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Racconti Erotici Etero

Vischio mortale

By 24 Febbraio 2005Dicembre 16th, 2019No Comments

Vischio.
Cosa &egrave?
Una pania dalla quale non puoi sfuggire, un inganno, una lusinga.
Rimani invischiato, ti agiti per liberarti, ma solo la morte ti libera da quella inesorabile cattura.

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Questa &egrave una storia vera, tratta dalle note della mia ritrovata rubrica: alla lettera ‘B’, Bice; e alla lettera ‘C’, Carla.
Bice e Carla erano amiche da sempre.
Prima ancora di andare all’asilo, giocavano nel prato comune dinanzi casa. Poi, sempre nella stessa classe, nello stesso banco, fino alla maturità.
Due belle ragazze, brune, simpatiche, ciarliere in modo garbato, ma, di contro, riservatissime quando si trattava della loro vita. Nessun segreto tra loro, però.
Quando Ulisse, il giovane bello e gagliardo, che faceva il commesso viaggiatore per alcune case di prodotti cosmetici e sfrecciava, altero e bello come un nume greco, sulla sua Harley Davidson, una FXD Dyna Super Glide, black,si fermò accanto a lei, Bice era intenta a rileggere gli appunti di italiano, perché doveva entrare per l’orale.
Le sorrise.
‘Ciao, sono Ulisse. Come ti vanno gli esami?’
‘Abbastanza bene, grazie’. Io sono Bice”
‘Ti capisco, anche io alla maturità tremavo come una foglia al vento, anche perché non ero proprio tra i primi della classe, tu, invece”
‘Me la cavo benino. Sono una presuntuosa ed esigente’ punto al massimo!’
‘In bocca al lupo!’
‘Crepi!’
‘Allora, Bice, se ti aspetto, dopo l’esame prendiamo un gelato, all’Iceberg, in piazza?’
Bice esitò un istante.
Ulisse era guatato e concupito dalla maggioranza delle donne del luogo. Di tutte le età, ma lui aveva un contegno strano: a una certa sbruffoneria esteriore univa quasi una scontrosità a legare con gli altri.
Aveva amici, certo, e si vedevano spesso insieme, al bar, nei locali caratteristici, specie a cena, ma mai in discoteca.
Tutti gli attribuivano centinaia di conquiste femminili, ma i sospetti erano molti e nessuna certezza.
In effetti non era stato mai visto in compagnia d’una ragazza.
Ulisse abitava con i genitori, in una villetta, alla periferia, sulla strada che conduce al mare, poco distante dal villaggio dei pescatori. Era sempre vestito alla moda, aveva orologi da polso di grande marca, e sfrecciava, oltre che in moto, con una rossa Lamborghini Diablo, sogno di tutti i giovani, e anche delle ragazze che pur di farci un giretto, logicamente in compagnia di Ulisse, sarebbero state ben felici di’
Strano, pensò Bice, essere invitata all’Iceberg da quel giovane.
Comunque, accettò con un sorriso smagliante.
Quella volta non disse nulla nemmeno a Carla. Inventò una scusa: un incarico datole dalla mamma.
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Come Ulisse potesse disporre di bei vestiti, di moto costosa e di auto dal prezzo astronomico, era un mistero per tutti (meno che per qualcuno). Era difficile permettersi un simile tenore di vita con le provvigioni delle ditte da lui rappresentate. In fondo era più un ‘piazzista’, un viaggiatore di commercio’ Ulisse sapeva di essere sottoposto ad accurata osservazione, soprattutto da parte della Guardia di Finanza e dei Carabinieri, ed era ben conscio che i ‘militari’ che si mostravano ‘amici’ erano pur sempre nell’esercizio delle loro funzioni.
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Bice era felice, l’esame era andato benissimo.
Era curiosa, inoltre, di vedere come si sarebbe comportato Ulisse, il mito delle ragazze. Andò all’Iceberg-bar, scelse un tavolino non troppo in vista, sedette. Immediatamente, come sbucato dal nulla, comparve, sorridente, Ulisse, che le chiese se poteva sedersi. Gli fece un cenno affermativo.
‘Grazie per essere venuta. Come &egrave andata l’interrogazione?’
‘Benissimo, grazie, meglio di quanto potessi aspettarmi.’
‘Complimenti, bravissima. Dobbiamo festeggiare’ che ne dici di una coppa di champagne?’
‘No, grazie, a quest’ora mi farebbe girare la testa. Meglio un gelato”
‘Si, ma affogato. Affogato allo champagne.’
Il cameriere si avvicinò, prese l’ordinazione, si allontanò.
Ulisse, abilmente, e affabilmente, parlò di lui, in termini vaghi, generici, sfuggenti, sfumati. In sostanza non disse quasi nulla. Accennò che aveva trent’anni, che viveva con i genitori, che gli piacevano moto, auto, barche, che dopo due anni di università, farmacia, aveva piantato tutto e si era messo a lavorare nel settore del commercio prodotti cosmetici. Le cose gli andavano benissimo e non poteva lamentarsi. Si dichiarò solitario, anzi si definì un ‘orso’, poco socievole e ‘difficile’ nella scelta degli amici.
Poi, con garbo, e senza farsene accorgere, iniziò un vero e proprio interrogatorio.
Intanto i gelati ‘affogati nello champagne- erano giunti e loro avevano cominciato a gustarli.
Bice raccontò un po’ di sé. Sperava di potersi iscrivere e biologia.
Aveva una sorella più grande, impiegata in banca. Si era fermata al diploma di ragioniere.
Scosse la testa, a una domanda specifica, sorridendo.
‘No, non sono fidanzata. Non voglio farlo tanto per dirlo.’
Ulisse guardò l’orologio.
‘Scusami, ma purtroppo ho un impegno e non l’ho potuto disdire. Posso accompagnarti a casa.’
‘Veramente mi trovo a disagio a salire sul tuo macchinone rosso.’
‘Nessuna preoccupazione, sono con una modestissima panda. L’adopero sempre quando giro in paese. Andiamo?’
Bice si alzò. Prese la borsa, i libri, seguì Ulisse.
Il giovane fu cortesissimo, aprì lo sportello, attese che si fosse sistemata, lo richiuse, andò al posto di guida, si informò se stesse comoda e, finalmente, partì dolcemente. Sapeva dove abitava Bice, si fermò dinanzi al cancello della villetta, scese, aprì lo sportello.
Lei gli tese la mano.
‘Grazie, gelato ottimo, compagnia piacevole.’
Lui trattenne la mano tra le sue.
‘Grazie a te, compagnia deliziosa, gelato discreto’ possiamo vederci?’
Bice lo guardò interrogativamente.
‘Ti faccio provare la Diablo, andiamo al Capoluogo, un gelato, e torniamo. Va bene domani mattina, verso le dieci?’
La ragazza rimase in silenzio per qualche secondo, poi si dichiarò d’accordo.
Ulisse attese che lei fosse entrata in casa, risalì in auto ripartì.
A cena, Bice, disse che i genitori e la sorella non potevano nemmeno immaginare da chi era stata invitata a prendere un gelato: da Ulisse Monti! E l’indomani, alle dieci, sarebbe passato a prenderla con la Diablo!
Doveva dirlo subito anche a Carla.
Andò nella sua camera, e la conversazione ricca di particolari, durò a lungo.
La madre e la sorella sparecchiavano, in silenzio, mentre il padre, con fare pensieroso stava riflettendo.
Alzò la testa, guardò la moglie, la primogenita.
‘Cosa dite, glielo devo impedire?’
La moglie alzò le spalle, senza rispondere.
Angela, la figlia maggiore, stava per urlare che sì, doveva impedirglielo. Ma rifletté che era solo per invidia, e che, in fondo, poteva capitare anche a lei di fare un giretto con Ulisse, se diveniva un habitué di Bice.
‘Ma lasciamola fare, papà, se si svolge tutto alla luce del sole’. Lui viene a prenderla qui, non si nasconde, non le dà convegni segreti”
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Un minuto prima dell’ora fissata, la Diablo di Ulisse era sotto il portone di Bice. Lui rimase al posto di guida, senza suonare il clacson, fin quando la vide uscire dal cancello. Allora scese dall’auto, le andò incontro sorridendo. Lei gli sfiorò la guancia con un bacio, di semplice saluto, lui aprì lo sportello, attese che salisse, andò alla guida, l’aiutò ad indossare la cintura di sicurezza, si avviò lentamente.
Da un tipo del genere, circondato dalla nomea di essere un donnaiolo deciso e prepotente, Bice non attendeva tanta cortesia, tante attenzioni.
‘Ti prego, se qualcosa non va, nell’auto, nel mio modo di guidare’ dimmelo.’
‘Tutto bene, grazie.’
‘Ti ringrazio per aver accettato l’invito’ io sto benissimo con te’ non mi era mai capitato di sentirmi così a mio agio’ disteso’ rilassato”
‘Grazie’ anche io’ sto bene’ benissimo.’
Non c’era molto traffico, e loro superavano agilmente tutte le altre auto, pur sembrando, a Bice, di non andare a velocità elevata.
Il rombo sordo del motore era attraente, accattivante. L’uomo al volante era proprio un bel ragazzo, e si comportava magnificamente.
Mille idee frullavano per la testolina di Bice. Mille castelli in aria, forse solo mille illusioni.
Quando giunsero in città, Ulisse propose di lasciare l’auto in un parcheggio custodito e di fare una piccola passeggiata.
Bice si dichiarò d’accordo.
Lui la prese sottobraccio, con naturalezza, ma lei sentiva le nocche della mano che sfioravano il seno, e non le dispiaceva.
S diressero verso il centro, seguendo la strada cosiddetta dello shopping, ricca di vetrine e anche di belle cose.
Si fermarono dinanzi a una gioielleria.
Le pose una mano sulla spalla, era abbastanza più alto di lei.
‘Mi piacerebbe regalarti qualcosa che &egrave in vetrina.’
Bice lo guardò, sorpresa, sorridendo.
‘Che ne dici di un bel gelato?’
‘OK!’
Poco oltre c’erano delle collanine e dei braccialetti moderni. Alcuni di chiara origine esotica, forse africana.
‘Vedi, Bice, quelli sono dei portafortuna: spille che contengono, sotto plexiglass, delle farfalle. Ogni mese ha la sua. Tu di che mese sei?’
‘Luglio.’
‘Ecco, la tua &egrave quella con sfondo rosa, dove sono due farfalle grandi e una piccola: una coppia e il frutto del loro amore. Le farfalle si chiamano ‘Farfi’, e per ogni mese cambiano nome, quella di luglio &egrave la ‘Farfiarc’, bellissima, fucsia’ E’ una cosa da poco, solo un portafortuna’ permettimi di regalartela”
‘Se io potrò regalare a te quella del tuo mese che &egrave?’
‘Dicembre’ ma le ‘Farfi’ sono solo per le donne”
‘E per gli uomini?’
‘Non lo so, ti informerò, te lo dirò e così anche tu potrai darmi un portafortuna’ Ora, però”
La sospinse dolcemente nel negozio, scelse il ‘Farfiarc’ e lo fissò sulla blusa della ragazza.
In effetti era di un bel colore, ed era vero che non costava molto.
‘Grazie Ulisse’ ma devi dirmi”
‘Te lo dirò, sta sicura. Gli amici mi chiamano Uli.’
‘Grazie Uli!’
Uscirono, giunsero al caff&egrave, sedettero e ordinarono due granite con panna.
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Era la prima volta che Bice era attratta non solo dall’avvenenza fisica di un ragazzo, ma soprattutto dal comportamento. Si sentiva protetta, circondata di attenzioni, e sapeva benissimo che non gli era indifferente. La mano di lui, sottobraccio, era la conferma di un aiuto, ma anche un messaggio di tenerezza, una delicata carezza che le sfiorava il seno.
Non aveva accettato di restare nel Capoluogo, a pranzo, inventando scuse puerili, ma, sulla strada del ritorno, non respinse l’invito, per l’indomani, di fare un giro in motoscafo.
Le disse che sarebbe stato opportuno indossare il costume da bagno, o almeno portarlo.
L’appuntamento era per le nove e mezzo.
Il motoscafo era in una caletta privata, non molto lontana dal paese.
Lui ne avrebbe profittato per dare un’occhiata alle nasse, al largo, segnalate da alcune boe.
Bice non era mai stata su un’imbarcazione del tipo di quella descrittale da Uli: un ‘Fast’ da 15 metri, azzurro scuro, che superava i 50 nodi! Né immaginava, la ragazza, l’esistenza di quella caletta perfettamente mimetizzata e nascosta da una vegetazione che mascherava il piccolo molo e celava completamente il basso edificio che serviva da rimessa.
Vi si giungeva dopo un giro tortuoso, su strada sterrata. Eppure non era molto distante dall’abitato.
Di solito, quando si diceva che si andava al mare si arrivava sull’altura erbosa, con molti massi, che si ergeva sulla piccolissima spiaggia sottostante. Una lingua di sabbia e ciottoli, di non facile raggiungimento, tanto che erano in pochi ad avventurarvisi. Chi voleva fare il bagno si allontanava di pochi chilometri, fino all’insenatura dove era possibile fruire sia dell’arenile che dei piccoli scogli circostanti.
Bice andava scoprendo una zona che ignorava, che non immaginava.
Il ‘Lightning’, così si chiamava l’imbarcazione, era attraente. Quasi immobile, attraccato al molo. Intorno non c’era nessuno.
Il luogo, il sommesso sussurro della brezza, il mormorio dello sciabordio, il colore del motoscafo, la luce che circondava tutto, rendevano quasi irreale quanto si presentava agli occhi di Bice.
Uli salì a bordo, tese la mano per aiutare Bice.
Lei tolse i sandali, salì agilmente.
L’uomo era in pantaloncini e T-shirt. Invitò la ragazza a mettersi in costume. Poteva cambiarsi nella cabina. Avrebbero dovuto indossare i salvagente.
Dopo poco, lui era al posto di pilotaggio, lei accanto.
Mise in moto.
Un brontolio, dapprima sordo, poi il lento distacco dal molo, l’aumento dei giri del motore, l’avviarsi, senza fretta, verso il mare aperto.
Quando furono ad una certa distanza da terra, Uli aumentò gradatamente la velocità, fino a raggiungere quasi quella massima, sollevando alti baffi di schiuma candida. Bice si sorreggeva alla lunga maniglia dinanzi a sé. Il vento le sferzava il volto, aveva gli occhi semichiusi, malgrado gli appositi occhiali che lui le aveva fatto indossare’ Era bellissimo!
Coprirono rapidamente la distanza che li separava da dove iniziavano le boe. Rallentarono, si avvicinarono ad una di esse.
Uli fermò il motore, assicurò il motoscafo alla boa.
‘Se vuoi, puoi tuffarti.’
L’acqua era limpida, attraente, invogliante.
‘E tu?’
‘Ti seguo, certo. Non ti lascio sola. Il salvagente puoi metterlo sul sedile, io, intanto vado a prendere due teli a spugna, per quando risaliamo.’
Si liberò del salvagente, tolse la T-shirt e i pantaloncini di tela, restando in slip.
Era veramente un bell’esemplare.
Bice si liberò a sua volta del salvagente e si tuffò.
Lui la seguì poco dopo.
Nuotarono lentamente, senza allontanarsi troppo dall’imbarcazione.
Fu Bice a risalire a bordo per prima, e lui la raggiunse subito. Le porse il telo. Lei vi si avvolse.
Uli si avvicinò, e la interrogò con lo sguardo. Bice assentì, e immediatamente le mani dell’uomo presero a strofinare, sopra il telo, per asciugarla.
Gli voltava la schiena e istintivamente si poggiò a lui.
Sentì abbracciarsi, il petto di lui, nudo, sulla pelle della sua schiena, l’eccitata virilità che premeva contro lei, si voltò lentamente.
Fu il primo loro bacio. Dapprima quasi timoroso, impacciato, per trasformarsi presto in un ardente messaggio di passione.
Bice era alquanto confusa.
Come sarebbe andata a finire?
Soli, in alto mare, semisvestiti, con la cabina a loro disposizione.
No. Non era quello che voleva, Bice, almeno per ora.
Si staccò un po’ da lui, lo guardo sorridendo, teneramente.
Prese il salvagente, lo indossò.
‘Che fa, rientriamo?’
‘Come vuoi.’
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Bice sapeva benissimo che o prima o poi sarebbe accaduto.
Più prima che poi.
Per evitarlo doveva troncare subito’ ma non era quello che voleva.
Uli le telefonò, invitandola a cena, in un locale esclusivo, poco distante, sulla strada per il Capoluogo. Desiderava farle conoscere un suo amico, quello che, tutto sommato, considerava il suo datore di lavoro perché era l’azionista di controllo della’. E qui disse un nome, anzi una sigla, che Bice non comprese chiaramente.
‘Se hai una amica, carina e dolce come te, falla venire, almeno la conversazione non languirà.’
Cena, un amico suo, un’amica di lei’
Forse si delineava la linea di condotta di Uli.
Carla, ecco, Carla, la sua amica del cuore.
Ne parlò con lei, e non dovette sprecare molte parole per farle accettare l’invito.
‘Shangri là’, il nome del ristorante alla moda. Il paese dell’eterna giovinezza, della beatitudine, ma anche dell’utopia, dell’illusione.
Uli passò a prendere Bice, con l’auto piccola, poi, insieme, andarono a casa di Carla.
Uli si congratulò con Bice per avere una così affascinante ed elegante amica.
‘Siete veramente un duo incantevole, Gjergj ne rimarrà ammaliato.’
Quindi, l’amico era Gjergj, e li attendeva al Ristorante.
Gjergj Tani, come si presentò, si alzò quando Uli e le due donne si avvicinarono al tavolo.
Era un bell’uomo, bruno, leggermente tarchiato, vestito con cura e ostentatava un costosissimo orologio d’oro al polso.
Salutò con un lieve sorriso sulle labbra, si chinò leggermente, e disse che la bellezza delle due incantevoli signorine era ben superiore a quella decantata da Uli. Attese che le donne sedessero, sedette anche lui. Per ultimo Uli.
Un italiano irreprensibile quello di Gjergj, ma c’era qualcosa, nell’accento, nella cadenza, che sapeva di straniero. E poi, il nome: Gjergj!
Fu Carla a chiederglielo.
‘Lei non &egrave italiano, vero?’
Voltò lentamente il capo verso lei.
‘Per favore, mi chiamo Gjergj, tu sei Carla, se non sbaglio, possiamo darci del tu?’
Non attese risposta.
‘Io sono cittadino del mondo. Sono nato al di là dell’Adriatico, ho vissuto qua e là, ho studiato a Venezia, alla Ca’ Foscari, vivo dove gli affari mi mandano.
Adesso, se non vi dispiace, pensiamo alla cena. Hanno delle ostriche ottime, ed ho già ordinato lo champagne.’
La cena, molto raffinata, vide una conversazione superficiale.
Gjergj chiese molto alle ragazze, e non disse niente di lui.
Più volte dichiarò che Uli era il suo braccio destro e gli batté perfino un colpetto sulla spalla.
Verso la fine, si augurò di rincontrare presto le signorine’ specie Carla’ sottolineò, alzando verso lei il calice con lo champagne. Le invitava a bordo della sua barca ‘Uli specificò che era uno Yacht superlusso, con molte cabine- per un giretto, per far visitare qualcosa del suo paese.
Bice credeva che si sarebbero trattenuti per ballare, ma Gjergj si scusò, doveva partire, e disse che gli altri potevano restare, nell’altra sala c’era già qualche coppia sulla pista.
Uli accompagnò Gjergj alla porta, al ritorno disse che avrebbe gradito ballare con Bice, ed anche con Carla, aggiunse.
La musica suonava un liscio, e a lui piaceva tanto.
Provò a stringerla, e lei aderì al saldo corpo del baldo giovane, con piacere, abbandonandosi un po’ a mille pensieri. Chissà quando sarebbe accaduto’
L’indomani Uli disse che l’invito sull’Aegae, il panfilo di Gjergj, era per il sabato successivo. Sarebbero restati in mare cinque giorni.
Bice e Carla dovevano dirlo alle famiglie, ma il fatto di essere insieme facilitava il compito.
Aegae, Uli spiegò che era il nome dell’antica capitale della Macedonia.
Aegae era un ‘explorer’ di circa 35 metri.
‘Una nave!’
Disse Bice.
‘Una bella barca. C’&egrave la suite di Gjergj e quattro cabine doppie, oltre l’alloggio per l’equipaggio. Vedrai, ti piacerà!’
Bice e Carla parlottarono a lungo.
Lo sapevano bene, una gita del genere, su una barca, porta sicuramente a’ ad andare a letto’ con l’altro.
In effetti, riconobbe Bice, a lei Uli non dispiaceva, anzi.
Carla non era troppo attirata dalla possibilità, quasi certezza, di avere rapporti sessuali con Gjergj. Era un bell’esemplare di maschio, certo, ed anche attraente e interessante. Ma’ accoppiarsi con uno che si &egrave visto una sola volta’
Comunque, finì con l’accettare.
Nel peggiore dei casi, avrebbe rifiutato ed avrebbe chiesto di essere riportata a terra.
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Uli telefonò a Bice, la invitò ad un altro giro in motoscafo. Aveva fatto mettere qualcosa nel frigo e, quindi, dopo il bagno potevano trattenersi a bordo e fare un piccolo snack.
Dunque, pensò la ragazza, era giunto il momento. Lo sapeva, e quasi lo aspettava. Si domandava come sarebbe stato e nella sua razionalità entrava in qualche particolare. Avrebbe usato il profilattico, Uli, o’ Ecco, quel ‘o’ le destava perplessità. Lei sapeva bene le proprie condizioni di salute, ma Uli? Era giovane forte, certo, ma l’aids era subdola’ Ad ogni modo, per le altre eventuali conseguenze, c’era la ‘pillola’. Almeno quella.
Andarono alla piccola cala, salirono a bordo, si allontanarono dalla riva, e costeggiando, giunsero in un piccolo arenile, tra due capi montuosi ed alti, che lo riparavano dai venti e dagli sguardi indiscreti. Sulla destra una piccola insenatura, tra gli scoglie, con acqua limpida e azzurra. Una piccola fossa marina, che consentiva al motoscafo di ancorarsi e dondolarsi dolcemente, stretto tra le due braccia di terra che sembravano proteggerlo.
Bice era curiosa di vedere cosa ci fosse in frigo.
A parte l’immancabile champagne, c’erano tanti piccoli contenitori con delle squisite golosità. Lei avrebbe voluto assaggiarle subito.
Mentre era intenta a spiucchiare, sentì le mani di Uli abbracciarla, da dietro, e afferrarle il seno. La stringeva, e la baciava sul collo, avidamente. Le mani dell’uomo entrarono nella blusa, andarono sotto il reggipetto, titillarono i capezzoli, mentre era evidente la pressione dell’eccitato sesso di lui.
Bice si voltò lentamente, le bocche si unirono, le lingue si cercarono, si avvinghiarono.
Uli le sbottonò delicatamente la blusa, slacciò la gonna. Lei era in costume, un ridotto due pezzi, e il top era sollevato. La spinse dolcemente verso l’altra cabina, dov’era il letto. Entrarono, lei tolse tutto. Anche lui.
Bice era distesa, supina, e le labbra dell’uomo la esploravano curiose e ardenti, dagli occhi, alle labbra, gola, seno, ventre, pube’ la lingua assaporò l’eccitazione di lei che, intanto, aveva sollevato le gambe, poggiato i talloni sul lenzuolo, divaricate le gambe, offrendo all’uomo l’incantevole spettacolo del suo giovane, roseo e riccioluto sesso.
Era il momento in cui lo voleva.
Lui afferrò il suo fallo, lo portò all’ingresso della vagina pulsante, entrò lentamente’ due o tre colpi e’. ben lontana dal proprio godimento’ Bice sentì invadersi dal rivolo tiepido del seme di lui che, senza forze, si abbatté pesantemente su di lei quasi schiacciandola, mentre il sesso, che andava rapidamente indebolendosi, sgusciava fuori lentamente.
Bice prese la mano di lui e se la portò tra le gambe, significativamente.
La mano rimase lì, inerte’
Le sembrava impazzire, aveva bisogno di raggiungere il piacere, Bice, doveva’ E con poche carezze, col ventre che sussultava sotto il peso di lui, riuscì a rimediare un meschino e insoddisfacente orgasmo, mentre dagli occhi scorrevano lacrime di delusione, amarezza, insoddisfazione.
Uli sembrò riaversi da quell’abbandono. Si poggiò sui gomiti, sollevò la testa, la guardò.
‘Scusami, cara’ ma dev’essere stata l’eccitazione troppo a lungo soffocata’. Scusami”
Bice cercò di sorriderli, ma non riuscì a dire nulla.
Con garbo, ma decisamente, si tolse da quell’incomoda posizione, si alzò, corse nel bagno.
Tornò in cabina, indossò il due pezzi ed anche gonna e blusa.
Lui, intanto, s’era messo in pantaloncini e T-shirt.
Non era proprio il momento di assaggiare le leccornie del frigo.
Era sceso, tra loro, un silenzio imbarazzante.
Uli pensò bene di dirigersi alle boe.
Bice trovò scuse per non fare il bagno.
Molto prima del previsto, tornarono a terra.
Prima di salutarsi, Uli dette alla ragazza un piccolo pacchetto.
‘Aprilo quando sei a casa’.é un piccolo pensierino. Ciao, ti telefono.’
Quando fu nella sua camera, Bice sentì i crampi della fame, e non solo nello stomaco.
Pensò di telefonare a Carla.
Non c’era, disse la madre, le ha telefonato uno con un nome strano e l’ha invitata a pranzo. Non so dove sia andata. Appena rientra ti faccio telefonare.
Bise si ricordò del pacchettino che aveva messo nella sacca. Lo prese. Era avvolto in una carta azzurra, legata con un cordoncino dorato. Lo svolse. Una scatoletta di velluto, dello stesso colore. L’aprì: una splendida perla, a goccia, d’una luminosità straordinaria, pendente da una leggera collanina, quasi filiforme, d’oro bianco. Un biglietto: ‘non &egrave certo preziosa come te! Uli.’
In quel momento squillò il telefono.
Bice mise tutto nel cassetto del comodino.
Era Carla. Doveva vederla subito, aveva tante cose da raccontarle.
Dopo dieci minuti era da lei.
‘E’ un vulcano, quel Gjergj o come cavolo si chiama lui. Siamo andati a casa sua, nella sua villa sul promontorio, tra gli alberi. Un pranzetto coi fiocchi e poi’ a letto’ &egrave una furia della natura, instancabile e insaziabile’ non sapevamo più come farlo’ non riuscivo a tenerlo a freno, a farglielo ammosciare’ sembrava inesauribile’ In un pomeriggio ho avuto più orgasmi che nel resto della mia vita’ L’ho cavalcato come una furia, ero certa che glielo avrei strappato’ macché, quando mi alzavo era più ritto e incriccato di prima’ me lo ha passato tra le tette’ tra le chiappe’ a un certo momento credevo che me lo voleva mettere anche di dietro’ ma lui mi fece porre carponi e riprese a stantuffarmi poderosamente, mentre mi tormentava i capezzoli e mi titillava il clitoride’ io non so da dove abbia preso tanto seme’ inesauribile’.’
Bice la guardava, ma pensava ad altro, e la sua mano la carezzava freneticamente tra le gambe.
Carla sembrava non riuscire a fermarsi.
‘Mi ha fatto riaccompagnare a casa dal suo autista e da un altro uomo che credo sia una guardia del corpo.
Certi tipi, pure quelli.
Ma sai che ci hanno provato?
Niente male, per la verità, ma la ‘mia’ non ce la faceva più, altrimenti”
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Ulisse, appena lasciata Bice, tornò verso il mare. Lo attendeva una velocissima imbarcazione a motore. Ormai era notte. Senza fretta, per non far rumore, s’avviarono al largo, verso le boe che, come aveva detto Uli a Bice, indicavano le nasse.
Due uomini si tuffarono, ma non portarono a galla delle nasse, bensì dei pacchi più o meno della stessa forma e colore, che issarono rapidamente a bordo. Parecchi pacchi. Poi, sempre alla stessa velocità, minima, si diressero verso la caletta riparata, ma più verso la spiaggia, al limitare della quale, nascosto tra la vegetazione, attendeva, a fari spenti, un autofurgone.
I pacchi furono portati a terra, a guado, caricati sull’automezzo.
Poco dopo, Ulisse risaliva sulla sua auto, quella piccola, e tornava a casa.
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La permanenza sull’Aegae significò vivere un mondo di fiaba, da mille e una notte. Gli uomini dell’equipaggio erano silenziosi ed efficienti, ma guatavano Bice e Carla in un modo che sarebbe stato preoccupante senza l’autorevole presenza di Gjergj e le premure di Uli.
Carla sembrava interessata soprattutto dalla suite reale del proprietario, dove trascorrevano buona parte del tempo. Quando riusciva a parlottare con Bice, diceva che una ‘scorpacciata’ del genere non se l’era mai sognata. E non si riferiva al cibo. Per lei Gjergj era proprio un grande avvocato, anzi il più grande principe del foro che avesse mai conosciuto. E si faceva della matte risate.
‘Devi vedere come mi guardano i marinai, quando, chiamati da Gjergj, vengono a portarci champagne od altro. Sembra che non abbiano mai visto una donna nuda!’
Uli era sempre premuroso e tenero, con Bice, e l’aveva ringraziata per aver accettato quella ‘perlina’ (di una dimensione eccezionale).
A letto, si dava da fare, ce la metteva tutta, ma quando lui era alla frutta Bice era all’aperitivo! Cercava di supplire con le coccole, la tenerezza, le carezze. Ottimo contorno ‘pensava Bice- ma la sostanza mancava!
Si stringeva nelle spalle, e cercava di mostrarsi affettuosa e gentile, ma non fingeva di provare ciò che non sentiva.
Uli trovò l’occasione per regalarle uno splendido collier, accompagnato da braccialetto, orecchini, anello. Rubini meravigliosi. Una vera e propria fortuna!
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Era quasi mezzanotte quando telefonò la madre di Carla. La figlia nel pomeriggio era andata dal parrucchiere e poi sarebbe tornata a casa, ma da quel momento non s’era più fatta sentire. Erano preoccupati. Il parrucchiere ha detto che era uscita poco prima delle diciassette. Anche l’edicolante l’aveva vista, aveva acquistato una rivista. Poi, aveva aggiunto il giornalaio, un giovane si era avvicinata a Carla ed entrambi s’erano avviati vero il parcheggio, in fondo alla piazza, ma non aveva fatto caso se fosse salita o meno su un’auto.
Il telefonino risultava libero, ma non rispondeva nessuno. L’ultima speranza &egrave che la figlia fosse da lei, da Bice. Forse era meglio avvisare i carabinieri. E così fece.
Neppure il mattino successivo recò notizie della giovane. Era stata cercata presso amiche, in palestra, alla fermata delle autocorriere, perfino al parroco. Nulla. La preoccupazione aumentava col trascorrere delle ore, diveniva angoscia. Furono organizzate pattuglie, anche con volontari, con unità cinofile. Ai cani erano stati fatti annusare capi di biancheria, anche intima. Niente! E così per tutta la notte, allargando sempre più l’area di ricerca. Erano state interrogate numerose persone, specie quelle che avevano parcheggiato nella piazza nell’ora in cui Carla era stata avvistata per l’ultima volta. Zero, vuoto assoluto. Era sparita nel nulla’ Era quasi l’alba quando un pescatore bussò alla porta dei carabinieri. C’era un corpo sul ciglio della scogliera, nei pressi del mare, a qualche chilometro dal paese. Partì immediatamente una camionetta. Un corpo era lì proprio sul punto in cui gli scogli scendono al mare, non lontano dal viottolo che in genere si usava, appunto, per raggiungere l’acqua. Un corpo di donna, giovane, con jeans e blusetta. I jeans erano semiabbassati, la blusetta sollevata, specie sulla schiena. Ad un esame sommario si notavano abrasioni sul volto, sulle braccia. Provvidero a coprirlo, ad avvertire il medico legale, il magistrato. Era il corpo di Carla!
Il paese fu sconvolto da quella notizia. I genitori di Carla, la sorella, il fratello, erano increduli. Chi poteva aver fatto ciò?
Dopo il sopralluogo del magistrato e ad una prima osservazione del medico, fu disposto il trasferimento all’obitorio e ordinata una perizia necroscopica. I familiari ottennero di nominare un loro perito.
Bice era attonita.
Cercò subito Uli.
Introvabile.
Non sapeva dove reperire Giergj, e fu molto reticente quando fu interrogata dai carabinieri. Non parlò di Uli, né di Gjergj, tanto meno della gita il Yacht, né accennò ai regali avuti, e che aveva nascosto in fondo a un cassetto.
Ma della gita di Carla parlò la sorella e, suo malgrado, fu coinvolta Bice. Venne fuori il nome di Ulisse, di Gjeegj. Le indagini si diressero nel regno del contrabbando, soprattutto della droga.
I vestiti di Carla erano impregnati di acqua di mare, ma non ne fu trovata né nei polmoni né nello stomaco.
Non era caduta in mare, quindi, e se vi era stata gettata ciò era avvenuto dopo la morte per soffocazione.
Sotto le unghie furono trovati tracce di epitelio, e qualche pelo di barba.
Furono anche prelevati residui organici che sarebbero stati analizzati.
Di Ulisse, di Gjergj, degli uomini, dello Yacht, dello stesso motoscafo, della lussuosa auto, nessun segno. Spariti.
La villetta di Ulisse era vuota. I genitori erano in viaggio da molto tempo, in America del sud.
Fu informata l’antidroga, l’interpol.
Furono isolati tre diversi DNA, uno attraverso quanto era stato tolto da sotto le unghie della giovane, altri due dal liquido organico.
C’era stato certamente un rapporto sessuale, anzi due.
Consenziente?
Chissà. Le tracce epiteliali e i graffi deponevano per una certa resistenza.
Le indagini erano in alto mare.
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Carla era uscita dal parrucchiere, allegra e contenta, e stava per avviarsi verso l’abitazione di Bice. Aveva mille cose da dirle.
Poco oltre l’edicola del giornalaio, dove aveva acquistato una rivista, fu avvicinata da Malan, uno degli uomini di Gjergj, che gli faceva da autista, da guardia del corpo, da aiuto a bordo dello Yacht. Lei lo conosceva abbastanza bene. Le disse che Gjergj l’attendeva, e che lui era stato incaricato di condurla da lui. L’auto era al posteggio, quella piccola. Gjiergj era verso il mare.
Salì sull’auto, al posto di guida Zogan, un altro degli aiutanti di Gjergj. Dietro, lei e Malan. L’auto si allontanò lentamente, si avviò alla periferia, imboccò una stradicciola sconnessa, non frequentata, che portava alle alture che sovrastano il mare, ma che lei non aveva mai fatto. Strano.
Carla guardò Malan, ma l’uomo aveva lo sguardo fisso, sulla strada.
Giunsero in uno spiazzo, dov’era la Mercedes di Gjergj, con altri due uomini. Di Gjergj nessuna traccia.
Malan scese, andò dalla parte di Carla, aprì lo sportello.
‘Prego, scendi!’
‘E Gjergj?’
‘Lui verrà’ scendi”
Carla scese, e subito si trovò circondata dai quattro uomini, sorridenti, ma con espressioni che non avevano niente di buono.
Carla si guardò in giro, e cominciava ad essere preoccupata.
Forse, pensò, non ne aveva ragione. Ma quella era l’auto Gjergj, solo che lui non c’era.
Gli uomini si scambiarono qualche parola, in una lingua che lei non conosceva, ma che spesso usava anche Gjergj per parlare con i sui uomini.
Malan prese la donna per un braccio, non rudemente, ma la teneva ben ferma.
‘Adesso, signorina, mentre aspettiamo il capo, ci divertiamo un po’. D’accordo?’
‘Ma sei matto’ metti giù le mani”
La strette si fece più forte, e l’altra mano afferrò il seno della donna.
‘Tetta dura’ buono’ adesso sentiamo”
Zogan era di fronte a lei. Sorrise con un ghigno beffardo. Allungò le mani, le alzò la blusa, strappò il reggiseno, e si tuffò col capo su un capezzolo, succhiadolo voracemente e facendole male coi denti.
‘Ahi’ disgraziato’ mi fai male”
‘Tu, allora, sta ferma’ fa la buona’ non ti faremo male’. Ma tanto bene’. Tanto”
Carla dette uno strattone, corse verso l’argine dell’altura, fu raggiunta, gettata per terra’ slacciata la cinta dei jeans e abbassati, alcuni la tenevano ferma, uno le aveva messo le mani alla gola’
‘Se non stai ferma io stringo!’
Un altro le aveva divaricato le gambe, si era infilato tra esse e stava portando il fallo all’ingresso della vagina’ la penetrò’ con foga’ e dopo pochi colpi si abbatté su lei, avendo raggiunto il piacere, mentre l’invadeva del suo sperma’ Si alzò, ma solo per darsi il cambio con quello che la teneva per le spalle e che sembrava impaziente di entrare in lei’ La stantuffò energicamente, con furia, mentre lei cercava inutilmente di difendersi, di allontanarlo’ Ma era peggio, quello diveniva sempre più furioso, dava colpi bestiali, le sembrava che da un momento all’altro sarebbe stata sfondata’ e sentì di nuovo il bruciore di quel liquido maledetto che si spandeva in lei’ Le sembrò di svenire’
La credettero svenuta, infatti, e rimasero un momento a guardarsi tra loro, gli uomini, interrogativamente.
Carla riuscì ad alzarsi, a balzare in piedi e a correre verso l’argine, così velocemente che non seppe fermarsi: precipitò nel piccolo arenile’
Gli uomini si precipitarono lungo la breve ma scoscesa scarpata, l’afferrarono, chi per le braccia chi per i piedi, un po’ trascinandola e un po’ sollevandola, riuscirono a riportarla su, dov’erano prima’ la sdraiarono per terra. Carla non dava segno di vita’ non poteva darne’
I due della Mercedes risalirono in auto e si allontanarono.
Malan e Zogan raccolsero degli sterpi, ne fecero una specie di fascina, e con quella cancellarono le orme della Mercedes, poi la legarono dietro la loro auto e lentamente si avviarono verso la provinciale, assicurandosi che i segni dei pneumatici fossero annullati da quello strisciare. Giunti sulla provinciale, voltarono a destra, si fermarono, Malan scese e staccò gli sterpi, li passò anche sull’asfalto, sulle ruote, li caricò sull’auto, face alcune centinaia di metri, poi una conversione ad U, e ancora un’altra dopo un chilometro. Si avviò al luogo dove sapeva che avrebbe incontrato i suo compagni.
Gjergj aveva venduto lo Yacht a un mercante levantino che già lo aveva portato in cantiere per modificarlo. Avrebbe cambiato nome e bandiera. Lui cambiava zona, per sempre. Ormai lì era stato bruciato.
Quando Malan gli chiese cosa dovevano dire a Carla, rispose che non erano affari suoi.
‘Fatene quello che volete! E’ una gran bella fica e una insaziabile scopatrice’ ve la regalo’ e poi sapete come e dove raggiungermi”
Ulisse aveva raggiunto i genitori, in Colombia.
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Il ‘quartetto’, pur uso a malefatte d’ogni genere, era preoccupato per quanto avevano commesso. Non immaginavano che le cose si sarebbero svolte così tragicamente.
Erano perfettamente a conoscenza che le indagini sarebbero state approfondite, ricorrendo ad ogni moderno mezzo.
Sapevano di essere stati graffiati, e che due di loro avevano lasciato inequivocabili tracce della violenza perpetrata.
L’incubo della traccia li tormentava.
Cambiarono le coperture alle auto, con altre già usate.
I ‘due’ di cui al liquido organico pensarono bene di sparire dalla circolazione. Uno dei veloci mezzi che facevano ininterrottamente la spola tra le opposte coste, li avrebbe portati in luogo sicuro.
Il delitto, la sparizione di Gjergj, quella dello Yacht, del motoscafo di Ulisse, la partenza di quest’ultimo’ a giudizio degli indaganti erano tessere dello stesso mosaico.
Sapevano dei traffici, li tenevano d’occhio, pronti a stroncarli al momento opportuno, quando nella rete fossero caduti i ‘pesci grossi’. Più grossi di Gjergj. Ulisse un debole ‘tramite’, gli altri manovali da strapazzo, ma non per questo meno pericolosi.
Erano riusciti a sapere, durante le indagini e gli interrogatori, della gita sullo Yacht, quindi non poteva esserci connessione tra violenza e chi li aveva ospitati a bordo. Le ragazze erano state certamente consenzienti.
Bice aveva abbandonata ogni reticenza, collaborava al massimo, parlava di Uli con calma, si sentiva che non lo amava, che era stata attratta solo dai modi e dal tenore di vita del ragazzo. Non disse mai, però, dei regali avuti.
Il quadro stava emergendo lentamente: personaggi e luoghi. Non era ancora del tutto chiaro il perché della ‘violenza’, e da chi fosse stata attuata.
Nei dintorni erano rimasti solo Malan e Zogan, tenuti d’occhio. Li pedinavano per prenderli in flagranza di reato, spaccio di eroina, ma quelli si erano messi a vendere CD di contrabbando nei paesi vicini. E fu così che riuscirono a sfuggire alla sorveglianza, e a dileguarsi.
Gli inquirenti forse erano riusciti a ricostruire gran parte dell’accaduto e i precedenti. Avevano il DNA di tre diversi individui.
Tutto qui.
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Erano trascorsi tre mesi dal delitto, e se ne parlava sempre, sottovoce.
Nessuno sembrava aver visto nulla.
Nella cronaca locale, apparve un titolo su nove colonne.
‘Il caso Carla.
A volte il vischio che ti intrappola &egrave rosso, come il sangue, come i rubini!’
Bice ebbe come un colpo.
Corse nella sua camera, prese il pacchetto, su un foglio bianco, astampatello, scrisse: ‘per i poveri’, lo avvolse in un giornale vecchio, lo mise nella sacca, uscì, lo andò a lasciare in un banco della Chiesa Madre.
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