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Erotici Racconti

Virtuoso e doloroso epilogo

By 4 Dicembre 2018Febbraio 12th, 2023No Comments

‘Walter, ascoltami con attenzione, se tu tieni alla tua persona e principalmente in aggiunta a ciò alla nostra buona condizione fisica, bada bene a quello che sto per dirti: hai adoperato almeno il profilattico?’ – gli esposi io in modo limpido e lampante, perché sovente lo incalzo, rammentandogli se nel contempo lo abbia correttamente utilizzato in occasione delle sue immancabili e fortuite lussuriose peripezie carnali.

‘Che cosa vuoi che ne sappia adesso? Non rammento neppure quello che ho mangiato ieri sera?’ – mi manifesta lui, piuttosto contrariato e seccato. 

La sua, invero, è una di quelle reazioni inedite, una replica inconsueta e fuori luogo, che io, povero e meschino stolto, non avrei di certo giammai potuto comunicare, con la mia afflizione assieme al mio smisurato timore di contrarre dei morbi e dei malori se mi dovesse accadere d’appartarmi con una donna forestiera, peraltro recuperata chissà da qualche zona, in quanto non potrei mai dimenticarmi d’aver utilizzato o di non aver applicato il condom. Per di più, in caso non lo avessi correttamente eseguito, senz’altro mi sarei negato di chiavare, perciò non ho un bel nulla da raccontare.

‘Senti un po’, se ti fossi preso qualche malanno? – proferii all’istante abbastanza assillato e impensierito.

‘Sì, certo, non c’è dubbio, è lampante che me la sia buscata qualchecosa di tosto, in effetti la femmina più fica e alla moda della balera se ci tieni proprio a saperlo. Avevo la mano appoggiata sulle sue chiappe, durante il tempo in cui tutti i presenti erano increduli che mi squadravano, perché tutti quanti tentavano di cimentarsi per avvinghiarla’ – ribadii Walter per la circostanza, sobillandosi in un velato sogghigno eseguito notevolmente con sforzo. 

‘Sei realmente un autentico sconsiderato, un effettivo sbadato, lo sai molto bene che è da imprudenti e da incoscienti azzardare in tal modo, questo lo sai, vero?’ – bissai io dentro me stesso, a ogni buon conto lo ammirai parecchio. 

Pensandoci adesso in modo pratico e razionale, io non l’acconsento né la permetto questa mia inibizione, non ci riesco, è assai illogico, paradossale e irrefrenabile, un’autentica ossessione, in effetti per un individuo come me, che predispone innumerevoli contesti di sesso non prestabilito da poter mettere in pratica al più presto è un problema grosso. Diversificate mie ansie e allarmi invece, sono disposto pure ad accettarli, al massimo non prendo l’aereo o non mi siedo su d’una tazza del cesso in un luogo estraneo che non sia quello di casa mia, senza prima averla quasi infagottata di carta igienica, ma dover ripudiare un’ipotizzabile chiavata, fra l’altro inaspettata e non regolata se non protetta, non lo giustifico né lo sopporto. 

‘Se è per questo motivo, se ti senti veramente deformato e devastato, allora fa’ in questo modo: acchiappa un banale profilattico e trasportatelo dietro dovunque decidi d’andare, in fondo non te lo porti sulle spalle, non pesa chissà quanti chili. Mi pare un concetto elementare e naturale, non ti pare? Sai quanti esseri umani vanno in giro con un fagotto del genere incastonato dentro i borselli o ficcato nelle tasche degl’indumenti?’.

Walter in quel frangente speculò d’aver compiuto una delle sue eccellenti freddure, a dire il vero ne era assai orgoglioso, il grande stolto superficiale, l’autentico stupido, lo sprovveduto facilone, sennonché eccomi immediatamente svincolato e redento di certe mie rivelazioni avvenute, che gran testa di minchia, come se io non ci avessi mai rimuginato prima a un espediente ovvio come quello. Sì certo, come no, eccellente idea, soltanto che cercai il modo di non fargli intendere d’aver accumulato il colpo alla sua annebbiata e ottusa canzonatura. Sussiste costantemente qualcosa di pienamente imponderabile, persino in tutti quegli organizzati e strutturati metodici modi di vivere delle persone, perché è necessario anticiparlo, immaginiamoci nella mia che cosa possa inaspettatamente sopravvenire. 

Alanis era realmente una gran bella femmina, un’avvenente pezzo di fica aggraziata ed elegante, indiscutibilmente scarna in vita con un didietro formoso e appropriato, adatto alle mie potenziali attenzioni e alle mie più intrinseche creatività del venerato riguardo del culo. Quelli così, io in verità li denomino glutei con la vita rialzata, sostengo in questo modo per far comprendere che l’attaccatura delle chiappe prende il via da molto in alto, peraltro ammirevole esemplare quanto sporadico alle nostre latitudini, perché questo tipo di fondoschiena è caratteristico nelle donne sud-americane, nello specifico di quelle brasiliane, giacché non sai dove finisce la regione lombare e dove inizia il sedere. Soltanto chi ha bramato e spasimato come me, partecipando a qualche esibizione di samba, può comprendere concretamente e assiomatico sostenere di che cosa sia il concetto che io sto esattamente divulgando. Il suo seno era florido, non molto grande, ma tenuto sempre ben spinto e pressato da uno di quei bei reggipetti dagli effetti speciali, le aperture dei suoi vestiti sul davanti hanno reso più lineare questa descrizione.

Io l’avevo conosciuta senza nessuna lodevole azione, invero senza una meritoria condotta, essendomi stata presentata semplicemente dal mio amico Dario, poiché era sua cugina. In verità senza proposito alcuno, perché generalmente per avvicinare una femmina di questa portata ho dovuto di frequente scaraventarmi con grande fatica nelle mie ricerche, per esempio quando ho dovuto svolgere per pochi soldi come intrattenitore del turismo nei paesi di mezzo mondo, cercando l’attimo magico di frequentarne magari qualcuna del genere. Al momento discorriamo di Alanis, senza virtù l’avevo incontrata, poiché senza pregio mi sembrava d’averla con me in macchina nel corso d’una insperata serata, giacché in modo lesto le comunicai:

‘Hai voglia di fare un giro in macchina? Consumiamo una bevanda da un’altra parte?’ – mi sbrigai nel sollecitarle senza molto convincimento nel bel mezzo d’una cena organizzata da Lucia, la moglie del mio amico Dario.

‘Sì, certo, d’accordo, ci sto’ – ribatté Alanis eccezionalmente cogliendomi di sorpresa.

‘Noi, al contrario, dopo cena rientriamo. Sai, la bimba piccola a casa reclama e necessita di certo la mamma’ – affermò con un sorriso di circostanza Lucia, senza nessuna possibilità di replica del povero Dario.

Dario, sì, certo, un uomo a questo punto condiscendente, paziente e sottomesso al suo ruolo di coniuge convenientemente e diligentemente plagiato, peraltro diventato in poco tempo un papà appena diciannovenne per una frettolosa quanto incomoda scopata serale non protetta, avvenuta sotto i portici dell’abitazione della nonna di Lucia, per il fatto che adesso ingeriva il cibo che si trovava nel piatto senza quasi mai sollevare gli occhi e senz’origliare. Probabilmente al presente stava meditando alla spesa del sabato da compiere al centro commerciale, alla scala mobile che dopo lo riportava al parcheggio e al carrello mai totalmente carico. Tenuto conto che entrambi sarebbero rientrati verso casa prima del previsto, mi resi conto che la serata iniziava a girare davvero bene. Io non avevo fatto nessun programma, non avevo pensato assolutamente alla possibilità d’un dopo cena con Alanis, all’opposto eccoci qui, lei seduta accanto a me sul sedile dell’automobile, mentre io cerco un modo più disinvolto e intraprendente possibile per fermarci parcheggiando in un posto silenzioso e fuori mano. 

In quel periodo faceva ancora freddo, nonostante Alanis indossasse un paltò lungo salendo nell’automobile, io riuscivo a squadrarle bene le gambe, per il fatto che le vedevo dal momento che risaltavano dallo spacco, fintanto che lei si dondolava per sistemarsi al meglio la posizione del sedile tra il cruscotto e il sedile. Aveva delle splendide cosce, il colore delle calze che le avvolgeva faceva il resto. Io mi ero indubbiamente appropriato della scena, perché intellettivamente seguivo le sue gambe e le sue scarpe con il tacco alto, essendo il massimo lapalissiano che frullava nella mia personale rappresentazione della mia lasciva e viziosa mente. Alanis aveva pressappoco venticinque anni, possedeva movenze fiduciose e al tempo stesso sicure e temerarie per la sua giovane età, comunque a me appariva finta, un personaggio forse alterato, fasullo e non spontaneo, perché ugualmente il modo di vestirsi lo era, poiché si capiva bene, giacché il suo intento finale era assecondare, indurre e stimolare, verosimilmente abbagliare e conquistare. Dove avesse appreso questi trucchetti era il quesito che mi ponevo, può darsi che avesse intravisto qualcosa di simile in Tv, su d’un qualche rotocalco di pettegolezzi, su qualche fotografia in verità di qualche allettante e disinibita valletta di turno, verosimilmente discinta e anticonformista in qualche locale notturno in voga. Veramente stupida, allora, perché noi non ci trovavamo nei locali rinomati alla moda, ma solamente su d’un rivierasco e impersonale centro abitato d’una piccola provincia.

In effetti non ero un procacciatore d’affari né un direttore artistico, perché neppure uno le avrebbe scattato una fotografia, può darsi che si sarebbe appagata d’una delle mie istantanee delle pulsioni erotiche amatoriali se io glielo avessi proposto. Ho un recipiente colmo di queste foto a casa mia, non è la televisione, indubbiamente rappresenta ed è in buona sostanza un’ottima razione di durevolezza e di buon risultato garantito possedere la propria fotografia là dentro, statene certi. In qualunque modo eravamo là, quanto questo potesse avere un’interpretazione, perché ormai non doveva importarmi né tanto meno distogliermi:

‘Sei un fumatore?’ – mi domandò Alanis porgendomi un pacchetto di Lucky Strike.

‘No, ti ringrazio, le sigarette le ho abbandonate da molto tempo, sono più che contento della mia personale vittoria’ – le manifestai io.

‘Sul serio, realmente? Sei davvero bravo’ – caspita, che forza di volontà notevole che hai avuto per esserci riuscito’ – prendendo una sigaretta tra le labbra e accendendosela, rischiarando con i suoi occhi l’abitacolo della mia autovettura e alimentando il mio desiderio di metterle una mano tra le cosce.

‘Hai delle belle mani’ – mi enunciò lei, accarezzandomene gradevolmente una, quella che in verità più precipitosa e senz’esitazione, ma anche con rispetto aveva già percorso molta strada.

‘Lo sai che cosa m’attrae di te?’ – seguitò Alanis, spalancando gli occhi e modulando la voce, come se fossi un gatto preso in braccio dalla sua padroncina.

Effettivamente mi veniva da miagolare, ma che figura da maschio ci avrei fatto? Cerchiamo per un attimo d’essere posati, io avrei dovuto raffigurare l’esperienza e descrivere la saggezza, recitare la conoscenza delle cose, il disincanto e il realismo del già vissuto, giacché non miagolai cambiando all’istante la tattica.

‘Quest’aspetto t’attira di me? Devi sapere che tutto ciò è dovuto alla differente età, perché io sono molto più adulto di te’ – replicai di netto, inarcando le sopracciglia e inspirando rumorosamente, individuando una rispettabile risoluzione a quella mia incresciosa quanto inedita prestazione melodrammatica.

Ai suoi occhi non parve sconveniente come appariva a me, perché Alanis mi saltò addosso avviluppandosi al collo e iniziando a baciarmi. Nel momento in cui compiva questo, mi passava freneticamente una mano sulla nuca e tra la chioma, dopo si fermava, stringeva fra le dita alcune ciocche fino quasi a farmi male e in seguito mollava, successivamente iniziava daccapo. 

‘Hai proprio delle labbra polpute e invitanti, su, dai, fattele divorare, sta’ fermo così’ – mi proferiva scongiurandomi, con il tono di voce affannato e accalorato, intanto che accresceva la cadenza di quelle slinguate intense e insistenti. Le definizioni che Alanis utilizzava erano quelle appropriate e sincere, perché sapeva che cosa affermare e come vivacizzarmi al meglio.

Non doveva stare in pena, non ne aveva nessuna ragione, io non avevo nessuna intenzione di sottrarmi al trattamento che mi stava riservando, onestamente mi sentivo come su d’un aliscafo che salpa quando c’è il mare agitato grosso, eppure lo gradivo di gusto. Tra una leccata e l’altra Alanis si fermava un istante passandosi la lingua sulle labbra più volte, sembrava in verità deliziarsi, come se stesse intrinsecamente riscoprendo un dolce sapore quasi dimenticato facendolo riaffiorare, in definitiva se la spassava nel migliore dei modi: 

‘Alanis cara, ecco, sì così, adesso sfilati la gonna’ – le proposi io, mentre con le mani m’adoperavo in ogni luogo bramando di sbottonare ogni cosa che incontrassi allacciata. 

‘Certo, aspetta, faccio io con grande piacere’ – poiché Alanis volle aiutarmi nell’intento e così dovette staccarsi dalle mie labbra. Dopodiché s’allungò completamente sul sedile reclinato acchiappando tutta la luce che entrava dal parabrezza. 

Era bellissima, un incanto puro, gli splendidi e lunghi capelli neri fino alle spalle, la forma ovoidale del volto, gli occhi grandi e stupendamente espressivi d’un colore azzurro mare, la pelle compatta, i denti bianchi e regolari. Le braccia erano asciutte e sode, i suoi movimenti indolenti ma fluidi, ricordavano le movenze artistiche dei ballerini nel tempo in cui s’incurvava sfilandosi i vestiti che le restavano indosso. Io non ce la facevo più, mi denudai pure io, inizialmente posai le mie labbra, dopo una lato della mia faccia sul suo addome piatto e rimasi diversi minuti così, come volessi ascoltare quella meraviglia di femmina sondando chissà che cosa. Lei iniziò ad accarezzarmi, percepivo nettamente la calura della sua mano che m’attraversava la schiena. In seguito Alanis m’agguantò per la chioma con ambedue le mani, perché gradualmente ma senza tentennamenti tirò su il suo florido e giovane seno e me lo fece tastare, mentre io ero lì nell’osservare spartendomi i compiti fra la mano destra e quella sinistra. Era in effetti favoloso captare mentre si sviluppava la veemenza del suo respiro, durante il tempo in cui i suoi capezzoli s’indurivano aumentando di volume fra le mie labbra, perché alzare lo sguardo per un istante e ritrovare i suoi occhi colmi di desiderio mi donava un brivido inenarrabile, in quanto il mio cazzo era ormai diventato invadente e irrequieto lei inaspettatamente m’intimò:

‘Dai, avvicinati, ne ho voglia’ – m’annunciò Alanis con enfasi aizzata più che mai.

Pure io avevo concretamente una voglia accanita e smaniosa di Alanis, una brama scalmanata di mettermi in azione dentro di lei e certamente non avevo mai sperimentato una simile vicenda. Adesso avevo premura, una smisurata sollecitudine, un’intollerabile e lussuriosa impellenza, perché anelavo qualcosa cercandola concitatamente rovistando nel portaoggetti dell’automobile, perché in definitiva quello che stavo praticamente cercando era nientemeno che un profilattico. Dannazione, esclamavo frattanto dentro di me, quel dannato affare dal quale non riesco mai a separarmi in circostanze del genere, quel malinconico e penoso aggeggio di lattice che sopisce le mie fobie, quell’infeconda, sfuggente e vuota sacca che mi rappresenta raffigurandomi così buffo e grottesco. 

‘Al diavolo, vai in malora pure te, eccoti qua’ – strepitai dopo averlo snidato dietro la custodia d’una cassetta di jazz-fusion dimenticata del gruppo dei Weather Report.

Adesso ero inaspettatamente rinvigorito, estremamente rincuorato, perché lo innalzavo come se fosse il trofeo della coppa del mondo, in quanto mi sentivo come se avessi segnato il punto risolutivo della competizione, anche perché risultando ancora integri non erano fuori termini di scadenza. Molto bene, adesso il mio cazzo sarà pronto per la vestizione, ancora pochi attimi e sarebbe stato accolto in un mondo migliore, ponderavo gongolante dentro me stesso. Un universo privo di sopraffazioni, senz’angherie né vessazioni, dove tutti possono essere gioiosi e possono essere straordinari confidenti, laddove il nutrimento è buono e la birra fuoriesce in maniera abbondante, insomma il cosmo dove hai perennemente bramato di soggiornare, finché bruscamente Alanis mi ribadì: 

‘Aspetta, che cosa stai combinando, no, così ti perderai il meglio’ – mi sbraitò lei con tenacia, incalzandomi più che convinta della concupiscente e libidinosa opera.

‘Non lo vedi, cerco di tutelarmi e di difendermi nell’intimo’ – le ribadii io persuaso dei miei intenti.

‘Io non ci penso neppure, sai io a quegli aggeggi là sono insofferente, molto intollerante, perché m’irritano la fica, me l’infiammano, perché tempo addietro mi sono comparse delle chiazze e delle macchie che con fatica ho potuto eliminare. Sono desolata per te, ma con me non devi adoperarli, farai senza’.

Alanis lo aveva tranquillamente annunciato e sostenuto con radicale fermezza, con estrema coerenza lo aveva realmente proclamato, giacché all’istante mi sentii come se dovessi sfracellarmi cascando nel vuoto. Il terreno diventava cedevole e ostinato, irrimediabilmente duro e caparbio, in quanto non avevo l’adatta coscienziosità su che cosa poter eseguire, l’imponderabile e l’insospettato evento era compiuto, mentre io non potevo controbattere né ostacolare al cospetto di quegli avvenimenti, al momento stavo per andare in frantumi e potevo unicamente commiserarmi. Squadravo Alanis discinta e lascivamente nuda sdraiata sul sedile accanto al mio e avevo la netta sensazione che la sua sagoma si diradasse, che perdesse consistenza dileguandosi. Mi sentivo incomodo, francamente inopportuno, paventavo la sua valutazione e a questo punto non ero in grado di reagire. Non voglio angustiarmi né maltrattarmi ancora, perché non c’è più nulla d’inserire in questa storia.

Un pomeriggio di tre mesi orsono mi trovavo nella stazione dei tremi per compiere un viaggio all’estero, all’interno del bar consumavo la colazione prima della partenza e osservando accuratamente tra le vetrate appannate l’intravidi. 

Tutt’oggi, ripensandoci in modo accorto e prudente devo ammettere e confessare che mi è andata bene, fortunatamente non ho avuto nessun disturbo, per buona sorte sono uscito indenne, seppure ancora attualmente molti di noi si ostinano e insistono con leggerezza nel frequentare donne viaggiatrici e ad avere rapporti sessuali occasionali non protetti, con tutte le conseguenze cagionevoli, dannose e malsane e che ti possono capitare. 

Io ho riconosciuto una donna seduta per terra a ridosso dell’entrata di quel bar, dal momento che invocava delle monete ai frettolosi e incuranti quotidiani passanti. Era irriconoscibile, notevolmente sfigurata, assai corrosa, logorata dalla bruttura e danneggiata dal sozzume, che chissà da quanto tempo s’introduceva nelle vene. Forse attualmente era seriosamente inferma e tangibilmente marcia, disposta molto male. Io ne ero più che esortato e persuaso, mi sono accertato bene e l’ho identificata, era indubbiamente Alanis.

{Idraulico anno 1999} 

 

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