fica e il culo, con un gesto veramente volgare, mi dà una sculacciata e dice, questo bel culo me lo voglio fare. Mi infilo il vestito, senza dire più niente, mi aggiusto poco i capelli, mi faccio schifo, puzzo. Vorrei urlare. Urlare il disprezzo che ho di me stessa. Usciamo mi dice, sbrigati.

Apre la porta della stanza, mi invita ad uscire e a fare silenzio Attraversiamo il corridoio maleodorante, il portoncino di casa, le scale, che mi invita a scendere velocemente, quindi quando siamo di fronte al portone, subito prima di aprire, mi dà un ulteriore strizzata al sedere e, piazzandosi davanti, mi infila la lingua in bocca, per pochi attimi. Mi dice, ci vediamo lunedì o martedì, ti faccio sapere. Appena uscito dal portone, lo vedo fuggire, correndo, con un passo leggero da gazzella, vorrei urlargli in faccia vaffanculo, vaffanculo stronzo.
Mi incammino verso il supermercato dove ho parcheggiato la macchina, guardo le facciate di queste palazzine, scorticate dagli anni, i panni stesi alle finestre, le scritte sui muri. Scritte razziste, frasi d’amore al tempo di internet, Kiara io e te due metri sopra il cielo, oppure, Samanta troia. Come questi muri mi sento, sporca nel corpo, sporca nell’anima.

Nelle narici e nella pelle sento ancora l’odore di muffa e di chiuso di quella stanza, di quelle lenzuola sudate, l’odore del sesso, che ora mi nausea. Mi infilo dentro il primo bar che trovo, al banco c’&egrave una donna cinese, e sta mangiando della roba unta. Guardo tra le bottiglie esposte dietro il banco, cercando qualcosa che assomigli a un whisky, uno di quei malti schifosi e a basso prezzo che si trovano nei supermercati, me ne faccio versare un bicchiere, lo mando giù in pochi secondi, e pago, mentre questa cinese mi guarda con gli occhi inebetiti. Sento vibrare il cellulare dentro lo zainetto, lo tiro fuori che già non suona più, trovo diverse chiamate, da Matteo, e anche da mamma. Chiamo la mamma, sono un po’ preoccupata, perché di solito lei non chiama mai a quest’ora, del pomeriggio, a meno che non abbia cose importanti da dirmi, sapendomi impegnata al lavoro. Pronto mamma, tutto bene? Tutto bene, Simona, mi dice. Mi spiega che ha chiamato la mamma di Matteo, per invitarci a pranzo a casa loro, domenica prossima. La mamma gli ha spiegato che avrebbe dovuto parlarne prima con mio padre, e che glielo avrebbe fatto sapere entro oggi
In realtà, papà ha detto a mamma di sentire prima me. Papà &egrave l’unica persona che mi capisce e mi ama davvero. A mamma dico la verità, che ci sono state delle tensioni tra me e la mamma di Matteo in settimana, e anche suo padre &egrave stato molto insistente, vogliono che io convinca a Matteo a prendere delle decisioni riguardo alla sua vita, quando in realtà, non so neppure io cosa sia giusto fare. Insomma mamma, penso che sia meglio trovare una scusa per non andarci. La mamma insiste un po’, più che altro per capire che sta succedendo, sento che &egrave dispiaciuta, ma sa anche che mio padre non approverebbe. Io le dico che &egrave meglio se lei chiama Elisiana, e le dice che &egrave meglio rimandare, che mio padre in questo periodo &egrave ancora molto debole, e che ci andiamo un’altra volta. Ci salutiamo.
Chiamo Matteo. Mi sento in colpa verso di lui, un senso di colpa terribile, che mi toglie l’aria. Mi dice, ciao amore, hai parlato con i tuoi, venite Domenica? Non lo so, gli dico, mio padre non sta ancora bene, ma glielo dico un po’ freddamente. &egrave un po’ deluso, mi fa capire che i suoi ci tenevano tantissimo a questo pranzo.
Io non so cosa dirgli, se non fossi così rosa dal senso di colpa per i miei sbagli e per i miei tradimenti verso di lui, gli direi la verità, che &egrave una stronzata, che non si capisce perché debba andare con i miei genitori a casa dei suoi quando loro non hanno nessuna stima della mia famiglia, e proprio sua mamma mi ha detto che siamo dei poco di buono, una famiglia allo sfascio, e oltretutto mi &egrave sempre più evidente che il nostro stare insieme serve più che altro agli altri, e non a noi. Poi, una parte di me, pensa, Simona non puoi fare né dire questo, sei solo una vacca che si fa sbattere da chiunque, cerca almeno di portare rispetto.
Gli dico che la cosa più importante intanto &egrave chiarirsi tra noi due, ok vediamoci alle sei per un aperitivo mi propone. E a cena dove andiamo? gli chiedo. Ho una mezza idea, risponde.

Sono le due e tre quarti del pomeriggio, prima di rientrare in ufficio, sono passata dalla palestra, Giusto il tempo di farmi la doccia. Così uscendo, Filippo, l’istruttore di GAG che mi aveva visto entrare, mi dice sorpreso, ma come Simona, oggi niente corso, sei venuta solo per la doccia? Mi sa che ti sei fatta una bella sudata prima di venire qui. Ride. &egrave veramente uno stronzo.
Rientrando in studio, ci trovo la Gianna, col suo modo finto mi dice, ciao tesoro, non pensavo che saresti tornata oggi, dopo la notte in bianco. Nella mia stanza c’&egrave Gabriele e, come sempre, non alza neppure la testa per salutarmi. Passo dalla stanza di Antonio, e lui invece mi saluta, sorridendo, e mi dice, Simona, la settimana prossima facciamo la cena con il gruppo della palestra, vieni anche tu vero?
E poi Cosimo. Sta lavorando al suo computer. Appena mi vede, si sorprende un po’. Sta con gli occhi bassi, mi chiede se posso aiutarlo a controllare un computo metrico. Poi, prima che mi allontani, mi chiede se possiamo vederci un secondo, oggi, prima di andare via, che mi vorrebbe parlare. Come vuoi, va bene, gli rispondo.

Alle cinque di Venerdì di solito vanno via tutti, la Gianna &egrave uscita già da mezz’ora, poi Gabriele, con i suoi tempi preordinati, poi Antonio che scende giù in palestra a pompare i muscoli, e infine Cosimo che il venerdì va a puttane prima di rientrare a casa, ma questo credo di saperlo solo io. Infatti eccolo che arriva, alle cinque in punto, dice, Simona che fai ti trattieni ancora? Gli rispondo, aspetto ancora un poco, ho fissato con Matteo tra un’ora, per l’aperitivo. Lui sta in piedi con gli occhi bassi, prende una sedia e si ferma davanti a me. Mi dice, scusami Simona, scusami per ieri notte, sono stato veramente stupido. Ora mi guarda con gli occhi lucidi. Gli dico che non c’&egrave problema e non c’&egrave niente di cui debba scusarsi. Penso che abbia paura che io possa sputtanarlo con Scarpi o con gli altri, si vede che non mi conosce abbastanza. Mi fa così tenerezza, il suo sentirsi in colpa o in difetto, e sono così stanca e provata che, senza un perché, scoppio a piangere, davanti a lui. Allora si avvicina, e con le mani, accarezzandomi la testa e le spalle, in modo timido, cerca di consolarmi, mi dice Simona, scusa, Simona, lo so ho fatto una cazzata… io piango a lungo, singhiozzando in silenzio in un modo che non riesco a controllare, penso a tutto quello che mi causa sofferenza, provo un dolore immenso per tutte le persone sofferenti e sole che mi circondano, e soprattutto mi sento in colpa per tutte le mie cazzate, per quel sesso irrefrenabile e distruttivo che ossessivamente cerco e che ovunque vedo, ovunque provoco. Ma lui non può capire questo, forse pensa che sia colpa sua, poverino, la sua voce &egrave lamentosa, mi dice, Simona ti prego, non fare così mi fai piangere anche a me. Gli dico, Cosimo, non c’entri nulla, sei una delle persone migliori che conosco. Cosimo, credimi, tu non sei un problema, ci sono tante cose che devo aggiustare nella mia vita. E poi, come se realizzassi solo in quel momento una piccola soluzione, non riesco a trattenermi dal dirgli questo: ho pensato che la cosa migliore sia che io lasci lo studio, e di cercare un altro lavoro. Veramente, non ci avevo ancora riflettuto prima. Cosimo reagisce in maniera spaventata, mi dice, ma cosa cavolo dici, non &egrave affatto una buona soluzione, questa cosa non la voglio nemmeno più sentire, se vai via tu, vado via anche io. Così. Lo guardo. Gli dico, Cosimo, forse sono solo molto stanca, meglio se ne riparliamo Lunedì. Lui mi abbraccia, da amico. Sento dal suo tremore, che in realtà c’&egrave molto di più, ma non credo che ci riproverà più con me. Lo sento sospirare. Mi dice, non dire più queste cazzate, ok?OK, gli dico, senza convinzione. Mi dice, allora ci pensi tu a chiudere? Gli dico di si, con la testa. Va via, appena un poco più sollevato. Lo sento prendere l’ascensore, e, quando &egrave in strada, lo osservo dalla finestra, va a cercare il suo scooter, e si muove non verso la direzione in cui abita, ma verso la stazione, la strada dove immagino che abbia fissato, come sempre il venerdì, l’appuntamento con qualche ragazza dell’Europa dell’est. Buona serata, Cosimo, te lo meriti.

Sono le sei e mezzo, sto in un bar del centro dove fanno gli aperitivi. Matteo &egrave già qui, arrivato prima di me, mi bacia, e io mi sento un po’ a disagio, mi sembra di avere ancora addosso, nella pelle, nella bocca, nelle narici, l’odore del sesso fatto con Sergi nel primo pomeriggio. Matteo mi accarezza il volto, con un gesto tenero, che però mi infastidisce un poco, ma cerco di non lo darlo a vedere. Si vede che hai lavorato tanto Simona, mi dice, hai un po’ di occhiaie. Sono stanca si, gli dico, considera che stanotte non ho dormito e poi, questi primi caldi, mi danno sempre una gran noia. Mi rendo conto che negli ultimi giorni ho mangiato e dormito veramente poco, e ora mi &egrave presa una gran fame, anziché il solito whisky che fa poco aperitivo, ordino un Manhattan, Matteo un cocktail poco alcolico a base di frutta. Mi riempio un piatto di cose da mangiare dal buffet, gli dico, Matteo ho un casino di fame, dimmi che mi porti a cena fuori in qualche posto buono. E lui, avevo pensato di andare con Gianmarco, Fabio e le ragazze, mi dice, e così mi propone un posto lungo il fiume famoso per fare dei buoni hamburger. Gianmarco e Fabio, vuol dire la solita cena del cazzo tra coppiette, con quelle oche di fidanzate degli amici che non sopporto. Gli dico, cazzo Matteo, non ci vediamo da mercoledì, siamo stati insieme pochissimo questa settimana, dobbiamo parlare di un sacco di cose, e stasera andiamo a cena con questa gente qua? Lui mi risponde scocciato, abbiamo tutto il tempo di parlare adesso, non possiamo mica stare tutta la sera a parlare tra noi di tutti problemi e di tutte le cose che non vanno, andiamo a divertirci no, e poi pensavo anche che ti andasse bene, ci svaghiamo un po’, e poi andiamo a casa, ché ho anche voglia di stare con te. Mi sento talmente in colpa per i miei tradimenti, che non ce la faccio a replicare qualcosa.
E quindi parliamo, mi racconta finalmente il fatto che tanto rende perplessi i suoi genitori.
Ovvero, questa grande opportunità che gli dà l’amico Daniele, che poi sarebbe il suo professore, Daniele Brentani, architetto, esperto di processi creativi nell’architettura e nel design, che per me vuol dire: tutte cazzate. E quindi, sostiene Matteo, grande opportunità, a Londra, Brentani &egrave amico strettissimo di questo professore inglese, che lavora sulle sue stesse cose, e ancora, Brentani ha mostrato al collega i risultati della tesi di Matteo nel corso di un convegno internazionale, e lui ne &egrave rimasto estremamente colpito, e quindi per Matteo questo rappresenta un piccolo sogno, la possibilità di fare una cosa nella vita in cui lui crede davvero. Poi si mette serio, mi prende le mani, e le stringe, mi chiede, Io so che per i miei questo &egrave un problema, d’altra parte loro sanno solo criticarmi, ma a me non importa di loro, mi interessa soprattutto di te, cio&egrave, di noi due, voglio capire cosa pensi di questa cosa, e se questo può ostacolare il nostro rapporto, perché &egrave chiaro che sarà dura vedersi, se decido di andare via. Cio&egrave, fammi capire Matteo, gli dico, tu pensi che io potrei impedirti di partire quando in realtà questa cosa &egrave così importante per te, non lo farei mai. Gli dico così.
Lui insiste, lo fa più per convincere se stesso che per persuadermi. Mi dice, capisci, che mio padre e mia madre di conseguenza, vorrebbero che io lavorassi nello studio, a fare un lavoro molto tecnico, tipo il tuo, ma a me quel lavoro non mi riesce, non lo so fare, non mi entusiasma, mi sembra che inibisca la mia creatività. Non sei carino, però, gli dico, vuol dire che io non sono abbastanza creativa per fare qualcos’atro? E lui mi dice, non fraintendermi, per te &egrave diverso, tu sei un ingegnere, ti piacciono le cose più tecniche, e poi sei molto più brava di me, più meticolosa, più paziente, più disciplinata.
Povero Matteo, manco se lo immagina quanto sono indisciplinata e folle.
Mi dice, tu puoi venire a trovarmi tutte le volte che vuoi, e anche io tornerò spesso, diciamo che una volta al mese vieni tu da me, una volta al mese vengo io, e così ci vediamo almeno ogni due settimane.
Gli chiedo, ma davvero pensi che tuo padre ti lasci partire senza opporsi? Penso di sì, loro mi dicono che in realtà sono preoccupati perché pensano che se vado via, tra noi due’ Tra noi due, cosa, Matteo, vorrei dirgli, ‘? Tra noi due &egrave finita? Ci lasciamo?
Non arriva neppure a capire che ai suoi non gli importa nulla di me, gli importa solo di tenersi stretto questo figlio che non &egrave all’altezza dei primi due, per guidarlo verso una professione e una strada più sicura, e quindi gli fa molto comodo che io lo trattenga qua. Mi sembra di avere i loro occhi addosso, del Professor Scarpi e della stronza di sua moglie, immagino che vorrebbero che ora gli dicessi, Matteo ti prego, resta con me, mettiamo su famiglia, prendiamo casa insieme, e invece, io gli sto dando il via libera. E francamente, non me ne importa nulla.

Sono le dieci di sera, sto seduta al ristorante, davanti a me e accanto ci sono la Giada e la Giulia, le fidanzate di Fabio e Gianmarco, amici di Matteo. Classica disposizione ai tavoli del venerdì o del sabato sera, i ragazzi stanno parlando tra loro, normalmente di calcio o di cazzate del genere, le ragazze parlano di negozi di shopping, di abiti griffati e sottovoce, parlano di biancheria intima, verso cui hanno entrambe una grande passione. Sono due bellissime ragazze, ma con me non sono amiche, lo sono loro due tra sé, si sentono e si vedono spesso anche fuori dalle cene con i rispettivi ragazzi con me non hanno mai legato, Giada fa la commessa, e Giulia la segretaria in uno studio notarile .
Ogni tanto, fanno delle allusioni riguardanti il sesso con i rispettivi ragazzi . Battute, risolini.
Giada e Fabio, da quello che capisco, scopano solo il fine settimana, venerdì e sabato. Giulia e Gianmarco, molto più spesso, praticamente quasi tutte le sere, perché abitano vicino.
Sembrano felici. Io non le sopporto, e loro non sopportano me, ci guardiamo, ci parliamo, non ci capiamo.

Mezzanotte e mezzo, sono in stanza con Matteo e ci stiamo spogliando per andare a letto, come una normale coppietta di sposini. Matteo ha insistito per venire a dormire a casa mia. Così ci sentiamo più liberi , mi ha detto. Siamo venuti qui, ognuno con la sua macchina. Sono molto stanca, e stasera tra aperitivo e cena, ho bevuto anche più del solito, vado in bagno e mi lavo i denti, mi strucco, mi faccio un bidet, senza pensare se scoperemo o meno, ho solo voglia di dormire. Nel letto, Matteo &egrave sopra le coperte, in boxer e canottiera, sta leggendo un libro. Anche Io indosso solo slip e una magliettina da notte. Istintivamente, mi giro dall’altra parte, come per ripararmi dalla luce dell’abat-jour accesa dalla sua parte. Lui, chiude il libro ,vuoi che spenga la luce, mi chiede. Come vuoi, io sono stanca . Lui si avvicina dietro a me, mi dà un bacio sulla guancia, e mi sussurra sull’orecchio, sei proprio stanca? Stanca stanca stanca?
Molto, gli dico, e mi fa anche un po’ male la pancia, penso che mi stia per venire il ciclo. Capito, mi dice, con dispiacere e rassegnazione. Non &egrave vero che mi sta per venire il ciclo, semplicemente non ho voglia di fare sesso. Matteo allora, mi abbraccia da dietro, mettendosi di fianco a me, mi stringe con le braccia, passandomi sotto con il braccio sinistro, in modo anche tenero, sfiorandomi il seno, con l’altra mano mi accarezza la pancia.
Nel primo periodo in cui eravamo fidanzati, dopo che avevamo fatto l’amore, mi piaceva da morire quando Matteo mi abbracciava da dietro, in questo stesso modo . Mi faceva sentire protetta e voluta bene. Ora tutto, tra noi, ha il sapore della abitudine, ci vogliamo bene, ma nessuno dei due prova più quello che provava prima, e anche il sesso lascia molto a desiderare. Sento il suo pube che &egrave completamente appoggiato sulle mie natiche e attraverso la stoffa di suoi box e dei miei slip , avverto la sua erezione, grazie anche ai movimenti leggeri delle nostre gambe intrecciate. Matteo mi dà dei piccoli baci sul collo, teneri, rispettosi, io non riesco a fare a meno di pensare a Sergi, al modo prepotente e sfacciato con cui oggi mi scopava, stando a fianco e dietro di me.
Sono solo una schifosa puttana, e penso che Matteo sia un ragazzo d’oro che merita di più. So che si aspetta che mi giri con la testa e gli dia un bacio. Spesso faccio così, altre volte invece, quando sono troppo stanca o troppo incazzata, lo lascio lì a strusciare il suo membro eretto dietro di me, finché non si stanca di provarci. Non so se &egrave la voglia di dargli un bacio o la pieta che ho di lui o di me, a prevalere. Stasera &egrave giusto così. Piego la testa verso di lui, per cercare con la mia bocca la sua, e lo bacio sulle labbra, un bacio umido che lentamente diventa un incontro tra le nostre lingue. &egrave il segnale che mi rende disponibile. Le sue mani, con lentezza, si infilano sotto la maglietta e cercano il mio seno. L’altra mano, scorrendo sopra l’addome, si infila dentro le mie mutandine ,davanti, cerca la mia fica, massaggia delicatamente le labbra e il clitoride. Vorrei che mi leccasse, so che non lo farà, non ho mai capito se il suo problema &egrave che non gli piace leccarla o se questa cosa lo mette in imbarazzo. Io muovo il sedere con dolcezza, in modo da massaggiare la sua erezione, lui mi sfila prima gli slip, e poi si cala i boxer, sento il suo cazzo nudo dietro di me, lungo il solco delle natiche. Con molta dolcezza, continua a massaggiarmi, a lungo, sa che mi piace, non sa che non mi basta. Continua a lungo, finché non avverte che sono bagnata e trova l’apertura sufficientemente umida e lubrificata. Per aiutarlo, alzo leggermente la gamba destra, e la appoggio sopra la sua. Preme con il cazzo sulle labbra della fica, ma non ha ancora capito come si fa. Allungo una mano all’indietro, gli prendo il cazzo in mano, cerco di farlo con delicatezza, e lo oriento con la punta, per indirizzarlo nel punto dove deve spingere.
Mi penetra. Cerco di assecondare i suoi movimenti, che sono molto lenti, col la mano libera gli accarezzo il fianco, cercando di rilassarlo. Mi chiede se mi sta facendo male, gli dico: non ti preoccupare, mi piace così, rilassati. Con la mano destra mi massaggia la fica, toccando il punto in cui le nostre intimità sono a contatto. &egrave bellissimo, dice sospirando. Ed &egrave passato circa un minuto, più del solito, quando mi dice, amore sto per venire. Vieni amore mio, vieni tranquillo, gli dico. Lo sento pulsare, esplodere il suo piacere dentro di me. Ci baciamo. Poi mi chiede, ma ti &egrave piaciuto? In realtà, si preoccupa se sono venuta anche io, gli dispiace quando non ci riesco. Si, mi &egrave piaciuto, sono venuta prima di te, gli dico. Ovviamente non &egrave vero, ma preferisco che lui pensi questo.
Finalmente si rilassa, dentro di me, e si addormenta, e così i miei pensieri, le immagini di oggi, i rumori, le voci, si affievoliscono, e piano si spengono, nel buio della notte.
Le sette del mattino di sabato, e sono già sveglia. Matteo &egrave sul letto, accanto a me, accovacciato, di fianco, quasi nella stessa posizione in cui abbiamo fatto l’amore ieri sera.
Non ho più sonno, e non ho più voglia di stare coricata. Mi alzo per andare in bagno. Guardo Matteo, &egrave accucciato in posizione quasi fetale, mi fa tenerezza. In bagno, mentre sono seduta, penso ad un sogno che ho fatto stanotte. Qualcuno mi stava scuoiando, mi veniva tolta tutta la pelle, l’involucro esterno del mio corpo, e dentro, c’era un’altra me, la mia anima nuda che, liberata dal corpo, osservava il rivestimento esterno, come se fossi stata un coniglio a cui &egrave stata tolta la pelliccia. Tutto intorno, una massa informe di persone osservava lo spettacolo di una ragazza scuoiata. Tra le tante voci che commentavano, potevo distinguere nettamente la voce della signora Elisiana, e anche della Gianna, che commentavano scandalizzate. Nessuno guardava più quello che c’era dentro l’involucro, né pareva far caso alla mia essenza, alla mia anima libera, tutti invece si concentravano su quell’involucro ormai senza vita.
Mi faccio il bidet, e quindi rientro in camera. Non ho intenzione di svegliare Matteo, anzi, penso di lasciarlo dormire. Io però non ho voglia di mettermi di nuovo letto, così mi incammino verso la cucina, per fare il caff&egrave. Lo sguardo mi casca sul cellulare di Matteo, poggiato sopra i pantaloni, piegati su una sedia. Il telefono si &egrave illuminato, come quando si riceve un messaggio. Nonostante il blocca schermo, si può leggere questo: c’&egrave un nuovo messaggio da DB. Le prime parole del messaggio, le uniche che riesco a leggere, dicono chiaramente: Ciao amore quando.
&egrave un messaggio WhatsApp. Non so quante persone siano legittimate a chiamare Matteo così, amore, potrebbe essere sua madre, e io non sono autorizzata a farmi i fatti suoi. Sono curiosa, però.
Conosco il codice di sblocco del suo telefono, almeno credo. Lo provo, però non funziona, forse Matteo lo ha cambiato, faccio allora un secondo tentativo per vedere se ha inserito, come fa spesso, la sua data di nascita. Indovinato, al secondo tentativo. Apro WhatAapp, e leggo i messaggi, sei nuovi messaggi a quanto pare, da questa tizia, tale DB. Il messaggio la cui lettura non avevo completato, recita testualmente: Ciao amore, quando ci vediamo oggi? Verso le tre del pomeriggio potrebbe andarti bene? Oppure ti devasto il sabato con la tua tipa?
Un altro messaggio recita: ti ho pensato tutta la notte, mi mancano i tuoi abbracci e il tuo pistolone.
Ancora: parlando con Cairns e vari amici che si trovano su, una buona zona dove cercare casa potrebbe essere North Kensington.
Ancora: il mio sabbatico, per non fare troppo casino in facoltà, potrebbe iniziare dalla metà di Novembre e arrivare alla fine di luglio, ho abbastanza fondi di ricerca per pagarmi l’appartamento,
Ancora: sono così felice di averti incontrato, non mi sentivo da tempo così felice e appagato.
Ancora: cerca di far capire alla sImona di sti cazzi che non può averti solo per sé, lascia qualcosa anche a me, sono geloso marcio!
Leggo, rileggo. Questa persona, si dichiara felice e appagato. Appagato con la ‘o’, non appagata con la ‘a’, &egrave addirittura geloso marcio, e qui le ‘o’ sono addirittura due, rischio refuso davvero molto basso. Non &egrave una lei, ma evidentemente un lui. Un lui che ha qualcosa a che vedere con la facoltà di Matteo, con il dottorato in Inghilterra, Come si chiama quel tizio, il professore che lo stesso Scarpi detesta’ fai uno più uno Simona. Brentani. Si chiama, così, ma sì Simona, mi sembra proprio che sia lui, Daniele Brentani, DB’
Ehi, che cazzo fai? Nemmeno il tempo di finire di dirlo, e Matteo, destatosi all’improvviso, mi strappa il telefono di mano, e balza in piedi.
Che storia &egrave questa? gli dico.
Lui replica seccato, balbettando. Non so di cosa parli, ma non mi piace che mi leggi i messaggi.
Lo guardo, e con la voce bassa gli dico, c’&egrave qualcosa che non mi hai detto?
Non capisco di cosa parli, &egrave l’unica sua risposta.
Perché mi prendi per il culo? gli chiedo.
Lui risponde solo con un ‘sì vabb&egrave’, detto con voce scocciata, si alza e va in bagno, chiudendosi dentro.
Non so più cosa pensare, mi sembra che mi manchi la terra sotto i piedi, Eppure una parte di me non &egrave sorpresa affatto, &egrave come se questa rivelazione fosse solo l’evidenza di qualcosa che dentro di me sapevo già da molto tempo e non avevo il coraggio di accettare. Il secondo pensiero, smarrita la primissima fase di smarrimento, mi fa pensare che tutto questo &egrave anche per colpa mia, anzi probabilmente dipende proprio da me, dal fatto di non averlo desiderato abbastanza, come uomo, anzi di cercare costantemente altro.

Matteo esce dal bagno, &egrave sbiancato, con una espressione cruciata e spaventata insieme.
Qualunque cosa tu stia pensando, &egrave sbagliata, mi dice.
Io non penso niente, gli replico, penso solo che dobbiamo smettere di prenderci per il culo.
Tu non sai nulla, ribatte, e quando dici così non capisci nulla, prima di tutto non si leggono i messaggi degli altri, ma ora che li hai letti, che ti sei permessa di farlo, sappi che non vuol dire un cazzo.
Chi &egrave DB, gli chiedo.
&egrave un mio amico, che ogni tanto mi fa questi scherzi, mi chiama amore, e fa allusioni, si fa così tra amici, e per quanto ne so lo fate anche voi ragazze, tra amiche, fa parte di uno scherzo, ok?
E il tuo scherzo viene in Inghilterra con te, quindi?
Ma no, Simona, anche questo fa parte del gioco, delle battute, dai.
Il tuo scherzo, gli dico seria, io penso che si chiami Daniele Brentani, il prof della tua tesi, quello che ti ha trovato il dottorato in inghilterra.
Matteo &egrave diventato tutto rosso. E se fosse lui, mi dice, cosa ti cambia a te, &egrave un amico, siamo amici oramai, e scherziamo tra noi in questo modo. Cio&egrave, gli dico, secondo te &egrave normale che un professore universitario, con cui ti sei laureato, faccia allusioni al tuo pistolone, alla tua tipa, che ti scriva che ti desidera, ti faccia sapere che &egrave che &egrave stato bello, eccetera eccetera?
Può sembrarti strano, ma &egrave così. e poi anche lui ha una compagna, cosa pensi? Pensi che io sia omosessuale? Senti Simona, abbiamo scopato tre volte questa settimana, e questo solo perché ci siamo visti poco, io avevo l’esame, e tu avevi un casino di lavoro da fare, altrimenti per me potevamo scopare anche tutte le sere.
Lo guardo, ed &egrave come se lo vedessi per la prima volta, iracondo, terrorizzato, messo a nudo.
Senti Matteo, gli dico, io ho bisogno di un caff&egrave, non c’&egrave niente in casa per fare colazione, usciamo insieme ok?
Ok, ma non facciamo scenate al bar di fronte a tutti, mi dice. Ok, rispondo.

Al bar, abbiamo preso solo un caff&egrave a stomaco vuoto, nessuno dei due aveva fame, quindi siamo usciti e ci siamo messi a sedere sulla panchina di un giardino pubblico poco distante. Sono io che devo rompere il ghiaccio, gli chiedo: Matteo, tu ti senti appagato da me?
Ma io ti amo, Simona, mi risponde, sei tutto quello che io desidero e che un ragazzo può desiderare, sei una ragazza seria che si dà da fare nello studio e nel lavoro, non lasci mai indietro nulla, e questo mi fa da sprone, e mi invoglia a fare sempre meglio, senza di te io non avrei mai trovato la forza per laurearmi. Sei bellissima, forse troppo per me, e mi piace un sacco che tutti i miei amici ti guardino, che pensino che sei una gran fica, che mi invidino, e mi facciano battute, insomma queste cose qua. Mi piaci da morire, mi piace tutto di te, mi piace quando sei vestita, e mi piace vederti nuda, mi piace come fai l’amore, sempre con dolcezza, mi piace il tuo corpo, il tuo seno, il tuo sederino, la tua passerina, tutto, ti amo e basta, perché non dovrei sentirmi appagato?
Gli rispondo: senti Matteo, io non sono una moralista del cazzo, non lo sono mai stata, e detesto chi giudica gli altri. Se vuoi saperlo, a differenza tua, che fai sempre battute sugli omosessuali, io non ne faccio affatto, ho avuto un sacco di amici che erano così, e non li ho mai giudicati, gay o bisessuali, non mi &egrave mai importato un cazzo di sapere cosa gli piace fare a letto.
Ma cosa cazzo, c’entra mi dice con rabbia, ancora questa storia, io non sono omosessuale, ok?
Mi fai finire di parlare? Provo a dirgli. E lui: non ti faccio parlare se insisti a dire queste stronzate!
Allora te lo ripeto, io non voglio giudicare nessuno, tantomeno i tuoi gusti sessuali. Facciamo finta che non stia parlando di te ok? Diciamo così. Facciamo che conosco una persona, scopro che mi piace, la mia prima preoccupazione non &egrave di capire se gli piace la fica, se gli piace il cazzo, se gli piacciono tutte e due. Quello che non sopporterei, sarebbe se questa persona mi usasse per nascondere agli altri che lui &egrave qualcosa di diverso da quello che vuole apparire.
Io non ti ho mai usata! dice. Io non sono affatto diverso da quello che voglio apparire, io sono così!
Così come, Matteo, così come? Come un ragazzo per bene? Come un ragazzo normale che ha una normale vita, una ragazza, con cui pensa di mettere su famiglia, di costruirsi un futuro? così?
Se necessario, sarei così, ribatte seccato, se &egrave questo che vuoi, certo, sarei così.
Così quindi, gli dico. Perfetto. Saresti quindi un ragazzo per bene, di buona famiglia, convinto di stare con una ragazza per bene, che lo aspetta, lo rispetta nelle decisioni della vita, gli permette di prendere tempo e di decidere con calma cosa fare della sua vita, e nel frattempo lui va a fare le sue cose, la sua vita, la sua carriera, il dottorato in Inghilterra, assieme all’amico professore, che forse &egrave pure più che amico, d’altra parte il ragazzo per bene &egrave del tutto insospettabile, perché la sua ragazza per bene lavora nello studio del papà di lui, così il papà sta tranquillo, può presentare la ragazza agli altri dicendo, questa &egrave la fidanzata di mio figlio, così che tutti pensano, che fica questa, beato lui, e così nessuno si fa strani pensieri.
Non &egrave così ok? non &egrave così! Lo dice alzando la voce.
Lo guardo, ha gli occhi rossi, mi rendo conto, che lo sto giudicando, e questo non mi piace, non &egrave da me. Gli dico, Matteo, scusami, non voglio essere fraintesa, non ti sto accusando di niente. Cerco di abbracciarlo, ma lui mi scansa, offeso, insisto a cercare il suo abbraccio, e lui si mette tutto rigido, alla fine si lascia abbracciare come se fosse una cosa morta. Scoppia a singhiozzare,
La nostra storia &egrave finita, non può non rendersene conto. Era finita da tempo, ma nessuno dei due voleva ammetterlo, se fossi veramente onesta gli direi la verità, che &egrave da almeno un anno e mezzo che lo tradisco sistematicamente, che mi faccio sbattere da un sacco di sconosciuti, nei parcheggi notturni, negli alberghi ad ore, nelle case di posti lontani, nelle spiagge, nelle campagne, nei boschi, perfino dentro il cesso di un centro commerciale, o di una discoteca, preda di un desiderio di sesso incontrollabile, sfrenato, distruttivo di me, come una droga pesante. Forse dovrei solo dirgli la verità, distruggere l’immagine che lui ha di me, forse lo aiuterei, sarebbe più semplice per lui accettare che mi ha lasciato perché ha scoperto che sono una troia, una ninfomane, una cagna in calore.
Ma poi no, non può essere, non può funzionare neppure così, se gli dicessi questo crollerebbe ancora di più la residua stima che Matteo ha di se stesso
Allora gli dico, Matteo tu non c’entri, ci sono un sacco di cose che non funzionano, nella mia vita, io ti voglio bene, e tu non sarai mai un problema. Penso solo di essere molto stanca, anch’io devo decidere cosa fare della mia vita, non sei solo tu a dover decidere, non sei solo tu a dover affrontare questo passaggio, voglio lasciare il lavoro allo studio, voglio capire un po’ di cose di me, e soprattutto voglio sentirmi libera di farlo senza condizionamenti da te, dai tuoi genitori, o foss’anche dalla mia famiglia.
Sono tutte cazzate, Simona! Non inventarti scuse del cazzo. Tu ora mi vuoi lasciare per via dei messaggi che hai letto, perché pensi che tu non mi piaccia o addirittura che io sia gay!
No, gli dico, non &egrave per questo motivo che ti chiedo una pausa di riflessione, ricordi, qualche sera fa, quando mi hai chiesto, se in questi anni io abbia mai provato desiderio per altri uomini? Ti ho detto di no, ma ti ho detto una bugia. Mi piace un’altra persona.
Che vuol dire? mi dice.
Vuol dire nient’altro che quello che ho detto.
Ci sei andata a letto, mi chiede.
Resto in silenzio, perché mi fa male confessare anche solo questa minima frazione della verità.
Sei una puttana, Simona. Lo dice ferito e incazzato.
Restiamo in silenzio, per lunghissimi secondi, bloccati dai nostri pensieri, incapaci di proferire qualunque altra parola
Sai cosa penso, mi dice, penso che tu ora mi dici questo per vendicarti del messaggio che hai letto, perché ti sei convinta che quella cosa sia vera, e non uno scherzo del cazzo, come invece &egrave, e nient’altro che questo.
Io ti vorrò sempre bene, Matteo, ma lo so io e lo sai anche tu. Non possiamo continuare così, bisogna accettare che le cose finiscano, che si cambi. Mi sento serena, e anche tu dovresti esserlo.
Io non lo accetto, né lo accetterò mai! Dice così, e piange, come piange un bambino.
E si va avanti, così, per un sacco di tempo.
Non c’&egrave nulla di più noioso di quando sai che ti devi lasciare.

&egrave mezzogiorno e mezzo, Matteo se ne &egrave andato da non più di dieci minuti. &egrave stato tutta la mattina ad assillarmi, a chiedere chiarimenti, a giustificarsi, a cercare rassicurazioni, a ribadire che i messaggi che ho trovato sul suo cellulare sono tutte cazzate, a dirmi che non può accettare che tra noi finisca così, ad assicurarmi che io sono l’unica persona che conta nella sua vita, eccetera.
Sarebbe rimasto ancora a lungo, probabilmente, ma non ne potevo più. Ho dovuto dirgli che ero attesa a pranzo a casa dei miei, che mia mamma ha parlato con l’oncologo di mio padre e che mi deve riferire delle cose, in realtà non &egrave vero, ma lo dico per rendere più credibile la mia necessità di andarmene via, Mentre lui continuava ad assillarmi, per spiegarmi le sue ragioni, mi sono preparata per uscire, pantaloni, maglietta e giubbotto di jeans, prima di partire, lui mi ha abbracciato, un abbraccio durato un’eternità, mentre singhiozzava con tutto il corpo e mi diceva, ti prego amore, ti prego, non lasciarmi, ti prego, dimmi che non &egrave vero che c’&egrave un’altra persona. Insomma, una scena pietosa, davvero insopportabile anche per me.
Ora sono in motorino in mezzo al traffico del sabato all’ora di pranzo, non sono diretta verso la casa dei miei genitori, e nessuno mi sta aspettando, sto andando non lo so nemmeno io dove, in giro. Dentro me, un grandissimo senso di vuoto. Per qualche strano motivo, girovagando, capito dalle stesse parti del parco in cui mi sono ritrovata, per caso, lo scorso mercoledì mattina, dopo che sono fuggita dalla macchina della mamma di Matteo. C’&egrave una piccola libreria lì vicino, parcheggio il motorino, entro dentro, e mi perdo a guardare tra gli scaffali pieni di libri. Adoro perdermi così, leggere la prima pagina di ogni libro che mi capita in mano, e capire se qualcosa scatta dentro di me, fino a quando non trovo quel libro che mi prende subito, alla prima pagina. Ne ho appena trovato uno così. Leggo le prime pagine. Lo prendo e vado a pagare. &egrave il libro di una giovane autrice spagnola, parla di crescita e di cambiamento. Entro dentro al parco, stendo sull’erba il mio giubbotto di jeans, mi ci siedo sopra e mi metto a leggere, per una mezz’ora, più o meno, poi mi prende fame. C’&egrave un chiosco lì vicino dove fanno dei panini, mi lascio attrarre dall’odore dolciastro della salsiccia cotta, ordino un panino con la salsiccia, addirittura delle patatine fritte, e una bottiglia di birra da 66 cl, che fa più manovale che signorina, ma non me ne frega un cazzo. Neanche me lo ricordavo più, quanto fosse buono il panino con la salsiccia! Mi sembra di mangiare una cosa buonissima per la prima volta dopo tanto tempo, e di aver ritrovato una parte di me, in un gesto così innocuo come addentare un panino. Mi sento finalmente libera

Mi viene in mente Carmen, una mia amica del liceo, con cui ci siamo sempre volute bene, poi lei &egrave andata a studiare in un’altra città, e non mi sento con lei da almeno un anno. Carmen &egrave forse la mia unica vera amica, avrei voglia di raccontarle quello che mi sta succedendo, di parlare con lei, allora provo a chiamarla, ma il suo numero mi viene segnalato come inesistente o non più attivo, mi dispiace da morire, e mi riprometto di chiedere ad altri comuni amici, oppure a suo fratello, il modo di rintracciarla, ma lo farò un’altra volta, perché oggi non voglio sentire nessuno. Mi rimetto a leggere. Non succede quasi niente, in questo libro, eppure &egrave appassionante, scritto bene, con una grandissima grazia, e ora ho voglia solo di questo, di gentilezza, di intelligenza, di qualcosa che mi faccia sorridere. Nel parco ci sono diverse coppie, che fanno picnic, dormono, o si scambiano effusioni. Non provo invidia per loro, perché amo questo senso di libertà che ora provo, nello stesso tempo però mi viene in mente quanto tempo ho sprecato con Matteo, quante volte avrei voluto vivere il nostro rapporto così, con semplicità, semplicemente abbracciandoci, stando assieme, anche facendo un mucchio di cazzate, di cose normali come fanno tutti i ragazzi, leggere insieme un libro sopra un prato, baciarsi, fare cose a caso, viaggiare senza meta, senza sapere dove si dorme la sera, scopare ogni volta che se ne ha voglia, fermandosi a tutte le aree di sosta dell’autostrada, ridere per ogni stronzata. Invece Matteo &egrave un noioso ragazzo per bene, figlio di una famiglia perbene, che fa solo cose per bene, a parte fumare qualche sigaretta che &egrave la sua massima trasgressione. Leggo ancora un po’, e sono già molto avanti con le pagine del libro, mi prende un po’ il sonno e nel tepore di questo pomeriggio di aprile, mi distendo in terra, e mi lascio abbracciare dal calore del sole.

Quando mi ridesto dal tepore di questo sonno, distesa sul prato, scaldato dal primo sole d’aprile, sono passate, forse, un paio d’ore. Ho fatto un sogno. C’era Sergi, e stavamo mano nella mano, correndo, poi quando eravamo vicini ad un dirupo, lui mi sollevava, E insieme volavamo nell’aria, senza paura, sopra il mondo. Sergi, aveva l’immagine rassicurante e serena di quando l’ho conosciuto nel cantiere, così diversa dall’espressione arrogante e brutale che ieri mi ha mostrato quando facevamo sesso, e anche nell’anima ora mi sento un po’ così, violentata, soprattutto dopo la discussione, avuta con Matteo, dalla sua angoscia.
Ora mi sento in ansia, e quel senso di pace e di armonia che avevo trovato quando sono entrata in questo parco e mi sono seduta, già non c’&egrave più. Avrei voglia di vedere, di incontrare qualcuno, di parlare, di sfogarmi e liberarmi di tutto il peso che porto nel cuore.
Avrei voglia di rivedere Sergi, di parlare con lui, normalmente, anche se mi rendo perfettamente conto che lui &egrave così distante da me, e che probabilmente non capirebbe nulla di quello che gli dovessi dire.
Però non riesco a resistere, e così, istintivamente, gli mando un messaggino. Ciao Sergi, come stai? ho molta voglia di rivederti, cosa fai stasera? Se ti va, ti invito a cena fuori. Io sono libera anche ora, e potremmo fare una passeggiata insieme.
Mi rimetto il casco, e vado a prendere il motorino, parcheggiato fuori dal parco. Vado verso la zona del cantiere, quella in cui ci siamo trovati ieri con Sergi, insomma lui abita da quelle parti, e penso che potrebbe essere in giro a quest’ora di sabato.

Così, viaggiando per strada, attraverso molti dei luoghi che normalmente frequento durante la settimana, mentre il fine settimana non vengo quasi mai da queste parti. E quindi, ecco la strada lungo il fiume contornata dai suoi giardini, il palazzo dove si trova il mio studio, la palestra e il bar, qualche isolato più in là, con poche deviazioni rispetto alla direzione principale, l’officina del commissario Montalbano, in cui prima o poi capiterò per farmi revisionare il motorino. La zona del grande cantiere in costruzione. Oggi &egrave chiuso, le porte sono sbarrate. Il centro commerciale, e quindi la piazza circolare con il giardinetto, in cui ieri mi sono incontrata con Sergi, la strada e la palazzina scrostata dove siamo entrati, le case squallide del quartiere popolare, i panni appesi alle finestre, le scritte sui muri. Faccio due o tre volte il giro dell’isolato, rallentando per quanto possibile, e cercando intorno con lo sguardo, ho una voglia matta di vedere Sergi, ogni tanto mi fermo e dò un’occhiata sul cellulare, per vedere se ha risposto al mio messaggio, quindi mi fermo, parcheggio il motorino, mi tolgo il casco e lo metto nel cofanetto del bagagliaio. Mi infilo dentro il centro commerciale che il sabato pomeriggio trabocca di gente. Uomini e donne che trascinano carrelli vuoti verso il supermercato, il cuore del centro commerciale, o carichi delle cose che con fatica cercano di portarsi via, spingendo carrelli carichi di roba, tornano verso i parcheggi, verso le loro case. Bambini piccoli sistemati sul sedile posteriore del carrello.
All’uscita di ogni cassa o dalle casse di spesa veloce, una fila di gente, che attende il proprio turno per farsi dare i bollini di qualche promozione in corso. Mi infilo dentro un negozio di articoli sportivi, e cerco un po’ di indumenti di ricambio, pantaloncini, magliette, calzini, quant’altro mi occorre per andare in palestra, Penso che in fondo potrebbe essere una buona idea, anche se il sabato non lo faccio mai, quella di andare un’oretta in palestra per scaricarmi,
Scelgo un po’ di capi, quasi tutti un po’ a caso, li appoggio dentro il cestino e mi metto in fila a pagare, tempo pochi minuti sono già fuori dal negozio.
Mi trovo, praticamente di fronte, Cosimo, che sta spingendo un enorme carrello della spesa, con a fianco una donna, che suppongo sia sua moglie. Lui mi fa un cenno appena con la testa, si vede che &egrave imbarazzato. Io mi avvicino, e sorridendo gli dico, ciao Cosimo.
Che ci fai, mi dice, vieni anche il sabato da queste parti, non ti basta venirci tutta la settimana? Gli spiego che mi trovavo qua per caso, e sono venuta al negozio di articoli sportivi. Mi presenta sua moglie. Piacere, Flavia, mi dice. &egrave una bella donna, Si vede che &egrave più giovane di lui, eppure ha un’aria triste negli occhi e il suo sguardo trasuda di infelicità. Lavori anche tu nello studio, mi chiede lei.
Sì, certo, interrompe lui, lei &egrave Simona, ti avevo parlato di lei. Ah no, non mi ricordo, ma piacere, sai, Cosimo non parla quasi mai di lavoro quando &egrave a casa. Sorride timidamente, e questa cosa mi fa tenerezza, si capisce che le sto simpatica al primo sguardo, come capita quando fra persone che si vedono la prima volta si avverte subito una sorta di empatia. Ci salutiamo, loro tornano verso casa, e io verso il mio motorino mi rimetto il casco, metto in moto il motorino, controllo il cellulare. Sergi non mi ha ancora risposto, allora rifaccio il giro dell’isolato, ancora 4-5 volte, allungo il giro, in modo da comprendere altre vie, altre piazze nei dintorni, giro intorno, cercando tra i volti di centinaia e migliaia di persone che camminano. Ogni tanto mi fermo, e faccio qualche centinaio di metri a piedi.
Occhi addosso a me. Maschi che, poco dopo che ci siamo incrociati, si voltano per guardarmi il culo. Un gruppetto di ragazzotti, che commentano ‘che fica quella lì’, ‘hai visto che culo’?
Rientro all’interno del centro commerciale, per dare un’occhiata, poi ancora dei giardinetti, poi ancora di un parco lì vicino, poi mi rimetto il casco, ancora sul motorino, ancora con l’intenzione di fare qualche giro dell’isolato, e finalmente vedo una sagoma, sembra lui, &egrave lui. Non &egrave solo. Passeggia mano nella mano con un’altra ragazza, sono su una via piena di negozi e con poco parcheggio, allora mi accosto con il casco indosso, in un punto nascosto, in modo da poterli vedere bene senza che loro si possano accorgere di me. &egrave una ragazza giovane, avrà almeno due o tre anni meno di me, indossa un vestitino lungo, pieghettato, a fiorellini. Capelli chiari, biondi. Dalla fisionomia e dai modi sembrerebbe una ragazza dell’Est Europa, dal corpo esile e dalla carnagione bianchissima. La linea curva della sua pancia indica in maniera indubitabile che &egrave incinta, di almeno 6 o 7 mesi. Per quanto io sia distante da loro una quindicina di metri, riesco a leggere i tratti del volto di Sergi, che ha l’espressione dolce e premurosa che io avevo conosciuto qualche giorno fa. Lui si ferma, le prende le mani, e la bacia con grande tenerezza. Lei risplende di felicità. Sembra la Venere del Botticelli.
Non provo rabbia né dolore, proprio niente, nemmeno una punta di gelosia, l’abisso che avverto dentro l’anima &egrave di pura solitudine, mi sento la persona più infelice del mondo e la mia vita mi sembra inutile e avvizzita.
Guardo l’orologio, sono le cinque e mezzo, troppo tardi per andare in palestra, che il sabato chiude prima. Mi incammino verso casa, vado a farmi una bella corsa all’aria aperta, ho bisogno di stancarmi, di respirare aria pulita, di far battere il cuore dalla fatica.

Sono quasi le otto, e ho fatto una corsa di circa 10 km nel parco pubblico vicino a casa. Sono rientrata in motorino, e non sono neppure salita per cambiarmi, mi sono messa gli indumenti per correre dentro i bagni pubblici, vicino al parco. Tanta gente va a correre lì, alcuni ci portano a spasso i cani. Sto rientrando, in casa, sudata. Vedo la luce in cucina, e mi sento chiamare, Simona sei tu? In cucina ci sono Miriam e Saverio, stanno cenando.
Deve aver cucinato lui, qualcosa che richiede un abbondante utilizzo di soffritti e burro. Mi chiedono se voglio unirmi a loro, e per quanto io sia anche abbastanza affamata, ringrazio, rispondo di no, che mi aspettano a cena fuori e devo uscire. In realtà non so veramente cosa cazzo fare. Mi avvio verso la camera per farmi una doccia, Miriam, mi corre dietro, e mi dice, aspetta Simona, devo dirti una cosa. Poi sottovoce, e anche con un certo timore, mi dice, scusa Simona, volevo dirtelo prima, ma poi non ci becchiamo quasi mai, volevo solo dirti di stare più attenta, quando giri per casa, quando c’&egrave Saverio, credo che a volte tu ti sia fatta vedere in mutande. Vorrei scoppiarle a ridere in faccia, gli dico solo, come no, &egrave stato la scorsa domenica mattina, e sinceramente non ci pensavo proprio che anche lui fosse in casa, scusami. No no, non preoccuparti, facevo solo per dirtelo, di fare più attenzione. Te l’ha detto lui? Le chiedo. No, no, in realtà l’ho capito da una battuta che lui ha fatto con altre persone. D’altra parte, anch’io sono a casa mia, mi scappa detto così, e vedo che lei allora si sta per infervorare, cosa vuol dire questo, guarda che questo non ti dà diritto di fare quello che ti pare e di girare per casa col culo di fuori! Ok dai, mi dispiace di aver offeso la sensibilità del tuo ragazzo, non succederà più, va bene? Capisce che non &egrave aria, e per quanto lei sia incazzata, non mi ribatte nulla, ma si volta, e se ne va, sbuffando.

Mi metto sotto la doccia, e ci resto a lungo, almeno mezz’ora, mi faccio lo shampoo e il balsamo. Una crema profumata in tutto il corpo. Il mio profumo migliore, che uso per sentirmi bene con me stessa. Mi asciugo i capelli e poi ci passo la piastra, voglio che siano liscissimi.
Cerco nel cassetto la biancheria intima più sexy che ho.
Mutandine di pizzo, reggiseno bianco della stessa serie, che comprime leggermente il seno e sembra che lo faccia esplodere, fondotinta, matita, mascara, lucidalabbra, stasera anche un rossetto brillantinato rosa, abitino dorato, con un ampio scollo davanti e sulla schiena, e gonna corta, morbida, dello stesso colore. Tacco di 10 cm. Sono vestita da rimorchio.

Non ho nessun disegno preordinato in testa, ma penso che mi piacerebbe incontrare Mirko. Lui mi aveva chiesto di chiamarlo, in fondo &egrave passata solo una settimana dal nostro incontro.
Lo chiamo dal mio numero, in chiaro, ma non risponde, forse perch&egrave non può riconoscerlo. Allora gli mando un sms, e gli scrivo solo: ciao, sono Simona.
Esco di casa, mi infilo in macchina, non so ancora dove andrò.

Le dieci e mezzo, sono seduta da sola ad un tavolino di un pub, pieno di tanta gente, ci sono coppie, come anche gruppi di amici. Sto mangiando un piatto da birreria, penne alla vodka che in realtà sono piene di panna, nel bicchiere ho un doppio whisky con ghiaccio. Non &egrave il primo. Nel mio girovagare notturno, mi sono fermata prima ad un bar dove ho mangiato due stuzzichini accompagnati da una birra, seduta a tavolino, e controllando continuamente il cellulare. In un bar successivo, mi sono fermata solo per bere un altro doppio whisky. Quanto ad alcool in corpo, sono praticamente a posto sono in molti ad avermi messo gli occhi addosso, in particolare c’&egrave un tipo, seduto di fronte alla sua ragazza, che mi osserva continuamente.
Con Mirko ci siamo scambiati dei messaggi, nel primo mi ha scritto: Ciao simona, finalmente mi hai cercato, hai voglia di vedermi stasera? Ho risposto semplicemente: Si. E lui: Purtroppo stasera sono già impegnato fino a tardi, ma sono così eccitato dall’idea di vederti, se per te non &egrave un problema possiamo vederci tardi, tipo verso le una o le due. Gli ho risposto: perché così tardi? Devi scopare con qualcuna prima di me? Mi ha risposto seccamente: non ti preoccupare di quello che faccio prima, il meglio lo riservo per te. Stesso posto dell’altra volta? Ok?
Ok, &egrave la mia risposta.
E così sono in giro, a cercare di perdere tempo, vado a pagare la mia cena, mi sento piantati addosso gli occhi di un sacco di uomini, sorpresi dal vedermi in giro da sola, esco dal locale, mi infilo in macchina, e vado giro per una mezz’ora. Vedo una discoteca, la conosco poco, &egrave un posto che ho sempre frequentato di rado, anni fa, perch&egrave &egrave abbastanza fuori mano. Penso che sia il posto ideale per perdere un altro po’ di tempo, proprio perché non conosco nessuno là.

Dentro la discoteca, la pista &egrave quasi deserta, Tutti aspettano che si formi la calca, e pare che si vergognino. Ballo da sola, e non me ne importa un cazzo di tutto quello che ho intorno, mi libero, al ritmo di questa musica di merda e demenziale. Non mi interessa la musica, mi interessa solo il ritmo, sui cubi ci sono due ragazze, e un ragazzo, ma stranamente &egrave una delle ragazze che mi amica. &egrave veramente bella, di una bellezza volgare, ha due tette rotonde che pare gli scoppino, si capisce che sono rifatte. Nessuno balla in maniera spontanea, ma tutti sono solo interessati ad esporre il proprio corpo alla pubblica ammirazione.
Il ragazzo &egrave palestratissimo, fa vedere la tartaruga tirando su la magliettina, si piace così tanto che non riesce a fare a meno di toccarsi le braccia, le gambe, i capelli. Per quanto sotto abbia un gruppo di ragazzine che lo ammirano, e gli facciano un po’ di versi, secondo me lui &egrave pure gay.

Dopo un po’, la pista si riempie, sono in gran parte ragazzini, avranno vent’anni, ventidue al massimo. C’&egrave anche un ragazzetto, piccolino, biondo, che fa lo scemo con me, sarà alto un metro e un cazzo. Lo ignoro, come ignoro tutti quelli che mi sono intorno, mi muovo cercando di concentrarmi solo sui miei passi, sul senso di libertà che provo nel muovere il mio corpo. Sola, in mezzo a tutti, l’alcool che ho dentro il sangue mi avvolge dentro una specie di cappa, assieme al frastuono della discoteca, come se non appartenessi più a me stessa, e non avessi alcun controllo di me.
Ecco, un altro tizio, proprio di fronte a me, &egrave grosso, sarà un metro e novanta, anche più, un centinaio di chili rasato, tatuato, indossa una camicia bianca e dei jeans attillati, scoloriti. Si &egrave messo proprio davanti a me, con sicurezza, si muove come per dirmi, tu non mi sfuggi. Mi allontano, e lentamente, in mezzo alla calca, mi avvicino al bancone del bar, dove devo ancora ordinare la mia consumazione. Un manhattan.
Dopo un po’, il tizio che prima mi ballava di fronte, si pone dietro me, alza la mano e chiede anche lui da bere. Mi sorride, ma &egrave brutto, non mi piace. In mezzo al frastuono, si avvicina per parlarmi alle orecchie, sei sola, mi chiede. Sto aspettando delle amiche, tra poco arrivano, gli urlo. Annuisce con la testa, poi con lo stesso modo di prima, si avvicina ancora e chiede. Me lo fai un pompino? Faccio finta di non aver capito, gli volto le spalle mettendomi di fronte al banco, prendo il mio bicchiere, e cerco di sgattaiolare via di qualche metro, mentre faccio questo, lui, si accalca un passo dietro da me, e mi tocca il culo, approfittando della folla tutta attorno. Istintivamente, in modo repentino, mi volto e gli mollo un ceffone. Reagisce anche lui istintivamente, trattenendomi per le mani come per dire, non si fa, io allora provo a mollargli un altro ceffone con l’altra mano, ed inizio ad urlare sei uno stronzo. Ho mollato il bicchiere in terra che si e frantumato in mille pezzi e in pochi secondi si &egrave fatto un piccolo vuoto attorno a me, lui mi trattiene per le mani, e dopo pochi secondi arriva un buttafuori, che chiede se va tutto bene. Mi aspetterei che costui si incazzasse con il mio molestatore, e invece, chiede a me, hey che succede, perché fai questo? Questo stronzo mi ha molestata, gli dico. Lui allora si avvicina all’energumeno, lo prende per il braccio, e lo fa allontanare, ma senza nessuna particolare veemenza. Un altro ragazzo, anche lui dello staff, mi si avvicina, e dice, anche tu, non provocare però. Ma cosa cazzo dici, gli urlo, &egrave stato questo stronzo a molestarmi, tutti guardano, alcuni seri, altri curiosi, altri sorridono e chiaramente fanno battute tra loro. Dai, mi dice, sei ubriaca persa, si vede da lontano, vedi di andare a casa che &egrave meglio.
Non c’&egrave dubbio, sono in mezzo ad un manipolo di stronzi, vorrei urlare, ma preferisco andarmene.

Dal guardaroba riprendo la mia giacchetta e la borsetta. Prima di uscire, vedo con la coda dell’occhio, dietro le tende del locale da cui si accede alla pista, l’energumeno che mi ha molestato, sta parlando e ridendo assieme ai due buttafuori, che avrebbero dovuto difendermi. Evidentemente si conoscono già, e stanno prendendomi per il culo. Nonostante l’alcool, mi sento umiliata e ferita. Sul cellulare, che avevo lasciato nella borsetta in guardaroba, trovo un sacco di telefonate da Mirko, e anche dei messaggi, con cui mi avvisa che &egrave riuscito a liberarsi dai suoi impegni, e che pertanto possiamo vederci anche molto prima del previsto. &egrave mezzanotte e mezzo.

Il luogo fissato per l’appuntamento &egrave lo stesso parcheggio della volta scorsa, quello in cui ero entrata intimorita e vogliosa solo di andarmene via al più presto. Tutto sommato non dovrei avere meno timore della volta scorsa, in fondo Mirko lo conosco pochissimo, siamo stati assieme non più di una mezz’ora in cui abbiamo fatto sesso senza tanti convenevoli. Mi chiedo se &egrave proprio questo che voglio, ma lascio che sia il mio istinto, a decidere per me, qualcosa che non so controllare, e forse ora meno del solito. Ho rinunciato in discoteca al mio Manhattan, caduto in terra con il bicchiere, e mi sono fermata ad un bar lungo la strada, per prendere un altro doppio whisky. Ho bisogno di non pensare, ho bisogno che il mio cervello non mi risponda più. Ed ecco il parcheggio, questa volta ci arrivo dalla direzione opposta, metto la freccia a sinistra, ed ecco anche la sua macchina, &egrave già lì che mi aspetta. Lui &egrave fuori, in piedi.
Parcheggio la macchina accanto alla sua, spengo il quadro, tolgo le chiavi, chiudo la portiera. Lui si avvicina, sorridendo coi suoi denti radi, stasera &egrave vestito davvero male, indossa una specie di tuta da ginnastica blu.
Wow, accidenti, mi dice, ti sei vestita così da fica per me? Non gli rispondo, lui si avvicina, mi stringe a sé e mi mette la lingua in bocca. Lo assecondo, ma solo per poco, cerco di staccarmi da lui, gli dico ti prego, non qui. Ehi dice lui che hai paura che ci veda qualcuno, e se anche fosse? Andiamo in macchina dai, gli dico.
Allora sale in macchina, anche io apro la portiera e mi siedo accanto a lui. Accende la radio, la stessa inconfondibile musica di merda che aveva messo anche la volta scorsa, sarà un cd, evidentemente questa roba gli piace parecchio. Appena in strada, fatta la manovra, con la mano, mi mette la mano sul ginocchio e la lascia scivolare sulla gamba, quindi, mi infila una mano tra le gambe, per toccarmi la fica sopra le mutandine. Stasera ci divertiamo, mi dice. Istintivamente, mi volto dall’altra parte, a guardare il buio lungo la strada come se la cosa non mi riguardasse. Ed eccola, la stessa stradina della volta scorsa, mette la freccia e ci gira con la macchina, quindi prende la strada sterrata che conduce verso dei campi, eccola, la vigna, c’&egrave uno spiazzo adatto per girare con la macchina, e quindi fa la manovra per girare la macchina nella stessa posizione che poi gli servirà per tornare via.
Perché sei in tuta da ginnastica, gli chiedo. Risponde, abbiamo fatto una partita a calcio tra amici questa sera, avevo solo questo di ricambio, siamo andati a mangiare una pizza fuori, ho visto il tuo messaggio, non ho avuto tempo per cambiarmi, sarei dovuto tornare a casa, ma avevo voglia di vederti, penso che per te non sia un problema, mi sono fatto la doccia e sono profumato senti.
Così, si avvicina a me in modo deciso, irruento, per farmi sentire il profumo che ha addosso, dal suo collo. Non abbassa neppure il sedile, prova a baciarmi così, mi sento imbarazzata, nonostante tutto sento che c’&egrave qualcosa che non va. Mi mette la lingua in bocca, ma stavolta per pochi secondi, perché non lo assecondo. Ehi, ma che ti prende, mi chiede. Non lo so, scusami, non mi sento bene, voglio tornare a casa. Con l’aria scocciata, si mette a sedere sul suo sedile di guida, e si mette a fissare il vuoto, un punto tra il volante dell’auto e il cruscotto. Ma non potevi dirmelo prima, mi dice.

Ma prima sei uscita con qualcuno, che ti sei vestita in questo modo. Sono uscita da sola, gli dico. Ma non eri fidanzata con uno? Mi sono lasciata, gli dico. Ah sì, l’avevi scritto in chat, che lui ti scopava poco e male.
Mi sta infastidendo. Non ci siamo lasciati per questo motivo, gli dico.
L’hai lasciato te o ti ha lasciato lui? Insiste. Ci siamo lasciati, non ha importanza.
Ha scoperto che fai la birichina, di’ la verità. Non ha scoperto nulla, dai, non mi va di parlarne.
Allora &egrave lui, &egrave lui che c’ha un’altra, vero? Può darsi, gli dico.
&egrave così, dice lui con un tono di chi la sa lunga, quando due si lasciano o lui c’ha un’altra o lei c’ha un altro, il resto sono tutte cazzate. Ci sei rimasta male quando lo hai scoperto?
Non ho scoperto nulla, ti prego, non mi va di parlarne. Lo dico in tono definitivo, alzando pure un po’ la voce. Lui si cheta, per pochi secondi. Poi, mi dice, senti, mi hai mandato quel cazzo di messaggio solo per provocarmi? Appena l’ho letto mi &egrave diventato subito duro, e tu lo sai, vero? Non penso che ti sei vestita in questo modo e che mi hai cercato solo per stare con me in macchina a parlare, a quest’ora di notte. Vuoi scopare o no?
Resto in silenzio, qualunque risposta potrei dare, sarebbe sbagliata. Per quanto sia ubriaca e abbia un ridottissimo controllo di me, non provo nessun desiderio carnale. D’altra parte, preferirei essere scopata e sbattuta in tutti i modi, piuttosto che stare qui a parlare con questo idiota.

Mi prende una mano, la sinistra, e la avvicina al suo pacco. Si struscia la mia mano sopra il pacco, mi dice, dai Simona, dai che ti piace il cazzo, vero? Continua così, per farmi toccare la sua eccitazione che sento crescere sotto il panno della tuta. E muoviti dai! Mentre dice così, si avvicina con la testa, e con la bocca come se volesse mordermi un orecchio mi lecca il viso e l’orecchio sinistro il modo volgare, mi afferra per i capelli e io reagisco girando il viso verso il finestrino, dalla parte opposta.
Si allontana da me. Sei una stronza, dice.
Con la coda dell’occhio, vedo che si abbassa i pantaloni della tuta, e anche le mutande, quindi, con un gesto più deciso mi afferra per i capelli e mi dice, dai, ora mi succhi il cazzo, troia.
Oppongo solo poca resistenza, perché in me c’&egrave un misto di paura, e forse anche il desiderio di finire questa storia nel più breve tempo possibile, quindi &egrave la sua volontà a decidere, in pochi attimi sono piegata con la testa e ho il suo membro in bocca, già durissimo.
Lui mi spinge il cazzo in gola, su e giù, muovendo il bacino, e accompagnandolo al movimento della mano con cui mi tiene la nuca per i capelli, e con cui guida il ritmo.
Succhia puttana, succhia. Sì, così, così, lo vedi che ti piace, puttana?
Sono qui, in questa situazione di merda che io stessa mi sono cercata, provo orrore e paura, e nonostante l’ubriacatura mi sento triste e vuota come non mai, cerco di fare il pompino migliore che abbia mai fatto nella mia vita, anche se non &egrave la mia passione.
Vedi che ti piace il cazzo, troia? Continua, così, così. Succhia. Se il tuo fidanzato non gli riesce ci penso io a darti il cazzo che ti manca, troia.
Ora mi muove la testa con ambedue le mani, Anzi &egrave con la sinistra che fa una maggiore forza, la destra la allunga verso di me, mi vuole toccare il sedere, alza la gonna e si infila con la mano sotto la gonna e dentro le mutande. Mi stringe forte le natiche, si infila sotto, nelle pieghe della mia intimità. Essendo tutta piegata in questo modo, tengo le mani appoggiate sulle sue cosce, sono belle, calde, muscolose, attraenti. Forse la cosa che mi piace di più e sentire il calore del suo corpo che mi arriva dalle sue belle gambe da calciatore.
Brava, continua, così così.
Il suo &egrave un bel corpo di ragazzo formato da anni di sport, profuma ancora di doccia, e piegata in questo modo sento salire attraverso le narici il calore e l’odore della sua pelle, il sapore del suo sesso, e per quanto sia un’esperienza degradante, sa di buono. Mirko ha aperto i finestrini dell’auto, la serata &egrave calda, a differenza di una settimana fa, in mezzo al suo respiro ansimante, e alle sue parole oscene, che prova piacere a rivolgermi, posso sentire i rumori della notte.
Ora sta a me leccarti, puttana. Dice così, &egrave in pochi secondi mi &egrave addosso, con il viso sul mio, il suo corpo addosso, le sue mani, ha abbassato il sedile, e velocemente con la mano libera, la sinistra, mi solleva la gonna e mi fa calare le mutandine. Ti sei vestita da troia e non volevi scopare, volevi solo rompere il cazzo vero? Per farti sbattere senza pietà, vero?
Ha mandato il sedile poco avanti e lo ha disteso, quindi ha sollevato le gambe e mi ha fatto salire con la schiena distesa, più su che poteva, in modo da avere spazio per entrare con il viso sotto di me, mi sta leccando, la vagina e il clitoride, con avidità famelica, senza nessuna dolcezza, si capisce che &egrave una cosa che gli piace, perché trova rapidamente i punti che mi danno piacere, come se avesse bisogno di convincermi che quello che voglio &egrave proprio questo, essere solo un buco, una cagna in calore che desidera essere presa dal suo maschio.

Sono totalmente passiva e succube a lui. Mirko &egrave frenetico nel realizzare il suo disegno. Immagino che tra un po’ mi salirà sopra e mi prenderà in questa posizione. Mi sento come stordita, incapace di cambiare qualunque sua scelta. Vorrei che mi scopasse, ora.
In modo inaspettato, apre la portiera del lato sul mio lato. Esce fuori, e mi tira per le mani nello stesso tempo. Dai vieni, si fa meglio fuori. Non so cosa voglia fare, non mi va di uscire dall’auto perché l’ambiente chiuso dell’auto mi fa sentire, in qualche modo, protetta. Ma sono succube della sua volontà, alla fine lascio che sia lui ad accompagnarmi, mi tira fuori dall’auto strattonandomi senza che io opponga nessuna resistenza. Lo assecondo. Appena sono fuori, mi si piazza davanti, mi mette una mano sul culo e l’altra sul seno, la lingua in bocca. Mi sento instabile in piedi, in bilico sui tacchi, sopra il terreno sconnesso.
Sei una gran fica vestita così, e ti voglio scopare con i tacchi indosso, dice.
Mi fa girare, &egrave così voltata, mi fa appoggiare con i fianchi sul cofano dell’auto, un fuoristrada blu metallizzato, quindi mi costringe a piegare il busto in avanti.
Solleva il vestito, arrotolandolo sopra la schiena, di modo da lasciarmi sotto completamente nuda e disponibile, si piazza dietro di me, appoggia le ginocchia contro la parte posteriore delle mie gambe, così da tenermi bloccata, si avvicina col il viso al mio, sento il suo fiato sul collo, mentre la punta del suo membro mi accarezza il solco delle grandi labbra.
Non lo metti il preservativo, gli chiedo. Hai paura che ti ingravidi, stai tranquilla, che nemmeno io mi fido, dice.
Immagino che si stia infilando il profilattico, perché si stacca da me, per una ventina di secondi, restando solo con le ginocchia appoggiate dietro per tenermi ferma in questa posizione, e quindi si rimette nella stessa posizione di prima, ma stavolta mi infila una mano davanti, come se volesse dilatare la mia apertura con le dita, mentre con la punta del membro cerca di spingere dentro.
Piegati di più, e spingi il culo in fuori, ecco brava, così’ lo sento entrare, e lo fa in modo brusco. Fa male, così.
Da dei colpi forti e secchi con l’addome, costringendomi a piegarmi ancora di più in avanti, quindi mi afferra i capelli con la mano sinistra con la destra in sculaccia, restando appiccicato a me, e prendendomi di striscio sul fianco. Sento il suo addome, le ossa del suo bacino, che sbattono sulle mie natiche.
Hai un grandissimo culo, ti piace fartelo fare eh? Ti piace, troia? Lo prendi anche nel culo, scommetto.
Ora mi sta sbattendo a un ritmo più sostenuto, non mi piace stare piegata così, mi sembra di essere un accessorio, come lo &egrave la sua macchina, servo a lui nello stesso modo, per essere asservita alla sua volontà.
Mi gira la testa, e mi dà fastidio toccare con le mani il cofano dell’auto, anche se &egrave pulito, sono frastornata dall’alcol e dalla situazione.
Ti piace, eh ti piace.
Non posso dire che non sia vero, in fondo sto godendo, provo piacere e, insieme, senso di repulsione, non volevo forse questo, non pensare a niente, alienarmi da tutto, sentirmi solo un buco da riempire?
Ora te lo metto nel culo, hai capito? Lo aveva detto anche la volta scorsa, me lo ricordo, e poi non lo aveva fatto, gli serviva dire questo per eccitarsi.

Ma lo tira fuori dalla vagina, e ci prova davvero, stavolta. Si sputa nelle mani, e mi infila due dita insalivate nel retto.
Gli dico no, ti prego, questo no, non voglio.
Che c’&egrave, mi dice, il tuo fidanzato non ti ha mai inculato, non ci credo, dai.
Toglie le dita, sono bloccata in questa posizione dalle sue gambe e dal suo corpo piegato sopra il mio, sento che spinge con la punta del suo membro per entrarmi dietro, mi sembra un dolore sopportabile, poi improvvisamente uno strappo, un colpo violento del suo addome. Un dolore lacerante, mi sento le viscere dilaniate.
Togliti, ti prego, togliti.

Cosa c’&egrave, non ti piace? Vedrai che con me ti abitui presto, puttana. Toglilo ti prego, mi fai male, lo imploro piangendo. Mi ha preso per i capelli, e con forza mi tiene la faccia piegata, la guancia appoggiata sopra la lamiera del cofano della sua auto, mentre lui mi sta sbattendo.
Ho voglia di morire.
Smettila, ti prego.
Ho quasi fatto, mi dice. La speranza che finisca presto mi fa stringere i denti. Ma dura ancora un bel po’, e glielo ridico ancora, smettila, ti prego. Lo imploro. La fine di questa tortura, &egrave segnata dagli ultimi colpi del suo bacino, più forti e più secchi dei precedenti. Puttana, puttana. Ha finito.

Allenta la presa dei capelli, e dopo alcuni secondi si stacca completamente. Si solleva con le ginocchia, lasciandomi libera.

Mi ricompongo con difficoltà, sollevandomi dal cofano della macchina, faccio fatica a camminare con i tacchi alti sul terreno sconnesso e sassoso della vigna.
Rientro in macchina, lì ritrovo i miei slip sul tappetino in terra, mi piego e li infilo. Lui &egrave ancora fuori, si &egrave tolto il preservativo, si avvicina, e mi chiede se ho dei fazzoletti di carta, Cerco un pacchetto, frugandomi nella borsetta e glielo porgo, &egrave ancora intero, lui lo prende e, di fronte a me, si pulisce come se per lui fosse la cosa più naturale del mondo farmi vedere come lo fa. Quando ha fatto, si tira su le mutande e i pantaloni della tuta, getta i fazzoletti sporchi per terra, fa il giro della macchina passando da dietro, e si rimette al posto del guidatore. Grazie, mi dice.
Rimette in moto, solita stradina per uscire da questi campi, si immette sulla strada principale, e più avanti ecco il parcheggio dove ho lasciato la macchina, svolta e, prima di fermarsi, allunga la mano verso il mio viso e mi dà una carezza.
Scusami, mi dice, sono stato un po’ irruento stasera. Allontano la sua mano, infastidita. Allora parla in modo un po’ lamentoso e piagnucolante, mi dice, devi capire anche me, sinceramente mi &egrave girato il cazzo che non mi hai chiamato, pensavo che tu fossi sparita e francamente penso che non mi avresti chiamato se non ti fossi lasciata con il fidanzato, io sono così, mi conosco, mi fanno incazzare queste cose. Non gli rispondo, lui si ferma, e appena vede che mi slaccio la cintura ed esco di macchina, senza nemmeno accennare a salutarlo, mi dice, sei ubriaca fradicia e ti puzza l’alito di alcool, comunque.
Gli sbatto la portiera in faccia, senza nemmeno lasciarlo finire di parlare, rientro in macchina, mentre lui si &egrave già avviato sgommando e si &egrave allontanato, in pochi secondi.
Sono sicura, non lo rivedrò più, ma ero sicura anche sabato scorso che non lo avrei più visto, invece eccomi ancora qua, umiliata e distrutta, incapace di gestire la mia infelicità e la mia solitudine

Sulla strada di ritorno, puttane. Macchine che si fermano per trattare. Cosa c’&egrave di diverso tra me e loro? Loro per necessità, io per incapacità di vivere.
Sul cellulare, ho vari messaggi di Matteo che mi chiede dove sono.
Dove sono.
Da sola, dentro una macchina, perduta nella notte.
Perdutamente.

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