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Racconti Erotici Etero

Sharah

By 29 Marzo 2005Dicembre 16th, 2019No Comments

Vecchi bauli, miniera inesauribile di ricordi, specie per chi, come me, non getta nulla, conserva tutto, sfidando il ridicolo, e soffre, perfino, pensando che, dopo di me, qualcuno butterà via ogni cosa.
Del resto é giusto: i ricordi hanno valore solo per chi attraverso di essi rivive il suo passato.
Una scatoletta di finta pelle, rossa, e dentro una catenina dorata con un ciondolo a forma ‘stella di David’, e un bigliettino recante solo la firma, Sharah. Una grafia che conoscevo benissimo, per la sua abitudine di scrivermi lunghe, bellissime lettere. Purtroppo quelle sono restate nella casa abbandonata in fretta e furia mentre le orde, non proprio civili, dilagavano e per noi sarebbe stata la fine.
Sharah, come la chiamavo io, unendo i suoi due nomi ‘Shaloma’ (che poi &egrave Salomé) e significa ‘felice’, e ‘Sarah’, ‘principessa’.
Sharah, principessa felice.
E sono lieto che, come credo, io abbia saputo farle vivere qualche momento di felicità. Lei me ne ha donata molta, prima di dileguarsi nella nebbia della lontananza.
In effetti non era vita da principessa, la sua; e non credo che fosse vita felice.
Abitava, con la famiglia, in una specie di piano interrato, con un vasto cortile dove si svolgeva gran parte della loro giornata. Io abitavo due piani più sopra e potevo seguire il loro lavoro, le loro discussioni. Quanti erano? Ogni tanto appariva o scompariva qualcuno.
Non davano confidenza agli altri inquilini, erano rinchiusi nel loro ‘guscio’ e a quel tempo pensavo che fosse per una certa antipatia per chi era in evidenti condizioni socio-economiche superiori alle loro. O forse per la differente religione?
Lei, mi sembra, era la prima figlia.
Si rivolgevano a lei appellandola ‘A Sa’!’, e il padre sempre in modo rude.
L’antipatia era ricambiata e in aggiunta giravano delle maldicenze sui rapporti all’interno della famiglia.
La vedova dell’ultimo piano sussurrava ai quattro venti che ‘quelli’, nella loro religione, al risveglio recitavano le benedizioni del mattino, che comprendono tre espressioni: Benedetto tu o Signore Nostro Dio Re del mondo che non mi hai fatto non ebreo. Benedetto tu o Signore Nostro Dio Re del mondo che non mi hai fatto schiavo. Benedetto tu o Signore Nostro Dio Re del mondo che non mi hai fatto donna. Capite ‘aggiungeva- loro le donne non le rispettano, e non rispettano tante altre cose’ non fatemi parlare.
Quello che parlava era il ragionier Cosetti, che sosteneva che per ‘loro’, del resto commisti di razza con gli egiziani, non c’&egrave alcuna proibizione per l’incesto. E aggiungeva che bastava ricordare le figlie di Lot!
Ah -seguitava la vedova- quelle ragazze, quelle di Lot voglio dire, proprio delle gran mignotte.
Se si trovava a passare il libero pensatore anarchico del terzo piano, interveniva: ‘ma come, non lo sapete , all’epoca del Messia era permesso tutto’
Sì ‘caricava la sora Nena, la portiera- ma ‘questi’ se lo permettono ancora, a me me sa’ che er padre se ‘ripassa’ la fija.
Ma vor di’ che je piace puro a lei, rincalzava la vedova, invidiosa.
La Nena era più buona e osservava che: ‘pora pupa, come potrebbe fa a salvasse!’
A me non risultava che la loro religione consentisse l’incesto, ma ero troppo giovane per aver voce in capitolo. Del resto non ci tenevo ad entrare nella maldicenza, nemmeno per dimostrarne l’infondatezza.
E poi, c’era ben altro da pensare in quei giorni.
Io, fra l’altro, ero solo, i miei erano andati in campagna, da certi nostri amici, ritenendo di stare meglio, soprattutto dal punto di vista delle cibarie.
^^^
Ero intento a studiare. Avevo sentito rumori per la strada e dalla parte del cortile. Voci di uomini, concitate, anche in tedesco, urla di donne, subito azzittite bruscamente e rudemente. Poi il rumore di un camion che si allontanava.
La prudenza, forse anche la pusillanimità, mi suggerirono di restare alla scrivania. Farsi vedere significava rischiare di essere ‘prelevati’, e non mi sentivo in vena di facili e sterili prodezze.
Dopo un po’ bussarono alla porta, mi avvicinai piano, senza far rumore.
La voce sommessa della portiera, la sora Nena.
‘Signorì, so’ io, Nena”
Socchiusi appena, sgusciò dentro, come una gatta malgrado le proporzioni.
Aveva l’aria spaventata.
‘Avete sentito? L’hanno portati via tutti”
‘Chi?’
‘Li giudii dell’interrato.’
‘Tutti?’
‘Credo de sì, la porta de casa &egrave operta e nun c’&egrave nissuno”
Non sapevo che dirle, mi accorsi che la stavo ringraziando per la notizia.
Aprì la porta e sgattaiolò fuori, senza far rumore, con le sue ciabatte di pezza.
Non era possibile studiare, decisi di uscire.
Feci un giretto per le strade secondarie, mi fermai al bar a prendere il solito surrogato. Qualche donnetta. Si parlava che stavano rastrellando gli israeliti, casa per casa’
Ormai stava facendosi sera, era ora di tornare a casa.
Voltai l’angolo.
Dall’altra parte, mi veniva incontro Sara (ancora non la chiamavo Sharah), a testa bassa e il passo stanco.
Mi fermai al portone, l’attesi. Ci conoscevamo appena di vista, ma in quel momento mi sembrò una di famiglia che aveva bisogno di aiuto, che era rimasta sola.
Quando fu vicina, mi guardò, con volto inespressivo, e accennò un saluto.
‘Non scenda a casa sua’ venga da me’ non mi domandi nulla adesso’ le dirò tutto”
La presi per un braccio, e lei mi seguì, guardandomi sorpresa e impaurita.
Entrammo in casa. S’era fatto buio, accesi la luce, la condussi nel tinello.
‘A casa sua non c’&egrave nessuno’ più nessuno’ li hanno presi i tedeschi”
Sbarrò gli occhi, portò la mano alla bocca.
‘I tedeschi? E dove li hanno portati?’
‘Non lo so.’
‘Vado subito da zia Noemi”
‘Aspetti, Sara, si chiama Sara vero?, sembra che le SS siano andate o stiano per andare nelle case di tutti gli ebrei”
Nei suoi occhi c’era il terrore, lo sgomento.
Mi guardava sconvolta.
‘Non posso neppure andare giù, a casa mia?’
‘Non &egrave prudente, sicuramente qualcuno di loro, tedesco o italiano, tornerà per vedere se può arraffare ancora qualcosa”
‘Ed io?’
‘Deve restare qui, tra poco scatta il coprifuoco”
Sedette sulla sedia, accasciata.
Scuoteva la testa, ogni tanto mi guardava.
‘Ma non &egrave possibile. Senta, signor’.’
‘Piero, mi chiamo Piero, non ‘signor’ Piero. E diamoci il tu.’
Annuì nervosamente, a scatti.
‘Non capisco niente, Piero, cosa devo fare?’
‘Adesso va di là, nella camera di mia sorella, c’&egrave anche il bagno. Ti dai una rinfrescata, nell’armadio ci sono suoi abiti, vestaglie. Puoi usare quello che vuoi. Ma ti consiglio di sdraiarti un po’ sul letto, cercare di riposare’ mi sembri stanca”
‘Sono sola, rimasta sola’.’
Mi guardò come se fosse stata bastonata.
‘No! ci siamo noi. Sei stanca?’
‘Non lo so.’
‘Vuoi sdraiarti un po’?’
‘Ho paura di restare sola, in una camera che non conosco.’
‘Mi seggo vicino a te, ti do la mano.’
Mi guardò in un modo che non riesco a definire.
Le tesi la mano, la condussi nella camera di Anna, mia sorella.
Mi chiese dove fosse il bagno. Le indicai la porta. Quando tornò disse che non voleva spogliarsi, si sarebbe sdraiata così, per un momento. Cercai una coperta, l’aiutai a coprirsi, le presi la mano.
Socchiuse gli occhi.
Fuori, ormai, era notte.
Giornata densa di eventi, e quella ragazza che si sentiva in pericolo, braccata; era spaurita, terrorizzata, non sapeva dove andare. Mi sembrava un micino che aveva smarrito la mamma, che non sapeva dove andare; un uccellino caduto dal nido, che non aveva più la forza per tornarvi.
Mi faceva infinita tenerezza. Sentivo che aveva perduto il calore della sua casa, della sua famiglia. Chi le avrebbe più data una carezza?
E fu spontaneo, per me, carezzare quel volto corrucciato, quei lunghi capelli corvini che ora sembravano circondare mestamente, tragicamente, un visetto che aveva lineamenti aggraziati.
La tensione si spezzò, quasi di colpo, senza che me accorgessi, e non so quanto tempo passò prima che mi ridestassi da una specie di sopore distensivo, rilassante. Lei dormiva, con gli occhi stretti, e il respiro, ogni tanto, era rotto da un singulto.
Aprì lentamente gli occhi, si guardò intorno, sorpresa, mi vide, si mise a sedere sul letto.
‘Devo andare via”
‘Ma dove vai, dove vai. Resta qui. C’&egrave il coprifuoco, domattina vedremo. Senti, io adesso preparo qualcosa per la cena. Tu, se vuoi, puoi lavarti, rassettarti, prendere un abito di mia sorella, e poi vieni di là. Io, di solito, mangio in cucina. E’ ampia e il tavolo &egrave grande.’
Mi chinai a baciarle la fronte. Un gesto più paterno che fraterno. Ma lei aveva più o meno la mia stessa età.
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Avevo apparecchiato la tavola, e allestito la cena. Poche cose, per la verità, malgrado i ‘rifornimenti’ che sottobanco ogni tanto mi giungevano dalla campagna.
Un brodo di dadi, con quadrucci all’uovo fatti in casa; formaggi assortiti; frutta. Tutto qui. Chissà se erano cibi a lei consentiti, ma in tali condizioni’
Era quasi pronto quando entrò lei.
Evidentemente s’era rinfrescata, sciolti i lunghissimi capelli neri, riavviati, e indossava una vestaglia di mia sorella, ed anche delle sue scarpe da casa. Era lì, sulla porta, e mi guardava con un debole sorriso.
Non l’avevo notato prima, data la concitazione, ma aveva un bel personalino, per quello che potevo vedere, con seno e fianchi pienotti, di quel ‘pieno’ che piace, e che’promette.
Ecco, malgrado tutto, il pensiero andava sempre là!
Non molto alta, un viso ovale, perfetto, con labbra alquanto carnose, occhi scuri, sopracciglia deliziosamente delineate, e capelli lunghi, lunghissimi.
Quello che mi colpiva era il colore della pelle: sembrava traslucido, quasi trasparente, aveva qualcosa dell’alabastro; non era roseo ma di un colore bruno che non riuscivo a definire. I capelli erano foltissimi, e ondulati.
Le andai incontro.
‘Benvenuta. La mia casa &egrave la tua casa. Sei Sara, la principessa?’
Sorrise dolcemente.
‘Il mio nome &egrave Shalomé Sarah”
‘Che significa?’
Scosse la testa.
‘Felice principessa’ pensa’ io felice’ principessa”
‘Passati questi momenti, lo sarai. Il ti chiamerò unendo i due nomi, Sharah! Posso?’
Annuì, sempre col su triste sorriso.
Le dissi cosa c’era per cena, e le chiesi se poteva bere vino.
Mi rispose che il vino risaliva ai tempi di Noé, e che era condannato l’abuso, non l’uso. Inoltre, loro erano abbastanza elastici in fatto di cibo.
Sedemmo a tavola e presto avevamo terminato.
Era l’ora in cui ascoltavo Radio Londra, a volume bassissimo, per tema che potessero sentirla da fuori.
Sedemmo sul sofà del salotto, la piccola radio era sul tavolino, davanti a noi.
Si sentirono i caratteristici rimbombi del timpano, e la voce che diceva che parlava il colonnello Stevens.
‘Buonasera. Roma, drappelli di SS tedesche e di polizia fascista hanno fatto irruzione nelle case degli israeliti e hanno arrestato tutti i componenti delle famiglie, malgrado la raccolta di oro che avevano preteso per lasciare indisturbati gli ebrei della capitale. I malcapitati sarebbero stati fatti salire su carri bestiame, e i treni sono partiti per destinazione ignota.’
Sharah mi guardò con gli occhi pieni di lacrime. Le posi una mano sulla spalla e la strinsi a me. Tremava. Poi scoppiò a piangere.
La presi in braccio, sulle ginocchia, e la cullai, come si culla una bambina che piange disperata. E Sharah ne aveva ben ragione.
Pian piano si acquietò, tirava su col naso. Le detti il mio fazzoletto.
‘Grazie, vado a prendere il mio’ per favore’ accompagnami”
Andammo nella camera che occupava. All’attaccapanni il suo vestito, nella tasca un fazzoletto. Dalla porta del bagno vidi che aveva trovato una cordicella, l’aveva messa tra due tubi e sopra aveva steso il suo reggiseno e le mutandine’ ma’ allora?
La guardai.
‘Erano da lavare’ io ho trovato nel cassetto una camicia da notte di tua sorella’ come si chiama?… si, di Anna’. Ho fatto male?’
‘No, cara, hai fatto benissimo. Vieni, andiamo a sentire qualcosa d’altro.’
Ma la trasmissione era finita.
Tragedia o non tragedia, il fatto che indossasse la vestaglia sulla sola camicia da notte mi conturbava. Sarà stata l’esuberanza dell’età, e i rari e insoddisfacenti prezzolati rapporti sessuali, certo che cominciavo a eccitarmi. Soli, lei e io, in quella casa. E lei’ svestita!
Era esitante, sembrava che volesse dirmi qualcosa’
‘Allora, Sharah, vuoi andare a riposare?’
Annuì.
‘Si, ma ho paura, mi sento sola, sono sola”
‘Sai cosa facciamo? Tu ti metti a letto, mi chiami, e io mi seggo vicino a te e ti do la mano fin quando ti addormenti.’
Mi sorrise malinconicamente. Spalancò gli occhini.
‘Faresti questo?’
Abbozzai una carezza sul volto.
‘Certo, cara, con piacere. Va’ chiamami quando sei a letto e posso entrare.’
Andò nella camera di Anna. Ora sua, dopo un po’ mi chiamò.
Era a letto, supina, con la copertina fin sotto al mento, e le braccia fuori, lungo il corpo. Mi sembrava tesa, rigida. Le toccai la mano, era fredda. Mi avvicinai, mi guardava con espressione impaurita. Sedetti sulla sedia che avevo accostato alla sponda del letto, le presi la mano tra le mie.
‘Puoi dormire così? Io se non sono di fianco”
‘Va bene così’ sono stanca, ho sonno’ non andar via prima che mi addormento”
‘Sta sicura, ora rilassati e cerca di dormire.’
Le accarezzavo la mano, lentamente, e cominciava a scaldarsi.
Dopo qualche minuto il respiro si fece più profondo, regolare. Il volto era sereno, tranquillo. Attesi ancora un po’. Pian piano cercai di lasciare la sua mano’
Aprì gli occhi.
‘Non mi lasci, vero?’
‘No, dormi, non ti lascio”
Riprese a dormire quasi subito.
Era accesa la lampada del comodino, che le illuminava il volto. Era bello, quasi infantile. Si vedeva il rigonfio del seno.
Il fatto &egrave che anche la patta dei miei pantaloni era gonfia. Sempre di più!
Passai leggermente la mano sul petto di Sharah, ma non resistetti alla tentazione di azzardare un lieve palpeggio. Era bello, tondo e sodo; per quello che mi era dato percepire.
Lei seguitò a dormire, beatamente, pesantemente.
Mi venne un’idea, che reputai brillante’ infilare la mano sotto la coperta’ lentamente’ Lo feci, ma più giù, all’altezza del grembo’ con la massima prudenza e attenzione, pronto a ritirarmi al momento opportuno’ Toccavo la stoffa della camicia di cotone’ sentivo il tepore della sua pelle’ proseguendo, anche la compattezza della coscia’ salendo un po” qualcosa di morbido, cedevole’ i riccioli del pube’ mi sembrava di carezzare qualcosa come un cuscino di piume’ Era troppo attraente e, per di più, lei seguitava a col suo respiro pesante, un lieve russare’ Non fu difficile entrare sotto la camicia’
Quanto pelo! Un vero ammasso di ricci che le dita afferravano e allungavano, con una certa voluttà. Il palmo della mano li carezzava, provavo una strana sensazione a quel contatto. Erano morbidi, lisci, ma al tocco della mia mano sembravano incresparsi, come per vita propria. Era bello carezzarla così, dolcemente, a lungo. L’eccitazione che andava aumentando mi rese audace, forse imprudente, ma ne sentivo il calore. Il suo sesso era lì, &egrave proprio l caso di dire ‘a portata di mano’. Carnose e sode, le grandi labbra , contornate dai suoi folti riccioli. Come le sfiorai ebbi la sensazione che divenissero ancora più tumide, rigogliose, e la pelle, liscia e serica, si fece meno vellutata, quasi come la pelle d’oca.
Sharah fece un lungo, profondo sospiro, con un lieve gemito. La guardai, vidi che deglutiva, Mosse un po’ la testa e dischiuse leggermente le gambe. La mano ne profittò. Quelle, adesso, erano le ‘piccole’ calde ed umide e quello era l’orificio rugiadoso della vagina. Più su, il piccolo bocciolo del ‘clito’ che si erse prepotente non appena lo sfiorai.
Temevo nel suo risveglio, da un momento all’altro, ma seguitai, insistentemente, sempre meno cauto invogliato anche da un lieve sussultare del suo grembo, che andava accelerandosi, e da un quasi impercettibile gemito che sfuggiva dalle sue labbra semi dischiuse.
Forse sognava, aiutata’da me.
Ormai sobbalzava, sempre più forte, e il gemito era divenuto quasi un urlo soffocato’ poi un urlo.
E lei si svegliò, mi guardò. Senza parlare.
Era il momento desicisivo. O la va o la spacca!
La scoprii, decisamente, e tuffai la testa tra le sue gambe, ciucciandole golosamente il ‘clito’, spatolandola voluttuosamente con la lingua che raccoglieva l’acre linfa del suo orgasmo. Il mio volto era seppellito dalla foresta rigogliosa che prosperava intorno al suo sesso.
Dapprima restò immobile, poi le mani si avvinghiarono ai miei capelli e guidò il movimento del capo, mentre le mie erano salite, sotto la camicia, al suo petto e impastavano le tette, tormentavano i lunghi capezzoli.
Sembravamo impazziti.
Lei fu squassata dal ripetersi di due sconvolgenti orgasmi, ed io, malgrado ogni sforzo’ non riuscii a ‘controllarlo’.
Rimanemmo così, la testa tra le sue gambe e le mani sul seno. I miei capelli tra le sue dita.
Poi mi riassettai, e andai nel bagno; nel mio bagno. Indossai il pigiama e la vestaglia da camera, tornai da lei. Era ad occhi chiusi, su un fianco.
Alzò un po’ la testa. Aveva pianto, ma voleva sorridere, ed era splendida, più attraente che mai, affascinante.
Rimasi in piedi, accanto a lei. Senza parlare scostò la coperta, mi fece posto.
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Si rifugiò nelle mie braccia, tremante. La carezzavo teneramente, ma non poteva ignorare l’evidenza della mia eccitazione. Abbassò una mano, entrò nei pantaloni, lo afferrò’ mi guardò con un’aria vagamente sorpresa, e di interrogazione. Alzai le spalle. Non sapevo perché e quindi non potevo rispondere.
Lo carezzò, anzi &egrave più esatto dire che con le dita lo perlustrò, lo esaminò minuziosamente, soffermandosi qua e là, soprattutto al glande.
Mi guardò ancora, poi, senza dire nulla, mi scoprì.
‘Lui’ tronfio e impaziente, era tutto fuori e bello arzillo. Lei si inginocchiò e lo scrutò, come se vedesse qualcosa di strano.
Poi mi sorrise.
‘Scusa, ma non avevo mai visto, e tanto meno toccato, un fallo non circonciso. Quello del mio promesso, Shlomon, &egrave diverso’ Com’&egrave carino’ così protetto’ come se avesse paura del freddo”
Io non ne potevo più. Ci mancava anche quel risolino.
Presi i lembi della sua camicia e li tirai su, quasi di colpo.
Seni meravigliosi, capezzoli lunghi, che succhiai golosamente, mentre la frugavo tra le gambe.
Mi spinse dolcemente, mi fece distendere, supino.
Si sdraiò su me, dorsalmente, poi salì coi piedi sulle mie cosce, sempre volgendomi la schiena, e accovacciò, con le gambe ben spalancate. Lo prese con due dita e lo portò all’ingresso madido della sua vagina. Vi si impalò lentamente, fino in fondo. Lo accolse rivestendolo di calore, carezzandolo con voluttuose contrazioni. Poggiò le mani sul letto e cominciò ad ondeggiare, col capo rovesciato indietro e i capelli che strusciavano il mio ventre.
Un’esperienza nuova, per me. Stupenda, fantastica, favolosa. Una voluttà sconosciuta, che aumentò sempre più, fin quando lei non fu travolta da un orgasmo indescrivibile. Un momento di rilassamento e poi sentii che le pareti della sua vagina si contraevano con movimenti peristaltici, strizzandone fino all’ultima goccia. Mi sembrava di stare in paradiso, ma per un momento la mente fu attraversata dal pensiero delle possibili conseguenza.
Sharah, lentamente, facendo in modo, con la mano, che ‘lui’ restasse in ‘lei’, si sdraiò su me, con le bellissime, tonde e sode natiche che seguitavano a carezzarmi.
Quel lento movimento fece sì che presto sentii il desiderio di un nuovo’ incontro.
Sharah lo sentì, forse lo attendeva, perché lo fece dolcemente uscire da lei e così, stillante ancora la mia e la sua linfa, si mise supina, le gambe completamente schiuse, il sesso palpitante e tripudiante, le nari dilatate, gli occhi fiammeggianti. Annuì.
Mi misi tra le sue cosce, presi il glande e cominciai a spennellare lentamente, dal clitoride al buchetto, e sentivo il suo fremere. Le piccole labbra sembravano, ad ogni passaggio, suggerlo avidamente. E appena entrai in lei tornai a percepire quel movimento particolare che ‘lo’ andava ingurgitando bramosamente, voluttuosamente, provocandomi un piacere magico, che aveva del sovrannaturale.
E giungemmo insieme alla meravigliosa fusione del nostro godimento, senza freni, senza pensieri. Di nulla. Per noi, soprattutto per lei, quella era la vita. Gli accadimenti del giorno erano passati.
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