Skip to main content
Racconti Erotici Etero

Syria

By 10 Febbraio 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

Mi sorpresi di nuovo a guardarla così. Succedeva spesso, e ogni volta mi sembrava di andare un piccolo passo oltre, di infilarmi sempre di più in un tunnel da cui non avrei mai fatto ritorno. La conoscevo, si fa per dire, da sempre; giocavo a nascondino con sua sorella prima ancora che lei nascesse; l’avevo vista crescere, passare attraverso le fasi di bimbetta capricciosa, scolara svogliata, adolescente calma e malinconica. La vedevo tutte le estati, eppure solo da poco potevo considerarla mia amica. Anche in un paesino come il nostro, il buon vicinato difficilmente va al di là di un educato saluto, ma il destino era già andato oltre ogni convenzione. Qualche anno prima, ad una festa di laurea, una delle poche in paese, lei mi aveva visto con il vestito buono, nell’atteggiamento, efficace ma poco sincero, di chi vuole essere elegante per forza. Dovetti riuscirci discretamente, perché quel giorno non mi tolse gli occhi di dosso. Da allora era ufficialmente innamorata di me; lo sapevo io, lo sapevano i suoi e i miei, lo sapeva l’intero vicinato, che in un paese di ottocento anime costituiva una parte ragguardevole della popolazione. Per qualche anno andammo avanti così, come in un gioco d’amore cortese: io che passavo davanti a casa sua, lei che mi guardava in maniera pudica ma nondimeno lolitesca, io che le sorridevo, lei che voltava lo sguardo, per poi riprendere a guardarmi pochi secondi dopo. Ero orgoglioso della mia piccola conquista; lei non era una di quelle bellezze che si ricordano lungo la notte dei tempi, ma aveva una freschezza assai piacente, ed un corpo da pin-up che superava di gran lunga la media. Ormai la nostra era diventata una situazione ridicola e poetica al tempo stesso. Ogni volta che tornavo in paese non potevo fare a meno di guardare verso casa sua, sperando che ci fosse anche lei, e quando la scorgevo un brivido di malizia mi scuoteva, e mi bloccava per qualche lungo minuto appiccicato alla finestra.

Poi venne quell’estate. Lei aveva bisogno di una mano con i problemi di fisica, robaccia ostica. Io ero reduce da un brillantissimo 29 proprio nell’esame di fisica. Facemmo due più due, e la invitai a fare i compiti da me. L’idea non mi dispiaceva, anche se, in realtà, mi doleva l’idea di stravolgere quel rapporto così delicatamente paradossale. Lei iniziò a frequentare casa mia regolarmente, diventammo amici, quel tipo di amici che non lascia nulla di non detto. Il giorno prima della ripartenza la vidi di nascosto mentre lasciava una busta sotto la mia porta, piano, ché non me ne accorgessi. Ressi il gioco, poi aprii, presi la lettera e la lessi. Era la dichiarazione d’amore più innocente e commovente che avessi mai immaginato: lei aveva sempre amato un’idea, una persona da lei stessa creata attorno alle mie sembianze e a quel poco di me che sapeva. Ma da quando mi aveva conosciuto, aveva capito che io, in carne ed ossa, ero molto più desiderabile di quella fantasia. Dolcezza infinita. Poco prima degli addii, volli discutere con lei la questione. Per il momento non si poteva fare nulla, lei aveva sei anni in meno, era troppo piccola, e la vita in paese era troppo difficile per due innamorati atipici. La realtà era che non l’amavo; ero affezionatissimo a lei, ma non ero disposto a sacrificare così la mia libertà; volevo tenermela stretta per puro egoismo, perché ero fiero di piacere così disperatamente.

La vidi ancora a Natale, poi l’estate successiva, quindi di nuovo, a ritmi regolari. Nei lunghi periodi di lontananza le mandavo squilli e messaggi sul cellulare, e lei rispondeva con il doppio degli squilli e dei messaggi. Quando eravamo insieme, eravamo amici ormai intimissimi. Avevamo tra di noi

atteggiamenti di maliziosa intesa, vagamente spruzzati di erotismo. D’estate io mi sedevo spesso su una poltrona davanti al televisore; lei si accomodava sul divano lì a fianco, e mi appoggiava i piedi nudi sulle gambe, accennando il più delle volte un movimento carezzevole. Io le coccolavo quei piedini, così perfettamente torniti, e glieli baciavo con falsa innocenza. Non solo mi approfittavo di lei per il mio orgoglio personale, ma cercavo anche di goderne. Ma il rimorso sparì presto; mi resi conto che, tutto sommato, le volevo un gran bene; e che il mio comportamento, benché non limpidissimo, la rendeva solo felice. Altre volte si sedeva in braccio a me, viso contro viso, e mi baciava le guance, stringendomi forte, carezzandomi le spalle con le mani, i polpacci con le piante dei piedi. Profumava sempre come un fiore di pesco.

Poi cominciò a dire che voleva fare l’amore con me. Da qualche tempo avevamo iniziato ad andare in paese io e lei, soli, il sabato; ad entrambi faceva bene un po’ d’aria pulita, io avevo l’occasione di badare alla casa e al giardino, lei poteva stare con me un giorno intero, mangiare, bere, dormire con me. Fu proprio dal dormire insieme, cosa già di per sé non del tutto innocente, che nacque in lei il desiderio. Io le dissi subito che non era possibile, che le avrebbe rovinato la vita, e avrebbe incrinato per sempre il nostro rapporto. In realtà ero io a non volermi compromettere, ma anche questa volta, il mio egoismo non copriva del tutto un altruismo di fondo: pensavo veramente al suo bene, e ormai anche per me era un sacrificio non impossessarmi di quel bel corpo che mi si offriva apertamente. Così restammo sul traballante confine tra moine affettuose ed eleganti provocazioni, e quando le prendeva l’ansia, sempre un po’ crepuscolare, di fare sesso, io l’abbracciavo forte e la guardavo, appunto, ‘così’. Quel ‘così’ &egrave stato il punto di svolta della nostra amicizia; era un modo di guardare paternalistico, protettivo, e allo stesso tempo ammiccante e promettente. Ogni volta che mi accorgevo del ‘così’ era troppo tardi; leggevo nel suo sguardo che lei si era impossessata di un millimetro quadrato in più della mia anima. Ero vulnerabile, quando la guardavo ‘così’, mi sentivo come il papà che insegna la morale al bambino, ma sa che al suo posto non avrebbe saputo fare di meglio.

E quella sera mi resi conto che l’avevo guardata ‘così’, un’altra volta. Da alcune settimane lei si era fissata su un idea; se era giusto il mio ragionamento, che lei era troppo giovane, che la verginità non gliel’avrebbe più restituita nessuno, che la nostra amicizia sarebbe stata strappata insieme alla sua gioventù, era anche vero che non necessariamente il ‘sesso’, come atmosfera interpersonale, richiedeva la perdita della verginità. Potevamo fare ‘cose’ senza per forza avere un rapporto completo. Era un discorso, il suo, che mi spaventava, ma non sapevo come controbattere, tanto più che lei, ormai, era sì ancora giovane, ma non più tanto giovane da considerare il sesso come una pura teoria. Cercai di dissuaderla invocando una presunta esperienza, e dicendo, genericamente, che il mio rifiuto era vòlto al suo bene, che se non le avessi voluto bene non avrei esitato ad esaudire tutti i suoi comprensibili desideri. Ma il mio castello etico era ormai a un passo dalla demolizione, e quell’ennesimo sguardo ‘così’, quella sera, lo sbriciolò dalle fondamenta.

Non so perché decisi di accettare. Forse perché della mia anima, a furia di millimetri e millimetri, ne aveva presa gran parte. O forse perché capii che in fin dei conti qualche giochetto di gioventù non avrebbe causato poi troppi danni. O forse semplicemente perché una certa voglia l’avevo anch’io. Fatto &egrave che quella sera decisi di accontentarla, e di piegarmi a quel compromesso da lei così saggiamente escogitato, non sesso, ma quasi, e forse alla fin fine anche più del sesso. Saputa la notizia lei mi fisso attonita per un po’; non ci credeva. In quegli occhi stupiti cercai di bermi tutta in un sorso quell’innocenza che temevo non avrei più rivisto. Poi lei mi sorrise e mi disse che l’avevo già resa felice, che non dovevo preoccuparmi perché tra di noi non sarebbe cambiato nulla.

Poi venne il momento. Lei mi bacio sulle labbra, per la prima volta, e invitò la mia lingua nella sua bocca; stranamente, mi accorsi che con lei il bacio mi veniva più naturale che con altre ragazze. Restammo così, con le lingue intrecciate, per qualche minuto. Poi lei si tolse la maglietta e si sfilò il reggiseno delicatamente. I suoi seni sembravano dolci come tutta la sua persona; allungai una mano, e toccai quei capezzoli duri, che scoprivano un tocco maschile per la prima volta. Ero eccitato e confuso, era come se stessi liberando un fantasma che avevo represso dentro di me per anni. Coprivo con le mani quel petto non grande ma ben rifinito e morbido; poi le carezzai i fianchi, mentre lei mi guardava, accompagnando i suoi sguardi con i sospiri profondi di chi sta realizzando un sogno. Lei si sdraiò sul letto; le sfilai scarpe, pantaloni e calze. Presi quei piedi che avevo carezzato e baciato mille volte, e andai oltre, succhiai avidamente le dita piccole e tenere, e sentii il suo respiro aumentare di intensità. Poi mi sedetti e la fissai negli occhi; ma lei non si fermò, e lentamente fece scivolare le mutandine lungo le gambe. Restai col fiato corto a guardare quel pelo fresco e giovane, scuro come la notte. Poi lei aprì un attimo le cosce. Mi accorsi che, senza rendermene conto, avevo sognato quelle labbra per tanto, insospettato, tempo. Mi avvicinai alla sua umida femminilità; l’odore del sesso si mischiava a quello dei fiori di pesco, in un connubio di innocenza e fatalità. Iniziai a leccarla, delicatamente, in modo da non turbare la sua verginità; i sospiri si trasformarono in grida sottili di piacere e di sorpresa insieme. Le allargai ulteriormente le cosce, ed iniziai a stimolare con la lingua il suo clitoride inesperto. Sentivo il suo corpo pulsare attorno a me, e un miscuglio dolcemente acre di liquidi invadermi la bocca. Non era la prima volta, per me, ma con lei il tutto aveva un nuovo significato. Godette presto, quasi spinta dall’orlo di un precipizio in cui cercava di cadere da tempo. Finii baciandola dappertutto, leccando i suoi capezzoli ancora induriti, massaggiandola in mezzo alle gambe, inserendo una mano sotto, a toccare due glutei di adamantina perfezione e, in mezzo, il buco sudato e pulsante per l’eccitazione. Una volta finito, la guardai, lì, nuda, davanti a me, con lo stesso volto innamorato che aveva sempre avuto da vestita. Sentivo i pantaloni scoppiare, avevo bisogno di godere anch’io, e lei lo sapeva. Voleva vedermi nudo, disse, non osando aggiungere altro. La accontentai in un baleno; mi tolsi i boxer e quasi istintivamente glieli lanciai; lei, presili tra le mani, li annusava, quasi per impressionare in sé l’odore della mia sessualità, e intanto fissava quello che per anni era stato l’oggetto dei suoi desideri. Allungò una mano e iniziò a toccarmi con fare inesperto. Poi mi fece cenno di sdraiarmi, e ripeté su di me ciò che io avevo fatto a lei. Mi leccò i piedi e le gambe, il petto e il ventre. Avvicinò la bocca al pene, ma non era ancora pronta per questo tipo di cose, e si limitò ad un bacio stranamente ingenuo. Volli venire, e le dissi di massaggiarmelo delicatamente; lei prese a masturbarmi, e intanto mi fissava negli occhi. Nel giro di pochi minuti, raggiunsi l’apice; il mio sperma schizzò sul suo corpo, sul seno e vicino all’ombelico. Buona parte le colò sulla mano o finì sul piumone del mio letto. Restammo immobili; io fui preso da una conflittualità interiore che rasentava la personalità multipla: c’era una parte di me che già si pentiva per l’accaduto, una parte che si congratulava con se stessa, una parte, quella razionale, che analizzava conseguenze, scuse, eventuali, improbabili rimedi. Ma nell’immediato la scelta tragica era su cosa dire, su come rompere il ghiaccio; imbarazzo totale. Non da parte di lei, però: anzi, lei mi guardava con un sorriso d’intesa, a metà tra il consapevolmente soddisfatto e il sognante; quasi non badò alle chiazze di sperma sulla sua pelle, e quando decise di fare qualcosa a proposito, prima di andare a pulirsi ne prese un po’ tra le dita, lo tastò per bene e lo annusò, ancora una volta alla scoperta del sesso. Poi andò in bagno, sentivo l’acqua scorrere dal rubinetto; quando tornò mi trovò nella medesima posizione in cui mi aveva lasciato. Si sdraiò al mio fianco, mi abbracciò come aveva sempre fatto, fanciullescamente, e mi baciò sulla guancia. Poi però, prese ad accarezzarmi delicatamente il pene, e, quando mi voltai, mi passò con leggerezza la mano tra i glutei.

Dormimmo insieme anche quella notte; io mi ero rivestito, quasi per far finta che nulla fosse successo; lei, invece, era rimasta nuda. Quando mi svegliai al mattino la vidi ancora lì, al mio fianco, supina. Sentivo ancora la strana eccitazione di quella notte; ma questa volta decisi di riprendere il mio vecchio ruolo, e mi limitai ad un tenero bacio sulla spalla. Lei si svegliò, e sorrise, e fu il più bel sorriso che abbia mai visto sulla bocca di una donna. Andai a prepararle la colazione, lei mi raggiunse poco dopo, indossando una delle vestaglie di mia sorella; era quasi buffa, così fragile eppure così sicura di sé, così innocente e così sensuale. Mi parlò, come aveva fatto fin da quel giorno alla festa di laurea, entusiasta ed eloquente, ma con le guance sempre pronte a colorarsi di un rosso fanciullesco.

La vedo ancora, con la stessa frequenza di allora, e parliamo, e guardiamo il cielo come abbiamo sempre fatto. Da allora non l’ho mai più guardata ‘così’. Quella notte nel mio letto di campagna &egrave un ricordo per entrambi; un ricordo muto, però, di quelli che fuori dal silenzio rischiano di morire. Ma quel ricordo sfavilla ancora nei nostri occhi, ogni volta che si incrociano. E richiama un sentimento che solo noi possiamo conoscere.

Leave a Reply