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Racconti Erotici Etero

Walk of Shame

By 16 Ottobre 2017Dicembre 16th, 2019No Comments

No, decisamente non ero al mio meglio, domenica mattina. Avevo appena camminato ondeggiando per tre chilometri, al freddo perché il cappotto l’avevo perso – o era stato rubato – in uno dei locali dove mi ero scatenata nelle 8 ore precedenti, e la bici era stata lasciata fuori da casa di un’amica. Avevo qualche buco di memoria dovuto all’alcol ingurgitato per far festa, e l’aria fredda mi aveva tolto il sonno anche se non vedevo l’ora di spronfondare nel mio letto. Così mi sono seduta sulla panchina a una decina di metri dal portone di casa, per godermi l’ultima di una infinita serie di sigarette della nottata, aspettando l’alba. Il trucco ormai sfatto da ore, gli stivaletti sporchi; i collant strappati in due punti, i capelli scompigliati. Decisamente no, non ero lo splendore che si rimirava nello specchio dell’ascensore solo una decina di ore prima, quando ero uscita di casa. Ma tanto, chi doveva vedermi in quello stato? Inspirando a pieni polmoni l’aria dell’alba mista a Marlboro Lights, vedo il portone di casa che si schiude. è Mitchell, il ragazzo del secondo piano, che esce per andare a correre. Qualche ora prima mi aveva vista tutta in tiro, perfetta, mentre saliva per comprare indonesiano per lui e per la compagna. Mitchell ha solo quattro anni più di me, sta in questa casa da poco perché prima viveva a Rotterdam: non è sposato, ma da qualche mese ha una bellissima bambina di nome Judith. Mi sorride da lontano, e viene a fare stretching proprio sul lato inutilizzato della panchina dove sono seduta. Il sonno ancora negli occhi. ‘Il tempo è relativo – mormoro in inglese (perchè di conversare in olandese dopo una serata non posso proprio riuscirci -. Non so chi l’ha detto, forse Einstein, ma è vero. Per te è presto, per me decisamente tardi’. Ride. Mi racconta che Judith l’avrà fatto dormire forse due ore. Io replico che baratterei le mie condizioni con le sue, al momento. è in un completo da corsa aderentissimo con i pantaloni lunghi, e vedo il vapore uscire quando respira, come stesse fumando come me. ‘Anche io – mi risponde -. Una serata come le tue mi servirebbe, mentre a te dubito servirebbe una partner che si lamenta sempre e una figlia che piange e tu non capisci cosa vuole’. Elisa, la sua compagna, deve essere stata una bellissima ragazza ai tempi del liceo. Ora è decisamente oversize di almeno 20 chili, e per di più ha la faccia sempre incazzata. Credo mi giudichi malissimo, penso vengano entrambi dalla Friesland, la zona più conservatrice di questo buffo Paese. Due settimane fa mi aveva pure accusato ingiustamente di aver lasciato aperte le porte dell’ascensore, la bigotta. Non so se è l’alcol, ma è un attimo. Chiedo a Mitchell se gli va di accompagnarmi a fare colazione. Sorride. Per le poche persone in giro per Marnixstraat quell’ora, deve essere davvero una scena da film: un ragazzo vestito da corsa, e una evidentemente in walk of shame, che camminano fianco a fianco. Come dicevo, è un attimo. Prendiamo una laterale per dirigerci verso il forno; mi fermo; lo bacio; lui si ritrae, ma poi ricambia. Limoniamo come due sedicenni, ma con le sue mani che mi toccano il culo da sotto la minigonna, e la mia mano destra che prima tocca le sue cosce avvolte nei leggings da corsa, quindi si avvicina al cazzo, che sembra di ottime dimensioni. Lo spingo in un portone a caso, ho una voglia matta di essere colpevole. Scendo, glielo tiro fuori, ed è esattamente come lo immaginavo. Non c’è molto tempo, e non ho neppure voglia di essere scopata, tra l’altro sarebbe anche piuttosto rischioso. Così, dopo avergli piantato gli occhi da zoccola con il trucco sfatto addosso e le unghie sul culo, lo prendo in bocca e do del mio meglio. Mitch non parla, ansima. Mi sussurra solo qualcosa tipo ‘It might have been a while’, come per dirmi di non aspettarmi grandi prestazioni in termini di durata. Perfetto. Accelero. Lecco. Accelero di nuovo. Sento la sua punta pulsare, e poi viene. Viene tantissimo, una quantità incredibile, al sesto schizzo devo staccarmi perchè ho la bocca piena, così ne esplode altri, due sulle guance e almeno uno sul maglioncino nero. Ingoio schiocchiando la lingua, e lui con gli occhi allucinati mi dice un timidissimo ‘heel hartelijk bedankt Debby’. Lo guardo, e, rialzandomi, ricambio il saluto in olandese augurandogli una buona corsa e torno a casa a dormire. Lungo la strada non ho più incontrato nessuno, ma appena tornata a casa mi son buttata sul letto ancora vestita e mi son toccata fino a venire, senza il minimo ritegno. Mi sono svegliata che era già buio. La guancia e il maglione ancora appiccicosi mi hanno convinta che non avevo sognato.

Deb

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