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Racconti Erotici Etero

Valentina nel Paese delle meraviglie

By 9 Maggio 2013Dicembre 16th, 2019No Comments

Valentina’ non so perché quel nome mi ha sempre stuzzicato. C’è qualcosa di erotico nel modo in cui ti scivola in bocca, mentre lo pronunci, quelle quattro sillabe che costringono la lingua a toccare morbida il palato, ripetutamente, come se si preparasse a lambire un capezzolo o scivolare su un clitoride in fremente attesa. Un nome terribilmente femminile, carico di promesse. E’ stato questo che mi ha fatto capitolare senza combattere, credo. Stavamo chattando da un po’ ma non volevo dirti il mio nome. Mi nascondevo dietro i pochi pixel che ti spedivo, rispondendo laconica alle tue domande, come se fossi infastidita, chiedendomi se saresti stato capace di toccare qualche corda in grado di svegliarmi.

Ma tu mi hai scritto queste semplici quattro parole: ‘Ti chiamerò Valentina, allora’. Sono arrossita davanti al video, come se i suoi colori fossero i tuoi occhi su di me nuda. Ti ho stupito a mia volta con questa semplice domanda: ‘Cosa vuoi che faccia per te?’. Chissà cosa ti è passato per la testa in quei dieci secondi di silenzio della tastiera, mentre pensavi a come entrare in argomento’

E poi hai scelto l’approccio diretto. Niente di più semplice per scoprire se potevi avermi. ‘Voglio che tu giochi con me, adesso’, hai scritto. Non mi hai lasciato il tempo di rispondere, hai continuato immediatamente: ‘Voglio essere il diavoletto nella tua testa, la voce che ti suggerisce ciò che non faresti’. Mi hai incuriosita, c’è poco che non farei. Sei stato quasi frenetico, le parole comparivano in fretta: ‘Cambiati, metti un paio di calze autoreggenti e una gonna sopra al ginocchio, con una camicetta, meglio se di seta morbida e trasparente, devi prepararti ad uscire’.

Dovevo rispondere qualcosa, provare a stupirti ancora, il gioco mi stava coinvolgendo. Per questo ho rilanciato: ‘E cosa vuoi che mi metta di intimo?’. Ma eri già più avanti di me, di nuovo. Ancora una volta mi hai fatto arrossire: ‘Nulla, voglio che chi sbircia sotto la tua gonna goda della visione inaspettata del tuo sesso, e voglio che i tuoi capezzoli si inturgidiscano per lo sfregamento con la seta, che sollevino il tessuto puntandolo verso ogni sguardo che li cercherà’.

E’ bastato così poco per farmi affluire il sangue al viso. Lo sentivo caldissimo, probabilmente ero rossa come mi succede raramente. E’ stato come se la componente primitiva del mio cervello prendesse il controllo, mi osservavo pensare e rispondere senza riuscire a intervenire razionalmente, avevi chiuso il mio super-io in gabbia e nascosto la chiave. Ti ho risposto, sorprendentemente docile: ‘Dammi qualche minuto, mi preparo’.

Mi piace prendermi cura di me, di solito sono riflessiva e controllata, scelgo quello che indosso con attenzione quasi eccessiva, studiata, affettata. Non esco mai senza aver scelto gli accessori coordinati ai miei abiti e aver verificato ogni abbinamento nei dettagli. Questa volta ero irriconoscibile nella mia frenesia, sono volata davanti all’armadio facendo quasi cadere la sedia, aprivo e chiudevo cassetti pensando solo che volevo sbrigarmi, prepararmi ad essere eccitante, tornare da te senza lasciar affievolire il calore che pulsava nella mia testa. ‘Dio mio, la gonna del tailleur o una mini di jeans? Cosa metto, cosa metto??? Ecco, la gonna nera a portafoglio e la camicetta grigia. Autoreggenti nere, come sapevi che le avevo? Non mi hai detto niente delle scarpe, ma non posso che mettere un tacco alto, combinata così. Se devo essere da vetrina, che lo sia fino in fondo, apprezzerai senz’altro. Dimmi che ci sei ancora, dimmi che ci sei ancora”.

Sono tornata davanti al computer trafelata. Non sapevo neanche come chiamarti. Ho digitato ‘Ci sei?’ con le farfalle nello stomaco. Mi hai risposto ‘Sono qui’ come se fosse la cosa più naturale del mondo, e hai aggiunto ‘brava, Valentina’ come se potessi vedermi e approvare il risultato della vestizione. Mi hai chiesto di descrivermi, chiedendomi precisazioni su ogni dettaglio. Ora mi rendo conto che chattare con te su di me, sul mio aspetto, sul mio stato d’animo, mi ha fatto poco a poco accettare la nuova me che si stava affacciando al mondo, ero eccitata (e piuttosto bagnata, se ben ricordo) ma stavo raggiungendo una nuova lucidità. Mi piaceva la strada su cui mi stavi conducendo, mi sentivo Alice che attraversa lo specchio. Valentina/Alice che entra in un nuovo mondo.

E infine mi hai scritto ‘Ora sei pronta’. Io già morivo dalla voglia di masturbarmi. Ho equivocato e ti ho chiesto ‘Posso toccarmi?’ ma me lo hai negato, hai giocato sulla mia voglia di sesso. E hai accelerato. ‘Non è il momento di toccarti – mi hai detto ‘ voglio che tu esca di casa e che sia affamata come una lupa’. Ancora una volta non mi hai lasciato il tempo di rispondere, hai proseguito: ‘La lezione di oggi riguarderà il tuo potere sugli uomini. Prendi un mezzo pubblico qualunque, un tram, un autobus, una metropolitana, se c’è dove abiti, e concentrati sugli sguardi di chi ti sta intorno, accorgiti di quanti ti osservano e guarda come sfuggono al tuo sguardo nel momento in cui li incroci. Forse neanche si rendono conto che vorrebbero toccarti, forse lo sanno e se ne vergognano. Per abitudine, per vergogna o per educazione noi uomini distogliamo lo sguardo se vi accorgete del suo passaggio sul vostro corpo. E lo stesso fate voi donne, Valentina, nascondendo il vostro interesse per i maschi che vi circondano. Oggi dovrai contrastare questa forma di timidezza’.

Ero di nuovo nel pallone, mi sentivo la testa caldissima e quasi staccata dal corpo e lo stomaco contratto. Ho chiesto: ‘Come?’. Hai rincarato: ‘Muovi i tuoi occhi sulle persone intorno, ma lentamente, osserva il loro volto farsi rosso quando incrociano il tuo sguardo e si voltano ostentando interesse per qualsiasi altra cosa che non sia il tuo corpo, prova a contarli, gli uomini che ti desiderano, e vedrai che sono molti di più di quanti immagini.’

Ero tentata ma mi mancava il coraggio. Mi hai esortata: ‘Se vuoi scoprire chi sei devi andare, Valentina.’. Di nuovo quel nome, io ma una persona diversa da me, la mia evoluzione erotica. Ho ceduto, di nuovo e definitivamente: ‘Va bene. E poi cosa devo fare?’. Hai continuato, le istruzioni non erano finite: ‘Durante il viaggio non dare facili confidenze. Quando ti senti padrona del tuo sguardo e riesci a non distoglierlo prima degli altri, scendi, meglio se in centro. Trova un locale pubblico frequentato, continua la tua esplorazione, identifica due o tre uomini che ti sembrano interessanti e passa al livello successivo.’

Non ti seguivo, ti ho chiesto: ‘Cioè?’. E mi hai spiegato come: ‘Siediti e affronta la cosa con calma. Trova un volto che ti interessa, una persona seduta, fissa i suoi occhi e aggancia il suo sguardo. Se riuscirai ad incrociarlo, vedrai che lui guarderà subito altrove, poi non riuscirà a farne a meno e tornerà a girarsi trovando di nuovo i tuoi occhi nei suoi. Questo è il momento cruciale, sentirai fortissima la pulsione a girarti, ma dovrai continuare a guardarlo. Questo lo confonderà. Vedrai i suoi occhi rimbalzare intorno e di nuovo nei tuoi, intorno e di nuovo nei tuoi, finché troverà il coraggio di guardarti più a lungo. Quasi certamente arrossirà, si chiederà se stai guardando lui, che cosa vuoi, finché comincerà a intuire la promessa del tuo desiderio. E’ importante che tu non sorrida, non devi incoraggiarlo, devi dare quasi la sensazione di volerlo sbranare, deve sentirsi in difficoltà, non semplicemente incoraggiato. Quando avrà ceduto e terrà lo sguardo nel tuo, dimenticalo e passa al successivo’.

Avevo il fiato sospeso, mi immaginavo la situazione’ ‘Ma come? ‘ ti ho chiesto ‘ e se’?’. Volevo chiederti cosa fare se si fosse alzato e avvicinato. Non mi hai lasciato finire, ma hai intuìto: ‘Per ora non stiamo cercando un approccio, ma lavorando sul tuo autocontrollo. Quando sarà lui a cercare il tuo sguardo, dimenticatene e considera il suo volto come se fosse trasparente. Passerà tutto il suo tempo a inseguirti, e resterai nei suoi pensieri a lungo. Se vuoi un margine di sicurezza, magari inizia con un uomo accompagnato, meglio se da una donna. Gli darai una ulteriore fonte di imbarazzo e sarà più difficile per lui avvicinarti.’.

Non ho potuto fare a meno di dirtelo: ‘Sei davvero perfido.’ Era un complimento, ovviamente, e come tale lo hai accolto: ‘Grazie, Valentina. Ma non abbiamo finito. Ripeti il gioco, ancora lì se puoi, o magari in un altro locale se non vuoi farti notare. Ancora una volta o due. Portalo ogni volta un po’ più avanti. Quando ti senti abbastanza sicura, sei pronta a catturare le preda. Se non abbandoni il gioco a metà, un uomo su dieci avrà abbastanza fegato da alzarsi e farsi avanti. A quel punto potrai fare di lui quello che vuoi. Portalo in bagno e fatti soddisfare, te lo sei meritato.’.

Mi sentivo ancora smarrita, mi vedevo seduta a un tavolino con un uomo che si avvicinava e l’anatema dell’indecisione che pendeva sulla mia testa. Volevo farlo, ma non sapevo come. Ho chiesto ancora una volta a te, che mi stavi accompagnando come un maestro: ‘Come devo fare? Ma è davvero questo che vuoi? Devo farmi scopare da uno sconosciuto?’. C’ero già. V o l e v o farmi scopare da uno sconosciuto. La mia sedia era bagnata dei miei umori e dentro di me sentivo già gli affondi del coito. La tua risposta è stata semplice: ‘Si’. Pausa. ‘Devi imparare che puoi osare, che questo ti renderà superiore e padrona della sessualità tua e degli altri.’. Pausa. ‘Voglio che tu cresca, prima di essere pronta per me.’. Pausa. ‘Averlo è facile, mentre si avvicina alzati lentamente continuando a guardarlo, e avviati verso la toilette. Verrà con te.’.

Mi è sembrato normale. Eri già il mio maestro. In un’ora hai cambiato la mia vita. ‘Va bene, vado’, ti ho detto. Mi hai salutata: ‘Ciao Valentina, sarò qui al tuo ritorno. Vorrò un racconto completo del tuo pomeriggio.’.
Sono uscita. Ho lasciato il computer acceso e la chat aperta, volevo andare, mettermi alla prova e tornare a raccontarti quanto ero stata brava. Per la nuova me ho scelto un mezzo nuovo, da poco nella mia città c’è il tram, tra l’altro è più grande di un autobus e può contenere un intero gregge di potenziali prede. Ero in caccia, eccitata e impaurita nello stesso momento.

Avevo il biglietto, ne ho sempre, in una città di medie dimensioni si viaggia bene con i mezzi pubblici. Un leggero vento faceva inturgidire i miei capezzoli ancora di più nella breve attesa alla fermata, un paio di adolescenti seduti sulla banchina non riusciva a staccare gli occhi dal seno che sollevava la mia camicetta. Due! Bene, ottimo inizio.

Adesso sono qui. L’autista mi guarda mentre il tram rallenta, i suoi occhi incrociano i miei e scorrono via mentre mi supera, e poi accarezzano nello specchietto i miei fianchi, il mio culo e le mie gambe velate mentre ‘oblitero il documento di viaggio’ e mi allontano ancheggiando lievemente. La sento, la sensazione di potere. Sto ipnotizzando un uomo dopo l’altro. Quel pensionato con gli occhi sgranati è perso nella trasparenza della mia seta. Questo impiegato che sto quasi toccando ha fatto il contorsionista per evitare di sfiorare il mio gluteo con il suo bacino, mentre passo lungo il corridoio senza minimamente dare segno di volerlo evitare. I due ragazzi, adesso seduti davanti a me, ora si danno di gomito e sbirciano l’orlo delle autoreggenti che occhieggia dal margine della gonna. Mi sento porca, e mi sento grande, come se il limite del mio corpo fosse diversi centimetri oltre la mia pelle.

Inizio. Bell’uomo, sulla trentina. Assorto nella lettura del giornale. Fisso il suo volto. Bastano pochi secondi: alza gli occhi, guarda nella direzione del movimento, poi si gira e vede il mio sguardo. Non riesce a non trasalire, fa finta di nulla e abbassa nuovamente il capo sul giornale, ma me ne sono accorta. Sorrido dentro di me mentre lo vedo alzare gli occhi e cercare velocemente i miei, prima di guardare di nuovo in un’altra direzione. Funziona!

Questa volta però faccio finta di nulla, il mio sguardo lo attraversa come fosse un’immagine pubblicitaria sul finestrino. Torna al giornale, sbircia, torna al giornale, ma lo ignoro e gli lascio il tarlo del dubbio. Siamo a cinque! Cinque maschi che questa sera potrebbero masturbarsi pensandomi. E’ una sensazione grandiosa!

Siamo in centro, scendo. C’è un caffè storico, molto bello. Tanto vale iniziare in grande. Mi siedo a un tavolo in un angolo, ordino qualcosa di fresco. Al cameriere non sfugge la mia scollatura. Sei! Mi guardo intorno compunta. Sparse tra i tavoli diverse persone, assorte in conversazioni apparentemente riservate o immerse in documenti da esaminare prima di chissà quale riunione. Vedo una coppia in cui la conversazione langue, a qualche tavolo di distanza . Lui è quasi nella mia direzione, lei è di spalle. Perfetto! Lascio che le mie gambe si aprano un po’, è in favore di luce, la cosa potrebbe aiutarmi. Arpiono i suoi occhi e lo guardo fissa.

Quando finalmente mi vede, le sue pupille si allargano. Ha avuto una scossa. Riporta il suo sguardo verso la sua compagna ma ogni pochi secondi si gira a guardarmi. Il mio sguardo è fisso sui suoi occhi e lui sta palesemente perdendo la concentrazione, finché lei se ne accorge e si gira. Faccio in tempo a ricompormi, ma con la coda dell’occhio vedo il calcio che arriva sulla sua caviglia. Dentro di me sto trionfando. Mi alzo, pago con qualche moneta e uno sguardo complice alla cassiera che ha visto tutto.

Passeggio con calma, c’è un nuovo wine bar, raffinato, dove non sono mai entrata. Cinque o sei maschi si voltano contemporaneamente al mio ingresso. Questa volta è troppo per me: mi sembra la vasca degli squali, una botta di adrenalina mi ghiaccia la pelle e mi infiamma là in basso. Cavoli cavoli non ce la faccio. Bevo al banco un bicchiere di minerale ed esco, senza guardare nessuno. Mi fermo davanti a una vetrina, recupero la calma, respiro a fondo e questo contribuisce inaspettatamente alla pressione che sento sul basso ventre. Non voglio deludere ne te ne me stessa.

Cammino ancora un po’, c’è un locale il cui nome rievoca un girone dantesco, mi dico: ‘Mi sembra adeguato per i miei scopi, non trovi?’. Non so se mi sto rivolgendo a me stessa o a te.

Entro. Niente panico questa volta. Mi siedo, ordino un caffè e mi godo l’ennesimo sguardo del cameriere su ogni centimetro del mio fisico. Ma non va bene, devo essere io a riprendere il controllo. Non lo ringrazio, non sorrido, non mi volto neppure. Sto esplorando la sala. Non siamo in molti, ma all’altro capo c’è un quarantenne distinto, camicia bianca senza cravatta, giacca leggera aperta, sta leggendo il giornale, forse si sta rilassando dopo un incontro di lavoro’ Sento umido e caldo tra le gambe. Prendo tra le mani un menù: gelati, birre, cose’ I miei occhi non sono sulle pagine, sono sul volto del mio bersaglio sconosciuto. Ecco i tuoi occhi, mi scorgi ma quasi non fai caso a me, torni a fissare le pagine. Ma eccoti! Di nuovo, poco più a lungo. Ancora le pagine, poi ancora me. Gli intervalli si fanno più brevi, finché è più il tempo che i tuoi occhi passano nei miei invece che altrove, finché anche tu mi fissi senza spostarli. Sono passati forse dieci minuti, mi sembrano due ore quanta è la concentrazione che mi costa questo gioco.

Si alza, sta venendo qui! Aiuto!!! Sono immobilizzata’ Mi chiede se può pagarmi il caffè. Accenno un sorriso, si avvia alla cassa. E io faccio una indecorosa corsa verso la toilette, cercando di non far rumore con i tacchi, entro e chiudo a chiave la prima e poi la seconda porta, con un sospiro di sollievo. Scema scema scema. Sono seduta sul coperchio della tazza e la gonna è sollevata, vedo la mia fessura aperta, sono turbata, spaventata, eccitata, le mie mani mi aprono e inizio a toccarmi furiosamente, il mio medio non basta, inserisco due dita, poi tre, ruotandole da destra a sinistra per strapazzare il mio punto G, mentre l’altra mano vibra sul clitoride. I muscoli del mio collo si irrigidiscono, la mia testa all’indietro, mentre un grido mi si ferma in gola. Ho un orgasmo intensissimo. Quanto dovrò aspettare prima che quello la fuori si decida ad andarsene? Come farò a raccontarti tutto? ‘Farò meglio, prometto’, ti dico mentalmente, sorridendo tra me e me…

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