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Racconti Erotici Etero

Possederla a tutti i costi

By 19 Novembre 2013Dicembre 16th, 2019No Comments

La vidi per la prima volta a lavoro. E come fare a non notarla? E’ una di quelle donne bellissime che non sanno di esserlo o fanno di tutto per nasconderlo. Forse non tutti gli uomini sono in grado di notare donne del genere; può darsi che la maggior parte di essi non guardino le donne veramente belle, ma solo quelle più provocanti, che lasciano spazio alle fantasie.
Ma io non sono così. Io adoro la pura bellezza, e so scovarla anche quando è celata.
Se ne stava lì seduta a frugare tra le scartoffie, indossava un maglione marrone con i bottoni francamente orrendo, capelli raccolti in una crocchia, pantaloni larghi e ballerine. Un abbigliamento comodo, da lavoro si potrebbe dire, ma inguardabile. E non è vero che tutte si vestono così, ogni giorno mi sfilano davanti Monica e Sara, le mie due segretarie sulla trentina, gonne attillate e camicette sbottonate al punto giusto: ma non ho più interesse per loro. Sono delle facili, me le sono sbattute qualche volta in ascensore e nel bagno, ma nulla di più.
Ebbene sì, mi si potrebbe definire uno “sciupafemmine”, un dongiovanni… a me le donne piace scoparmele e piantarle in asso. Non me ne importa niente e non mi è ancora capitato che qualcuna mi facesse coinvolgere anche sentimentalmente.
Ma torniamo a noi: la nuova arrivata frugava tra le scartoffie sgraziatamente e si attirava gli sguardi malevoli e canzonatori delle altre due segretarie. Era decisamente una goffa, ma a quanto pare il suo curriculum le aveva valso la raccomandazione e così me l’ero ritrovata in studio, come terza segretaria.
I primi giorni sinceramente avevo dato troppo peso al suo modo di fare impacciato e all’abbigliamento. Quando si presentò alla mia scrivania con una pila di cartelle in mano e il caffè nell’altra, per poco non aveva combinato un disastro, inciampando nella moquette.
Alzai appena lo sguardo: “Il tuo nome?”
“Eleonora, s-sono… la nuova segretaria. Ho i d-documenti che mi ha chiesto…” rispose.
“Ah, sì. Prego li appoggi pure qui, grazie.” le dissi indicando il legno lucido del tavolo.
Lei obbedì e uscì di scena con aria scompigliata.
Quando arrivò l’ora di pranzo decisi di uscire a mangiare un boccone; l’ufficio era deserto, evidentemente erano tutte uscite per la pausa pranzo.
Proprio mentre stavo per varcare la soglia dell’ufficio, ci ripensai e decisi di andare in bagno prima. Quello che non mi sarei mai aspettato era di ritrovarmi davanti una scena indimenticabile.
Eleonora era in piedi davanti allo specchio in reggiseno e top attillato, il brutto maglione in una mano e un fazzoletto imbevuto d’acqua nell’altro.
Si girò di scatto verso di me con gli occhi sbarrati e cominciò subito a balbettare: “O-oh… mi scusi io… è che il caffè… sul maglione… c-cercavo di toglierlo” e arrossì violentemente.
“No, no tranquilla, faccia pure” e richiusi la porta. Quello che avevo fatto in tempo a vedere erano i suoi magnifici, sodi, alti seni. La pelle bianca e brillante delle braccia e del petto. Il ventre piatto e tonico. Possibile che sotto quell’orribile abbigliamento si nascondesse quel corpo da favola?
Mentre mi dirigevo verso il bar all’angolo, non potevo smettere di pensare a lei. Ma quando tornai in ufficio e la rividi con il maglione addosso non ci pensai più.
Nei giorni successivi non accadde nessun altro episodio rilevante, tranne che Sara riuscì a farsi scopare un’altra volta sollevando la gonna di fronte alla mia scrivania e mostrandomi la sua figa liscia e depilata. La trascinai nella stanza dell’archivio e me la sbattei contro il muro, ma a fine amplesso non vedevo l’ora che se ne andasse.
Avevo però iniziato ad osservare in modo diverso Eleonora: mi attraeva e non mi attraeva, c’era qualcosa di magnetico in lei. Forse era il fatto che al contrario delle altre due puttanelle non mi sbandierava la figa in faccia e non implorava di essere scopata. Era come se vivesse in un modo suo, faceva solo il suo lavoro e a fine giornata si dileguava, lei e i suoi orrendi maglioni.
Notai per esempio che sotto gli occhiali da lettura e la crocchia c’era un bel viso: occhi castani grandi, labbra rosse e carnose, bei denti. La pelle era liscia e non aveva nemmeno un’imperfezione, cosa che non si poteva dire delle altre due visto che portavano qualche chilo di fondotinta. Eleonora era sempre struccata e non sembrava che gliene importasse molto. Con il passare del tempo cominciai a pensare che era davvero una bella donna, solo che, come dicevo all’inizio, non lo sapeva e non si atteggiava a tale. Così tra un lavoro e l’altro, passavo le mie ora in ufficio a lanciarle sbirciatine dal vetro dello studio finché non divenne un chiodo fisso scoprirne di più su di lei. Cambiai anche il mio atteggiamento nei suoi confronti, divenni più gentile e la guardavo in viso, sorridendole. Questo sembrò metterla più a suo agio tanto che smise di balbettare e aveva un’aria più rilassata.
Un giorno le dissi apertamente che poteva anche darmi del tu e dopo qualche reticenza, lei accettò.
“Ti andrebbe di scendere a pranzo con me?” le chiesi. “Come?” credeva di non aver capito bene.
“Sì mi farebbe piacere se pranzassimo insieme, sai, possiamo parlare di lavoro… e altro”.
Lei sembrava perplessa e un po’ preoccupata: “C-c’è qualcosa che non va? Ho fatto qualcosa?” disse torcendosi le mani.
Le spiegai che non era nulla e allora sembrò calmarsi e accettò. Andammo a pranzo e riuscii a farmi raccontare un po’ della sua vita: appresi che viveva da sola, era single, amava leggere e andare a teatro. Io tentai di raccontarle un po’ di me ma per tutto il tempo lei sembrò un po’ imbarazzata come se si sentisse fuori luogo. Capii che avrei dovuto agire diversamente per provare ad avvicinarla. Così feci una mossa avventata: la invitai a cena.
Dopo qualche tentennamento rispose di sì, ma non sembrava aver capito le mie intenzioni, forse credeva che fosse una specie di cena formale, di lavoro. Era così stramaledettamente insicura… e attraente.
Giunta la sera della cena si presentò con un vestito lungo fino alle ginocchia e un altro dei suoi orribili maglioni sopra. Avrei voluto strapparglielo di dosso e urlarle “Ma come cazzo ti vesti? Mostra le tue favolose tette!” ma ovviamente mi trattenni.
La cena andò bene, discutemmo del più e del meno e lei dovette accorgersi che il lavoro non c’entrava proprio nulla perché arrossiva spesso e si attorcigliava una ciocca di capelli sfuggita alla crocchia. Aveva avuto il buon senso di non indossare gli occhiali e i suoi occhi mi risultavano davvero attraenti. “Posso accompagnarti a casa?” le dissi quando uscimmo dal ristorante. Lei accettò anche perché si era fatto tardi ed era venuta con i mezzi pubblici. Quando accostai con la macchina di fronte casa sua scesi per accompagnarla al portone; notai che era confusa, si era resa conto del mio interessamento nei suoi confronti e non sapeva come comportarsi. Quel suo essere così modesta e ingenua me la faceva desiderare ancora di più e non capivo come una donna così bella potesse non rendersi conto di quello che poteva fare a un uomo.
A fine serata però mi rivelai io il vero ingenuo: senza pensarci due volta le misi una mano intorno alla vita e la tirai verso di me. Le respirai a pochi centimetri dal viso e la baciai, tentando di schiuderle le labbra serrate con la lingua. Per un attimo mi sembrò che ci stesse ma sentivo le sue mani posate sul mio petto irrigidirsi sempre di più, finché, nel momento in cui le afferravo un seno da sopra il maglione e sentivo di che morbida e soda consistenza era quella meraviglia, lei mi spinse via con tutta la forza che aveva e aperto il portone in due secondi, mi lasciò allibito e solo in mezzo alla strada.

***

Il giorno seguente non si presentò in ufficio. Monica mi disse che aveva chiamato dicendo che non si sentiva bene e che si prendeva un giorno. Io ero più perplesso che mai, quasi arrabbiato. Ma che avevo fatto di male? Come si permetteva di respingermi? Nessuna donna mi aveva mai respinto a quel modo. Era veramente una stupida, probabilmente ero l’uomo più attraente che le fosse mai capitato, non sapeva cosa si perdeva. Tormentato da questi pensieri passai una giornata di merda e quando tornai a casa fui quasi tentato di telefonarle ma il mio orgoglio me lo impedì. Ciononostante il fatto di essere stato respinto proprio da lei non aveva fatto che aumentare a dismisura il mio desiderio nei suoi confronti. Volevo possederla a tutti i costi.
Il pensiero della sua morbida bocca e del suo seno me lo facevano venire duro come la roccia e avrei tanto voluto ficcarglielo in bocca e farmelo succhiare per poi passarlo in mezzo a quello splendore di tette.
Ma capii che per ottenere quello che volevo non dovevo arrendermi e soprattutto avrei dovuto giocarmela bene. Prima di addormentarmi mi masturbai come un matto e mentre i fiotti di caldo sperma schizzavano dal mio cazzo marmoreo socchiusi gli occhi e pensai a lei: Eleonora.

Quando tornò in ufficio inizialmente feci finta di niente e così fece anche lei. Quando cercai di affrontare l’argomento lei taceva e abbassava lo sguardo e capii che così non saremmo mai riusciti a parlarne.
Allora decisi di aspettare la fine della giornata e quando chiudemmo l’ufficio la raggiunsi in ascensore e cominciai a parlarle. “Ne dobbiamo parlare. Cosa ti è preso l’altra sera?” le dissi prendendola per le spalle.
Lei mi guardò con aria quasi terrorizzata, ma capì che non poteva più fare la vaga e quindi si sforzò di rispondermi. “I-io… non avevo capito che… tu… insomma, non credevo che io ti piacessi” mormorò.
La guardai con aria interrogativa e lei continuò: “Io… non sono il tipo di donna che credi… non so… tu sarai abituato a ben altro… mi vergognavo… forse è meglio lasciar perdere”. E abbassando lo sguardo, tentò di liberarsi della mia stretta. Io fermai l’ascensore tra i piani e la feci appoggiare alla parete. “Tu mi fai impazzire” le sussurrai in un orecchio e tentai nuovamente di baciarla. Lei fece per scansarsi ma le afferrai il mento e la tenni ben ferma. Il solo assaporare quelle morbide labbra me lo fece alzare e quando sentii che anche lei rispondeva al bacio intrecciando la sua lingua con la mia, mi divenne duro come il marmo.
Eccitato come non mai, cercai con le dita l’apertura a zip dei pantaloni e una volta aperti glieli calai. Lei si irrigidì ma io continuai a baciarla e con una mano le portai la braccia sopra la testa, dove gliele tenni ferme, mentre con l’altra mi insinuavo nelle sue mutandine. Quando le mie dita scivolarono sul pube tra il morbido pelo insinuandosi tra la calda apertura lei gemette e arrossì. La baciai sul collo e lei socchiuse gli occhi e aprì leggermente la bocca: ce l’avevo in pugno. Lentamente le infilai il medio nella stretta apertura e la sentii umida e avvolgente. Con il pollice le massaggiavo il clitoride pulsante, guardandola godere e gemere ritmicamente.
Il mio membro era talmente gonfio che avrebbe spaccato i pantaloni: ero eccitato da morire ma sapevo che non potevo avere tutto subito. Così mi inginocchiai, e senza che lei avesse il tempo di fermarmi le calai ulteriormente le mutandine e mi fiondai con la bocca sul suo sesso insinuando la lingua tra le dolci labbra, leccando il suo caldo umore e assaporando quella figa meravigliosa.
I suoi gemiti aumentarono e ogni volta che la mia lingua passava sopra al clitoride la sentivo quasi tremare. Con le mani le divaricai ancora di più le cosce, volevo che fosse mia, volevo averla tutta, volevo quella figa succosa. Tornai ad infilarle un dito nell’apertura e nel frattempo lavoravo il clitoride con la lingua finché in un coro di gemiti e fremiti, la vidi inarcare il busto e un fiotto di umore mi inondò le labbra: era venuta. Leccai tutto il suo dolce succo e quando mi alzai in piedi, il rigonfiamento dei pantaloni più grosso che mai, ammirai la scena: era ancora poggiata alla parete, le gambe divaricate, la figa gocciolante, il petto ansante e gli occhi ancora chiusi. E non era finita qui.

***

Dopo quell’episodio feci finta di ignorarla per qualche giorno. In realtà a casa mi masturbavo come un pazzo e dovetti scoparmi un’altra donna per scaricare la tensione del mio cazzo; ma non c’era nulla da fare, ognii volta che pensavo a lei mi tornava su dritto come un tronco. Lei non cercava di mostrare alcun segno che le importasse, ma c’erano piccoli dettagli che dimostravano il contrario: si era sciolta i capelli e il maglione a bottoni era stato sostituito da un golfino più leggero che lasciava finalmente intravedere il seno. Quando veniva alla mia scrivania non aveva più l’aria impacciata ma una finta aria svogliata che secondo lei stava a significare “Lo so che sei uno di quegli uomini, mi hai usata e ora non ti importa più di me. Ma io voglio farti vedere che non mi importa e che sono migliore di quanto tu creda”. Ah, come le conosco le donne. Se solo avesse saputo quello che realmente stavo tramando.
Quando infatti ritenni che la situazione fosse cotta a puntino la avvicinai dopo il lavoro e la invitai a casa mia.
Lei rifiutò, ma sapevo che in realtà moriva dalla voglia di spalancare le gambe per me. Infatti non dovetti insistere per convincerla ad accettare. Per tutto il tragitto in macchina mantenne la sua finta apparenza fredda e svogliata e io le diedi corda.
Una volta entrati a casa però, bastò uno sguardo.
La sollevai di peso e la buttai sul mio letto. “Guarda che non so se voglio” mi disse con aria sprezzante. Mi avvicinai e le porsi una cosa che avevo acquistato qualche giorno prima: “Io ora vado in bagno. Quando esco voglio che tu abbia questo addosso” . Non aspettai nemmeno che mi rispondesse.
Quando rientrai in camera la trovai distesa tra le lenzuola con indosso un perizoma che metteva in risalto il suo culo perfetto e sodo, un bustino in cui il seno entrava a fatica, degli autoreggenti che avvolgevano le sue cosce perlacee.
I capelli sciolti le ricadevano sulle spalle e incorniciavano quel viso meraviglioso i cui occhi scintillanti mi pregavano di farla mia.
Ancora prima che potessi toccarla lei si avvicinò con il viso ai miei pantaloni e me li sbottonò. Il mio membro era eretto e pulsante e dava scossoni vogliosi da sotto gli slip. Cominciò a sfregare le labbra sul tessuto che ricopriva il mio cazzo: non mi sembrava vero, finalmente la timida e impacciata Eleonora si stava lasciando andare. Con le dita affusolate mi sfilo gli slip liberando il mio cazzo gonfio; mi leccò tutta l’asta dalle palle fino alla punta della cappella. Poi appoggiò le sue morbide labbra sulla punta e lentamente le dischiuse facendo scivolare il mio grosso cazzo nella sua bocca calda.
Me lo succhiò con maestria, come non mi sarei mai aspettato da lei: la sua lingua me lo accarezzava e me lo faceva gonfiare ancora di più, ogni volta che scivolava a fondo verso la sua gola. Ad un tratto decisi che era giunto il momento di farla mia. La baciai e cominciai a baciarle il collo scendendo lentamente verso il seno. Con le mani gliele toccavo e con la lingua leccavo e succhiavo i capezzoli turgidi, titillando con la lingua. Scesi con la bocca lungo il ventre, leccandole l’ombelico e l’inguine. Cominciai a baciarle l’interno delle cosce mentre gliele divaricavo e sfilandole il perizoma la baciai nuovamente con ardore. Mi abbassai per assaporare di nuovo il suo umore ma questa volta mi spinsi più giù leccandole l’ano e masturbandola con un dito nella figa. La vedevo inarcare il busto e gemere fortemente, in preda al piacere e al desiderio. Il mio cazzo ormai stava per esplodere, così la presi peri fianchi e la girai mettendola a pecorina. Lei sollevò le natiche e appiatti il ventre sul materasso schiacciandoci contro le sue tette e poggiando la testa di lato. Mi guardò con i suoi occhi imploranti che dicevano solo “Dammelo! Ti prego dammelo!”. Non mi feci pregare.
Puntai la mia asta contro il suo rosso sesso gocciolante di umori e appoggiai la cappella proprio in mezzo all’apertura. Glielo sfregai su e giù sulla figa mentre le stringevo le natiche e guardavo le sue dita affondare con le unghie tra le lenzuola.
E poi proprio mentre l’eccitazione era al culmine, lo spinsi dentro con forza. Il mio membro pulsante venne inghiottito dalla sua stretta, calda, umida fessura. Era così stretta e bagnata che gemetti come un animale e con le dita divaricai le natiche guardando il mio grosso uccello mentre penetrava la figa di Eleonora. Lei gemette a bocca aperta, un rivolo di saliva all’angolo della bocca.
Cominciai a spingere dentro e fuori, dentro e fuori in preda ad un’esaltazione formidabile. Quella figa risucchiava il mio uccello come fosse dotata di vita propria, la sentivo contrarsi attorno al mio cazzo, quella figa lo voleva più di qualunque altra cosa.
La feci alzare e la sbattei a terra: lei mi fece fare. Con una mano le tenevo la testa schiacciata sul pavimento freddo, con l’altra mi tenevo in equilibrio sopra di lei per affondare dentro a quella fantastica fessura. Le davo dei colpi fortissimi e mi sentivo affondare sempre di più in lei. La presi per i capelli. “Ti piace eh? Sei proprio una gran puttanella, lo sapevo fin dall’inizio” ruggii. “Sì…oh, sì” mi rispose lei con la voce rotta dai gemiti. La feci alzare e mi sedetti sul letto: le feci cenno di salirmi sopra. Lei fece come volevo e mi montò sopra. Il modo in cui muoveva i fianchi e si dimenava per sentirlo meglio mi facevano impazzire, mente la baciavo le mordevo le labbra, strizzavo i seni con vigore, le sculacciavo con forza il culo. Eleonora era la cosa più bella ed eccitante che mi fosse mai capitata: sudata, mezza nuda, con i seni che sballonzolavano fuoriuscendo dal bustino mezzo sbottonato, i suoi fianchi che roteavano e la figa che inghiottiva ritmicamente il mio cazzo, ero in paradiso. Improvvisamente la vidi aprire ancora di più la bocca, irrigidirsi e cacciare un urlo di piacere. Subito dopo si rilassò e si abbandonò su di me, ansante: dal suo sesso sgorgava liquido inebriante che mi colava sulle palle. La presi e la misi supina sul letto e divaricai le gambe tenendole per le caviglie e sollevandole più in alto che potevo.
Entrai dentro di lei e glielo stantuffai dentro scopandomela come una bestia, sbattendoglielo fino in fondo, sfondando quella sua figa stretta e ruggendo di piacere. Alla fine sentii che non potevo più tenermi e estratto il mio cazzo gigantesco schizzai litri di sperma sulla sua figa, sul suo seno e sul suo viso. Mi abbandonai su di lei, due corpi ansanti e bagnati di sudore, sperma e secrezione vaginale. Era stata la scopata più bella della mia vita. Ero completamente preso da lei, lei era il sesso incarnato in donna.
Sapevo che non ne avrei mai avuto abbastanza.

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