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Racconti Erotici Etero

UN SACRIFICIO A FREYA

By 31 Dicembre 2008Dicembre 16th, 2019No Comments

I corvi avevano gracchiato in cima ad una delle torri. Poi si erano alzati in volo, formando uno stormo nero come la pece, destinato a svanire al pari di una nube nell’immenso fatato del cielo.
Il villaggio era abitato da gente pagana. L’estate era cupa, nordica, piena di nuvole. Le donne si alzavano all’aurora per raccogliere fascine di lauro, onde consacrarle poi agli altari dedicati al Sole, alla Luna ed alla Principessa degli Astri. Alcuni veneravano anche la Fortuna. In paese c’era una statua grigia dedicata a lei. Scultori sconosciuti l’avevano raffigurata su di un carro, donna, dai lunghi capelli d’argento e di stelle, una lunga frusta in mano, sferzava i suoi destrieri immortali.
Era costume che a mezza estate una delle vergini del villaggio si sacrificasse sull’altare di granito, costruito in cima alla collina, all’epoca ammantata di fiori gialli. A destra e a manca di quel monumento crescevano dei rovi spinosi, cari a Freya. La dea amava gli usignoli ed appariva di tanto in tanto in cima al colle. Molte donne affermavano di vederla e di trarre da lei profezie, nonché benedizioni magiche per i loro figli valorosi.
Il rito propiziatorio di cui or ora vi ho accennato consisteva nella consacrazione della carne di una giovane alle divinità pagane, mediante l’accoppiamento. Per l’occasione, tre oche venivano sgozzate dal vegliardo più anziano del villaggio. Il loro sangue doveva fecondare la terra, mentre i corpi degli animali avrebbero sfamato i poveri e i ciechi del villaggio.
– Avete visto Ulrica? Che bei capelli! Che belle forme! Ha da poco oltrepassato la soglia della maturità sessuale. E’ lei che deve compiere il rito, quest’anno! E’ lei, dovete convincerla!
Fu così che il Grande Sacerdote si vestì come uno stregone ed andò a bussare all’uscio della giovane, per spiegarle in che cosa consisteva il rito che ella era chiamata ad eseguire.
– Ma voi scherzate! Mi farete arrossire! ‘ disse in principio la ragazza, cercando di nascondere le sue belle gambe.
Dovete sapere che era costume per le giovani di quei luoghi uscire nelle giornate più fredde dell’inverno a gambe nude, scalze, per provare il piacere che dava il vento freddo sulla pelle senza veli.
Non vi nascondo che le donne avevano dei corpi flessuosi, alti, dalle mammelle sode, dai capezzoli rosa, che finivano in punta, le ginocchia parevano scolpite nel marmo, i piedi erano lunghi, come si conveniva per dei corpi tanto grandi e slanciati.
Ulrica amoreggiò con Freya in sogno, prima del gran giorno. Fu una specie di rito saffico, fra donne, fatto di carezze, colpi di lingua, baci improvvisi, che sapevano di piacere e di non senso a un tempo. La dea le regalò una ciocca dei suoi lunghi capelli, per premiarla. Dovete sapere che, per l’occasione, s’era tinta la chioma del rosso più acceso che si fosse mai visto sotto il cielo.
Poi, venne il tempo del rito pagano. Per l’occasione, una gran folla di uomini e donne si radunò sulla collina. C’erano anche delle pariglie di buoi, ai quali badavano dei giovani dai torsi nudi, che tenevano in mano delle verghe di legno. Uno di essi sussurrò qualcosa negli orecchi di uno degli animali. Forse, era una formula magica.
Tutti acclamavano Ulrica, la vergine magica dal corpo divino, alcuni le gettavano addosso dei fiori profumati, la chiamavano per nome, lodavano la sua indicibile bellezza, le promettevano dei doni di inestimabile valore.
Ulrica rispose tirando a uno di loro uno dei suoi baci. Poi, prese a denudarsi, mentre il maschio che doveva consumare con lei il fatale amplesso già scopriva il suo lungo fallo.
La giovane si stese sull’altare, poi, quando quella specie di caprone dalle sembianze umane le si avvicinò e la penetrò, la sentirono gridare forte e le uscì del sangue dal grembo. Ah, sì, lui gliel’aveva lacerata, strappata, sfondata, in un colpo solo. Gli animali sacrificali erano pronti, il vegliardo era ormai in procinto di scannarli. Lei si era illusa di dover provare soltanto piacere. Invece dovette godere e soffrire, a un tempo. La sentirono emettere dei versi secchi, suadenti, penetranti, che aumentavano d’intensità man mano si avvicinava la fine.
Qualcuno vide Freya, che scendeva dal cielo e baciava sulla bocca la vergine deflorata. Se fosse stata anziana, l’avrebbe portata via con sé, strappandola alla terra ed ai suoi frutti crudeli.
Due upupe s’erano appollaiate sui rami di un vicino faggio. Il sole giocava a nascondino dietro alle sue fronde, mentre delle giovani, vestite come Vestali, facevano a girotondo, lasciando volare nel vento dei lenzuoli bianchi.

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