Skip to main content
Racconti Erotici Etero

VAMPIRI

By 26 Febbraio 2005Dicembre 16th, 2019No Comments

Pioveva a dirotto.

La luce dei lampi, che squarciavano il cielo nero, mi mostrò la scalinata di legno che conduceva nella cripta. Scesi i gradini uno dopo l’altro, appoggiandomi al bastone di frassino, cui solevo sorreggermi da quando, a causa di una caduta da cavallo, mi ero procurato una lussazione.

A destra e a manca, c’erano dei candelabri d’oro e d’argento, sui quali ardevano ceri bianchi, profumati di incenso. La scala serpeggiava, sopra di me discernevo ormai soltanto il cielo plumbeo, e i lampi, che scintillavano sulle vetrate.

All’improvviso si alzò in volo una nube di pipistrelli.

Erano color della pece, squittivano, e vi confesso che quasi mi fecero paura.

Ma la mia curiosità di viaggiatore, come sempre, ebbe la meglio. Proseguii la mia discesa, con passo tardo, soltanto il muggito tenebroso dei tuoni mi impediva di addormentarmi nei miei sogni di passione.

Sentivo le gocce di pioggia sulla pelle…

Alle pareti di quel passaggio segreto erano appesi dei quadri antichi. Raffiguravano grandi veneri nude, decorate con gioielli fatti di rovi, ma c’erano pure scene di martirio, le vittime erano tutte donne, senza veli, i seni grandi trafitti da lunghe spade insanguinate.

Alcune erano state dipinte con il terrore sul volto, i grandi occhi spalancati, la bocca rossa aperta, come per gridare, non so se di piacere o di spavento.

Abbassai le palpebre e mi lasciai guidare dal desiderio. Ah, sì, era il desiderio proibito, che animava ogni mio viaggio, e mi spingeva a ricercare avventure sempre nuove.

Ai piedi della scalinata vidi un avvoltoio, dalle grandi ali color di carbone, incatenato. Pareva dormisse. Oh, avrei giurato che non fosse fatto di carne, ma di marmo, e che maestri scultori di altri tempi l’avessero forgiato con i loro scalpelli appassionati.

Ebbi l’impressione di vederlo attraverso le palpebre, poiché avevo ancora gli occhi socchiusi.

Quando li riaprii, mi accorsi di trovarmi su di un grande prato, sopra di me stava sempre il cielo tenebroso, e mi trovavo sulla soglia di una sorta di tempio, decorato con colonne greche e fiori di acanto.

Scorsi una passatoia rossastra, dei grandi candelabri d’oro zaffiro, tempestati di topazi, sotto una tettoia. Ce n’erano altri all’interno, li distinguevo appena attraverso le bifore di cristallo.

Dietro a quella sorta di sepolcro scorreva un fiume, il cui letto descriveva ampi meandri, e dalle cui acque saliva una nebbia grigia, che pareva incantata. La corrente era forte, c’era una barca, di legno, ormeggiata malamente, che sbatteva contro la riva.

Un verso melodioso e magico rapì i miei sensi. Non so se fosse quello di un’averla, o di un’upupa, ma ebbi l’impressione che tutto il mio sapere e la mia conoscenza si dilatassero in un istante, e abbracciassero l’immenso.

Vidi che il gran tempio, o forse, il sepolcro, non era chiuso. Il portone di legno era semiaperto, scorsi i grandi battenti d’argento, sospesi tra le fauci di due leoni, ma non fu necessario bussare, per entrare.

Sospiravo sulla soglia.

Avevo avuto l’impressione di avvertire le dolci fragranze e il profumo di una donna, ma forse, era un’illusione.

Calpestavo la passatoia cremisi, che pareva un tappeto, quando sentii un uscio cigolare, come sospinto dai fantasmi, e vidi, tre scalini più in basso, una bara aperta.

Era scura, di legno, tappezzata di rosso, e con un gran cuscino per bene appoggiarvi la testa. La fantasia mi suggerì che appartenesse ai vampiri.

Alle pareti vidi appese delle spade d’altri tempi, ma anche delle falci, dalle lame arrugginite, degli scudi, e dei ritratti di famiglia.

Fu allora che mi parve di udire la voce di una donna.

Era melodiosa, e incantata. Pareva salisse dal profondo del fiume, e volasse trasportata dalle brezze nebbiose e leggere. Era una voce malinconica, una voce di fuoco.

– Dove sei entrato, bel passante? Chi sei? Di dove vieni? Non ti conosco’ Oh, caro, guarda, sei venuto a trovarmi’ D’ora in poi sarò la tua amica del cuore! Non vieni ad abbracciarmi?

La vidi apparire dalle nebbie cupe. Ero uscito dal suo tempio, e mi appoggiavo ad una delle colonne greche del porticato, quando ebbi l’apparizione.

L’essere apparve presso un cespuglio d’erba verde, portava un lungo manto nero perla, che il vento faceva ondeggiare, mostrandone la fodera color porpora.

Vidi anche i suoi capelli biondi, lunghi, che ricadevano a boccoli sulle spalle, sospinti dalla brezza, aveva una camicia bianca, sbottonata sul petto, da dove spuntavano i seni enormi, eburnei.

Scorsi anche una sorta di gonna color di carbone, sericea, che le avvolgeva le gambe, lunghe, bianche, tornite, e i piedi calzati da scarpe rosse col tacco a spillo.

Era la diavolessa, o forse, il vampiro.

A poco a poco, la bruma che avvolgeva le sue forme si dileguò, ed ella venne a me, sospirando, per darmi il suo benvenuto.

Pareva fosse appena uscita da un sepolcro. E forse, ero io che l’avevo liberata.

– Grazie, amore del mio cuore ‘ mi disse, toccandomi con la mano bianca, e regalandomi così un brivido. ‘ Mi hai resa felice, con la tua presenza, mi hai liberata dalle catene che mi tenevano prigioniera.

Poi, soggiunse:

– Come potrò mai ricompensarti?

Mi aveva posato entrambe le mani sulle spalle. Fu allora che poggiò le dolci labbra rosse sul mio collo, e mi diede un bacio. Era come un morso, fatto di piacere e di passione insieme, sentii i suoi denti d’avorio sulla pelle, la sua lingua, e, lo ammetto, mi ferì lievemente, anzi, languidamente.

L’essere leccò con avidità le gocce del mio sangue.

– Oh, ti amo, e tu non sai quanto! ‘ diceva. ‘ Il mio amore &egrave rosso come questo liquido vitale, che ti bagna il collo, e lambisce le mie labbra. Non vorresti che durasse per sempre?

Fu allora che la Tenebrosa indossò la sua maschera di vampiro. Era fatta di porcellana finissima, e lasciava scoperti i suoi occhi, azzurri e fatati, nonché la sua bocca, madida e scarlatta.

Fu allora che mi accorsi che sul prato c’era una pecora che brucava.

Era bianca, ingenua, e masticava indulgente con se stessa l’erba verde.

La Tenebrosa, che mi aveva abbracciato, si staccò da me, improvvisamente afferrò la pecora con entrambe le mani, e senza permetterle di fuggire la morse sul collo, profondamente, cominciando a succhiarle il sangue.

La pecora belò, poi si tacque.

Il vampiro bevve, fin quasi a dissanguarla.

Oh, cielo, che paura ebbi! Forse, avrebbe fatto lo stesso anche con me. Tentai di ritornare sui miei passi, ma rividi il suo volto diafano alla luce dei ceri, era tornata bella, più bella che mai, e disse:

– No, sta tranquillo, amico del mio cuore, a te non succederà niente’ Non farò altro che saziarti con i baci e le carezze’

Mi prese per mano e cominciammo a correre insieme lungo il fiume. Sorrideva, e il vento faceva svolazzare il suo mantello. Mi accorsi che era nuda, nuda, nuda, quasi completamente nuda, sotto.

Doveva essersi bagnata da poco in quelle acque. Avevo l’impressione che la sua pelle fosse imperlata di quelle gocce di cristallo.

No, forse, era per la pioggia, che non aveva mai smesso di cadere. I tuoni avevano lasciato il posto al silenzio.

La Tenebrosa mi promise la sua carne. E mentre correvamo, si lasciava toccare, lasciava che le mie mani sfiorassero i suoi capezzoli rosa, e i suoi capelli lunghi e biondi.

Era fatale.

Volle che lo facessimo nella sua bara.

E io la esaudii.

I suoi lunghi capelli si attorcigliavano come rovi intorno ai nostri corpi nudi. Lei portava indosso soltanto il suo mantello. Voleva che la morsicassi leggermente, che le rosicchiassi la pelle del petto, del ventre, del pube.

Le labbra sue non perdonavano.

Volle praticarmi il sesso orale, e fu feroce, tanto, che non lo so raccontare. Mi fece male.

Appoggiava la bella testa sul cuscino cremisi della sua bara, mentre mi stringeva tra le sue gambe: l’avevo penetrata.

La menai con forza, la sentivo bagnarsi sempre di più sotto i miei colpi, di tanto in tanto, faceva per rialzarsi, come per riafferrare la sua anima, che, in preda all’orgasmo, si apprestava a lasciare il suo corpo, per salire al cielo.

La sentii gridare.

La sentii gemere e ripetere parole in tedesco arcaico, che non so raccontare, né tradurre.

Era così erotica, così fatale, con quell’anello decorato di zaffiri che portava all’anulare della mano sinistra, e con i suoi denti bianchi, che mostrava, per dirmi quanto fosse in preda alla passione.

Venne.

Mandò dei versi folli, animaleschi, li ripeté più e più volte, pareva che qualcuno le strappasse il cuore, e glielo mangiasse. Poi toccò a me, e provai il fuoco che divora la carne.

Le diedi un bacio sulla bocca, ma la Tenebrosa non voleva lasciarmi andare.

– No, non lasciarmi così, no’ Tra poco verrà la luce, e dovrò chiudermi nella mia tomba’

Mi stringeva talmente forte, che ebbi l’impressione volesse piantarmi i suoi artigli nella pelle. E i suoi lunghi capelli biondi erano divenuti spinosi, più dei rovi. Promise di uccidermi.

Mi liberai, e presi chiodi e martello, che stavano lì accanto, la chiusi viva dentro la sua bara.

Quando riaprii gli occhi, un raggio di sole fendeva le luci del cielo. Era venuto a svegliarmi nella mia camera.

Leave a Reply