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Racconti Erotici Etero

Quando non te lo aspetti…

By 23 Febbraio 2010Dicembre 16th, 2019No Comments

Rientravo a casa, sfinita, dopo un’estenuante giornata tra tirocinio e lezione, recuperando, dalla cassetta e dal pavimento, la posta che il postino aveva, senza troppa attenzione, consegnato. Luce, gas, pubblicità, la cartolina della mia migliore amica in vacanza all’estero, ed un ultima lettera, LA lettera, che aspettavo da settimane.
Scartavo con mani tremanti la busta bianca che portava l’intestazione “Università degli studi di xxxxxxx” nella quale era contenuto il risultato del concorso per la partecipazione ad un importante progetto di ricerca scientifica. “Il magnifico rettore… bla bla… il presidente del corso di laurea… bla bla… visto il decreto… bla bla… le comunichiamo che ha superato a pieni voti l’esame d’accesso al progetto di cui sopra e l’invitiamo a fornirci al più presto la sua preferenza circa la sede in cui intende partecipare”.
Attimi di incredulità, prima di sbottare in un “Oh yes!” e varcare l’uscio di casa con un sorriso a 32 denti stampato in viso.
Restava solo da decidere la sede.. Torino o Venezia? Perfettamente equivalenti, ma optai per la prima semplicemente perchè meglio collegata con la mia città d’origine.
Avvisai i miei genitori ed il mio ragazzo, il quale naturalmente non appariva particolarmente felice all’idea che la sua dolce metà si trasferisse altrove per almeno sei mesi, ma, come si suole dire, ubi maior, minor cessat.
Adesso, restava solo una persona da avvisare…

Due settimane dopo, ero in attesa del mio volo, aprì il portatile e mi collegai alla rete wireless dell’aeroporto
“Tra due ore atterro a Torino, sarò li per motivi di lavoro. Se dovessi deciderti, mi trovi al’ospedale XXXX, basta chiedere della Dr. Rossi”. Mail spedita, mentre l’altoparlante annunciava l’inizio dell’imbarco.
Due ore dopo, mi infilavo dentro un taxi, riparandomi dal vento gelido di Torino. Un salto nell’appartamento affittato per me dall’università per posare le valigie, e poi dritta verso l’ospedale, ansiosa di conoscere lo staff con cui avrei lavorato.
Le giornate passavano in fretta, una dopo l’altra, giorni interi a lavorare in laboratorio ed in reparto, totalmente presa dal progetto, da dimenticarmi di tutto il resto.

Stò compilando una cartella clinica, è tardissimo, non vedo l’ora di tornare a casa ed infilarmi a letto, ma… il cercapersone comincia a suonare. Noto spazientita il numero, il centralino, mi chiamano all’ingresso, chissà per quale motivo.
Sbuffando percorro velocemente i viali del policlinico, non immaginando chi mi stà aspettando pochi metri più in la. E’ quando noto quegli inconfondibili particolari, che mi ricordo della mail spedita solo poche settimane fa, e sul mio viso si disegna un espressione che oscilla tra paura, sorpresa e felicità.
“Buonasera dottoressa” mi dice, porgendomi la mano.
“Salve capo!” replico, in una solida stretta di mano. “A dire il vero ero certa che non venissi”
“In effetti l’idea era quella, ma..” non continua.
Attimi di silenzio..
“Sia lode al “ma” dunque. Ti va di vedere dove lavoro?” chiedo.
Annuisce con un sorriso.
“Bene, seguimi!”
Chiacchieriamo del più e del meno, mentre ci dirigiamo verso i laboratori, casualmente gli ultimi edifici infondo agli interminabili viali. La tensione che va affievolendosi e l’imbarazzo iniziale del tutto scomparso, ci consentono di riprendere il tono vivace delle nostre solite conversazioni.
“Sei esattamente come ti avevo immaginato” dico.
“Posso dire la stessa cosa. Anche se io partivo avvantaggiato!” risponde ridendo.
Altri secondi di silenzio, rotto soltanto dai crepitii dei sassolini del marciapiede sotto i nostri passi, quando una morsa calda mi afferra il polso e mi porta dietro una siepe, al riparo dalla luce dei lampioni e da occhi indiscreti. Pochi attimi e le nostre bocche si cercano, e le lingue si incontrano, una sua mano dietro la nuca, l’altra scende lungo la schiena, fermandosi laddove questa si incurva, continuandosi col sedere.
Io, in punta di piedi, come raramente mi è capitato per baciare un uomo, mi intrufolo dentro il suo cappotto, incrociando le mani dietro la sua schiena, godendomi quel piacevolissimo tepore.
“Freddo?” mi chiede sottovoce.
“Il camice non tiene caldissimo, ahimè” replico ridendo “Riscaldami tu!”.
Riprende a baciarmi, mentre, con i lembi del suo cappotto, copre anche la mia schiena, offerta, quasi inerme, al vento tagliente.
Mi sciolgo tra le sue braccia, complice il piacevolissimo tepore che adesso mi pervade.
“Ti va di venire da me?” dico io, staccandomi malvolentieri da quelle labbra.
“Me lo chiedi?” replica, mentre le sue braccia si stringono ancora dietro la mia schiena.
“Oh, l’uomo impossibile che tutte si contendono ha ceduto alla fine. Sei proprio un puttano!” rispondo, scoppiando entrambi in una sincera risata. “Andiamo, dunque, lasciami solo prendere le mie cose”.
L’ospedale non dista che un centinaio di metri da casa mia, e pochi minuti dopo, sono occupata nel difficile tentativo di inserire le chiavi nella toppa per aprire la porta. Compito arduo che richiede qualche secondo, visto che continuo a baciarlo e le sue mani scorrono lungo tutto il mio corpo, non consentendomi facili movimenti.
Gemito di approvazione quando sentiamo la porta finalmente aprirsi, fiondandoci dentro in un attimo.
In men che non si dica i cappotti finiscono per terra, i nostri corpi avvinghiati, sul letto, iniziano frettolosamente a spogliarsi l’un l’altro, e le bocche non hanno smesso per un attimo di baciarsi con foga.
Volano per terra, a pochissimi attimi di distanza l’uno dall’altro, magliette, pantaloni slip e boxer. Questi ultimi tolti con maestria con il quasi esclusivo uso delle gambe, il che, naturalmente, porta all’inevitabile conseguenza di non riuscire ad apprezzare appieno le fattezze del suo membro, ma di sentirmi immediatamente penetrata da questo, in un rapido movimento di lombi. Sento il glande sbattere contro il collo dell’utero, restando li fermo per qualche secondo.
Lo guardo. “Ti voglio, scopami!” lo imploro, fissandolo negli occhi. Obbedisce, muovendosi adesso con movimenti lenti, ma profondi. Inizio a mugolare, reclino il capo, porgendo il collo indifeso ai suoi denti ed alle sue labbra, mentre le mie mani afferrano i suoi glutei, spingendoli ritmicamente verso di me. Accelera, senza togliere nulla alla profondità degli affondi, portandomi in breve sull’orlo di un potentissimo orgasmo, che scoppia, gemendo, ansimando, e graffiando la sua schiena con la mie unghia.
Mi guarda, gli sorrido.
“Ne voglio ancora!” gli dico a voce bassa, spostandomi sopra di lui.
Prova ad afferrare i seni, ma blocco i suoi polsi, portandoli sopra la testa e tendendoli fermi con le mie mani, sporgendomi inevitabilmente in avanti, quando basta per portarle le tette esattamente sul sua bocca. Inizio a cavalcarlo velocemente,, continuando a godere terribilmente nonostante l’appena sopraggiunto orgasmo, aiutata anche dal meraviglioso tormento che la sua lingua ed i suoi denti donano ai miei capezzoli. La posizione mi consente un pieno controllo della penetrazione, quindi, lascio libere le braccia, così che le sue mani abbranchino la carne del bacino, aiutando anche il suo a venirmi incontro negli affondi, riempiendomi completamente.
Con enormi difficoltà riesco a trattenermi, procrastinando ancora ed ancora l’arrivo del secondo orgasmo… per il quale ho altri progetti in mente.
Rapidamente mi alzo, sfilando il suo membro da me. Mi accuccio al suo fianco e lo prendo in bocca, assaggiando il sapore dei miei umori. Adesso, posso finalmente ammirare le fattezze di quel meraviglioso cazzo, analizzandole con la lingua, attentamente, centimetro dopo centimetro, e stimolando lentamente i testicoli con le dita.
Mugola, evidentemente apprezzando quel trattamento.
“Perchè hai smesso di scoparmi? Non ti piaceva forse” chiede.
“Tutt’altro, mio caro. Ma ha bisogno di una lubrificazione aggiuntiva per il posto in cui si accomoderà adesso” replico facendogli l’occhiolino. I suoi occhi si aprono in un’espressione di stupore ed eccitazione, quest’ultima testimoniata anche da un improvviso guizzo del turgido membro che stò amorevolmente sbocchinando.
Sorrido, recupero rapidamente dell’olio johson dal bagno, lo spalmo sulle mie mani, strofinandole quanto basta a farlo diventare caldo, quindi, comincio a segarlo, spargendo l’olio lungo tutta l’asta ed il glande.
Poi, come una gattina, a quattro zampe e sorriso sornione, mi inginocchio ai piedi del letto, con il busto appoggiato al materasso, fissando il mio graditissimo ospite.
“Vieni dietro” lo invito. Lentamente esegue, portandosi dietro di me. Seguendo il mio esempio, lascia gocciolare un pò d’olio sul culetto e lo accarezza. Prima le natiche, poi, lo strettissimo buchino, penetrandomi lentamente prima con un dito, poi con due. Prosegue l’operazione per qualche minuto, lasciando che lo sfintere si rilassi, prima di sentire anche il glande premere contro di esso. Entra, senza troppe difficoltà. Trattengo il respiro, cercando di tener rilassati i muscoli per tutto i tempo che occorre all’asta per farsi strada nel mio stretto intestino. Quindi, quando si è accomodato dentro per intero, afferra il bacino ed inizia a muoversi lentissimamente.
Chiudo gli occhi, godendo di un misto di dolore e piacere, sospirando ad ogni affondo. Le sue mani percorrono la schiena, il collo, e di nuovo scendono, sui fianchi, risalendo subito dopo, portandosi in avanti, così da poter stringere i seni, e strofinare piacevolmente i capezzoli tra pollice ed indice. Riscende, dedicandosi questa volta al clitoride, tormentandolo rudemente coi polpastrelli, mentre, la muscolatura anale, ormai rilassata, consente una penetrazione più facile e veloce.
Mugolo, ansimo, gemo. “Continua, continua a scoparmi il culo, ti prego!” lo imploro, sopraffatta dal piacere.
Sento di non riuscire più a trattenermi, lo sfintere si contrae ritmicamente, denti e pugni afferrano il lenzuolo, lasciando esplodere in un soffocato gemito l’orgasmo più potente mai avuto.
Frattanto, i suoi movimenti si son fatti più rapidi e convulsi e i suoi sospiri più profondi e frequenti. Stà chiaramente per venire, e voglio che lo faccia nella mia boccuccia.
“In bocca, lo voglio in bocca. Voglio sentire il sapore del tuo sperma!”.
“Agli ordini, dottoressa” replica, alzandosi e porgendomi il suo cazzo, sul quale, golosa, mi avvento. Di nuovo, mani e labbra, in sincroni movimenti, segano l’asta, la lingua saetta sul glande ed i miei occhi fissi nei suoi, lo osservano godere per mezzo della mie bocca. Scosta i capelli dal mio viso, per godersi al meglio quello spettacolo, quindi, seguendo con la mano sul mio capo i veloci movimenti, viene, in un animalesco grugnito. Reclina indietro il capo e scarica dentro le mie fauci fiotti roventi di sperma, che ingoio amorevolmente, prestando particolare attenzione a non lasciarne cadere una goccia.
Volge di nuovo gli occhi lucidi per il piacere verso i miei, mi sorride, e, sfinito, si accascia sul letto. Seguo il suo esempio, rilassando le lasse membra sul materasso, ed attendendo che le funzioni vitali tornino a valori fisiologici.
“Fame?” chiedo.
“Molta!” replico.
“Ordino un paio di pizze?”
“Anche quattro” risponde “La notte è lunga…”
Morpheus:

Apro gli occhi come se avesse suonato una sveglia infernale.
In realtà sono immerso in un silenzio beato, nell’aria un delicato odore di pizza e di sudore, sul mio petto la testa castana di una donna bellissima il cui respiro calmo tiene un ritmo ipnotico che sa di naturalezza e spensieratezza.
Di colpo io invece vengo investito dalla consapevolezza di cosa significa trovarmi in quel letto.
Montagne di bugie, tradimento delle promesse più profonde e delle persone più importanti, il rinnegare di quello che dicevo a me stesso di essere da qualcosa come sei anni.
Mi muovo con cautela, causando solo un paio di mugolii alla meravigliosa musa tentatrice che dorme nuda e beata nel suo letto.
I miei piedi nudi non producono suoni sul pavimento freddo e raggiungo il bagno in fretta e silenzio.
Faccio scorrere l’acqua un po’, per far si che si scaldi, fissando il flusso piuttosto che lo specchio, temendo di scoprirmi cambiato nel riflesso.
Mi sciacquo il viso e finalmente mi guardo. Occhi neri, segnati appena dalla notte non esattamente di riposo, capelli neri e scompigliati, barba di un giorno. Un essere umano dopotutto, nessun demone.
Mi infilo sotto la doccia, lavandomi velocemente e uscendone ancora prima che il rumore possa svegliarla.
Mentre mi asciugo i capelli, frizionandomi con l’asciugamano, la sua voce mi fa sobbalzare.
-Ciao capo. Dormito bene?-
Sulla soglia lei, nuda e sorridente, bella come il peccato mi guarda.
-Ciao.-
-Cos’è quel tono?- Mi chiede, ed è già col suo corpo completamente pressato contro il mio.
L’imponderabile morbidezza dei suoi seni, unita al premere duro dei capezzoli sulla mia pelle è già fonte di un inquietante distrazione, a cui lei aggiunge una mano curiosa che saggia lo stato della mia attrezzatura laggiù in basso.
-Potevi aspettarmi lì nella doccia. MMh ti avrei insaponato la schiena.- Dice, mentre il lavoro della sua mano e la pressione del suo petto già mi stanno conducendo fuori dalla poca lucidità che pensavo di aver recuperato.
Le fermo il polso e mi scosto leggermente da lei.
-Non pensi che quello che abbiamo fatto sia sbagliato?-
Sento le sue dita stringersi un po’ troppo attorno al cazzo. I suoi occhi sono d’improvviso due fessure.
-Sensi di colpa post orgasmo Signor Perfettino?-
Le sue parole feriscono perché scoccate con cura proprio al centro del bersaglio.
-Non ti ho costretto e non sembravi così dispiaciuto di scoparmi il culo, meno di sei ore fa.-
-Lo so. Non sto dando la colpa a te.-
-No? Allora cos’è? Ottenuto quello che volevi stai cercando di scaricarti la coscienza?-
-Non è così. Tu non capisci.-
Di colpo mi lascia e mi spinge via.
-Perché tu sei sposato e io no? Che razza di stronzata è questa? Anch’io ho tradito ieri sera. Perché dovrebbe essere diverso?-
-Non è la…- Non finisco, annichilito dalle sue urla.
-FUORI! NON FINIRE LA FRASE, QUALUNQUE SIA LA STRONZATA CHE STAVI PER DIRE. FUORI! FUORI E SPARISCI. TRA UN MESE TORNAVO A CASA, NON POTEVI TENERE IL CAZZO NEI PANTALONI ANCORA UN PO’?-
Non oppongo resistenza eppure ho l’impressione che riuscirebbe a buttarmi fuori del bagno anche se lottassi. Indietreggio e, non appena sono fuori dell’arco della porta, lei mi sbatte la porta in faccia.
-FUORI DALLE PALLE. Quando esco.. quando.. esco non ti voglio… trovare… …lì…- La sua voce rotta viene interrotta dallo scrosciare della doccia io fisso un attimo la porta ma in realtà sto già raccogliendo le mie cose in giro per la stanza.

Torino è una città estremamente brutta da girare se non conosci i posti ed io non solo non li conosco, ma vago per la città senza meta e senza intenzioni.
Le ore scorrono lente come un film noioso da cui non ci si può sottrarre e i miei piedi mi portano dove vogliono loro.
So dov’è parcheggiata la mia auto, ma non so più come raggiungerla. Mi sono perso. Cammino cammino e cammino ancora, finché la grigia enorme sagoma del policlinico non si staglia contro il cielo quasi bianco.
Ora posso orientarmi eppure i miei piedi si dirigono da soli all’interno della struttura.
Passo davanti al banco dell’accettazione ed un’infermiera che c’era anche ieri mi fa un cenno di riconoscimento.
-La dottoressa Rossi?-
-Nel suo studio, al terzo. Chi annuncio?-
-Sono il suo fratellone. Gli dica proprio così. Ma mi farebbe il piacere di avvertirla tra un minuto esatto?-
Sorrido all’infermiera che, avendomi già vista in compagnia della Dottoressa, non fa storie.
Corro sulle scale come un fulmine, arrivando al terzo in un lampo. Scorro le targhette sulle porte fino a trovare l’ufficio della Dottoressa Rossi.
-Il mio fratellone?- Sento da fuori. Poi il rumore della cornetta e infine la porta si apre, con me che la afferro per le spalle e la spingo di nuovo dentro.
-Che cazzo? Cosa vuoi. Lasciami!- Mi dice, furiosa, ma senza urlare.
-Non verrò mai più a Torino.-
-Chissenefrega.-
-Non verrò mai al tuo paese.-
-Ci mancherebbe.-
-Non ti dirò mai dove trovarmi.-
-Vaffanculo. Tra dieci minuti vengono a prendermi per il giro visite. qualsiasi cosa devi dire dilla.-
-Non voglio che il tuo ultimo ricordo di me sia una lite.-
-Troppo tardi.-
Appoggio le labbra alle sue, che le serra cocciutamente. Sono costretto a desistere.
-E quale sarebbe l’ultimo ricordo che vorresti lasciarmi, questo bacio ridicolo?- Dice, traballante.
-Voglio che ti ricordi il mio cazzo che esplode dentro di te.-
-Tra nove minuti e mezzo…-
La bacio di nuovo e questa volta risponde. Le mie mani sono già una sotto la sua maglia e l’altra a risalire la sua coscia destra.
-Basteranno.-
Volteggiamo nel piccolo ufficio, finché lei non finisce contro il lettino visite. A quel punto la sollevo e ce l’appoggio sopra, infilando entrambe le mani sotto la gonna e strappandole gli slip. Le nostre bocche non si schiodano nemmeno per un istante, le sue mani dietro la nuca, le mie poggiate sui suoi fianchi che l’attirano a me, un secondo di slacciamenti furibondi e sono dentro.
La furia con cui i nostri bacini si scontrano fa vacillare il lettino che sbatte e risbatte contro il muro di cartongesso.
-Ci sentiranno!- Dice tra un gemito e un bacio.
L’afferro per i glutei e la sollevo, girandomi su me stesso con le sue gambe incrociate dietro la schiena. L’appoggio delicatamente a terra, riprendendo immediatamente a scoparla con la stessa irruenza di prima.
-Si! Si! Brutto stronzo! Scopami!-
Incrocia di nuovo le gambe dietro la mia schiena e comincia a stritolarmici in mezzo.
-Scopami! Scopami! SIIIIII-
Godo stretto nella sua morsa terrificante ed il mio orgasmo esplode dentro di lei, come le avevo promesso, con ancora un paio di minuti a disposizione rispetto al suo ultimatum.
Mi libera ed io posso risollevarmi, poi l’aiuto a sollevarsi ma lei si butta in ginocchio e mi guarda con aria perversa.
-Che… che fai?- Le chiedo.
-L’ultimo ricordo che io voglio di te è il tuo cazzo che esplode, ma nella mia bocca.- Risponde, lappandomi il cazzo, che cominciava a perdere l’erezione.
-Tra due minuti vengono a prenderti per il giro visite…- Protesto.
-Basteranno.- Dice ed il mio cazzo sparisce nella sua bocca, stretta all’inverosimile mentre con una mano si aiuta nel pompino e con l’altra si insinua tra le mie chiappe, titillandomi l’ano senza riguardo.
Si muove velocissima, senza darmi un secondo di tregua, il mio cazzo è super sensibile dato il precedente orgasmo ma sento immediatamente le contrazioni di un nuovo meraviglioso piacere, spandersi dai testicoli fino alla cappella che prende a pulsare all’impazzata.
-SI! SI CAZZO! VENGO! ACCIDENTI! VENGOOOO!- Strillo venendo nella sua bocca, finalmente immobile, con le mani serrate sulla sua testa, tremando.
Quando si solleva in piedi e si sistema la gonna, si sta succhiando il labbro inferiore.
-Ora il tuo ricordo mi accompagnerà tutta la mattina.- Dice. -Ed anche a te- E mi prende per la nuca, baciandomi, con la bocca ancora piena del mio sapore.
-Dottoressa Rossi? Il giro visite!- Dicono da fuori, bussando.
-Quelle puoi tenerle per souvenir.- Mi dice, avviandosi alla porta e indicandomi le sue mutandine a terra.
-Addio Dottora.- Le dico.
-Ci vediamo su Facebook Capo.- Risponde. Ed è fuori, dall’ufficio e dalla mia vita reale, in cui ha fatto un unica, incredibile, inaspettata, incursione di due giorni.

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