Skip to main content
Racconti Erotici Etero

ZBOGOM!

By 30 Marzo 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

Intanto, c’&egrave la difficoltà delle lettere dell’alfabeto cirillico, non tutte uguali alle nostre.
E c’é anche che non conosco il croato.
La prima parola che ho appreso &egrave stata ‘hvala’ grazie.
Il nostro ‘si’, &egrave facile da ricordare, perché &egrave come quello di parecchie lingua slave: ‘da’.
Il primo saluto del mattino? Dobrojutro!
Doberdàn, &egrave buongiorno.
Ma non credo che sia il caso di dilungarmi ancora in proposito.
Stano Zwoelf, sloveno di Postojna (Postumia), mi aveva detto che lui, quando era a Split (Spalato), ai lussuosi Lav, Marjan e Split, preferiva il più modesto ‘Bellevue’, che aveva il pregio di non essere immenso e di stare ai margini della città vecchia, nella ulica Bana Jelacica, non distante dalla chiesa di Sv. Frane, e quasi all’inizio della Hrvatskog Narodnog Preparoda, dov’era anche la Rappresentanza Consolare Italiana.
Imboccai l’Obala, che costeggia il mare, e giunsi presto a Sv Duje (San Doimo, un santo che non avevo mai sentito nominare prima), la Cattedrale, quasi al centro della Dioklecijanova pala’a, l’area dell’antico Palazzo di Diocleziano.
Ero intento ad ammirare il capitello romanico del pulpito esagonale, con l’evidente curiosità, più che interesse, del turista, quando giunse un piccolo gruppo con una guida. Parlavano italiano. Mi avvicinai alla bionda giovane che stava iniziando a spiegare le bellezze di quell’opera d’arte, e le chiesi se potessi unirmi a loro.
Voce armoniosa, senza alcuna inflessione straniera.
‘Certamente, signore. E’ il benvenuto.’
La ragazza era molto competente, e non si limitava a descrivere le cose, ma le inquadrava nel tempo, ne indicava il collocamento cronologico, le comparava ad altre realizzazioni, sia dello stesso autore che di altri, antecedenti, contemporanei o successivi all’artista di cui si stava ammirando il capolavoro, esponeva i pareri dei più eminenti critici ed esprimeva il proprio.
Era veramente tagliata per quell’attività.
Inoltre, era una gran bella ragazza, le cui fattezze risaltavano anche attraverso la tenuta da lavoro, consistente in una gonna avana e una blusa bianca.
Si vedevano bene la ricchezza del seno e la perfetta curva dei fianchi.
Il giro era terminato, eravamo all’uscita della chiesa e il gruppo si stava accomiatando dalla guida tornando alle cure dell’accompagnatrice turistica.
Attesi che il gruppo fosse risalito in autobus, e che la guida li salutasse cordialmente con la mano, mi rivolsi a lei, logicamente in italiano.
‘Molto brava, signorina, vorrei ringraziarla ma anche onorare il mio debito nei suoi confronti.’
Mi sorrise incantevolmente.
‘Non sapevo che lei avesse un debito nei miei confronti.’
‘Certo. Per aver fruito piacevolmente della sua professionalità.’
Ampliò il sorriso. Ora anche gli occhi ridevano.
‘Non credo che mi debba nulla. Io parlavo al gruppo e lei, guarda caso, ha colto qualche mia parola.’
‘Mettiamola così, ma ho anche fatto qualche domanda.’
‘Si, ed ho notato che erano domande di vero interesse e non di superficiale curiosità come spesso capita.’
‘Vede, io cerco sempre di ritagliare uno spazio nella mia giornata lavorativa e di dedicarlo all’apprendimento di qualcosa. Specie quando sono per la prima volta in una bellissima città come Split.’
‘Io e i miei la chiamiamo ancora col suo nome italiano, suona meglio: Spalato’
Più la guardavo e più, in aggiunta alla sua cordiale simpatia, apprezzavo la sua attraente bellezza. C’era qualcosa di strano, di incomprensibile, che mi seduceva. Credo che sorrisi lievemente quando pensai al fascino slavo.
Slavo o non slavo ero letteralmente calamitato, e non platonicamente.
Fare delle avances mi sembrava puerile e meschino, rischiavo di passare per il solito italian lover da strapazzo, quello che crede che tutte le femmine cadano ai suoi piedi. Anche perché, in fondo, ero io le séduit e non le tombeur de femme, il Casanova da quattro soldi.
In effetti non riuscivo ad andare avanti nel colloquio, non riuscivo a trovare le parole giuste per un sia pure un pallido tentativo di ‘rimorchio’.
La bella ragazza mi guardava con uno strano sorriso sulle labbra, ironica, forse soprattutto sorniona. Aveva certamente rilevato il mio disagio e ci si stava divertendo.
Cambiò quasi improvvisamente espressione.
Evidentemente più che divertirla, la mia confusione, le destava tenerezza.
Mi guardò con i suoi cerulei nei quali mi sentivo sprofondare.
Ero impacciato come il ragazzetto al suo primo tentativo di abbordaggio.
Mi pose la sua manina sul braccio.
Avevo sentito come una scarica percorrermi deliziosamente. E qualcosa era accaduta anche in lei, perché aggrottò le sopracciglia, si morse appena il labbro inferiore.
Avevo letto in qualche racconto decadentista, di exciting touch, una specie di tocco fatale. ‘Si sfiorarono le mani e furono irresistibilmente attratti!’
Si vede che anche io ero in fase decadentistica.
La sua mano andò oltre, si poggiò sulla mia.
Non era immaginazione, quel tocco mi eccitava, mi infiammava.
Ridicolo! Alla mia età e con le mie esperienze!
Eppure era così, e fu spontaneo che la prendessi per mano, come i fidanzatini di Peynet, e la fissassi.
Si, indubbiamente era scattata qualcosa.
Ricambiò lo sguardo.
‘Io sono Anna Gelgich, come ti chiami?’
‘Marco Vianini.’
‘Zdravo Marco! Ciao!
‘Zdravo Anna!’
‘Ho la sensazione che avessimo un appuntamento. Sentivo che ci dovevamo incontrare.’
‘Anche io.’
Parole leziose, ma assolutamente spontanee.
Assunse un’aria seria, dura.
‘Non sono una tour guide che fa anche la taxi girl, Marco, ma vorrei stare un po’ con te.’
‘Non sono un flirt-boy, Anna, ma sono affascinato da te!’
‘Perché non ci lasciamo guidare dai nostri istinti, non afferriamo il momento magico che ci accomuna? Per me &egrave così.’
Pensai che era inutile girare intorno alla questione.
‘Ti desidero, Anna, ti voglio.’
‘Vieni a casa mia: ho tutto, e anche di più.’
^^^
Di solito, si parla dell’appartamento, lo si descrive e lentamente si giunge al quantum.
Si vede che tanto Anna che io eravamo tremendamente infiammati, irresistibilmente attratti, e allupati all’estremo, perché finimmo direttamente nella sua camera da letto, e prima ancora che me ne rendessi conto, lei era in tutta la sua magnificenza, inginocchiata sul letto, con un culetto che mi faceva impazzire, e il boschetto riccioluto che s’intravedeva tra le sue portentose e stuzzicanti natiche.
Le fui vicino, l’abbracciai, carezzai, baciai, avidamente, dovunque.
Sembravamo conoscerci da sempre, come una coppia di amanti appassionati che si ritrovi dopo lunga lontananza e voglia di nuovo assaporare il piacere dell’essere insieme.
Eravamo curiosi di esplorarci a vicenda, di frugare in ogni angolo, il più nascosto, non resistei alla tentazione di baciarle i suoi riccioli dorati, di lambirle il clitoride con la mia lingua impaziente, di assaporare la linfa della sua eccitazione, di cercare il punto interno del suo maggior piacere.
Vibrava come le corde di un’arpa sapientemente percorse.
Ci trovammo con il suo delizioso cespo aureo sul mio volto, la sua bocca calda e fremente all’altezza del mio pube, che lambiva meravigliosamente il glande enfio ed eccitato, lo carezzava con il saettare della sua lingua, lo circondava voluttuosamente lungo il solco. La sua bocca calda lo avvolgeva, lo suggeva, e ne assaporava il timido gemere le prime stille che precedevano l’esplosione del piacere.
Il suo grembo era irrefrenabile, poi la sentii sobbalzare, tanto che la sua bocca lasciò il mio fallo e iniziò a gemere, sempre più forte, fin quando la linfa densa e salata che si raccoglieva sulla mia lingua golosa non testimoniò il suo orgasmo travolgente.
Un breve momento di distensione, poi riprese di nuovo tra le sue fauci il mio sesso e lo svuotò avidamente.
Giacemmo andanti e soddisfatti, carezzandoci, quasi a scambiarci la manifestazione della nostra gratitudine per quel meraviglioso appagamento dei sensi.
Eravamo felici.
Ma non sazi.
Mi alzai, prima in ginocchio, poi in piedi.
Così, senza una ragione evidente, forse perché inconsciamente avevo percepito il desiderio di lei.
E lei constatò il mio. Ben evidente.
Quasi con un balzò, si abbracciò a me, con la sua bella tetta a portata delle mie labbra che ancora sapevano di lei.
Le gambe si dischiusero, la presi per le natiche, l’avvicinai al mio fallo eretto, cominciai a penetrarla lentamente, mentre coi talloni mi stringeva le cosce.
Doveva essere il suo modo preferito, di fare l’amore, perché dopo pochi colpi mi gridò la sua passione, con parole che non comprendevo, dobro’ kasan’ dobro’ evo’ evo’ evoooooooo! E sembrò quasi svenire. Invece’ veniva, eccome!
E quando lo stesso accadde a me, subito dopo, il suo grembo sembrava una ventosa impazzita, che mi strizzava voracemente.
Incontrarsi per caso e finire subito dopo a letto, non capita così sovente come si vuol far credere. Ciò accade, in genere, quando si cerca un rapporto prezzolato. Quello che serve per scaricarsi, tanto per intenderci.
Noi, invece, più ci scaricavamo e più ci sentivamo colmi di nuovo e insaziabile desiderio.
Non stavamo ingozzandoci.
Ci assaporavamo golosamente.
Scoprivamo le nostre più stuzzicanti delizie e le godevamo.
Ignoravamo tutto di noi, chi eravamo, cosa avremmo fatto in seguito.
Attraversavamo il paese delle meraviglie, incantati.
Baciare i piccoli capezzoli di Anna, era bellissimo, carezzarle il petto, le natiche, sentire il velluto della sua pelle, perdersi tra i riccioli del suo prato dorato, sentirlo fremere, percepire il levitare delle sue grandi labbra al tocco delle mie dita.
Un labirinto dal quale non avrei mai voluto uscire.
Aveva un sedere incantevole, sodo e meravigliosamente disegnato.
La mia mano amava indugiare tra i suoi glutei, sentirne il tepido umidore. Carezzarla lungamente, lentamente. Prendere l’umore rugiadoso che distillava la sua vagina, e cospargerlo lungo quella affascinante valle del piacere.
Sentivo il suo buchetto palpitare, non essere insensibile al mio tocco leggero e insistente.
Il mio dito girava intorno a quel forellino sussultante, ne saggiava la sempre minore resistenza. Lo penetrava, ne assaporava il calore, il pulsare, ne accertava il gradimento movendosi delicatamente: dentro e fuori’dentro e fuori. Mentre l’altra mano era prodiga d’attenzioni per l’attraente cucciolino, il piccolo clitoride, che vellicava dolcemente, lasciandolo solo per visitare le morbide e guizzanti pareti della bella fichetta.
Anna andava lentamente contorcendosi, sempre più, movendo stuzzicante e invitante il suo culetto, stringendo sempre più eccitata le sue chiappette prensili.
Era evidente che stava sempre più accendendosi.
La sua mano volle assicurarsi della disponibilità del mio fallo.
Evidentemente lo aveva giudicato preparato e adatto alla bisogna.
Scese dal letto e vi si poggiò con le mani, divaricando le gambe.
Non ebbi, certo, bisogno di invito.
Con un piede per terra e l’altro sul letto, mi misi dietro di lei.
Il suo culetto era rorido, ben lubrificato, e palesemente in attesa.
Cedette volentieri e con gioia, collaborando alla mia spinta decisa, e se lo trangugiò tutto, fino all’ultimo millimetro, accogliendolo con manifesta esultanza. Fu uno stantuffare meraviglioso che ci portò al culmine della voluttà, del piacere, con le mie mani impazienti che s’alternavano tra tette e tutto il resto. Lei che sculettava magistralmente, e mugolava deliziosamente.
Mi disse di non smettere.
‘Opet’ opet’ ancora’ ancora’ sada’ sada’ adesso’ adesso”
E conobbi un altro dei suoi squassanti orgasmi che, nel contempo, mi mungevano avidamente in lei.
Si gettò sul letto e volle che rimanessi così, in lei, su lei.
Mi carezzava la schiena.
Le baciavo il collo.
Rimanemmo a lungo.
Era delizioso il contatto con la sua pelle, sentire le belle natiche sotto di me, tenere al caldo, in lei, il mio ancora eccitato fallo.
Mi sussurrò che doveva alzarsi.
Sembrava ubriaca quando s’avviò verso il bagno.
Rimasi supino, con gli occhi al soffitto.
Sentii lo scroscio della doccia.
Lei riapparve, con un asciugamano intorno alla vita, che non copriva niente e le belle tette in mostra.
‘Vieni, voglio essere io a lavarti.’
Mi insaponò diligentemente, soffermandosi, maliziosa, sul mio sesso.
Lo carezzava, lo sentiva pulsare, mi guardava furbesca, ammiccando.
Lo baciò, lambì, ciucciò golosamente.
Quando finì di asciugarmi, mi dette una pacca sul sedere.
‘Forza, vestiti, &egrave ora di mangiare’ jesti’ objed’ pranzo.’
Alternava i piccoli bocconi coi suoi baci.
Eravamo entrambi in accappatoio.
Quando servì il caff&egrave, si mise sulle mie ginocchia, dopo aver accuratamente spostati gli accappatoi, e, a cavalcioni, dopo essersi fatta penetrare lentamente, andava dondolandosi tra un sorso e l’altro.
Non mi chiese quanto tempo mi sarei fermato, né se ci saremmo rivisti.
Mi accompagnò alla porta, con lo sguardo luminoso ma malinconico.
La baciai.
Le sussurrai: ‘Zdravo’ ciao!’
I suoi occhi si riempirono di lacrime.
‘Zbogom! Addio.’

^^^ ^^^ ^^^

Leave a Reply