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Ricordo di un’estate

By 21 Giugno 2017Dicembre 16th, 2019No Comments

Ricordo di un’estate

Purtroppo il tempo passa per tutti e anche io sono arrivata a oltrepassare il quarto di secolo. Vivo e lavoro in una grande città e sono fidanzata piuttosto seriamente da anni. Ho avuto solo due partner in vita mia ma nessuno ha mai potuto possedere completamente le mie fantasie: il mio forse eccessivo pudore mi ha impedito di scoprirmi completamente dinanzi ad altri. Forse ci sarà tempo e voglia di farlo, o forse no.
Ad esempio, a nessuno ho mai confessato quanto fossi narcisista sessualmente. Spesso mi bastava spogliarmi e ammirare il mio riflesso allo specchio per sconvolgermi e, sebbene ami il mio fidanzato, ci sono state occasioni in cui l’orgasmo finale giungeva ad esplodermi in grembo solo osservando le mie gambe tese al cui termine due piedi piccoli e affusolati si distendevano quale ornamento puntiforme del mio corpo che allora veniva posseduto. In altre occasioni mi ricordavo di alcuni piaceri solitari che mi ero concessa in passato. Non ho mai ecceduto con l’autoerotismo, lo centellinavo badando più alla qualità che alla quantità, fatta eccezione per giorni particolari, ma, specie d’estate, vi sono state occasioni in cui non ne potevo fare a meno. In particolare durante un’estate magica, quella irripetibile, quella dei 20 anni.

Per riposarmi dagli esami universitari avevo deciso di andare in villeggiatura per un paio di settimane in un paesino di montagna dove risiedevano i miei zii, i quali avevano un figlio unico più piccolo di me, di nome Gabriele, un diciottenne che non potrei definire di bellezza abbagliante, ma in cui gli accenni di sviluppo mascolino stavano conferendo una sensualità soffusa, ma non indifferente.

Mentre a molti la campagna e la montagna, l’assenza di locali notturni nelle immediate vicinanze, di quel che si può definire con la locuzione “casino”, avrebbero potuto suggerire un soggiorno noioso, per una ragazza tranquilla come me quello era il paradiso. Mi beavo di respirare quell’aria fresca, di camminare a piedi nudi sulle piastrelle del grande balcone o sull’erba, di cullarmi dolcemente al sole mai troppo caldo mentre ero mollemente sdraiata sul dondolo a leggere i miei libri preferiti o a scambiarmi messaggi con le mie amiche facendomi raccontare le loro vacanze. Rispondevo anche con leziosa malizia a vari maschietti che mi ronzavano attorno, attratti dalla grazia del mio corpo ormai pienamente sviluppato e dalla magnificenza del mio viso che tutti consideravano “ancora da bambina” con occhi grandi e innocenti, contorni regolari e labbra a cuore. Non portavo un filo di trucco, ma non credo di essere mai stata così avvenente come quell’estate. Quando mi cambiavo gli abiti per indossare semplici shorts di jeans o un gonnellino abbinati ad una t-shirt o una camicetta, a volte anche un abito estivo al ginocchio, mi eccitavo al riflesso del mio corpo. Avrei voluto essere un uomo per possedermi con estrema passione. Non l’ho mai detto a nessuno, ma non era raro che, così nuda, mi baciassi allo specchio dell’armadio a muro. Alitavo sullo specchio fino ad appannarlo e poi leccavo con la mia lingua rosata il riflesso appoggiando poi le labbra in un bacio simulato di pretenziosa illeceità. Mi sentivo bene con me stessa e nulla offuscava la mia serenità. Avrei desiderato cogliere in costume adamitico i raggi del sole, baciata dal loro calore e dalla forza vivificatrice, ma ero sempre circondata dagli zii, da mio cugino o dai conoscenti di questi. Mi limitavo quindi a quelle fughe con me stessa all’atto di vestirmi o, ancor prima, di svestirmi per la doccia. Tuttavia, non mi sfioravo perché ho sempre desiderato avere tempo e tranquillità per dedicarmi completamente a me stessa: fare l’amore con me stessa non era solo una banale locuzione, ma quello che intendevo quando pensavo a sfiorarmi.

Nel corso di quei giorni diventai la confidente di mio cugino, quasi una sorella maggiore di sangue conforme. Scorgevo quanto mi guardasse, volesse parlami e quanto cercasse le mie attenzioni e, non essendo una supponente menefreghista, mi legai a lui sinceramente. Malgrado avessi 20 anni, adoravo regredire d’età e sentirmi ancora una fresca adolescente. Iniziammo quindi a fare insieme passeggiate nel bosco con la scusa di cercare funghi o raccogliere more. Non c’era malizia in quelle uscite, erano rilassanti e, sebbene fossi consapevole di attrarlo sotto ogni aspetto, non v’era da parte mia alcun pensiero men che onesto. Lo vedevo seguirmi quasi timido mentre gli aprivo la strada tra le fronde boscose quasi come se il maschiaccio fosse la sottoscritta. Non era un ragazzo alto: arrivava sugli 1,78, non troppo più di me, che arrivavo, come tuttora, al metro e 73, ma era robusto e abbastanza muscoloso. “Allora Gabriele fammi capire bene, ce l’hai la ragazza, finora non sei mai stato chiaro a riguardo. Spiegami un po'” mi divertivo rompendo il ghiaccio. “Te l’ho detto che mi piacere Virginia. Ci sono uscito qualche volta”-“Bene, parlamene un po’che tipo è? Cosa le piace? Io ti posso pur sempre dare qualche consiglio dal lato femminile”.-“E’molto bella ovviamente, capelli nero corvino, spesso raccolti sulla nuca, occhi grandi e labbra a cuore come te. Non si trucca eccessivamente, anche se ama vestirsi con abiti molto femminili, tacchi e gonne abbastanza corte. Sta simpatica a tutti a scuola. A quanto ne so non ha mai avuto storie vere e proprie alle spalle. Ma su questo è riservata”.-“Ah, bene, pare una brava ragazza. E, dimmi, perché non ti sei mai fatto avanti?”.-“Il fatto è che ci sono in classe e a scuola ragazza più grandi, più carini e sicuramente una che è ritenuta da tutti attraente non si metterebbe mai con uno come me”. -“Sbaglio gravissimo, ogni ragazza è a sé. C’è a chi piacciono ragazzi più grandi, poi quelle cui non importa nulla dell’età, basta stare bene col proprio ragazzo. E poi, alla fin fine, che hai da perder?. Cerca di dichiararti e farti avanti”. -“Lo so ma è che ho paura che, in caso mi rifiutasse, mi prenderanno in giro per secoli”.-“Meglio non avere rimpianti in questo caso” tagliai corto con un sospiro complice.
“A te, Deb, non manca il tuo ragazzo?”-“Veramente non troppo. So stare bene con me stessa”.-“Ma una ragazza come te non è corteggiatissima ovunque?”-“Sì lo ammetto e a volte è solo un fastidio, proprio per questo mi trovo bene qui con voi dove tutto è tranquillo” e gli scompigliai i capelli castani in segno di fraterno affetto.
In un’altra occasione, durante una di queste passeggiate, la conversazione si fece più audace. Gabriele mi chiese direttamente come fosse fare l’amore e quando mi fossi concessa la prima volta. Mi confidò di avere solo baciato e fatto petting con alcune ragazze al mare o al campo estivo. Ridacchiai io stessa imbarazzata dall’avanzata imprevista di quella intimità.

Quelle innocenti confidenze nulla avevano a che fare con quello che accadde quella calda domenica di inizio luglio, quasi sette anni fa.
Gabriele era uscito per un giro in bici, io mi ero andata a riposare sul’amaca all’ombra e mi dipingevo le unghie dei piedini di smalto trasparente. Decisi quindi di fare anche io un giretto rigenerante in mezzo alla natura. Mi inoltrai quindi tra i prati appena falciati inebriandomi di quel profumo di fieno e lievemente stordendomi anche per il caldo che saliva da quei campi riarsi. Quei calori mi avvolgevano come carezze precorritrici di un possesso estatico intriso di una lussuriosa pulsione. Trovavo tutto molto sensuale tanto che percepivo il mio corpo vibrare e il mio intimo che si stava bagnando copiosamente aderendo al mio sesso in un tutt’uno eccitante. Indossavo un abito color pervinca molto leggero che arrivava a metà coscia. Quel giorno, forse per la calura eccessiva, non indossavo il reggiseno tanto che i capezzoli premevano contro il vestito per effetto di alcuni refoli di aria più fresca che talora si alzavano stuzzicandoli. Il vestito non era troppo aderente, ma morbido, per cui non sarebbe comunque stato possibile scorgerli se non appuntando attenzione smodata. Lo ammetto: ero molto eccitata e mi sentivo accaldata: non avevo rapporti da settimane e da ancor più tempo non mi ero sfiorata. Il contatto delle gambe con degli arbusti o ramoscelli , o persino steli d’erba lunghi, era sufficiente per riscuotere in me la sensualità più ferina e imprevista. Avrei voluto spogliarmi e magari donarmi un orgasmo, lì in quel fitto bosco dove ero ormai giunta: il passaggio dal caldo al fresco garantito dalla coltre frondosa aveva decisamente acuito in me il bisogno impellente di toccarmi: ormai stava diventano martellante, anche se per ora il cervello e la razionalità sbarravano la strada alla perdizione avventata. Ma proprio mentre ero sballottata da tali pensieri dissoluti, incerta se realizzarli sul momento o etichettarli come follia temporanea da dominare e soffocare, fui distratta dalla visione della bicicletta di Gabriele stesa a terra sotto un albero di noci. Preoccupata, potesse essergli successo qualcosa, iniziai a perlustrare la zona, ma, non so perché, non lo chiamai subito. Ad un certo punto intravvidi dietro le fronde una forma umana distesa. E priva di vestiti per giunta. Mi appostai meglio , trattenendo il respiro per non far rumore e quello che vidi mi mozzò il fiato. Gabriele completamente nudo che si accarezzava con foga il pene eretto, un membro di ottime dimensioni, debbo confessare. Sentii come una vertigine: non avevo mai sorpreso prima un ragazzo a trastullarsi. Subitaneamente avvertii una scossa al basso ventre frammista a una sensazione di calore indistinto erompere dall’inguine. Cominciai a fremere. Avrei voluto togliermi tutto lacerandomi i vestiti e apparendo orgogliosamente in tutta la mia bellezza selvaggia. Le mie cosce tese quasi tremavano per lo choc della scoperta. Involontariamente mi stavo eccitando ancora di più per quella nuova situazione. Lo sentivo sbattere la pelle che ricopriva il suo pene. Udivo il rumore che la pelle che ricopriva il glande produceva per la gran quantità di succhi sparsi lungo l’asta. L’area del glande, in particolare, era violacea, mentre, anche a distanza di alcuni metri, potevo scorgere le venature sul suo sesso eretto. Mi chiedevo come avesse fatto a non sentirmi sopraggiungere. Forse doveva essere talmente preso in quell’atto di autoerotismo, o forse, colto dalla lussuria, non aveva più alcun interesse a celaresi: voleva solo esplodere. Sinceramente, pur sessualmente turbata, capovolsi istinti impellenti e la mia mente ritrovò le sue briglia: non volevo spiare la masturbazione di mio cugino, così decisi di tornare sui miei passi. Purtroppo, posando incautamente il piede sopra alcune foglie secche, provocai un rumore come di trapestio cui rispose a mo’di eco quello proveniente dalle fronde ove Gabriele si stava regalando piacere. Mi girai e purtroppo incrociai lo sguardo di Gabriele nudo e tutto impiastricciato di sperma. Ne era uscita davvero una quantità notevole, mentre ero girata in quel maldestro tentativo di evasione. Grandi rivoli di seme colavano da sopra l’ombelico sin dove s’era spinto il getto potente di quell’adolescente, altri colavano fino ai peli pubici e alle cosce per la forza di gravità. Gabriele aveva ora un viso terrorizzato e pareva improvvisamente impallidito e intontito per la scoperta che avevo fatto. “Deb, non dirlo a mamma e papà ti prego. Non so cosa mi è successo, ero solo molto eccitato da stamane, non lo facevo da molto…”. Vedendo che era quasi alle lacrime per l’umiliazione e l’imbarazzo, non potei far altro che intenerirmi e tranquillizzarlo senza però avere il coraggio di avvicinarmi a lui. “E’una cosa normale, specie quando si è giovanissimi, anche se forse dovresti seguire il mio suggerimento e provarci con Virginia. Vedresti che sarebbe un piacere ancora superiore avere rapporti segnati da un sentimento autentico. Comunque, ti confido una cosa…anche io oggi sono molto eccitata e non mi sarebbe dispiaciuto farlo. Anzi non ci fossi stato tu, chissà….”. A quella confessione d’impeto, vidi che Gabriele deglutì e impallidì ancora di più e poi, con la voce bassa e quasi roca: “Ti piacerebbe farlo qui con me ora, Deb? Ho ancora molta voglia”. Dinanzi a quella richiesta mi sentii una sorta di pedofila corruttrice. Io avevo due anni più di lui, ero sua cugina e non volevo certo accadesse qualcosa tra noi. Ma l’eccitazione che mi saliva dal cuore della femminilità era giunta ad un punto tale che mi obnubilava i pensieri più razionali. Incosciente dichiarai guerra e sconfissi il mio eterno pudore, mia guida e mio carceriere. Esso, mio vanto, si dissolse d’un lampo. Tolsi le scarpe da ginnastica quasi fossero incandescenti tenaglie. Mi alzai in punta di piedi e sfilai le mutandine che già percepivo grondanti. Un sospiro di brezza si fece strada tra i petali della mia intimità tanto che dovetti esalare un sospiro inavvertito. Ritta in quel modo, ridacchiai tesa e imbarazzata, poi la mano destra scivolò sul ventre piatto e sodo, circumnavigando l’ombelico che lo decorava. Poi sprofondò maldestra e lussuriosa sui primi peli pubici che tenevo accorciati a coprire il Monte di Venere. Poi, non trovando più ostacoli, sprofondò verso le cosce, il loro interno, già bagnato dei primi rivoli di eccitazione, per poi allargare le grandi labbra gonfie e ben lubrificate. Il venticello mi scompigliava i capelli sul viso accarezzando al contempo quelle labbra che ora aprivo oscenamente. La sensazione di calore era ormai giunta all’apice. Desideravo aumentare il godimento dei primi sfioramenti trattenendomi più che potevo. Poi non ce la feci più e aprii anche le piccole labbra piene di umori che non chiedevano altro che di essere tormentate senza freni. Tutto il nettare scivolò fuori come da un otre di vino socchiuso. Adoravo sentirlo sgorgare. Lentamente. Spalancai anche quei petali fino a scoprire il clitoride, esponendomi quale angelo senza ritegno sospirando ai raggi del sole che nell’oblio mi cullavano.

Anche senza sfiorarlo mi iniziai a contorcere dal piacere tesa in audaci torsioni delle membra sospirando profondamente. Gli occhi febbrili del color delle nocciole erano ancora puntati su mio cugino che si era nuovamente adagiato con la lascivia della prima gioventù nella precedente posa masturbatoria. Non potei fare a meno di notare che il membro che aveva appena espulso il seme, la cui punta estrema era ancora lucida e ingrossata, aveva rinnovato il suo vigore sospinto da carezze leziose e dal mio atto sfrontato di accarezzarmi. A quella vista inserii l’indice e il medio della mano destra nell’antro della mia vagina che sentii calda, vischiosa e colante. Anzi pulsava trasmettendo impulsi al cervello che ne veniva sommerso e stordito. Appoggiai quindi la schiena contro un tronco di castagno, per mantenere l’equilibrio, alzando un piede e puntandolo contro la corteccia. Poi, sollevando il vestito, mi misi in ginocchio e, in quella posizione, iniziai a cavalcare tre delle mie stesse dita che presi ad affondare tra le pareti zuppe del mio sesso. Mentre godevo aspiravo il profumo fruttato del mio respiro che ancora risentiva dei lamponi che avevo assaggiato per dessert. Il cervello registrava lampi confusi che mi trasponevano in un’altra dimensione: non mi pareva più di appartenere a questo mondo, mentre stillavo gocce di rugiada dalla mia rosa aperta. Ogni affondo aveva un’immediata corrispondenza nei sospiri sommessi che emettevo con sempre maggior frequenza. Nel frattempo anche la masturbazione di Gabriele proseguiva ininterrotta e a pieno ritmo: a momenti mi giungevano al naso le fragranze mascoline che venivano effuse dal suo pene turgido. Anche lui sospirava cercando di sincronizzare il suo ritmo con il mio. Decisi quindi di togliermi del tutto l’abito che avevo spostato sopra l’ombelico. Me ne liberai agilmente, emettendo poi un gemito incontrollato. Per un attimo la mia mente lontana chissà dove fu illuminata dalla consapevolezza della situazione: ero completamente nuda, con il sesso spalancato e colante a neanche un metro di distanza da mio cugino, anch’esso nudo e col pene in piena erezione. Non credevo avrei mai vissuto una situazione simile. Forse più che maliziosa ero e sono davvero troppo innocente, ma neanche nelle mie fantasie più sfrenate avevo pensato a qualcosa di simile. Il mio viso, che percepivo accaldato e rovente, doveva sicuramente essersi arrossato, mentre il piacere trattenuto veniva sciorinato con sospiri e gemiti. Penetrandomi con le mie mani, cercavo di gustarmi ogni spinta chiudendo a tratti gli occhi: il pudore era quasi scomparso, ma faceva talora capolino e allora non riuscivo a fare altro che proiettarmi e immergermi in un frammento di quella realtà sospesa. Quindi mi sdraiai, anzi adagiai sfinita dall’erotismo, titillandomi violentemente la clitoride, mentre ripulivo con la lingua gli umori delle dita che mi avevano posseduto. La mia fessura era spalancata e libera, penetrata solo dalla brezza dell’entroterra .Gemevo, come una troia perduta non potei fare a meno di pensare, e mi mordicchiavo il bel labbro inferiore quasi fino a farne uscire del sangue tergendomi poi le labbra con la lingua. Avrei voluto uno specchio a mia disposizione, un riflesso a restituirmi quelle espressioni di amore per sensi e bellezza. Ero ora completamente aperta dinanzi a mio cugino che non cessava di andare su e giù con la mano lungo la sua asta arrogantemente puntata verso il cielo. O verso di me, pensai con estremo imbarazzo. Tutto il liquido pre-eiaculatorio scendeva lungo il glande e lui non si peritava dall’assaggiarlo. A quella vista intrisa di lascivia, inserii due dita dentro il mio sesso, due falangi che avrebbero desiderato sbattermi contro l’utero, affondare nell’empireo della mia femminilità, coglierla, distruggermi di piacere. Non ne potevo più e mai avevo goduto tanto: era estremamente difficile evitare di raggiungere subito l’orgasmo, posponendolo per aumentarne l’effetto successivo. L’ indice, il medio e anulare dell’altra mano non smettevano di titillare il clitoride gonfio. I peli pubici erano ormai impiastricciati di umori. Stesa su un cuscino di muschio, col capo appoggiato sopra una sorta di parete di terriccio rinsecchito, ammorbidita da un tappeto d’erba, mi sollazzavo protendendo il bacino e le gambe in alto. I piedi giungevano a lambire due piccoli alberi di betulla alla mia destra e alla mia sinistra. Ero così affusolata e divaricata che le piante dei miei piedi, appoggiati a quegli alberi erano solo a una ventina di cm da quelle di Gabriele che era ora posizionato proprio di fronte a me. Scorgevo il suo buchetto ricoperto da peluria, i grossi testicoli probabilmente ancora colmi di seme, l’asta di colore scuro e il glande violaceo. Anche lui distruggeva il suo sesso con violenza e animalesca lussuria. La mia fica era aperta e martellata da entrambe le mie mani, provavo sensazioni straordinarie e mia provate prima, tanto che il respiro era elaborato e ansimante. Stavo impazzendo di piacere. A momenti rallentavo per ritardare l’orgasmo. Cercavo di far durare più a lungo possibile quell’inatteso e violento piacere:cessavo la masturbazione furiosa per carezzarmi dolcemente le grandi labbra, oppure aprirmi completamente lasciandomi penetrare dal sole e dalla brezze boschiva con gli occhi semidischiusi. Percepivo distintamente il profumo del mio miele giungermi alle narici, mentre il petto prorompente si muoveva in consonanza col mio respiro affannato. Non riuscivo a trattenermi dallo sfiorare anche le areole e i capezzoli, duri come chiodi, bagnandoli dello stesso nettare profumato che colava verso il mio buchetto creando quasi una pozza sotto la mia fessura tracimante. Le mani che avevano attinto dal mio sesso si alternavano nel dolce e lento massaggio dei globi del seno. I capezzoli erano tanto turgidi e sensibili da farmi male strappandomi quasi ululati di estasi. Lo stesso bacino seguiva un movimento rotatorio come fosse mosso da una sconosciuta marea. Non paga, cercavo di posizionare il mio corpo in modo da mettere in risalto le gambe tornite e lunghe esponendo il pube curato ai raggi del sole. Volevo fare l’amore coi raggi del sole, esserne baciata, riscaldata, penetrata. Era una fusione panica col la natura attraverso la più alta espressione della mia femminilità. Il cuore mi batteva forte e il respiro diventava sempre più irregolare. L’erotismo mi stava dominando. Il contatto con Gabriele si basava su occhi avidi di piacere e storditi dal misto di calura e di lussuria che si intrecciavano e si parlavano quasi muti nell’estasi di un momento di follia. Seguivo poi la corsa delirante della mano sul suo grosso fallo brunito. Istintivamente iniziai a contrarre i muscoli pelvici serrando le labbra della vagina contro le mie dita ormai fradice dei succhi e a gemere ancora più forte tanto che ne potevo sentire l’eco. La mia eccitazione mi rendeva così umida e dilatata che decisi di inserire anche un terzo e un quarto dito che subito si fecero strada saettando dentro di me, cosa che mi provocò un dolore trasmutato subito in ulteriore piacere, mentre sopra il clitoride implorava la distensione di un orgasmo. Ero al limite della sopportazione e cercavo solo di ottimizzare la posizione del mio corpo per reggere l’erompere dell’orgasmo ormai prossimo. Gabriele mi imitò aumentando il ritmo in modo impressionante. “Sto per venire, ti prego…” rivolsi gli occhi al sole, tendendo al massimo le gambe e i piedi ormai indolenziti e preparandomi allo squassante orgasmo che già ribolliva dentro le mie profondità, a partire dall’utero. Spinsi ora tre agili dita spietatamente dentro di me, fremendo e ormai gridando. Le scosse cominciarono a propagarsi dall’epicentro del mio sesso, mentre le dita emergevano ancora più colme del mio nettare. Un unico brivido si fuse in me scuotendomi pesantemente: il bacino si sollevò come percosso da una frusta riabbassandosi in rapida successione, mentre le dita proseguirono il loro dentro fuori convulso. Era tutto meravigliosamente eccitante, tanto che, esausta, non potei che sorridere mentre ansimavo per estrarre dalle mie intimità tutto il piacere e tutto il nettare che potevano donarmi. Dovevo essere stupenda con quei capelli selvaggi scossi dal vento, i gemiti e le grida orgasmiche, la vagina oscenamente spalancata da quelle dita lascive, la mente annebbiata dalle scariche elettriche che la drogavano sprofondandola nell’oblio. “Oddio sto venendooooo…mmmmmm” a quel punto la mia pianta del piede destro fu schizzatada un getto impetuoso. Ebbi la forza di schiudere gli occhi, rilassare le gambe quasi colte da un crampo per la posizione, scorgere compiaciuta le mie cosce striate di rivoli di umori femminini e vidi che ancora il pene di Gabriele lanciava in aria fiotti di denso sperma che ora ricadevano nella piccola porzione di terra che ci separava, ora ricadevano sul suo ventre a formare un laghetto di seme vivificante. Uno di questi mi aveva davvero colpito il piede.

Tanto bastò per riaccendere in me folle eccitazione. Ripresi a toccarmi le grandi labbra completamente aperte e divaricate, facendo scivolare le dita tra le mie cosce madide di sudore e umori. Ruotai come un’assatanata le dita, spalancando le piccole labbra e puntando decisamente il clitoride che mi teneva in ostaggio con la sua volontà perentoria di indurmi ad un altro orgasmo.Nel mentre mugolavo più forte nel delirio di quegli attimi, avvertii che Gabriele si ricomponeva spargendosi lo sperma che si era accumulato sul suo ventre, spalmandoselo e portandoselo alla bocca. Ne percepivo l’odore muschiato e virile che riempiva l’aria torrida di umidità e attesa. Spinsi altre dita ancora più a fondo nelle pareti della mia vagina, ormai zuppe e stravolte da quel godimento. Smisi poggiando le mie mani sul ventre tese ritardando le scosse orgasmiche incipienti. Respiravo a fatica quell’aria boschiva, tenando di immagazzinare tutto l’ossigeno che mi necessitava nel parossismo dell’attimo. Sollevai entrambe le gambe in aria non risparmiando la vista davvero oscena e indecente del mio sesso ricoperto di umori. Era un piacere sublime quello che mi concedevo non badando più a trattenere i lamenti di goduria. Il pudore era perso e volevo soltanto godere forsennatamente. Ormai ero in preda a convulsioni e a scosse violente che si dipartivano direttamente dal clitoride e dall’utero. “Vengo ancoraaaa sìììì ancora” gridai, titillando il clitoride simultaneamente alle spinte sulle pareti vaginali. “mmmmmmmmmm”. Onde si svilupparono, onde simili a quelle marine nei fortunali improvvisi. Mi parse quasi di percepire un sentore salmastro e di volare sopra l’adorato maere. Onde che mi condussero all’empireo sollevandomi dal suolo per poi depositarmi dolcemente si di esso, stordita, sommersa, sporca di terriccio, erba, umori virginali, baciata dal sole e accolta nel cuore della natura, a un passo dalla virilità nascente e impetuosa a me contigua, per me irraggiungibile. E così rimasi, chiudendo gli occhi, sospirando sempre più dolcemente mentre le scosse si placavano e il mio sesso fradicio lanciava gli ultimi dardi pulsanti, mentre, affamata e sazia al medesimo tempo, assaporavo appieno quei movimenti licenziosi continuando a titillare sempre più lentamente il mio clitoride prolungando la potenza degli orgasmi. Avevo dato tutto per quel giorno ero stremata. Riaprii gli occhi per poi subito richiuderli. Avrei voluto stare così per sempre, nel fiore dei miei anni, nuda come ero stata creata, baciata dal sole e dalla brezza, il viso leggermente reclino in quel vento di fronde umide e calde che aveva ripreso a intricarsi tra i rami lievemente più forte, quasi a refrigerare i nostri sessi infiammati e appagati. Ero stremata ed esausta: rimasi così a gambe spalancate senza ritegno, con il sesso che colava indecentemente sul tappeto di muschio che conteneva il mio corpo nudo. Il mio respiro e il battito del cuore stavano tornando regolari. Era il momento più dolce e che più sentivo mio. Pochi minuti dopo mi ero ripresa del tutto e, non abbandonata dalla lussuria, iniziai a condurmi alla bocca il mio stesso nettare, desiderosa di assaporarmi dissetandomi con la mia femminilità. Quel sapore di donna tra l’aspro, il lievemente salato, mi stordì ulteriormente. Solo allora rivolsi lo sguardo a mio cugino che si era ormai completamente ripulito, grazie anche ad alcune foglie abbastanza ampie. Istintivamente mi ricomposi anche io. Mi ero quasi dimenticata del fiotto di caldo sperma che mi aveva centrato la pianta del piede. Gabriele allora si abbassò e, con una mossa a tradimento, leccò il suo stesso seme come io stessa stavo indecentemente facendo coi miei succhi. Non riuscivamo a parlarci storditi e imbarazzati com’eravamo. Non esistevano parole per descrivere quel che avevamo vissuto. Mentalmente ringraziai la voglia che l’aveva sospinto a toccarsi lì, in mezzo a un bosco, senza alcun vestito che ricoprisse la sua virilità. Per fortuna poco discosto c’era un ruscelletto dove mi bagnai pulendomi dei residuati della mia eccitazione e mi bagnai le labbra già intrise dei miei succhi. Ero in condizioni pietose: sporca di foglie, umori e sudore. Gabriele mi imitò e solo allora poté dire, quasi con voce soffocata: “E’stato molto bello”. -“Oh sì, grazie…Gabry”.

Ci rivestimmo proseguendo verso casa, accordandoci perché questo fosse rimasto il nostro segreto. Gli promisi comunque di aiutarlo a conquistare Virginia, perché, un po’maliziosamente, gli dissi che “quel ben di Dio non andava sprecato così”. Giunta in stanza mi guardai allo specchio: avevo ancora le guance lievemente arrossate per quello che avevo appena fatto, sentivo un lieve mal di capo per lo sforzo e per l’eccitazione adrenalinica che mi stava lasciando. Ma ero bella: i capelli mi ricadevano mossi come onde marine luminose di un bel castano scuro, incorniciandomi un viso espressivo caratterizzato da due occhioni con riflessi d’oro. Innocenti e puri “pensai” ma con un segreto un più e testimoni di un piacere estenuante che mi ero donata. Mi bacia lentamente allo specchio e, togliendomi i vestiti, dopo aver indossato l’accappatoio, mi diressi in bagno per una doccia rinvigorente. Dopo quel pomeriggio tutto dedicato all’erotismo, io e mio cugino diventammo via via più complici, ma non si sviluppò alcunché fosse men che onesto, quasi come se ciascuno avesse scaricato la propria eterna pulsione erotica anestetizzando ogni malizia, ogni fraintendimento.

Il sabato successivo decisi di accompagnare Gabriele ad una sagra paesana dove mi avrebbe fatto conoscere la “sua” Virginia. Quella sera indossai un filo leggero di matita e di ombretto verde. Portavo un gonnellino nero a mezza coscia e un top blu scuro che sottolineava il mio seno generoso e sodo. Niente rossetto, ma scarpe decollete.
Prima di uscire mi ricontrollai allo specchio, trovando conferma sul fatto fossi non solo gradevole, ma, lo dico senza falsa modestia, assolutamente irresistibile, sebbene, come nel mio stile, non salacemente aggressiva. Mio cugino era abbigliato normalmente con jeans e la classica polo giusta. Appena mi vide, deglutì ridacchiando nervosamente: presentiva anche lui avrei abbagliato tutti. “Dove credi di andare? Attirerai gli occhi di tutti.” fece, con un misto di impazienza, emozione e preoccupazione.

Giungemmo quindi nella piazza dove si teneva la sagra che quell’anno era dedicata ai funghi. Non lo nego: mentre camminavo dando il braccio a mio cugino, tutti, specie giovani ma anche più attempati, appuntavano gli sguardi su di noi. Con la coda nell’occhio non potei fare a meno di notare che non pochi si giravano per commentare, sicuri di non essere scorti.
Non posso qui negare di esserne stata compiaciuta: che pensassero fossi la nuova fidanzata di Gabriele, una straniera, una bellezza di città, o chi altri non m’importava. Amavo anzi essere avvolta in un’aura di mistero a me connaturata. Ci avvicinammo quindi al bancone del rinfresco dove Gabriele mi presentò alcuni compagni di classe e amici vari. I maschietti difficilmente riuscivano a staccare gli occhi di dosso dal mio top o dal mio viso lievemente arrossato per il caldo della calca. Cercai di essere cortese e scherzosa, ma in realtà già poco dopo iniziai ad annoiarmi. Infarru, dopo le presentazioni di rito, Gabriele aveva iniziato ad aggiornarsi con i propri sodali e io ero rimasta un po’discosta perché, pur venendo fatta oggetto di sguardi furtivi che non mi passavano inosservati, probabilmente per la timidezza nessuno prendeva l’iniziativa di fermarmi introducendosi a me individualmente.

“Ciao, io sono Alex” mi fece d’un tratto un ragazzo che doveva essere sui 25 anni. “che fai qui di bello? Non abbiamo turiste tanto carine, di solito. Tu studi all’università. Io ci provo con ingegneria per non so quale masochismo. Sei un’amica o una parente di Gabriele?”-“Sì, sono sua cugina” gli risposi squadrandolo con finta distrazione e affettando superiorità. Era un ragazzo normalissimo coi capelli e spazzola, ma abbastanza alto e robusto. Doveva essere piuttosto popolare nella zona considerando che, mentre procedevamo, non c’era una persona non lo salutasse. “Andiamo ti offro un drink se ti va”-“ok grazie ma nessun doppio fine eh!” scherzai tra il serio e il faceto. Non feci a tempo a cogliere la risposta che, al centro di un crocchio di amiche, incontrai quella che dalla descrizione e dalle foto doveva essere la giovane concupita da Gabriele. Devo ammettervi che era splendida, di rado, anzi mai, avevo visto una ragazza più semplicemente avvenente e soavemente distesa nella piena maturità dei lineamenti. Aveva contorni del viso assai regolari nella loro coinvolgente simmetria, portava i capelli lunghi e lievemente mossi sotto le spalle, di poco sollevati all’attaccatura frontale. Gli occhi erano profondi, espressivi e luminosi: nemmeno io capii se si fosse truccata e quanto data la notevole perfezione della composizione ciglia-sopracciglia e la naturalezza del contorno occhi. Il naso e la bocca erano un capolavoro di proporzioni e intrigante sensualità. La cromia della pelle presentava levigature di porcellana sfumata con delicatissimi rossori virginali. La vita era stretta e snella, i fianchi leggiadramente evidenziati da un abito lungo al ginocchio, di generosa morbidezza color pesca. Le gambe così simili alle mie ben tornite e affusolate. Il petto prepotente pareva serenamente inserito in una composizione di armonia e purezza. I nostri sguardi s’incrociarono e capii perché effettivamente fosse una delle giovani più ambite nel paese. Non mi sarei mai spinta ad espormi con una sconosciuta, ma per liberarmi dell’imbarazzo generato dall’intreccio di sguardi e la volontà di liberarmi dall’assedio di questo molesto Alex, le rivolsi la parola: “Tu devi essere Virginia: mi hanno parlato molto di te”. ruppi il silenzio non priva di una certa confusione, non mi vergogno a dirlo, generata anche da inaspettata venustà che in tutta onestà non ritenevo inferiore alla mia anche se più celata- “Sì, proprio io. Invece tu sei una conoscenza di Gabriele. Ti ho vista arrivare con lui…” dal tono piuttosto asciutto anche se cordiale, afferrai che Virginia era dotata di un buon spirito di osservazione e che probabilmente non era disinteressata al mio cuginetto come questi paventava. “No, no, sono sua cugina, come ogni anno mi concedo un periodo in villeggiatura, ma di solito rimango con gli zii in montagna e frequento poco il paese”.
Dopo questi convenevoli, iniziammo a parlarci più scioltamente scambiandoci le reciproche informazioni fondamentali. Prima della fine della serata eravamo diventate amiche e c’eravamo appartate dal resto dei convenuti, immerse nella volontà di fare reciproca conoscenza. Preferii celare a Gabriele questo inopinato incontro, avvenuto in tutta casualità e autonomia, per non turbarlo eccessivamente adducendo la scusa che avevo girato un po’qui e un po’là senza essermi trovata eccessivamente coinvolta.
Con Virginia, non avevo affrontato tematiche intime, ma, per intuizione femminile, avevo compreso che era tanto bella quanto inesperta in tutto ciò che riguardasse certi aspetti riservatissimi.

Così, all’insaputa di tutti, iniziai a frequentare il paese e Virginia. Ai miei zii confidai la nuova amicizia chiedendo di sottacerla a Gabriele per il momento, dato il tenero che nutriva per la mia nuova amica. Una sera, pochi giorni dopo, avevo stabilito con lei di fermarmi a trascorrere la notte a casa sua, quando anche Gabriele sarebbe stato fuori casa da un amico. In questo modo avremmo lasciato un po’in pace per proprio conto anche i miei zii. Virginia aveva la casa totalmente libera, essendo i suoi via per il week end.
Dopo una cena semplice, ordinata dalla pizzeria locale, decidemmo di salire sul balcone del solaio a goderci il tramonto e rilassandoci un po’. Lì, complice l’atmosfera dolcemente elegiaca e malinconica del crepuscolo, le confidenze si fecero più intime e piccanti. L’estate inondava l’aria avvolgendoci i corpi e i visi, rendendo gli occhi più brillanti e accrescendo desideri indefiniti. “Sai, ho 18 anni, eppure sono ancora vergine. Tutti i ragazzi mi rivolgono sguardi di fuoco, ma non riesco a legarmi ad una persona, sono molto indipendente e sinceramente la cosa mi fa paura” mi confidò Virginia. “Proprio quello che successe a me due anni fa. Poi dopo l’estate conobbi il mio ragazzo cui sono ancora insieme tra alti e bassi, ma a lui ci tengo davvero e non lo tradirei”, così dicendo non mi sentii in colpa per quanto accaduto con Gabriele perché ero eccitata dalla situazione, ma al momento dell’orgasmo mi stimolavano solo i miei sensi, me stessa, la mia eccitazione. Mi aveva riscaldata la sensualità del momento più che la persona con cui la condividevo. “Il mio problema è un po’diverso. Forse non sono ci che pensi” chiarì subito Virginia “ti faccio una domanda diretta tu credi in Dio, Deborah?”. “Sì certo” risposi “anche se non frequento molto la Messa, ma sicuramente credo”. “E non ti senti mai in colpa? Neanche per quello che fai da sola? Con cosa ti ecciti di solito?”. Virginia era visibilmente molto imbarazzata tanto da arrossire veementemente. Non credevo ci fossero ancora ragazze che riuscissero a provare timidezza, considerando quanto siamo tutte diventate spregiudicate. Ci riflettei un po’, ma dovetti ammetterle che non ero affetta da tediosi sensi di colpa. Ci fu una lunga pausa in cui Virginia volse lo sguardo dalla luce del sole che si inabissava dietro i profili cupi delle montagne tra sfumature irreali di bluastro, violetto e arancione, infiammando l’aria del suo splendore morente al terreno sotto di noi odoroso di umidità. Non mi rivolse gli occhi per un tempo indefinito sembrando soppesare indecisa prima di un salto nel vuoto. Poi trasse un respiro profondo e confessò.
“Vedi Deborah, anche io sono credente e, a differenza tua, proprio per questo non riesco a vivere senza colpa le mie pulsioni”-“Virginia sono cose naturali, specie da giovanissima, che male ci vedi? Poi mi pare che entrambe siamo tutto fuorché spregiudicate. Ci sono persone che conosco che cambiano partner ogni sera, anzi si dedicano a cose anche più spinte e….”
A quel punto, vidi Virginia prendere fiato e, come desiderando togliersi definitivamente d’impiccio, vuotò il sacco: “Vedi io amo masturbarmi guardando sesso saffico, oppure donne che si masturbano in solitudine. Non mi soffermo troppo invece sugli uomini”. Guardò poi dritto dinanzi a sé non osando levare gli occhi ad intrecciare i miei. Fui colpita da questa uscita, ma non eccessivamente sconvolta, avevo varie amiche che mi avevano detto confidato simili, eppure erano rigorosamente etero: evidentemente tutti noi abbiamo un lato nascosto e anche l'”innocente” Virginia non era esente da questa regola.
I suo occhi divennero più brillanti e, mentre, a gambe intrecciate, sfioravamo gli ultimi atti del crepuscolo inseguendo le ombre che ricoprivano il paesaggio silente come nubi oscure che sfilavano indolori, capii di un tratto quanto, nel breve volgere di giorni, fossi diventata un modello per lei. Ero talmente concentrata sul mio benessere da non essermi accorta di nulla, ero così sicura di me da non aver sospettato segreti impalpabili.

Virginia riprese le confessioni aggiungendo che lei si masturbava anche più volte al giorno, spesso davanti alla scrivania del pc, ma pure da sola allo specchio, oppure in ogni luogo protetto da privacy. La perfetta solitudine la rendeva maga lasciva. “A volte mi chiudo in bagno e semplicemente mi piego nascondendo le dita dentro di me”. Si toccava ovunque e con qualsiasi cosa: dal suo dildo a tre diversi vibratori. Sarò sincera: questa ulteriore confidenza mi mozzò il fiato. Di rado la mia intuizione sbagliava di tanto. Non avrei immaginato Virginia fosse così disinibita. Schegge di meraviglia mi martellavano la mente. Evidentemente la sua forte sensualità, non potendosi esprimere in altri modi, veniva introflessa e sviluppata consumandosi in un’arte singolare, a tratti anomala e scioccante. Mi presi il viso tra le mani, le guance che scottavano, l’espressione attonita nell’attesa tremante.
La sua voce divenne poi una sorta di dolce sussurro, il suo sguardo una luce sospesa ed eterea. nel l’impassibile sovvertimento dei sensi. “Sono molto eccitata, Deborah” e poi, tutto d’un fiato, tagliando il silenzio con una lama assordante: “vorrei farlo anche ora”. E mentre pronunciava tali parole, frugai nelle sue iridi i riflessi di lussuria che ora prevalevano sulla purezza originaria permeandole lo sguardo. Vidi le labbra voluttuose che avevano scherzato in mille innocenti confidenze e me le immaginai scosse dai brividi di un piacere vizioso dato da ritmiche spinte e ossessionanti visioni. Alitare piacere mentre non era mai paga di cercare il piacere.
La serata stava decisamente accelerando in una corsa sfrenata e gravida di conseguenze. Ormai era calato un buio sonoro del frinire di grilli e odoroso di fragranze vegetali a me sconosciute eppure invitanti. Rientrammo. Vedevo Virginia sotto una luce diversa e ambigua, ma le incursioni d’irreale più spasesanti si sarebbero verificate di lì a poco. Sedute dinanzi al pc come sorelle d’eguali sogni, Virginia mostrò alla Deborah di allora, attonita e annientata nelle proprie sicurezze, una casella mail segreta e una cartella protetta: la prima conteneva centinaia di bozze con autoscatti in allegato, la seconda decine e decine di video in streaming. Vidi di tutto: dalle foto in semplice topless, come una liceale dall’erotismo sfumato, a quelle a gambe oscenamente spalancate con tanto di vibratore innaturalmente inserito nella fessura colante, mentre si truccava sfiorandosi il viso. Moltissime la immortalavano distesa a pecorina con lo sguardo pregno d’indicibile lussuria. Oppure scatti tesi a evidenziare i dettagli anatomici del suo sesso venato da rivoli di piacere. La protuberanza del clitoride che faceva bella mostra di sé, turgida ed eccitata pronta a sconvolgere quel corpo di adolescente perduta. O, ancora, lei stesa a terra su un fianco mentre si fotografava ricoperta da una pashima violetta, tacchi a spillo blu vellutati ai piedi. Rimasi impressionata dall’estrema fantasia di Virginia nel raffigurarsi in abiti differenti, alternati a nudi integrali, sempre esprimendo diverse gradazioni della sensualità più deformante. Il cuore mi accelerava di battiti tumultuosi. Quelle scoperte mi ottenebravano rimbombandomi nel cervello già assediato da un senso di capogiro. Dalla follia della carnalità mentre cavalcava un fallo finto alla gonna che le scopriva le intimità appena sfocate, mentre, maldestramente sollevata, fingeva di essere colta nel rivestirsi. C’erano foto di spaccate, ruote, esercizi da palestra frammisti ad altre mentre, struccata fatta eccezione per il rossetto rosso fuoco sulle labbra da fata, inseriva due dita irrequiete nel proprio sesso. Era l’immagine stessa della voluttà che annullava parole tramutandole in sensi e desideri. I seni erano sovente in evidenza, in altri casi solo seminascosti per richiamare ancor più sulle curve di donna quell’eterna tensione erotica che l’inquieta fronte tratteneva.

Ormai liberata del pudore, aprì dinanzi a me anche alcuni video rivelandomi anni segreti, a nessuno mostrati: nel primo c’era lei che cavalcava un grosso dildo color ocra che pareva incollato al parquet della casa. Mi colpivano la forza dei suoi gemiti ogni volta che il suo bacino sprofondava inghiottendo con grazia inesorabile quel fallo sino a sfiorare la cervice, a percuoterla senza pietà non dandole tregua. Non potevo staccare la vista dalla sua bellezza selvaggia, una giovane ragazza nel pieno del proprio rigoglio, che si concedeva piaceri inauditi imprimendo una cadenza ritmica alle membra eccitate. I suoi gemiti soffocati risuonavano nella stanza, alternati a una gran copia di sospiri inanellati tra i denti di perla ed esalati da labbra a petali di rosa somiglianti. Il viso segnato dal piacere incipiente. Ruotando la camera del pc, l’impudìca metteva in risalto la rotondità plasticamente perfetta dei glutei, il cui centro celava l’altro antro proibito di piacere voluttuoso sigillato da uno strumento di cui poi conobbi il frivolo nome. Man manco che procedeva la cavalcata, Virginia si toglieva con gesti soavi e seduttori alcuni monili quali orecchini pendenti e una catenina con la croce e, allargando sempre di più la visuale sul suo seno parzialmente celato da una camicia bianca elegante che apriva incurante. Dopo essersela completamente levata e gettata ai piedi, la magnificenza del flessuoso corpo fremente s’impose alla telecamera. Un altro video inquadrava Virginia con calze autoreggenti nere, scarpe altrettante nere col tacco, del tutto sprovvista di mutandine, lo sguardo tra il timido e lo sfrontato. Gli occhi da provocatrice consumata incastonati d’innocenza e freschezza d’un sospiro eterno di giovinezza e piacere. Il suo sesso totalmente depilato, come frutto maturo, esposto e perfidamente stuzzicato contro lo spigolo di una scrivania bassa. Il bacino roteante e il fondoschiena sodo che si dimenavano all’unisono frontalmente e ai lati della traiettoria di ripresa. Al di sopra indossava un top in pizzo blu elettrico evidenziante il seno dai rosei contorni. Virginia sorrideva alla telecamera scompigliandosi i capelli corvini con mani fatate, divertendosi a sfiorare lo spigolo duro col sesso rosato ed impunemente allargato. Lasciava una striscia di umori come una piccola lumaca leziosa. Nessun segreto veniva celato all’obiettivo. Poi la si vedeva scomparire dalla visuale ancheggiando nel tratteggiare percorsi a me ignoti e poi ritornare: frammenti di attimi di corruzione lasciva quasi sospesi nell’irrealtà di stanze proibite. La lingua saettava a leccare il vibratore impiastricciandolo di saliva mentre l’indice destro non abbandonava la rosa inguinale. Un’estasi quella pregustata a palpebre socchiuse. Virginia leccava un oggetto con una punta tonda costruito con una torsione particolare che, compresi, doveva stimolare il punto G. e intanto come pianista viziosa solleticava il clitoride contorcendosi. Inserendolo poi nelle proprie profondità bollenti, Virginia non poteva trattenere sospiri cocenti che si riverberarono nel mio cervello profondendosi in brividi. Senza vergogna se lo nascose nella vagina fremente piegandosi a mezzo. Accese l’aggeggio e, distendendosi per terra, sul tappeto persiano, richiuse gli occhi. Godendo e spandendo profumi di donna simili a chissà quali fragranze esotiche. Sembrava sognare serena di mondi lontani così distesa e cullata dalla penetrazione or ora iniziata, una mano lasciva a imprimere il ritmo spandendo bellezza e offuscando menti. Fuori c’erano le stelle e il loro chiarore che s’avventava incandescente sull’ombra della notte. Dentro due ragazze in fiore. Una sconvolta, l’altra libera per la prima volta:da segreti e da imbarazzi. “Ho perso la verginità così, da sola, anche se non sono mai stata con nessuno. Da domani ho deciso che cambierò vita, frequenterò il tuo Gabriele, getterò via questi strumenti di godimento infernale, mi disintossicherò dagli orgasmi, ma stanotte voglio che rimanga immortale. Desidero essere annullata dal piacere dedicando a te ogni orgasmo provato ai tuoi piedi, voglio essere solo una sgualdrina infoiata che non si ferma rincorrendo voluttà. Deb, potresti riprendermi col cellulare come io non ho fatto mai…Mi aiuterai a rendere memorabile questa notte?” e così dicendo si tolse le scarpe e sciolse i capelli che teneva raccolti sulla nuca. Ero assolutamente basita da come si stavano dipanando gli eventi e anche alquanto irritata con me stessa per non aver compreso prima la vera natura di Virginia. “Cosa vorresti esattamente io facessi?” le risposi con un velo di impazienza. “Che filmi quello che farò stanotte. Mi sfiancherò di piaceri solitari per l’ultima volta, poi, lo prometto a me stessa, getterò alle spalle oggetti, foto, video, tenendo quello che mi girerai tu come ultimo simulacro della mia vita trascorsa tra eccessi carnali che stasera si concluderà” rispose con voce soffocata dal presentimento del piacere sublimato in ansia di attesa. “Sì, vorrei salvare quest’ultimo video a memoria della mia bellezza, della sfacciataggine e della profondità sconvolgente del piacere che provo, ma soprattutto voglio dedicarlo a te che sei la ragazza, la donna, più attraente e sensuale abbia mai visto”. “Va bene, ma sappi che non sono attratta dalle donne, anche se belle come te” mi raddolcii “ti filmerò sicuramente visto che me lo chiedi in questo modo, immortalandoti nel colmo dell’osceno splendore saprai esprimere”. Un sorriso si dipinse sul bel viso di Virginia, ora venato di note licenziose fino ad allora celate. Indossava solo un abito al ginocchio di colore bianco con decorazioni floreali bianche e blu, un cromatismo che le si addiceva e rimandava ai suoi meravigliosi occhi verdi, testimoni di tanti piaceri segreti. Il seno era trattenuto a stento, forse lievemente lievemente piccolo del mio, ma sicuramente ben proporzionato. Ai piedi aveva sino ad allora indossato due semplici infradito con tacco. I capelli si trovavano ora sciolti, riversati sulle spalle in onde scomposte. “Vado a cambiarmi” sussurrò con un ammiccamento lezioso. La vidi andarsene ancheggiando inconsapevole. Mentre la attendevo, ancora scioccata dalle sorprese della serata, riflettendo su quello che avrei voluto io. Sia chiaro: mi ritengo una cultrice dell’erotismo femminile. Da donna, credo non ci sia nulla di più armonioso di un corpo scolpito da innate forme muliebri. Per questo ammiro tanto il mio. Eppure, era da uomini che volevo essere posseduta, o al limite da me stessa. Ero solita scorgere in ogni altra ragazza una rivale, ma quella sera avevo scoperto una gemella di genitori diversi, una sorta di completamento, una necessaria estensione del mio Essere. Ero curiosa di vivere quell’esperienza esaminando dal vivo quanto e quale erotismo quella diciottenne libertina sarebbe riuscita a esprimere. Volevo carpire il suo segreto, non per dedicarmi agli stessi atti e sfrenatezze, ma al fine inconsapevole di incrementare la mia carica sensuale. In breve, era per me, impregnata di vagheggiamenti letterari e di estenuata sensualità decadente, un oggetto di sfida, un’esperienza artistica cui non potevo sottrarmi. Non volevo fare l’amore con lei, anche se sarebbe stato possibile, ma declinare ogni manifestazione di erotismo vedendo lei fare quello cui io stessa ambivo ma non abbracciavo, forse per timore di venirne imprigionata e risucchiata. Vidi allo specchio la luce delle mie iridi, i loro riflessi. Ero pronta a vivere quella nottata. MI amavo come mai prima.
Virginia fece ritorno. Vidi la sua figura stagliata contro l’ombra del corridoio, incedere verso la luce piena. Provai una sensazione somigliante all’inquietudine inspiegabile. Indossava un negligé color amaranto che faceva da pendant alle deliziose labbra evidenziate da un rossetto dello stesso colore. Neri e vellutati i tacchi con lacci alla caviglia che ricadevano morbidi sui lati. Mentre si andava a sedere sul grande divano angolare, il negligé si aprì gradevolmente sul ventre morbido decorato da un ombelico piccolo e sensuale. Il gioco delle trasparenze maliziose catturava e riverberava femminilità come un eco di sogno lontano portato a realtà. Sul viso moti di attesa e imbarazzo. Lo smokey eyes blu obbligava l’osservatore a cadere dentro perdendosi in due grandi occhi verdi che sorridevano comunicando un timido fremito. Come una paralisi di attesa, pensai. Unendo le mani in grembo, Virginia indicò un sacchetto che aveva portato con sé. “Ecco, Deborah qui c’è il mio pc: lo terremo fisso e riprenderà tutto per ore. Ti chiederò di spostarlo se mi muoverò. Invece, qui, ho il cellulare che uso per scattarmi le foto che hai visto. Ho eliminato tutto, per cui credo che almeno tre ore di autonomia di registrazione ce le abbia. Interrompi nei momenti morti”. Poi passò ad un altro sacchettino da cui estrasse un dildo che doveva essere di poco più di 20 cm, di quelli abbastanza realistici replicante le venature e il glande, che si attaccano alle superfici con adesivo, quel vibratore curvo di colore fucsia del video, un altro grosso vibratore blu con l’appendice per stimolare il clitoride e uno piccolo che doveva servire appunto solo per soddisfare il clitoride. Vi erano poi una spazzola di legno laccato e una banana. Tutti questi oggetti furono sparsi su una seduta del divano. Inquieta, Virginia si alzò per prendere un lenzuolo color panna che pose sotto di sé e un altro cuscino. Prese anche un pacchetto di sigarette da dieci quasi terminato. “Ma tu non fumi” feci stupita. “No, ma l’ho acquistato molto tempo fa per due o tre video a tema. Le userò anche stasera”. Finiti questi preparativi, mi chiese di tirare fuori dal frigo un infuso di pesca e mango che aveva preparato il giorno prima. “Ci disseteremo con questo…”. Poi, trasse un gran sospiro, reclinò indietro la testa socchiudendo gli occhi, quasi incerta sul da farsi. Infine, mi diede ordine di accendere il programma d registrazione video del pc, posto strategicamente su un tavolinetto al centro del semicerchio del divano ad angolo. Vidi il suo corpo fremere e i giochi cominciarono, io cineasta di un film erotico, Virginia unica attrice.

Con lo zoom del cellulare partii a condurre dalle sue mani. Sapevo si sarebbe data piacere con quelle. Le unghie erano modellate, lievemente più lunghe dei polpastrelli e ricoperte da smalto dello stesso colore del rossetto. Le dita affusolate, ero affascinata da mani così armoniose e ben proporzionate. Proprio allora mi accorsi del profumo al gelsomino, al limone e al legno di cedro che spirava dal collo, dai fianchi e dalla cascata dei capelli corvini. Pazzesca la malìa che tutto quel sentore sapeva imprimere effondendo carezze, abbracciando forme, ricoprendo luci e suoni.
Anzitutto, Virginia si mise prona con le tibie sollevate mostrando le caviglie ingabbiate nei lacci delle scarpe. Fissava la telecamera come in attesa. Di un inizio.
Poi la mano destra su cui poc’anzi era caduta la mia attenzione si infilò in anfratti ignoti frugando comodamente e roteando il bacino mentre mi sorrideva abbagliandomi dei suoi denti di perla. Come una proiezione di presentimento, si girò su se stessa, dandomi le spalle e mostrandomi la perfezione dei suoi lineamenti scolpiti che scendevano su di un fondoschiena proporzionato e sodo, che la culotte trasparente imprigionava in un vedo non vedo ipnotico. Sempre in quella posizione, VIrginia si carezzò i capelli e tolse l’intimo che le ricopriva il sesso. Ora, se si fosse voltata, non avrebbe potuto celarlo che dietro trasparenze illusorie. Capii che le dita avevano iniziato a danzare scompostamente e, non volendo perdermi nulla, mi spostai per riprenderle il viso, mentre dalla bocca amaranto iniziarono ad essere esalati sospiri dalla placida cadenza. Anche se non la riuscivo a vedere, sicuramente la mano aveva iniziato la propria ginnastica sadica e lasciva sui petali ingrossati e lubrificati dall’eccitazione. Le cosce si contraevano attorno a quella mano galeotta, il viso sorridente con occhi socchiusi. Era meravigliosa quella dolce sensualità, perfettamente simile a quella che anch’io sapevo esprimere. Finalmente Virginia si rigirò e allungando le gambe in alto potei vedere il suo sesso gonfio e depilato ad eccezione di un ciuffetto sul monte di Venere .Ne scorsi tutte le pieghe che, come uno scrigno, proteggevano il clitoride, nel colsi la forma sottile e allungata, non dissimile dalla mia cui mentalmente la comparavo; ne percepii, forse con uno sforzo di fantasia, l’odore pungente. Travolta completamente dalla passione, la mia amica iniziò a introdurre l’indice furtivo e l’avido medio della mano destra nella sua fessure gonfia, mentre la sinistra si profondeva in carezze sul clitoride. Vedevo il petto fremente quasi strabordare ad ogni sospiro, che, a poco a poco, si trasformò in gemito. Virginia reclinò la testa verso sinistra e io potei cogliere il suo bellissimo profilo, la sua bocca che esalava il piacere che sperimentava. Le gambe, prima a candela erano ora spalancate e scosse da fremiti in concomitanza con le sensazioni che si dipanavano dalla fica spalancata di Virginia. Ormai travolta da quell’appagamento indicibile e scossa da scariche crescenti, la giovane venne sulle sue stesse dita nel giro di pochi minuti acclamando il mio nome mentre veniva sopraffatta dall’orgasmo, anzi dagli orgasmi che la imprigionarono dato che ne sperimentò due multipli. Era incantevole vederla così arrossata, con le dita ancora inserite nelle sue profondità, l’altra mano che cullava il clitoride, gli occhi che sorridevano insieme alle labbra soffuse di una dolcezza indefinita e appagata.

Dopo pochi minuti di stasi in cui interruppi la registrazione e, imbarazzate, ci scambiammo parole prive di senso per evitarci maggiori impacci, Virginia riprese spogliandosi completamente. Quando fu del tutto nuda, tranne che per i tacchi, prese a girare per il salotto mettendosi nelle pose più ardite intrigando gli strumenti che la registravano col suo corpo flessuoso. Volle essere ritratta come una ninfa dormiente con una mano lasciva a sfiorare il sesso senza coprirlo, oppure con la schiena inarcata di profilo. o a gambe perfettamente parallele mentre si piegava, o tenendosi le gambe sollevate, o, infine unendo i piedi e sollevandoli in modo da consentire uno sguardo obliquo al suo calice. Soggiogata dalla passione intinse le dita degli umori che gli orgasmi sperimentati avevano sprigionato. Ne inumidì l’areola del seno destro che prese a suggersi come in trance, mentre già si carezzava tutta rabbrividendo di languore. Allo stesso modo bagnò il buchino posteriore che, senza ritegno, mostrò alla telecamera fissa del pc e alla mia del cellulare. Prima di ricominciare, con le dita si ripulì la vagina e il perineo degli umori profusi portandoseli viziosamente alla bocca con languida lentezza. La lingua saettava su quelle dita impregnate di nettare che poi si infilava in bocca con malcelato piacere. Era di una bellezza sconvolgente e oscena.

“Ora passiamo a questo. Si chiama rabbit. L’ho ordinato su internet ed è stato il mio primo vibratore. Produce sensazioni fortissime. Vedrai…”. Virginia iniziò quindi a leccarne soavemente la punta che di lì a poco l’avrebbe trafitta, scostandosi pazientemente i capelli che si adagiavano mollemente sull’oggetto di piacere di colore violetto. La sua lingua rosata era un rimando al rosa acceso della sua intimità bagnata che si scuriva però mano a mano che l’eccitazione aumentava. Con un piccolo urlo lo inserì poi nella sua fessura bagnata, già allargata dalle sue esperte falangi. Aggrottò la fronte in segno di lieve dolore. Si adagiò sul divano, puntando i piedi sul tavolino dove era posto il pc che, inesorabile, riprendeva quella follia, e accese lo strumento che, roteando e ronzando, si addentrò in profondità inaudite, prima con difficoltà, poi, mano a mano che i muscoli si rilassavano, con sempre maggior facilità.I sospiri e i mugolii ripresero subito, specie quando la bella iniziò a tormentarsi i capezzoli di entrambi i seni, due globi così robusti e levigati da parere invincibili. Le sensazioni dovevano essere talmente impellenti che prese a sbattersi la punta arrotondata del vibratore contro la cervice uterina non perdendo mai occasione per gemere profusamente. Il bacino fremeva sconnesso, oscenamente trafitto da quella macchina di godimento. Virginia allargava le gambe a dismisura adagiandosi sempre di più: era talmente bella ed eccitata da lasciare senza parole. Di nuovo chiuse i due bellissimi occhi, che apriva solo di tanto in tanto lucidi di febbrile lussuria. “Sono vicina” mi disse con voce impastata di beatitudine infinita. “Sto per esplodere”. Qualche goccia di sudore le imperlava ora la fronte e il petto prepotente, che, riceveva di tanto in tanto carezze profonde, altre schiaffetti indolori. Vidi che sotto il sesso penetrato da quel vibratore che pareva avere vita propria, si accumulava una gran quantità di umori, i quali, rimestati dallo strumento assumevano una consistenza densa e lattiginosa. La loro fragranza si spandeva lottando con quella del profumo indossato dalla giovane per conquistarsi il predominio sul salotto carico di tensione irreale. A un certo punto, provò a trattenere il manico del vibratore coi piedi in una posa di spettacolare voluttà. Riprendendolo con la mani, Virginia decise che doveva culminare violentemente e immediatamente. Voleva ubriacarsi di piacere. Ne aveva bisogno. Venne una volta. Continuò come ossessionata da se stessa e dalle scosse che le sconvolgevano le pareti uterine. Dimenando i fianchi e cercando disperatamente aria, esplodeva inondando del suo piacere l’asta vibrante che la possedeva. Venne un’altra volta. Non smise. Continuò a stantuffare imperterrita la vagina grondante di cui riuscivo quasi a intuire la temperatura incandescente.”Non ce la faccio più, Deb….devo godere ancora ahhhhhhhh sììììììììì ancora non voglio smettere sììììììì”. Soffocò le grida contro il cuscino e Nel primo piano che le feci riuscii a cogliere le pulsazioni della vagina martoriata attorno all’asta del giocattolo erotico, quasi volesse trattenerla dentro di sé per nuova lussuria. Andandole vicino fui quindi investita dal suo calore e dai quegli stordenti profumi di donna che ormai avevano preso il sopravvento. Il suo meraviglioso corpo era ora imperlato di sudore e, mentre estraeva lentamente il vibratore, dalla fica in fiamme potei vedere quanto si fossero arrossati i suoi petali. Persino il ciuffetto di peli appariva spruzzato del nettare che colava ovunque. Il clitoride era gonfio e in evidenza, sicuramente più grosso di quanto il mio fosse mai stato. Dopo uno o due minuti trascorsi ad ansimare con gli occhi e la bocca semidischiusi, la mia amica si riprese e, tutta nuda com’era, indossò i tacchi concedendo al duplice obiettivo ulteriori scorci della sua silhoutte e della rosa aperta e zuppa. Non vi sto a ribadire che prima si assaporò avidamente pulendo sia il dildo sia il suo antro, il perineo e persino parte del buchino degli umori che si erano accumulati colando come da un’ anfora forata.

“Mi vado a rinfrescare Deb” e se ne andò agilmente in bagno. Approfittando della sua breve assenza, sfiorai le mie mutandine sentendole umide. Quell’atmosfera carica di brama erotica mi stava facendo immedesimare e, anche se non avrei voluto ammetterlo, mi sarei concessa anche io una resa ai sensi sfiorandomi dolcemente.
Allungammo una pausa dissetandoci. Le parole rimbalzate tra noi erano poche e non fluivano così naturalmente come poc’anzi. Non sapevo cosa aspettarmi per il prosieguo e, d’altra parte, l’entità dell’erotismo già profuso da Virginia era tanto notevole da lasciarmi priva di commenti. La consideravo quasi come una sacerdotessa di una religione ignota che cadeva in trance rivelando nuovi mondi e donando se stessa voluttuosamente in sacrificio. Si rinfrescò la patatina e il petto con la brocca d’acqua fredda la cui condensa le inumidì quei punti erogeni. Si rinfrescò poi le guance bollenti con lo stesso metodo.

Rincominciò dopo avermi lanciato uno sguardo complice cui io risposi, quasi intimidita.
Stavolta decise di adagiarsi nello spazio a fianco del tavolino. Si sfiorò ovunque contorcendosi come un elegante serpente sinuoso che apriva gli occhi solo per fulminare con la propria magnificenza. Sentendo la sua eccitazione crescere follemente le passai il vibratore per stimolare il punto G, mentre lei si assestava sistemando il lenzuolo macchiato di umori viscosi sotto di lei prima di stendersi nuovamente, prese a mettersi a carponi con il sedere sollevato. Tutta scoperta. Girai il pc posizionando la visuale della camera per inquadrarla meglio. Si profuse in una lenta e profonda fellatio anche di questo vibratore fucsia, spingendoselo fino in gola. Dinanzi alla mia meraviglia per tanta perizia, mi fece: “ehm…ho guardato anche un po’di porno etero…”. Sorrise eccitata tra una tempesta di sospiri e con malizia spudorata. “Me lo potresti inserire giù?” Intontita dalla richiesta audace, ripresi la mia stessa mano mentre inserivo la punta arrotondata, simile a sasso levigato, nella fica di Virginia che istantaneamente la ingurgitò famelica. Presi poi a spingere delicatamente. “Ti faccio male?” le chiesi preoccupata. “No, no…arr….arriva fino in fondo. Avanza pian piano” mi rispose dolcemente, già scossa da brividi elettrici. Iniziava ad avvertire lo strumento sulle pareti vaginali, rese sensibili dalle tante onde sismiche prodotte da tanti orgasmi ravvicinati. Procedetti aprendole ulteriormente le labbra e le pareti fradice con la facilità di affettare il burro con una lama tagliente. Quando toccai la cervice, Virginia, accese il piccolo vibratore clitorideo di color rosa pallido. Riprese anche il manico dello stimolatore che prima le reggevo inesperta e, grazie a questa doppia stimolazione, praticata in posizione prona, potei cogliere nuovi dettagli del suo fiore fremente. Virginia stava impazzendo di piacere. Io passavo dallo sfiorare il suo viso con la fotocamera del cellulare. Il capo era reclino a sinistra, ondate di capelli si dimenavano furiose ad ogni movimento del bacino. Il fiato tiepido e profumato dei suoi sospiri li scostava di continuo, le guance assumevano nuovamente una colorazione vermiglia. Godeva immensamente. Spostandomi poi di profilo potevo inquadrare le rotondità dei seni che sfioravano il suolo con le punte dei capezzoli ad adornare quelle perfette forme primordiali. Sopraffatta, passavo poi a focalizzare l’immagine dei due buchi. Del secondo, estenuato e grondante, coglievo la frizione contro le pareti dovute alla forsennata velocità con cui il vibratore acceso entrava e fuoriusciva aggiungendo nuovi rivoli di nettare torrenziale. Un’alluvione inattesa che sprigionava rivoli su una carta geografica di fantasia lungo le robuste cosce. Il rumore della fica aperta e violata superava anche il basso ronzio di questo giocattolino a causa della quantità di succhi elargita da quell’organo adolescente che stava assumendo un vivo colore violaceo. L’altra mano di Virginia giocava col piccolo vibratore. Immaginavo quale prisma di sensazioni inaudite e brividi sino allora inesplorati permeasse il bel corpo di giovane donna ormai matura e piena di energia. Sussultavo anche io fantasticando sulle ondate di calore e sui fremiti cui tutta si sottopone invaghita di voluttà. Non riuscii a contare quante volte la mia amica venne, ma dovettero essere almeno quattro di seguito. Le ultime due le fuoriuscì talmente tanto liquidò che temevo si stesse disidratando. La vedevo come impazzita e, stavolta in posizione supina, penetrarsi indiavolata. Le gambe premute contro il tavolino, la fica esposta, il vibratore estratto orgasmo dopo orgasmo per assaporarsi. Sul momento ci trovai quasi del masochismo in quello studiato sfinimento di piaceri. Riflettevo tra me che probabilmente mi trovavo in presenza di una situazione limite tra gusto nell’auto-umiliazione e trionfante affermazione della propria vitalità e spudoratezza. Era un rito bacchico, peccaminoso, proibito, ma non meno ammaliante: quella ragazza illanguidita completamente aperta e instancabile nell’appellarsi alle proprie fonti di piacere, stava davvero sfiorando l’assoluto nella droga degli orgasmi che le ottenebravano mente e corpo. Una serie di scosse quasi spaventose la annichilì, tanto che Virginia si accasciò lateralmente come un angelo decaduto, il vibratore ormai spento ancora inserito, le membra esauste per la tensione, il clitoride sensibilissimo fino a farle male, stando a quanto mi avrebbe in seguito raccontato. Erano già trascorse quasi due ore di sollazzi lascivi. L’odore di sesso femminile che ormai pervadeva il pur ampio salotto, mi procurava uno scombussolamento privo di nome, trasformatosi in una tensione bollente localizzata al basso ventri. Spensi la registrazione e mi avvicinai a Virginia che pareva addormenta quale una giovane ninfa colta nell’innocenza di un riposo fanciullesco, non fosse che per la sua nudità e il vibratore che a poco a poco usciva spontaneamente emergendo dalla sua fessura mentre schiudeva labbra fradice come petali. Vedevo il suo ventre alzarsi e abbassarsi. Le labbra riarse esalavano mugolii che andavano via via spegnendosi. Per cinque minuti la lasciai in quello stato. Effettuammo un’altra pausa più lunga in cui la bella Virginia si rimise in sesto rivestendosi col suo negligé dopo aver ripulito con le dita l’inguine intriso di sapida rugiada. Sembrava una Venere estasiata, sfatta dalle battaglie d’Amore col suo Ares guerriero.

“Voglio darle un po’di tregua!” sentenziò Virginia rimettendosi con me sul balcone e indicando il suo basso ventre. L’aria fresca della notte ci accolse lieta. Le grandi ombre nere, rischiarate dalla trapunta stellata, ci protessero. Virginia, sicura di non poter essere vista da nessuno, si spogliò completamente, lasciando scivolare il negligé ai suoi piedi senza un lembo che ne ricoprisse il contatto con la frescura notturna, accendendosi infine una sigaretta. Prese quindi a spazzolarsi i capelli rendendoli lisci e serici. Ampie volute di fumo esalavano dalle sue labbra turgide: pareva come sfinita e lievemente intontita. Il tono della sua voce era comunque carezzevole, dolce e delicatamente passionale. Mi accorsi che mi guardava con occhi di fuoco. Poco dopo iniziò a massaggiarsi i seni con sempre maggior tensione e sempre minor noncurante innocenza. Si trafisse quindi con la spazzola che poco prima ne aveva carezzata l’ampia capigliatura. Rientrammo.

Stavolta Virginia si assise direttamente sul tavolino, spostando il pc sul lenzuolo dove aveva tanto goduto. Si volle donare quale incosciente fanciulla a primi piani da varie angolature. Poi, sedendosi con mollezza sul tavolino, approfondì la spazzola dentro di sé. aprendo in automatico la bocca avvinta da un amplesso di piacere. La lingua lasciva che tanti succhi aveva assorbito, si riposava tra le arcate dei denti impeccabili. Si ritrovò nuovamente impigliata nel vortice della passione, persa per l’immagine che la cam del pc le rinviava. Come un automa, non poté che assecondare con vieppiù parossismo gli appetiti del suo giovane e insaziabile sesso. Riposizionò il piccolo vibratore sul clitoride profondendosi in una danza altamente oscena che temetti la portasse a sfondare il tavolinetto. Sebbene non pesasse più di 58 kg era impressionante sentire lo scricchiolio emanato dalle gambe del tavolino sotto il suo bacino imperioso che si dimenava sotto i colpi delle stimolazioni inferte per raggiungere l’esaltazione assoluta dei sensi. “Deb, Deborahhhh sto ven….sto venendo” gridava mentre io le riprendevo il petto ansante e il bacino che rispondeva come indiavolato alla doppia stimolazione e alle fitte estatiche. Appena venuta, mai del tutto paga, Virginia afferrò la banana. “Tranquilla l’ho disinfettata” mi rassicurò facendomi l’occhiolino.Dirigendosela verso la vagina, le cui labbra dipanò con cura e sollecita delicatezza, inserì anche quella agilmente, ma stavolta decise di posizionarsi perpendicolarmente sul divano, posata sul fianco sinistro come una sirena.Con foga centuplicata, la mia amica sfondò definitivamente la sua natura con il frutto falliforme. Era un corpo sussultante e pieno di libidine quello che vedevo dinanzi ai miei occhi: paralizzata e al tempo stesso vivificata dalle terminazioni nervose della sua vulve che la ricaricavano d’ inesausta energia. Incurante che la banana si stesse disfacendo dentro di lei,mischiando il proprio estratto a quello generato dalle sue più profonde cavità, la sfilò violentemente, mostrandomela scintillante di umori. La sostituì quindi col più grosso vibratore, quello con la stimolazione clitoridea, già ruotante come un forsennato. Gli eloquenti movimenti imposti al bacino centuplicavano anche la mia alterazione. Era evidente che Virginia era così inebriata da aver deciso di cadere nei più remoti vortici della dissolutezza. Lo sciabordare ritmico e ronzante di quell’arnese contro le pareti arrossate e dilatate del sesso di Virginia, aprendo e chiudendo le labbra a mo’di petali gualciti, riempiva la casa assieme ai gemiti. Fissavo imbambolata quello stupendo spettacolo. Pur a distanza, percepivo quasi il caldo vibrante dell’antro bagnato sottoposto a tormenti indicibilmente afrodisiaci. Vedevo ancora stillare gocce di rugiada licenziosa che non cessavano mai da quando era iniziata quella situazione scabrosa. Riprendevo quindi il corrugarsi deliziosa della fronte della mia amica ad ogni spinta e piccola scossa avvertita e irradiata attraverso il bacino, che avvicinava una nuova serie di orgasmi. La fanciulla mugolava così forte che temevo la potessero sentire da fuori e persino la mia reputazione potesse esserne intaccata. Inaspettatamente, Virginia aumentò l’intensità della vibrazione e della percussioni sventagliando poi le gambe a forbice, sino allora poste l’una sopra l’altra. Il risultato fu che venne urlando in pochi secondi e stavolta, oltre a colare schizzò anche alcune gocce incandescenti che ricaddero sul lenzuolo e per terra. La mia amica aveva goduto per l’ennesima volta, ma, seguitando, a penetrarsi indiavolata, dopo pochi secondi si donò anche il secondo orgasmo che, visibilmente dipanandosi dal centro del suo essere, la squassò completamente. Uno spasimo lunghissimo unito a urla belluine che provenivano da quelle splendide labbra a scoprire la candida e perfetta dentatura e la lingua roteante.
“Basta, non ce la faccio più” . Virginia, quasi folgorata dall’ennesimo eccesso di depravazione, si lasciò ricadere in ginocchio, tutta madida di sudore, violata ed esausta, così come lo era la sua patatina depravata che, certo, non avrebbe sopportato nuovi orgasmi. “Devo riposarmi” sospirò sfinita.
Si posò come un angelo leggiadro sul suo letto sospirando soddisfatta. “Sono così stanca, Deb, non avevo mai raggiunto orgasmi così potenti. Sono distrutta”. “Ti ho immortalata al meglio delle mie capacità cercando di cogliere tutta la tua carica sensuale. Non sarà facile neanche per me dimenticare questa nottata, sei stata fantastica” la rassicurai carezzandole il viso imperlato di goccioline di sudore. “Non saprei neanche dirti quante volte sono venuta qui, sul mio lettino soffocando sospiri sul cuscino. Da quando avevo 11-12 anni è diventata un’abitudine, tanto che di norma non riesco ad addormentarmi senza almeno un paio di orgasmi”. -“Come hai avuto il coraggio di comprare questi oggettini?” le chiesi. “Un paio, come ti accennai, su internet: quando arrivarono dissi che era intimo. Il dildo l’ho comprato in gita ad Amsterdam l’anno scorso. Ho fatto finta di avere dimenticato il cellulare in albergo e sono andata a comprarmelo, insieme allo stimolatore del punto G. Il mio sogno sarebbe stato masturbarmi su un sybian.” -“Un sybian? E cos’è?” la interrogai spaesata. “Una sorta di sellino che puoi cavalcare alla cui estremità c’è un dildo che ti penetra roteando tra le tue pareti…da quanto ho visto dai filmati regala numerosissimi orgasmi incredibili. Ma rimarrà un miraggio: non posso portarmi a casa un aggeggio di 10kg, tra l’altro molto costoso”. -“Ti sei dedicata così tanto al piacere solitario….penso di non aver conosciuto nessuna che ne sia più esperta. Sessualmente sei così particolare, Virginia…”. “So cosa pensi, Deb, che io non sia normale. Me lo sono chiesta tante volte anche io. Sono consapevole di essere particolare. Potrei divertirmi con chiunque, ma, in qualche modo, mi sentirei sminuita. Non ho sinora voluto condividermi con nessuno. Inoltre, ho iniziato a pensare che so donarmi certe vette di piacere che non credo chiunque saprebbe eguagliare. E allora perché rimanere delusa? Così mi sono immersa in questo mondo di vizi segreti e ossessionanti. A volte persino mentre parlavo con mia madre, da dietro la porta della mia stanza, stavo immergendo le mie dita quaggù” sorrise, bellissima, aveva il viso di un angelo leggiadro che contrastava bruscamente con la ferocia ferina con la quale inanellava masturbazioni e orgasmi. “Questa qui” e indicò la sua passerina “è la mia delizia e la mia dipendenza”.-“Sì anche a scuola, magari a mezza mattina, mi alzavo e, raggiunto il bagno, infilavo le dita dentro martellandomi sopra fino all’orgasmo e poi leccandomi tutto. Mi sono sempre leccata le dita, non volendo perdere neanche una goccia da assaporare. Sai….bastava guardarmi un seno allo specchio per sentire il bisogno imperioso di carezzarmi togliendomi tutti i vestiti. E ho sempre sentito la necessità di sperimentare novità: toccarmi in qualsiasi luogo, anche a rischio di essere scoperta, inserire nuove oggetti, fotografarmi in ogni posa possibile, girarmi video da angolazioni diverse, baciarmi allo specchio mentre venivo masturbata dal vibratore, averlo dentro persino in pubblico”. Soppesando le sue parole, mi convinsi che avevamo più aspetti in comune, solo che io ne rappresentavo la versione normalizzata: entrambe eravamo attratte dal nostro stesso corpo, entrambe non avvertivamo bisogno spasmodico di altre persone, entrambe vivevamo una sorta di perenne storia romantica con noi stesse. Lei era infinitamente lasciva, io formalmente pudìca, ma non era osceno quello che avevo fatto con mio cugino nel bosco, non erano licenziosi certi pensieri che mi assalivano, o certe sensazioni che ricercavo anche in coppia? Sì ero virtuosa e pura esternamente, anzi era mia intenzione esserlo costantemente, ma ero così distante dal concepire le dissolutezze cui si concedeva quella ninfa libertina, nuda al mio fianco, flagellata dai piaceri?
“Deb, non sono mai venuta tante volte di seguito come stasera, ma, ti sconvolgerà saperlo, non ne ho ancora abbastanza. Sarà l’atmosfera, sarà sapere che questo è il culmine e la fine di una storia autoerotica intensissima, sarà vedere te così bella, o sapere che stai riprendendo tutto, ma ho ancora dentro un residuo….vorrei ancora….mi eccita questa follia e questa libertà assoluta”…..

Stordita, compresi che sarebbe stata la volta del fallo fittizio ad addentrarsi dentro le profondità esauste della mia bella amica. Le scorgevo gli occhi scintillanti di febbre e voluttà ancora non paga. Con studiata lentezza e camminando sinuosamente, Virginia prese l’arnese dal salotto in divano, per poi farlo aderire la ventosa del dildo ad una cassapanca in legno nella camera dei genitori, una grande stanza con letto matrimoniale e armadi a muro con specchio. “Sai, venivo spesso a masturbarmi anche qui quando i miei non c’erano. Questo specchio può testimoniare cose indicibili contro di me…” mi sorrise ammiccante mentre prese a saettare con la lingua lunga l’asta del dildo lasciando scivolare una striscia di saliva lungo le sue venature che riproducevano quelle di un vero fallo. Si fermò un istante, sussurrandomi: “non hai idea quanta voglia io abbia ancora, quanto lo desideri dentro di me tra le mie pareti. Talora mi faccio paura da sola….sembra quasi che non sia mai appagata davvero”. Mosse le dita per toccarsi i seni cominciando in simultanea a muovere le dita dentro di lei. “Riprendimi, è così caldo e bagnato qui dentro” mi implorò con voce soffocata e sconvolta. Capii che stava davvero perdendo il controllo.

Inebriata Virginia muoveva il dito indice dentro le sue valve e, appoggiandosi alla cassapanca, mi mostrava tutto, tutte le sue grazie esposte. Vedevo e filmavo le labbra nuovamente umide, penetrate dal dito, la clitoride esposta e gonfia, il buchino mostrato senza vergogna. La sua eccitazione era sempre più elevata, lo constatavo dal clitoride che si gonfiava sempre più sotto le piccole labbra. Poi salì sulla cassapanca mostrandomi tutto, come fosse a una visita ginecologica. Mi ordinò di andare in camera sua e portarle una minigonna trasparente che terminava in due frange bianche e una centrale nera. Sopra un top bianco leggero che a stento le conteneva i seni aderendo perfettamente alle sue curve. Le condussi anche due tacchi anch’essi bianchi, per poi aiutarla a rivestirsi e la fotografai sdraiata languidamente con gli occhi dischiusi e le labbra semiaperte. Invereconda mi mostrava il sesso che si apriva con dita viziose.

La assistetti nell’equilibrio quando volle finalmente accogliere quel grosso dildo dentro la propria intimità. Era bellissima mentre le piccole labbra, allargate dalle sue dita, inghiottivano il glande fittizio dolcemente schiudendosi. Soffocava sospiri di fuoco. Con estrema delicatezza, Virginia scendeva inghiottendo quel mostro. “E’favoloso sentirsi dilatare così” sussurrò ormai sospirante. Fremeva con la bocca avida, mentre le mani sfioravano i seni di sotto il top. Finalmente arrivò al suo fondo, il dildo le sfiorò la cervice, le gambe totalmente nude ed esposte a finire coi piedi coi quali tesi toccava il suolo per pochi cm, grazie al tacco. E con quelle scarpe femminili si dava spinte perverse. Era trafitta. Lo sguardo un misto di piacere e dolore, voluttà e umiliazione cercata. Ritmicamente cominciò il primordiale movimento di dissoluta oscillazione, continuando a torturarsi i capezzoli, la gonna sollevata sopra i fianchi a coprire l’ombelico sfoggiato dal top troppo corto. Filmavo il monte di Venere ricoperto da peluria curata e poi la sua fica spalancata dal dildo che la dilatava senza naturalezza. La piccolina pareva così indifesa dinanzi a quel fallo che la stava prendendo: vedevo le labbra arrossate che cercavano inizialmente di respingere quel corpo estraneo per poi essere costretta alla resa quando il bacino vi sprofondava dentro. “Sto godendo come una troia”. Mi sorpresi del termine usato, ma compresi che Virginia era pronta per un finale di pura e folle estasi e non voleva più trattenere nulla, solo mostrarsi completamente, godere così posseduta, colare ed esplodere indifferente a tutto e a tutti. Nulla avrebbe fermato quella fanciulla trasformata in libertino animale.

Si osservava allo specchio così impalata, mentre saltava sul dildo distruggendosi il sesso, carico di eccitazione. Ammirava il suo ventre, ora coperto da un lembo di tessuto ora scoperto, che si contraeva e i muscoli tesi, il suo piacere che, scendendo, irrorava le cosce tornite. Non soffocava più sospiri e gemiti tra esalazioni di godimento, le gambe e il bacino rapiti in un uragano confuso di scosse, tremiti e voglie. “Vengoooo sììììì è troppo cosììììì…..Deborahhh vengooooo mmmmmm”. La vidi scossa tutta intenta a spingere quel dildo ancora di più dentro il suo ventre mentre si dimenava tutta. Voleva sfondarsi contorcendosi lì, scopata da quello strumento. Sulla cassapanca colavano rivoli di umori. Rallentò senza smettere col respiro ancora affannoso.

“Dammi le sigarette Deb, voglio fumare mentre mi sbatto”. Gliene accesi una e gliela passai, l’odore penetrante del tabacco invase l’aria in poco tempo, mischiandosi a quello, così acre, di donna in calore. La filmavo annegare nel vizio: aspirava voluttuosamente come stesse suggendo un pene, pensai, e poi emettere un sospiro reso visibile dal fumo, mentre lì sotto il dildo perlustrava il suo utero quale indecente ginecologo. Tremando ancora per l’immenso piacere, Virginia proseguì per alcuni minuti tra sbuffi di goduria sempre più intensi. Poi si sollevò liberando la vagina dal dildo. Colsi con l’occhio e con il cellulare le labbra deformate e allungate mentre si rilassavano ormai libere. Filmai l’alluvione di umori che scendeva irrorando il mobile. La libertina si rialzò profittandone per togliersi la minigonna leggera, gettandola a metri di distanza, con violenza appassionata. Prese quindi a praticare una fellatio quel dildo saettando con la sua meravigliosa lingua, insozzandosi le labbra di umori, spingendosi fino in gola quel fallo che fino a poc’anzi le aveva premuto sull’utero. Alla fine, svettò in piedi, dedicandosi a ripulire diligentemente anche il suo vergognoso sesso per mezzo delle dita, ma gli umori stavolta non finirono in bocca, bensì sui capezzoli che, grazie al top bianco divenuto trasparente, emersero di sotto il tessuto leggero, così come le areole entro cui erano custoditi. Morì la sigaretta su un piattino che fungette da posacenere, così pure si spense il suo piacere.

Tutta nuda mi passò davanti, odorava di fumo e del suo nettare e conduceva con sé quel grosso dildo. Pensai di trovarmi in un mondo irreale.Pareva una dea slanciata su quei tacchi, i capelli che le aderivano alla fronte sudata, ancora più selvaggia e magnificente nel sovvertimento di tutti i sensi.
Si carezzò languidamente la pancia davanti allo specchio, togliendosi il top con solerte maestria. I grossi seni svettavano fieri, sfidando la forza di gravità per grazia di una forza ancora maggiore: quella della giovinezza migliore. Li appoggiò lasciva al vetro riflettente strusciandoli lentamente. Il contatto di porzioni anatomiche così sensibili con la superficie fredda doveva sconvolgerla di brividi e scosse in cortocircuito con quelli trasmessi dal suo frutto inguinale. Si sdraiò dinanzi allo specchio, rotolandosi sul parquet e sorridendo perversa. Ancora un po’di succhi fuoriuscivano dalla sua fessura: dopo esserseli raccolti, li mise sullo specchio suggendoli avidamente. Poi, schiava delle pulsioni, si mise il dildo tra i seni sodi, da diciottenne così fresca e formosa. Poi, stringendo l’asta tra i globi, ne leccava la punta, sorridendo peccaminosa. Inaspettatamente, incollò quell’oggetto allo specchio mettendosi a carponi, non prima di avere fatto scorrere quel glande artificiale sulla sua vagina ancora aperta e deformata, persino sul suo buchino ancora inviolato.

Il dildo prese a penzolare nel vuoto. Sembrava puntare a lei, Virginia che, come chiamata da un comando inesorabile, avvicinò il suo ingresso a quel glande minaccioso. Si solleticò ancora la vulva con la punta maestosa. Attese, quasi indecisa. Poi, spalancandosi, lo spinse sempre più dentro ingoiando centimetri di asta. Scorreva lentamente ma inesorabilmente il giocattolo licenzioso dentro lo splendido corpo elastico e sodo. Non poteva far altro che continuare a introdurre centimetri, contro cui aderivano le labbra della patatina e poi le pareti grondanti.

Potevo vedere tutto da vicino e filmare ora lei, ora il riflesso allo specchio. Ero estasiata da quanto stava accadendo. Un lungo gemito di piacere accompagnava tutta quella penetrazione. La fica di Virginia si abituò e il corpo iniziò a saltellare sul fallo ciondolando scandaloso ove la pressione generava le sensazioni più indescrivibili: i seni prorompenti balzellavano anch’essi, malgrado la loro inconsistenza soda, per l’intensità delle spinte che Virginia s’imprimeva ammaliata dall’incanto carnale che si concedeva. A volte il dildo usciva del tutto dalla sua guaina di carne, scintillando di umori. Il mugugno deluso della mia amica precedeva l’immediato tentativo di rimetterselo dentro rimbalzando ancora e ancora provocando apocalissi dentro al suo grembo. Poi prese a titillarsi il clitoride per massimizzare il piacere. Riprendevo le dita fradice che danzavano come falangi rapaci di pianista provetto. Il rumore prodotto dal dildo sulla carne inzuppata era vieppiù eccitante.

La inquadrai in un primo piano del volto. Il bel viso da bambina che si trasformava in donna arrossato per l’eccitazione, gli occhi chiusi o semichiusi, la bocca aperta a lasciarmi intravvedere la lingua e la dentatura perfetta, costituita da piccole perle d’avorio regolare. I capelli sballottati ovunque a formare onde in tempesta che solo il fiato prodotto dai gemiti cocenti riusciva a spostare. Era divino vedere le labbra affannate, annaffiate e striate del suo stesso miele, che si schiudevano e richiudevano ritmicamente concordi alla sinfonia delle penetrazioni effondendo urletti in concomitanza coi picchi di godimento. La sensualità eccedeva quando il dildo toccava ancora più a fondo all’interno delle cavità intime celate dalle cosce formose, manifestate dal riflesso disonesto. Allora Virginia si tormentava coi denti il labbro inferiore esalando tra soffi e sospiri furiosi, smorfie soavissime, il suo piacere immortale. “Mi sento sciogliere, è meraviglioso, non ho mai goduto così, non cred….non credevo sarebbe stato possibile” riuscì a dire.

Poco dopo perse il controllo, tremò per la sua intera estensione, mugolando come impazzita. Come mi disse, poi, si sentiva incendiare. Roteava e dimenava il bacino a velocità inaudite, coi piedini elegantemente adornati delle scarpe col tacco puntati contro gli specchi: temevo quasi li rompesse. Le inquadrai da vicino la fica che si contraeva in spasmi asimmetrici su quel dildo carnoso, la schiena che si inarcava. “Godooooooo ancoraaaaa, ohhhhhhhh mioDDDDio sìììììììììììììììì”. Un’esplosione sublime e devastante. Di nuovo passai a pochi centimetri dal volto, stravolto dai piaceri, sentendo il suo respiro caldo e ansimante sulle mie mani che reggevano il cellulare. Non trattenne le grida di piacere. Senza pietà, Virginia non si fermò continuando a inondarsi di piacere scuotendo il bacino, mentre mi sorrideva. Non voleva perdersi neanche una scossa ascendente dalla vulva arroventata. Pareva una tossicomane in crisi di astinenza mentre l’orgasmo le moriva nel grembo rallentando inesorabile.

Rimase in quell’oscena posizione per alcuni minuti, sempre col dildo che la infilava smanioso. Piano piano si massaggiava i seni e i fianchi come a coccolarsi materna- Poi, slanciandosi innanzi, si liberò da quel sigillo fallico con grazia e dolcezza sensuale e, rigirandosi, si accovacciò aggraziata iniziando a leccarlo bramosamente dissetandosi degli stessi umori di cui l’aveva riempito. Alzò il sedere scolpito da curve perfette e potei godere della la visione del suo sesso scintillante, aperto e sconvolto (il dildo aveva lasciato un buco piuttosto largo). Filmai tutto con ripetuti primi piani che immortalavano quella scena stupenda, poi, spostando il cellulare, la colsi mentre suggeva ingoiando stille della propria rugiada. Infine, soddisfatta del risultato, Virginia si adagiò col viso luccicante dei suoi stessi umori. Cercava di riprendersi godendosi quei minuti di beatitudine a occhi socchiusi.

Avevo assistito, nel corso di quella sera, a un’antologia di orgasmi, atti scandalosi e sregolati. Virginia aveva imbastito una vera e propria orgia con se stessa che io avevo inquadrato immedesimandomi in quei gemiti, in quei rivoli di nettare, in quegli afrori femminili, in quelle mosse ipnotiche, ritmiche e soffocate, in quella voluttà ormai dimentica dei concetti stessi di castità, limite e norma. Non posso negare che, pur non essendomi mai sfiorata, ora sconvolta da quanto avevo visto e tormentata dai sensi. Decisi quindi di piazzare il pc fisso, che nel frattempo aveva registrato tutto accanto a me, sull’orlo del letto. Andai nel corridoio e lì, sopiti gli istinti inibitori, mi spogliai di tutto, sfilando l’abito che mi racchiudeva e tratteneva le forme, col cuore che mi batteva a perdifiato in petto. Ero senza fiato e agitatissima. Rientrai, quasi come un automa, investita dal fortissimo odore di sesso femminile e, vedendo che Virginia era ancora distesa a occhi chiusi, mi scorsi allo specchio: fui percorsa da un brivido: ero bellissima, non ho parole per descrivere l’inappuntabile perfezione del mio corpo e l’erotismo espresso dal mio viso: mi adagiai di fronte a lei, completamente nuda, sfiorandomi i fianchi.

Appena mi riaprii gli occhi, Virginia non poté soffocare un grido di sorpresa divampando in viso. “Ti sei spogliata. Sapevo che mi avresti fatto compagnia prima o poi. Era il mio sogno. Sei così splendida…”. Non la lasciai terminare perché, completamente spogliata dinanzi a lei, iniziai a tormentarmi il clitoride. Il mio sesso era bollente, sensibile e bagnatissimo. Sapevo che sarei venuta in pochi secondi me volevo trattenermi, quindi mi sfioravo con dolcezza e piano, cosa che mi faceva impazzire ancora di più. Ci mettemmo una di fronte all’altra, adagiate su un fianco, Virginia introducendo quattro dita vogliose, io solo solleticando il clitoride, stiracchiandolo delicatamente. Scorgevo il movimento riflesso dagli specchi alle spalle della mia amica. Eravamo quasi sull’orlo della follia fremendo rotte da brividi e sussulti cadenzati e instancabilmente rinnovati. I miei polpastrelli mi stordivano con quel massaggio così indolente e rilassante sul punto di nascita del piacere femminile.
Ci carezzavamo il viso e i capelli coi nostri respiri messaggeri di fragranze e di piacere. Le mie dita mi provocavano brividi di piacere che dal clitoride incandescente giungevano al cervello e alla bocca. Ogni fibra del mio essere era tesa e sconvolta: persino i capezzoli ritti ondulavano insieme al mio appariscente seno marmoreo adorno di capezzoli turgidi, specularmente imitati da quelli della mia amica. Allo stesso modo ognuna puntava il pube verso quello dell’altra e, anche se non ci sfioravamo, era quella una coordinata altalena a elevato erotismo. Quasi simultaneamente venimmo, i nostri corpi scossi da sussulti violenti, le vagine pulsanti per le contrazioni violente, alitandoci i nostri piaceri l’una sul viso dell’altra, mentre i suoi occhi truccati si posavano sui miei imbarazzati. Dopo l’orgasmo sperimentai un gran benessere, ma, a differenza di Virginia, chiusi le gambe e mi massaggiai il seno coprendolo. Anche io trovai però l’audacia di leccarmi le dita su cui ero appena venuta, non lo facevo spesso, ma ero così bisognosa di rilasciare tutta la tensione erotica accumulata. Ci guardammo intensamente per secondi che sembrarono un’eternità. Poi la aiutai a rialzarsi e ci mettemmo sul letto. Stravolte, sudate, ci addormentammo così, senza lavarci, senza neppure rivestirci con l’intimo.

Durante la notte fui però interrotta nel sonno da un ronzio, a poco a poco mi risvegliai riprendendo contatto con la realtà. Percepii movimenti sconnessi e confusi che si perdevamo tra le ombre della camera e un ansimare soffocato, ma inconfondibile. Poi distinsi chiaramente: Virginia stava giocando con ben due vibratori come bambina viziata spiando il mio corpo.

“Te l’ho detto sarebbe stato per tutta la notte” mi sospirò vicina, interrotta dai sospiri, “poi tu mi hai provocata, volevo solo dare un po’di pace alla mia passerina”. Mi chiesi da quanto tempo si stava ancora soddisfacendo la troietta. Spingeva dentro di sé il vibratore ricurvo cercando viziosamente di spingerlo verso il punto G, a perdifiato verso la più grande esplosione. “Sai, Deborah, vorrei venire come un maschio…ho letto che sbattendo verso il punto G in una certa maniera ci si può riuscire ma finora ho solo colato il mio piacere…” con una foga innaturale si stava masturbando trasformando il suo corpo in un santuario di voluttà peccaminose. Sul clitoride prorompente invece aveva apposto il piccolo vibratore che si strusciava leziosamente su quel peduncolo sperimentando sensazioni favolose a giudicare dal piacere che esalava. Boccheggiava veemente mentre si introduceva lo stretto vibratore nella fica, ancora una volta tappata e violata. Divaricava le gambe al massimo, alzando le caviglie in alto quasi all’altezza delle spalle, afferrandosi i piedi con la mano, sempre guardandomi famelica. Si stantuffava così violentemente che ne scorgevo le smorfie di dolore prevalere su quelle di piacere. Poi tremò tutta, catturata dagli spasmi orgasmici, si irrigidì e, completamente in trance, gridò il mio nome con una tale intensità che sono certa qualche inquilino delle villette contigue l’abbia sentito. Nel medesimo istante, così come durante l’atto autoerotico con Gabriele, venni lambita da schizzi: Virginia era venuta a fontana come aveva desiderato e stava continuando ad alluvionare il letto dei suoi. Tremò ancora per parecchi minuti.
Per la prima volta cedendo all’umiliazione e all’imbarazzo, forse proprio per la stessa forza dell’orgasmo che l’aveva definitivamente svuotando, Virginia proruppe in singhiozzi. La consolai, dolcemente, nel letto pieno di odori femminili. Poi ci rilassammo in una doccia rinfrescante e, stavolta rivestendoci, ci addormentammo sul divano. La nottata con Deborah fu inesprimibile a parole, una vera sospensione della dimensione temporale in cui tentai di produrre
la più alta carica erotica di cui il mio corpo e la mia anima mi
rendessero capace: un cardine espressivo cui ero soggiaciuta, ma che rappresentava il passato. L’incontro con lei, con una donna davvero elevata e pura, fu un toccasana per me. Gettai via tutto ciò che mi accompagnò in anni di eccessivo autoerotismo, di vizi narcisistici ardui da svellere. Qualche volta mi accadeva ancora di soffermarmi allo specchio a rimirarmi, ma nei mesi successivi tenni a freno qualsiasi pulsione. Indirizzai tutta la passione che conoscessi su Gabriele con cui avevo intrapreso una relazione priva d’ambiguità e ambiziosa nel suo spietato desiderio d’immortale fusione.

Un mese e mezzo dopo che Deborah se ne fu ritornata in città, io e Gabriele, ormai ufficialmente fidanzati, decidemmo di avere la nostra prima volta profittando dell’assenza dei miei genitori. Allora forse non sarei più stata condannata a immaginare la dimensione dispiegata di migliaia e migliaia di possibili finali senza averne l’esperienza sulla mia pelle.

Rammento come mi svegliai quel sabato. Riposavo con una mano sotto il cuscino, respirando leggera e lieve con l’innocenza di una bambina. Avevo maldestramente lasciato la tapparella della mia stanza non completamente abbassata e così il sole d’inizio autunno lambì il mio viso, carezzandomi dolcemente e dando il via al flusso ininterrotto dei sensi e delle immagini loro rimando. Mi svegliai già col cuore in gola, la felicità offuscata da un’altalenante preoccupazione sulla serata che avrei vissuto e che mi avrebbe reso donna. Ero tutta un groviglio di sensazioni, così ora mi proiettavo nell’ebbrezza e nella malia che mi pervadevano, ora mi sentivo schiacciata dalla commozione e solcata da un afflato lirico-sentimentale. Infine v’erano bandoli di pura tensione, quasi fossi inghiottita da un gorgo angosciante, dinanzi alla lucida e paradigmatica consapevolezza che stavo superando il punto di non ritorno Sarei diventata davvero donna, a 18 anni. Un’età fino a qualche anno fa normale, ma ora considerata ritardataria. Eppure,
pensavo, è stato giusto così. Perché avere rimpianti? Perché dispiacersi di non aver affrettato quella magica transizione assaporando tutti fremiti degli attimi in divenire con rinverdita maturità? Perché rincrescersi di aver atteso che il tempo mi avesse donato l’amore?

Avevo preferito non confidarmi con nessuna mia amica, solo a Deborah confidai ciò che avevamo deciso. In ultima analisi era stata lei a farsi pronuba consegnandoci l’una nelle mani dell’altro consentendoci di superare le reciproche timidezze e le mie ossessioni, sottraendomi alla mia nostalgia di perfezione per indirizzare l’eterno anelito verso un ragazzo imperfettissimo, ma perfetto per me. Sapevo di doverle molto: mi aveva salvato nei riguardi dell’infimo e del brutto, insegnandomi a difendere i lati più innocenti e peculiari di me. Ormai era più d’una sorella di sangue per me. Mi vergognavo moltissimo per ciò cui mi ero abbandonata durante quella nottata impetuosa e scandalosa: era ancora un ricordo indelebile, pari ad una fitta dolorosa, ma preferisco essermi abbandonata a questa forma di follia esibizionistica e lasciva che ad altre ben più nocive. Alfine, avevo custodito gelosamente la mia interiorità non permettendo ad alcuna lama volgare di configgersi nella mia carne. Io, Virginia, così gelosa di me stessa.

Dopo pranzo i miei partirono e io iniziai a prepararmi, sempre più
emozionata e fremente. Dopo la doccia mi avvolsi languidamente nel morbido accappatoio violetto, asciugandomi. Poi decisi di vestirmi dinanzi al grande armadio a specchio dove avevo dato di me stessa osceno spettacolo. Ero bellissima, mi sentivo più sensuale del solito: i capelli neri bagnati mi scendevano lungo la schiena come serpenti famelici dotati di vita propria, la pelle del viso color pesca, la dolcezza soffusa di una ragazza che si è arresa all’amore, il biancore del seno mi adornava insieme alle areole rosate: era talmente sodo da sfidare la forza di gravità, i miei occhi verdi scintillavano più del solito come riecheggiasse in essi il ricordo vibrante e incandescente dei miei sogni, delle mie attese. Presi poi a rimirare i fianchi, le gambe, le ginocchia eleganti e ben modellate, e, infine girandomi, il fondoschiena da troppi ammirato: tutto il mio corpo era così elastico, morbido, fresco e profumato che per un attimo fui colta dall’eterno desiderio di me stessa. ma riuscii agevolmente a tenerlo a freno. Mi immaginavo in posizioni erotiche, le più disparate.
Non mi appartenevo più: gli appartenevo.

Decisi di indossare un abito lungo di colore blu scuro con inserti di
pizzo trasparente e uno spacco a mezza coscia sinistra, intimo
anch’esso di pizzo nero. Ai piedi scarpe col tacco comode cok tocco molto femminile di un fiocco nero sul davanti. Non indossai rossetto perché non desideravo caricare eccessivamente il viso col trucco e amo il colore amaranto delle mie labbra così com’è senza necessità di ritocchi estetici. Ho
le labbra a cuore con la tipica ondulazione della curva di Cupido: dicono, mi han sempre detto, siano proprie delle donne più passionali e sensuali. Rafforzai l’intensità dello sguardo con un ombretto color prugna e con un filo di matita nero sugli occhi. Non avendo bisogno né di phard né di fondotinta, potendo vantare una pigmentazione e una grana della pelle assolutamente soddisfacenti, non aggiunsi altro. Mi profumai con una fragranza pregiata dalla tonalità speziata alla rosa, una tonalità palpitante di passioni soffuse. Ho sempre dato importanza ai profumi, in quanto l’olfatto tra i cinque sensi, è quello forse più avvinto alla memoria. Si può scordare un viso, più difficile che una fragranza particolare cada nell’oblio. Essa continuerà a reggere “l’immenso edificio del ricordo”, per dirla con Proust.
Quindi asciugai i capelli lasciandomeli mossi, liberi e fluenti. Mi guardai ancora e l’ammirazione per me stessa fu d’un subito mutata nel desiderio di essere apprezzata rendendo anche al mio amato la giornata indimenticabile. Volevo con tutta me stessa che la nostra prima volta fosse perfetta. Infine, mi sdraiai sul letto ad ascoltare un po’di musica per distrarmi ammirando il trascolorare del meriggio in sera e il gioco che le ombre inventavano coi mobili e gli oggetti della mia stanzetta di ragazza. Ero già esausta per tutte le potenti sensazioni che mi turbinavano nella mente e nei sensi sconvolgendomi profondamente. Si preannunciava una serata elettrica, l’aria si addensava soverchia di un vitalismo forse solo riflesso dei miei frammenti interiori che andavano a comporre mosaici di bellezza sulla superficie serica del cielo. Ebbi bisogno di aprire la finestra per aspirare l’aria fresca, respirandola a pieni polmoni. Ammisi a me stessa di essere sotto scacco di un timore senza nome.

Verso le sette, Gabriele suonò. “Sei uno schianto Virgy: sembri una supermodella. Così mi vuoi ammazzare'” mi disse abbracciandomi quasi trafelato dinanzi alla mia bellezza e sensualità, baciandomi alla francese infinitamente bramoso di me. Malgrado la sua ostentata sicurezza, sapevo che provava le mie medesime ansie. Mi carezzò i lunghi capelli con malizia non scevra di desiderio assoluto. Vedevo che cercava di scorgere le mie profondità e d’indovinare tutte le mie curve.
Gli sorrisi intimidita come di rado mi capitava, mentre il sole ormai declinante sull’ultimo orizzonte mi omaggiò con uno dei suoi estremi raggi velandomi della nostalgia elegiaca della luce morente.

Mi appoggiai alla sua spalla languidamente per riempirmi le narici del suo profumo maschile, intenso, muschiato con un retrogusto caldo e legnoso. Lo abbracciai sentendomi pervadere ed eccitare da quelle note speziate e da quelle braccia accoglienti e forti. Gabriele aveva lasciato la barba di due giorni lievemente incolta e ciò gli conferiva un tono più selvaggio e piacente. Mi persi nella profondità dei suoi occhi scuri e gli carezzai i capelli corti ben pettinati all’indietro di un castano così simile al mio. Con malizia gli premetti i seni sul petto e inarcandomi leziosamente per lasciarmi abbracciare abbandonata in una posa plastica d’indiscussa poesia. Il mio corpo era elettrico: mi teneva completamente sotto scacco con lo strapotere dei sensi.

Ci baciammo ancora e potei percepire la sua barbetta ispida e strusciarmi le mie morbide guance lievemente arrossate, il fresco sapore della sua bocca, le sue labbra lievemente carnose e poi il miracolo ancestrale delle nostre lingue che iniziarono una lotta estenuante e deliziosa come facevamo da settimane ormai, impazienti di esplorarci. “Dove staremo?” mi domandò all’improvviso Gabriele per spezzare quel silenzio denso che era scivolato su di noi che ci baciavamo senza requie. “In camera dei miei”. Gli presi la mano con dolcezza straziante e aprendogli la strada in un tripudio inanimato, lo condussi dinanzi al grande letto matrimoniale, davanti agli armadi dai grandi specchi che tante volte mi avevano vista nuda, consumata da piaceri solitari che solevo concedermi prodigalmente in passato, all’epoca della mia svilente caduta.

Lo guardai meglio. “Sei così bello Amore”. Gabriele dimostrava poco più della nostra età: era ancora cresciuto in pochi mesi a sfiorare il metro e ottanta, ma, sia pur non altissimo, il suo fisico asciutto e robusto mi trasmetteva turbamenti carichi di voluttà. Le sue ciglia lunghe, le spalle, la pancia piatta e modellata mi provocarono un lungo brivido. Non vedevo l’ora di provare piacere attraverso quel corpo che mi attraeva reclamandomi, mentre tra le mie cosce iniziai ad avvertire il serpeggiare di un languido calore a corolllario di un sentore di umidità e alla brama di essere finalmente posseduta per la prima volta.

Mi feci coraggio e adagiai sul bordo del grande letto inarcando lievemente le gambe, superbamente sfiorata dalla luce del tramonto che si effondeva attraverso le finestre laterali. Desideravo venire spogliata. Gabriele mi tuffò nuovamente le mani tra i capelli adagiandosi su di me. Mi piaceva la sua camicia di marca, così come i pantaloni di velluto e le scarpe eleganti come fosse dovuto recarsi ad una cerimonia. Apprezzavo l’importanza estrema che tributava a quella serata fatta per noi.

Avvertii il suo sesso eretto e talmente duro scorrere sul mio bacino e poi sulla mia pancia perfettamente tonificata, mentre, con un lento e sensuale movimento pelvico, si strusciava sul mio corpo voluttuoso come danzando. Ci baciammo per minuti infiniti. Adoravo quando mi stringeva forte per le spalle sollevandomi il capo da dietro per baciarmi ancora quasi a suggermi il respiro. Non esagero se affermo che in quei momenti mi passarono dinanzi infiniti frammenti della mia vita. Ero innamorata perdutamente di Gabriele, di me stessa e della Vita. Mi commuovevo a scorgere nei suoi occhi delicato amore e passione illimitata: tutte le nostre conversazioni, la scoperta delle nostre personalità e dei nostri corpi, dapprima timidamente poi con accenti sempre più audaci e bramosi, ora tutto ciò si compiva in un unico attimo fatale.

Avvampavo febbricitante. Percepii il mio sesso pulsare fremente mentre veniva sfiorato dal bacino di Gabriele e dal suo membro in tensione che già avevo avuto tra le mani ma mai era penetrato nel mio grembo. Iniziammo quindi ad accarezzarci ovunque. Gabriele mi stringeva i fianchi chiamandomi Amore, alternandolo al mio nome occultando prepotenti emozioni. Iniziai ad ansimare affannata e ad avvertire una sorta di capogiro: mi sentii debolissima. La forza magnetica di quegli occhi che mi guardavano spogliandomi, impreziosiva attimo per attimo l’abisso dei sensi sul cui ciglio giacevamo iniziando una danza coi nostri corpi, la più antica l’uomo ricordi.
Ascesi quindi un’estasi di repentina elevazione allorché Gabriele prese a mordicchiarmi il collo e i lobi delle orecchie, sensibili ed erogeni per natura. “Ma è amaro” esclamò titillandomi con la lingua il collo. “Per forza ci ho messo il profumo”. Scoppiammo a ridere con un’ilarità che stemperò la fitta tensione erotica. Mi sorrise e io gli sorrisi di rimando. Prese dunque, col mio aiuto, a togliermi, che dico quasi a strapparmi, l’abito che scivolò a terra d’un baleno. Mi sentii giù nuda malgrado l’intimo. Le mutandine erano già intrise della mia eccitazione: ringraziai di aver scelto il nero così che si notasse di meno. Gabriele si tolse pantaloni e camicia. A quel punto ci strusciammo ancora con maggior voluttà. Con mani maliziose presi a sfiorargli l’asta turgida da sopra i boxer grigi. Anche le sue mani si fecero più sfrontate prendendo ad esplorare delicatamente i seni divenuti sensibilissimi da sotto il reggiseno e persino il fondoschiena. “E’tutto così sodo, sei fantastica Virginia” esclamò stuzzicandomi i capezzoli. Mi tolse quindi le scarpe e io divaricando le gambe gli offrii il mio pube, schermato ancora per fuggevoli attimi dalle mutandine. Ansimavo talmente forte, presaga dell’imminenza dell’atto, da temere di finire in iperventilazione. Mi sentivo sciogliere e colare su quel letto come non avevo mai fatto prima.
Gabriele mi sfiorò l’interno coscia, quelle mie cosce tornite e abbronzate di cui andavo tanto fiore. Premette il tessuto sulla mia fessura facendolo rientrare per un centimetro. Inzuppandolo. Poi oltrepassando con l’indice e il medio il tessuto tanto umido delle mutandine, circuì il mio monte di Venere, espose la mia clitoride stuzzicandola con noncuranza e finalmente arrivò alla mia vagina bramosa e rorida di nettare. “Sei un lago, Amore”. Si immerse nelle mie profondità dopo aver lasciato scivolare lascive dita sul mio solco rovente. La mia vagina prese la forma di quelle falangi che s’insinuavano dentro di lei invadendola. Vidi le sue dita scintillare dei miei stessi succhi, prima che se le portasse alla bocca, succhiandole avidamente. Poi riprese a penetrarmi con quelle due dita, mentre col mignolo e l’anulare della stessa mano destra mi carezzò la clitoride già pulsante circuendomela. Il mio fiore era tanto stretto che quelle dita ne riempivano completamente la larghezza. Malgrado avessi avuto in passato dimestichezza con oggetti più grandi, pensai con un accenno di timore a come sarebbe stato avere dentro di me il grosso membro di Gabriele. Sbuffai e sospirai dolcemente di piacere chiudendo gli occhi per godermi quegli attimi sostanziati di brividi. Poi avvertii le sue falangi profumate di me sulla mia bocca a cuore per consentirmi di assaporarmi. Come avevo fatto tante volte, pensai. Ma questa era unica e speciale. Indimenticabile.

Come colta da una tremenda urgenza, in breve fui completamente nuda, dopo che anche l’intimo mi fu rimosso e cadde a terra quale ultimo velo tra il mio sesso vergine e quello di Gabriele. Irrefrenabili vampate di calore mi risalirono dal ventre incendiandomi il cervello sconvolto. Ero paralizzata dall’imbarazzo e dalla tensione nervosa: attimi d’infantile ingenuità. Al di là della mia finitezza e imperfezione mi sentivo avvinta all’infinito. Imbarazzata per la mia nudità, venivo scossa da fremiti e palpiti di piacere senza soluzione di continuità, allorché vidi Gabriele spogliarsi completamente. Non l’avevo mai visto in piena luce senza alcun velo. Era bellissimo così ben proporzionato e robusto, i muscoli lievemente in rilievo. Le gambe forti e modellate dallo sport, i bicipiti così virili e la pancia senza addominali definiti, ma piatta e virile. E poi, i morbidi peli sul pube e quel sesso bruno e grosso che, quasi mosso da fili invisibili, presa a puntare l’asta verso di me, precisamente verso il mio viso.
Mentre mi ero sistemata sul bordo del letto, spenta ogni elaborazione cognitivo-razionale, schiusi le labbra della mia intimità, inarcando lievemente la schiena. Permisi quindi a Gabriele di sfiorarmi nuovamente con le dita, passando lentamente dal mio ombelico fino al ciuffetto del pube e al vestibolo del mio fiore. Cautamente aprì i petali della mia femminilità scostandoli per carezzare la piccola clitoride ora già esposta. Immerse due dita dentro di me. Percependo il tepore che si effondeva dal profondità indicibili non poté che farmi notare quanto fossi bollente.

Con mia grande sorpresa s’inchinò dinanzi a me prendendo a leccarmi avidamente e con un ritmo indiavolato la mia vagina rovente e madida di doviziosi umori. Poi rallentò e cominciò ad assaporarmi lentamente le piccole labbra già gonfie e tese, provando impudicamente a inserire la lingua nella vagina a volermi penetrare lambendo con sapienti colpetti le mie pareti. Mi leccò ogni suo piccolo anfratto: ero così imbarazzata e al medesimo tempo estasiata. Socchiusi gli occhi stordita dal calore e dalle scosse elettriche inviatemi dalla mia rosa bagnata e tripudiante nell’idillio di cui era protagonista. Poi soffiò sulla clitoride e la titillò saettando con la lingua e poi cogliendola tra le labbra come fosse un piccolo germoglio, cosa che mi perturbò ulteriormente. Iniziai a mugolare e muovere il capo ritmicamente sotto l’impeto di quelle carezze magistralmente eseguite con la sua sola lingua. Chiusi involontariamente il capo di Gabriele tra le mie cosce, gesto che gli scatenò un mugolìo di approvazione. Poi, più teneramente, gli carezzai i capelli, facendogli delicatamente aderire la bocca alla mia rosa. Stavo perdendo tutto il mio pudore in un attimo, persa tra nembi iperuranici creati da sensi sovraccarichi.
Sentendomi ormai vicina all’esplosione dell’incantesimo prodotto dal mio corpo e dalla sua lingua che roteava facendomi vibrare, innalzai le gambe tendendo le sottili caviglie a mezz’aria, poco sopra le sue spalle. Mi allargai a dismisura prima di aggrapparmi alle lenzuola mentre innalzavo in un impetuoso andirivieni il bacino ad offrire il mio sesso alla sua lingua. Provavo un piacere enorme, dovevo essere sconvolta e bellissima. Venni in quelli che valutai pochi istanti riversando il mio liquido orgasmico nella sua bocca che strofinò sul mio sesso pulsante che si contrasse per decine di secondi. Mi ripulì di ogni goccia del mio orgasmo con la sua lingua affamata di me. “Sei buonissima, non ne avrei mai abbastanza”. Arrossii violentemente. Ci baciammo così che potei riassaporare me stessa attraverso la sua lingua e le sue belle labbra.

Ora era il mio turno di donargli a piacere. Osservai meglio il suo membro afferrandolo nel palmo della mano destra. Ne tastai i contorni con curiosità dal respiro franto. Lo avevo giù masturbato più di un paio di volte apprezzandone la circonferenza esageratamente larga così come il glande grosso e violaceo. Ero sempre impazzita per quell’odore pungente di uomo, così non persi tempo e iniziai a masturbarlo piano, fissando il mio amore dritto negli occhi coi miei imbarazzati, intimiditi, eccitati, mentre lui si stese vicino a me iniziando a baciarmi soavemente. Dopo qualche minuto di quelle carezze, fui io ad alzarmi, tutta nuda ritta davanti a lui, tra lui e lo specchio, così che mi poteva osservare la schiena e il fondoschiena dal riflesso. Era così duro e paonazzo per l’afflusso di sangue! Lo baciai e poi, schiudendo le labbra spaventata, accolsi l’enorme glande in bocca. Trovava posto a malapena nella mia piccola bocca a cuore. Fui presa dal panico perché, non avendo mai fatto un atto simile, non ero esperta nelle movenze, così presi a brandire l’asta con la mano muovendola ripetutamente con un movimento altalenante ed elastico. Poi gli carezzai i testicoli alla base dell’asta solleticandogli il perineo: erano così grandi e gonfi. Ne volevo essere inondata.
Gabriele esalò sospiri speculari ai miei: così femminili i secondi, virili i primi. Ci guardammo: la tensione tra noi raggiunse il culmine. Sapevo che era eccitatissimo. Non dubitavo certo delle sue manifestazioni verbali, ma ancora meno delle sue reazioni fisiche. Arrossendo violentemente continuai a muovere la mano lunga quell’asta meravigliosa e forte che quasi non riusciva ad essere contenuta nella mia morsa a causa dalla circonferenza davvero notevole. Timidamente presi a saettare la lingua sul glande e sul filetto cercando di intuire dove le sensazioni fossero più impellenti. Leccai una goccia del suo piacere che stava affiorando dalla piccola apertura in cima. Lo sentii pulsare e fu meraviglioso: era come essere appoggiate a un giovane puledro che mordesse il freno per correre all’impazzata.

Ora era il momento, il point d’appui. Assoluta fusione di emozioni e di attese trasfuse da un raccordo esistenziale. Malia misteriosa e maestosa di un sentimento, il più forte di tutti.
Mi rialzai giudicando dalle contrazioni che percepivo coi miei polpastrelli che se avessi continuato probabilmente Gabriele mi avrebbe inondato la mano di seme. Così mi stesi vicino a lui sorridendogli dolcemente. “Virginia, ti amo. Lo vuoi davvero?”-“Sì voglio solo te, eccomi per te”. Dopo aver posto un ampio asciugamano di colore beige sotto di me, mi stesi per tutta lunghezza sul letto, dilatando le gambe. Mi sentivo del tutto esposta, ma non volevo avere segreti. Non con lui.

“Ti amo tanto Gabriele”. Il cuore prese a battermi a perdifiato e non riuscii ad articolare altre sillabe. Io che mi ero sempre ritenuta una dea superiore a tutto e a tutti, mi sentivo ora una sorta di burattino imbranato ad un esame scolastico. Non mi riaffiorava nemmeno alla mente il ricordo di quanto fossi avvenente. Volevo solo non deluderlo. “Sei pronta…?” mi fece con un sorriso che lasciava trapelare una piccola nota di nervosismo che cercava di celare. “Sì, lo sono” risposi come un automa, ma non senza una certa solennità. Ero colma di emozioni e al tempo stesso mi sentivo svuotata di ogni pensiero e serena. Socchiusi gli occhi, sfiorandomi le labbra più intime per aprirmi a lui. Sapevo che ormai l’imene era stato completamente rimosso, ma quando si appoggiò a me ed entrò percepii comunque un violento dolore e una sorta di rottura. La sensazione fu indicibile. Gli chiesi con voce strozzata di entrare a poco a poco per consentire di abituarmi a quell’attrito. Ansimai mordendomi un labbro per il dolore che si fondeva a delizia incipiente, più attesa del piacere che sarebbe arrivato. Entrò ancora finché non mi sentii completamente riempita come mai mi era successo prima: nulla di paragonabile neanche ai giocattoli erotici di cui avevo fatto uso. Mi baciò intensamente mentre ormai era tutto dentro il mio ventre. Trattenni le lacrime per il dolore e per la commozione. Lo baciai disperatamente, aggrappandomi alla sua schiena robusta. Prese quindi a muoversi nel mio sesso prima con lentezza, poi un po’più velocemente. Implacabile. Inesorabile. Le labbra della mia patatina si dividevano a quel passaggio che le dilatava oscenamente, mentre colavo senza posa sull’asciugamano. Ormai abituata, iniziò a prevalere il piacere: sospiravo e mugolavo, mentre muovevo il bacino per essere sincrona coi suoi ritmi e per consentirgli una penetrazione ancora più profonda e piacevole. Deliziosi brividi mi permeavano ed era straordinario percepire il calore del suo membro che potrei paragonare solo ad una spada rovente
Intanto gli esalavo sul viso il dolce respiro caldo e morbido del mio piacere che procedeva di pari passo con l’assorbimento di quel sesso da parte delle mie pareti più recondite. Gli posi quindi le gambe a intreccio sulla schiena per accoglierlo completamente, arrendendomi.

Gabriele mi carezzava il viso, la fronte e i capelli mentre mi coglieva. Ogni tanto si fermava a suggermi le areole e i capezzoli induriti per quello che stavo subendo procurandomi nuove impetuose scosse messaggere di beatitudini d’ordine superiore. Era una sensazione talmente nuova e indicibile quella del suo sesso che si faceva strada nel mio, specie quando si tirava lievemente indietro col bacino quasi a raschiarmi le mie roventi intimità femminili. Non saprei riferire esattamente quanto provai. Vorrei poter trasmettere quell’agghiacciante meraviglia costellata di sogni esauditi e travolgenti sensazioni, ma mi rendo conto di non essere in grado di tradurre al meglio l’impetuosità delle idee, delle immagini, delle divagazioni riverberate dai sensi alla mente e viceversa, in un cortocircuito emozionante di un caleidoscopio di sfumature e accenti diversi.

Allora avvertì sotto l’incalzare delle spinte tutto il mio nettare riversarsi copioso a ondate simili a torrenti di lava; le pareti torride della mia vagina stimolate e aperte all’inverosimile. Cercavo di scorgere la punta del suo grosso pene mentre usciva prima di rituffarsi dentro le mie intimità, ma intravvedevo solo l’asta potente perfettamente lubrificata dai miei succhi.
Potevo apprezzare tutto il peso del suo corpo sopra il mio, il suo petto a strusciare i miei seni gonfi, la sua pancia a tratti aderente al mio ventre piatto, il mio rado ciuffetto sul Monte di Venere a unirsi ai suoi morbidi. E intanto gli misi anche le braccia al collo per non perdere alcuna vibrazione più intima del suo essere a contatto col mio, immerso nel mio. Una sola cosa, davvero.
Ero finalmente tutt’una col mio Amore: “Gabriele ti appartengo” riuscii a dirgli con la voce soffocata somigliante a un ennesimo sospiro. “Sei bellissima” mi rispose di rimando con voce a propria volta affannata. Aumentò il ritmo dominandomi. Io chiusi gli occhi gemendo continuamente per il piacere inaudito. Mi guardava rimirandomi con aria estatica, concentrata, mista a una sfumatura di preoccupazione per me. A tratti rallentava uscendo quasi del tutto da me, tranne che per la sua grossa punta che mi spalancava le labbra vestibolari. Vedevo ogni suo muscolo teso, ogni suo senso concentrato su me di me, su Virginia che ora era donna a tutti gli effetti pensai con commozione, e su ciò che stavamo facendo. I miei sospiri erratici venivano interrotti a mezzo dai suoi baci profondi e intensi. Come mi volesse bere l’anima, pensai.
M’inserì poi due dita in bocca, le stesse che mi avevano penetrata. Le leccai con avidità mentre le bagnavo dei miei sospiri e della mia saliva che lui a sua volta leccò portandosi quelle falangi alla bocca.
Mi piaceva così tanto quell’andirivieni dolce e potente! “Ti prego, continua, lo voglio così sììì” feci appena in tempo a gridare prima che, avvinghiata a lui con la schiena inarcata, fui travolta da un orgasmo potente, il più forte mai sperimentato. Il mio sesso sconvolto dalle pulsazioni mi fece contorcere impetuosamente su quel letto che era divenuto l’ultimo rifugio di me ragazza e il mio primo da donna. Gli infilai le unghie, che fortunatamente tenevo accorciate, nella carne della schiena scansando la sua bocca perché ero avida di ossigeno dopo un piacere così squassante e totale. Percepivo le pulsazioni irradiarsi dal mio sesso, scuotere il ventre e il bacino prima di ascendere su scala elicoidale al cervello e permeandomi tutta in un terremoto senza fine.

Dopo quel primo orgasmo, le paure svanirono. C’eravamo solo io e lui, dislocati in una dimensione dal tempo assente, interamente fondata sull’assorbimento di ogni dettaglio, di qualsiasi percezione che avrei voluto ritenere per sempre. Rimase dentro di me proseguendo con le spinte mentre i reciproci sguardi si tuffavano l’uno nell’altro incrociandosi come sospesi. Capii che Gabriele era assolutamente in grado di ritardare il suo orgasmo così da donarmi altro piacere. Sapevo sarebbe cominciata per me una fantastica dipendenza.
All’improvviso uscì da me. Mi alzai in piedi lentamente un po’indolenzita, i muscoli ancora contratti. Ci abbracciammo dinanzi allo specchio estasiati ed emozionati per ciò che avevamo appena fatto. Trattenni ogni fotogramma di quell’estetica esaltata di corpi e anima. Il suo pene lucido di me ancora affamato di me puntava verso il mio corpo, indurendosi ulteriormente a contatto col mio ventre. Sembrava quasi voler spiccare il volo verso i miei seni.

Non servirono parole tra noi, i gesti e gli occhi esprimevano tutto l’indicibile. Mi guardai di sfuggita: avevo i capelli già scarmigliati e gli occhi brillantissimi. Ma entrambi avevamo ancora desiderio l’uno dell’altra. Mi chiese quindi di mettermi a pancia in giù col sedere sollevato. Ero davvero imbarazzata in quella posizione bocconi, ma la perfetta erezione del mio Amore e la mia eccitazione mi convinsero a mettermi in quella posa oscena, completamente svelata ed esposta all’alea della più candida impudicizia. Anelavo la penetrazione come un coronamento necessario di quella serata sublime. La mia patatina, in buona parte depilata, dava bella mostra di sé, peccaminosamente squadernata e ancora deformata dall’amore appena concluso, presago di quello incipiente. Non le avevo lasciato neanche il tempo di riprendersi, pensai, ormai in preda agli istinti e alla passione. Attesi sotto l’effetto di potenti emozioni.

I miei pensieri furono interrotti da Gabriele che mi prese per i fianchi con le mani avvicinando la punta del pene alla mia vagina. Si strusciò per un po’sulla clitoride e sulle piccole labbra dilatate regalandomi altri sospiri di delizia. Poi, anche grazie al mio aiuto, riuscì ad inserire il suo membro nel mio sesso tanto bagnato da risultare scivoloso. Sorrisi dolcemente insinuante, mentre serpeggiava nel mio scrigno disciogliendomi in nuovi brividi iterativi.
Iniziò dunque una nuova penetrazione in quella posizione. Sentivo la sua carne addentrarsi ancora più a fondo nelle mie viscere allargandomi le pareti della mia fessura e sbattendo infine contro la cervice uterina. Ad ogni suo profondo affondo venivo colta da una sensazione di appagamento e pienezza ineffabile che non riuscivo a soffocare ma esalavo senza ritegno. Rilassando i muscoli e chiudendo gli occhi provai solo a godere le sensazioni che Gabriele mi regalava. Mentre scendeva ancora più in profondità dentro di me, raccolse i globi dei miei seni massaggiandoli dolcemente ma energicamente, instillandomi ancora più passione e lussuria. Poi mi raccolse con due dita gli umori che si accumulavano nel perineo, sotto la mia apertura vaginale dilatata dal suo membro, per poi inserirmele in bocca. Le succhiai insaziabile assaporando il mio sapore lievemente acidulo e salato, simile ad acqua salmastra. Sempre restando dentro di me riuscimmo a intrecciare le lingue contorti in quella posizione. Quindi mi adagiai dolcemente sul guanciale godendo di quelle vigorose spinte che si producevano dentro di me enfatizzandosi per ogni dove. Avvertivo ogni centimetro della sua asta a scavare il mio corpo al suo massimo splendore. Poi, smaniosa, inarcai la schiena per girarmi a baciarlo. Volevo essergli unita ovunque, leccarlo, esser posseduta ovunque, appartenergli in ogni fibra del mio essere.Le sue labbra erano morbide ma la sua barba mi strusciava le guance eccitandomi. Il suo pene premeva contro la mia patatina, mentre la sua lingua invadeva la mia bocca. Ondulai il bacino per provocare altre lascive vibrazioni in entrambi i corpi. Per tutta risposta ricevetti spinte pelviche più poderose. La stanza si riempiva dei nostri profumi, dei nostri sospiri sempre più intensi e frequenti. Il sudore aveva iniziato a imperlarci la pelle.
Spalancai la bocca per esalare una ridda di gemiti, col capo disteso sul guanciale.
Gabriele mi tirò i capelli spingendo sempre più forte come a scavarmi. “mmmmm” gemetti nuovamente quando lui avvicinò la sua bocca alla mia. La beatitudine da cui ero pervasa non faceva che crescere: già adoravo quella sensazione di sentirmi in suo pieno possesso che non avrei saputo farne a meno. Avvertivo i suoi testicoli che sbattevano all’entrata della mia fessura, impossibilitati a procedere oltre. Si preparavano a rilasciare tutto il loro seme. A quel pensiero lo tsunami di un altro orgasmo montò dentro di me. Era imponente. Lo sentivo crescere tra le mie viscere per poi restare come indeciso sul bordo, lasciandomi in una sorta di limbo delizioso e indecifrabile in cui avrei voluto restare per sempre. Tesi i muscoli delle gambe, mi adagiai ancora di più a carponi roteando maliziosamente il bacino e strusciando inavvertitamente i seni sulla superficie orizzontare del materasso. Poi non capii più nulla, disconnessi la razionalità e mi abbandonai solo al piacere. Ricordo solo che gemetti sempre più intensamente esalando tutto il mio piacere e iniziando anche io a muovermi avanti e indietro dimenando il bacino per lasciar scivolare quel membro che pareva impazzito tanta era la voglia di insinuarsi dentro di mevieppù velocemente e profondamente. “Sììììììì Gab…Gabry….sto venendoooooooo mmmmmmmmmmmm”. La voce mozzata. La coscienza interruppe del tutto le sue trasmissioni e potei godermi la beatitudine edenica dell’attimo, squassata da ondate che sprigionavano liquidi torridi e profumati dal profondo mio essere donna. Senza limitazioni, senza pensieri.
Riprendendomi lentamente, senza riaprire gli occhi, dissi che lo amavo immensamente. “Ti amo, piccola”. Una carezza mi riportò al mondo nel modo più dolce, recuperandomi dalle fantasie oniriche che mi cullavano trasportandomi su ovattati pianeti.

Incredibilmente il suo sesso era ancora duro dentro la mia intimità alluvionata di nettare. Poi, lentamente, Gabriele si portò poco più indietro col bacino prevenendo il suo orgasmo. Mentre usciva la mia fessura sensibilissima, il suo fallo mi inviava continue, deliziose, intrinseche scosse che mi facevano fremere ancora e ancora.
“Avresti potuto continuare” esclamai dolcemente, esausta per l’impeto degli orgasmi sinora provati.
“Non ero sicuro lo volessi…e poi non rischiamo?”-Senza perdermi in ampollosità, lo rassicurai:”Le possibilità sono minime, ho già avuto l’ovulazione e a giorni dovrebbe venirmi il ciclo. Altre volte staremo attenti, ma questa proviamoci. In ogni caso sarà meraviglioso perché ti amo immensamente…”. Gli presi la testa tra le mani e la avvicinai alla mia. Era arrossato e ansimante, ma bellissimo. Pareva un angelo coi capelli mossi che si erano appiccicati sulla fronte madida. “Vienimi dentro, ti prego. Voglio sia tutto perfetto e non ti freni per nulla stavolta”. Avvampai.

Distesi la mano sul suo sesso che ancora puntava peccaminosamente verso di me, come un gigantesco dito indice, a me ora languidamente reclina sul letto. Glielo afferrai e lo scossi. Ne avvertii l’indomita potenza virile coi polpastrelli, percependo tutto un calore. Era così scuro, teso, col glande violaceo e imperlato dei miei e dei suoi umori vischiosi. Per la prima volta ero più attratta da un altro essere umano che da me stessa. Più scuotevo quel pinnacolo di carne arroventata,z più lo sentivo vibrare tra le mie dita, contraendosi come dotato di vita propria. Gli rivolsi uno sguardo spontaneamente languido. Mi suscitava licenziosi turbamenti constatare quanto fosse duro il fallo del mio amato. Non ne avevo ancora abbastanza: tutta l’eccitazione covava come brace sotto la cenere. Ci esaltava d’euforica brama vederci così vogliosi l’uno dell’altra, specularmente. Con voce arrochita e imbarazzata, ne tirai lievemente la pelle incandescente mentre mi distendevo di lato. “Voglio sentirti, Gabry. Voglio tutto”.

Questa volta, dopo essersi disteso dietro di me abbracciandomi e sfiorandomi i seni ora arrossati coi polpastrelli, mi aprì lui le valve inondate di nettare, introducendo la punta durissima del suo sesso nel mio. Era paonazza. Sentivo le piccole labbra e le pareti interne lievemente indolenzite, ma subito si abituarono alle dimensioni che premevano su di loro scostandole e aprendole come petali di un fiore da impollinare. Il desiderio rinacque più intenso: non sono fatta per meno del tutto, pensai d’un lampo. Attesi col fiato sospeso. “Ti voglio così tanto Virginia”. Era ormai all’interno del baricentro della mia anima. Mi morsi il labbro inferiore come solevo fare quando accettavo il piacere si compenetrasse alla mia purezza.

Mi emozionai nuovamente sino alle soglie delle lacrime quando intrecciò la sua mano destra con la mia, mentre spingeva audacemente. Avremmo sfidato insieme la nostra finitezza, oceani di nulla e d’inutilità, anche la morte se necessario.
Rovesciai la testa all’indietro. L’imprevedibilità delle spinte mi mandava in estasi. I miei fianchi iniziarono a muoversi in sintonia con i movimento pelvici di Gabriele. “Oh sì…voglio…..è troppo bello” riuscii a dire tra i gemiti mentre con le sue braccia mi spingeva sul suo pene prendendomi dalle spalle. Percepivo nettamente i movimenti dentro di me. Senza controllarmi, mi focalizzai su quell’arnese che mi tormentava deliziosamente il grembo zuppo di succhi lascivi. Sapevo da lì a poco sarei stata allagata ed era un’idea dolcissima e infinitamente eccitante. “Non fermarti, continua, ti prego…”. Per tutta risposta, il mio grembo venne squassato da una ridda di nuove e vigorose spinte del fallo sul punto di esplodere che si riverberarono in lampi di piacere attraverso ogni mia membra. Io assecondavo quelle movenze spingendo il mio ventre in un andirivieni violento simile a una cavalcata. Le mie gambe vibrarono e i seni vennero scossi come fronde di un giovane albero sferzato dal vento marzolino. Poi il mio corpo tremò da cima a fondo all’erompere dell’orgasmo e tutto ciò che rammento è che persi il controllo di me stessa. Ancora una volta mi aggrappai alle lenzuola come a un salvagente tra i flutti del godimento. Mi ritrovai senza fiato. Mentre l’orgasmo veniva a poco a poco meno, avvertii una sensazione di calore riempirmi il ventre. Al contempo percepii il corpo di Gabriele sussultare, il bacino spinto in avanti caoticamente verso e dentro di me sin quasi a farmi male, le pulsazioni del suo pene al mio interno. Stava venendo. Era così meraviglioso che non posso descriverlo a parole. Per immaginazione o realtà, riuscii ad avvertire per mezzo delle pareti della mia patatina, i fiotti di seme denso risalire dai testicoli, lungo l’asta prima di riversarsi ancora e ancora come una diga squarciata.
Mi sentii così eccitata e coinvolta che non potei fare a meno di chiedergli di toccarmi mentre mi stava inondando, impedendo così al mio sesso di riprendersi e a me stessa di prender fiato. Più getti incandescenti lambirono le mie pareti vaginali ricoprendole di schizzi lussuriosi. Lui, pur scosso dai fremiti, raggiunse con le dita la mia fessura per stimolarmi. Non ero mai stata così vogliosa e assetata di estasi senza nome. Furono sufficienti alcune carezze sulla clitoride sensibilissima, gonfia e rorida che venni nuovamente contraendomi violentemente ed esalando gemiti languidi quali strali amorosi. Questo secondo orgasmo fu ancora più forte del primo perché ero talmente sconvolta mentalmente che l’eccitazione aveva raggiunto il suo apice perturbando la mia essenza profonda. Avvertivo tutta l’area della mia passerina bruciare per l’impetuosità dei tanti orgasmi che l’avevano sconquassata, oltre che ovviamente alla profonda e irruente penetrazione che aveva gradevolmente subìto. Ero finalmente svuotata, appagata, stravolta.

Mentre stavo tornando alla normalità, placandomi dopo aver emesso tutto il mio piacere sia dalla bocca tramite gemiti e grida sia dalla mia fessura tramite umori che ora si mescevano al seme denso e bollente del mio amato, realizzai di essere così esausta e affannata come avessi corso per interi chilometri.
Mi girai e lo carezzai ovunque, posando la mia testa sul suo petto e baciandolo dolcemente ovunque mi capitasse di apporre le labbra. “Sei la cosa più dolce ed eccitante potrò mai vedere” esclamò riprendendo fiato, ancora col suo sesso dentro di me. Si stava rimpicciolendo, ormai non più in tensione, ma era ugualmente una sensazione bellissima. Mi sentii totalmente fradicia, ma in assoluto non sporca.
Gocce perlacee di seme che mi parvero inesauribili uscivano dalla mia fessura stremata raccogliendosi poco sotto, sul perineo per poi finire licenziosamente sull’asciugamano che profumava di me e dei miei segreti. Maliziosamente presi a giocare con quel flusso di sperma che fuoriusciva da dentro le mie profondità, indulgendo in disegni leziosi tracciati dai miei polpastrelli intingendoli all’apertura della mia femnminilità: quel seme dapprima torrido era rapido a raffreddarsi a contatto con l’aria. In un impeto di lussuria ne recuperai un po’cospargendone le areole dei seni e le labbra della bocca assaggiando un po’di quel liquido denso e dolciastro prima sparso tra le mie intimità. Rabbrividii per il contatto e sorrisi ancora deliziosamente estenuata, la mente ancora parzialmente offuscata. Rimanemmo lì per chissà quanto tempo decantando bellezza con tutta la forza residua nei nostri corpi esausti, io coautrice di un’estetica raffinata e autentica, pienamente declinata in un quadro infuso dell’aritmetica sensuale più preziosa e risolutiva. Non mi ero mai sentita così bene,così felice prima d’ora.

“E’stato pazzesco”. -“Sì Virginia, è stato meraviglioso. E’incredibile come tu riesca ad essere così sensuale ed erotica, ma anche così fresca e spontanea”. “Quanto di più autentico possiedo, sarà sempre anche tuo, Gabriele. Stasera abbiamo creato qualcosa di eterno che non potrò scordare. Ti amo”. Poi avvicinò le labbra alle mie, rese lucide del suo seme come un luminoso ologramma. Me le dischiuse dolcemente. Le lingue si intrecciarono saettando ed esplorando. Mi sogguardai allo specchio, l’anima fremente e sotto l’impeto della commozione.
Noi due soli in quella stanza che ancora riecheggiava dei nostri sospiri e gemiti, impregnata di noi e di fuggevoli suggestioni evocative.Eravamo di una bellezza indecente: un’ondata di nuove e calde emozioni mi invase mentre ci baciavamo ancora intrecciando dolcemente i polpastrelli delle mani, ancora intrisi dei nostri nettari mescolati tra loro. Senza freni, senza limiti.

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