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Orgia

La mia dolce amica Rosita in: The Monk

By 15 Marzo 2010Dicembre 16th, 2019No Comments

Un racconto erotico di Jonathan Caligola (c) tutti i diritti riservati

Un’afosissima domenica di Luglio Siciliano. Arriviamo a Poggioreale, la città fantasma del Belice, intorno alle 17. Lasciamo la Renault 4 di Marco bella pregna di sudore e altri umori alle porte del paese. Rosita s’era messa in testa di fare questa gita e l’abbiamo accontentata. Ne valeva la pena.

Rosita è un bel fragolone di bosco.
Una primavera.
Impossibile dirle di no.

Diciassette anni di diavoletto, Rosita. Commentata con ingiuria e ipocrisia dai più. Amata da migliaia di ragazzi e odiata da centinaia di ragazze, è una gloria locale. Io penso soltanto che se di tipe come lei ce ne fossero di più si starebbe fisicamente e moralmente meglio, tutti. Nasone adunco, occhietti strabici, settantotto chili per un metro e sessantuno, non si può certo dire bella! Ma lo sguardo seducente e l’espressione maliziosa d’un viso incorniciato da una lunga, folta e crespa capigliatura rossiccia, il fare provocante e giocoso, le danno un fascino incredibile, ben supportato da curve portentose. Esagerata, Rosita! Sempre aderente o scollacciata, in mostra ben oltre il limite di quella che i più chiamano decenza. Una quinta bella soda e ben esibita, da fare arrossire tantissimi dei ragazzini che lei approcciava quotidianamente. Bei gran fianchi, gran cosce e sederone sodissimo in minigonna o fuseaux, da fare indispettire e stizzire la stragrande maggioranza degli adulti.

E’ una creatura divina, Rosita, non è intaccata dal vizio del pudore.
E’ una creatura divina, Rosita, non è sporcata dalla villania della malizia.

Rosita sa farsi apprezzare, e molto bene direi. Sorrisone delizioso.
Sinceramente e ingenuamente affettuosa con tutti e tutte. Disponibile. Si fa in quattro per tutti, per quel che può, farebbe favori e regali tutti i giorni, tutto il giorno. Quando qualcuno a lei vicino gode, sorride ed è felice o soddisfatto, lei si sente realizzata, al settimo cielo. Anche quando per far piacere le tocca di soffrire. Dentro e Fuori.

Lasciamo l’auto e c’inoltriamo lungo il vecchio viale solitario che attraversa perpendicolarmente tutto il borgo abbandonato. Io, Antonio e Marco, fiaccati dal caldo, vestiti di soli pantaloncini e sandali, avanziamo lenti e sin dall’inizio senza troppa voglia di andare in giro. Beh, io sono abbastanza attratto dalla suggestione di quei luoghi, vi ero già venuto più volte a far scatti e a meditare, quindi la spedizione extra provinciale me la sono accollata di buon grado per la gita in sé, anche se la giornata è troppo calda e avrei preferito il mare. Antonio e Marco, scocciati e abbrutiti dalle ore trascorse nel fuoco dell’automobilina, si lamentavano. Avrebbero preferito non accontentarla, chiavarla piuttosto al mare, tranquillamente a Capo Gallo, L’auto di Marco era un catorcio, ma c’era solo quella.
E’ giusto accontentare Rosita, mi sono imposto.
Sono il suo angelo custode

‘Che posto fantastico, ragà. Che silenzio spettrale. Pace. Atmosfera. Wow! Andiamo in giro, dai. Ci sono mille cose da vedere. Case, scuole, vecchi negozi, luoghi abbandonati, sospesi nel tempo.’ disse Rosita.
Beh, come darle torto? Poggioreale vecchia è un posto unico. Meraviglioso e misconosciuto. E’ la gost town siciliana per eccellenza. Un grosso paese abbandonato, suggestivo scenario di decadenza, precarietà statica e sospensione temporale. Un luogo incantato, in cui il silenzio è spezzato solo dai suoni della natura e dai cigolii e dai sordi rumori del costante disfacimento. Incantato, sì. Vallo a Spiegare a quei due. Volevano solo Rosita nuda e ben salda tra le mani, e quindi si sarebbero gaiamente infilati nel primo anfratto all’ombra, per rilassarsi un po’ con lei. Invece, aggrediti da un sole piagante, sudati e frustrati se la vedevano saltellare intorno, gaia e gioiosa, provocante ma sfuggente. Uscita dall’auto s’era tolta il reggiseno ed era rimasta in gonnellina e scarpe da ginnastica. Una borsetta a tracolla le divideva i seni poderosi. Due grossi e scuri capezzoli contrastavano con la pelle chiara e luminosa.
Rosita scrutava i vecchi palazzi, si immetteva in tutte le porte, scompariva negli anfratti per riapparire di colpo, dare baci e abbracci profondi e veloci agli amici e poi correre qui e lì saltellando, ragazzina in fiore.
Mi divertivo molto a guardarla agile scorazzare per quelle vecchie vie, scattando foto, ridendo sola, canticchiando.
‘Madonna! ma come fa? Così grassa e così soda, niente smagliature, niente cellulite, e poi quelle bocce! Un Miracolo! E quanta energia! Ma dove la prende?’
‘Ma che ne so! E ora, dov’è finita? Non la vedo più! Appena mi capita sotto mano non la faccio più scappare!’
‘Cucù’ fa Rosita, sporgendosi da un balcone decrepito e scricchiolante d’un secondo piano. Vengono giù polvere e detriti.
‘Scendi, Pazza’ la rimprovero io. In un nonnulla è di nuovo giù, mi stringe forte, mi bacia e mi carezza, la bacio e carezzo anch’io. Non appena vuole la lascio andare. Sorrido. La guardo allontanarsi e scomparire.
Mette gioia dentro, Rosita.

Io e i ragazzi ci sediamo all’ombra d’un ampio ballatoio per accendere una canna al riparo dal sole. Marco ha ragione, le bocce di Rosita sono un miracolo. Così grandi e sode, di una sfericità perfetta ed avvolgente, con quel contrasto di pelle, senza un difetto, un foruncolo, un neo, un’imperfezione del tono della pelle. Tutto il suo corpo era così. La Bellezza Assoluta degli Antichi. L’abbondanza perfetta.
Ma il vero miracolo è lo spirito di quella personcina. Per me è un ideale di libertà, di purezza, di santità. Le voglio troppo bene.
‘Oggi gliela metto in culo a sangue a quella troia!’ esclama Antonio.
Io lo Fulmino con lo sguardo. Quello capisce al volo che non è il momento per simili, volgari affermazioni e si zittisce, abbassando lo sguardo. Il capo sono io.

‘Dai, picciotti! Tesorini, ci sono mille cose da vedere! Il campanile, Il teatro, la scuola, la farmacia! Provate ad immaginare quante storie di vita si sono svolte qui, un attimo prima del triste evento. Baci, gioie, amori, sogni, piaceri! Fatemi compagnia, dai! Oggi sono troppo felice! Hi, hi! Dai, vi do il culo a tutti e tre, volete sentirvi dire questo? Amunì!!!’
Vogliamo sentirci dire questo? Ma no! Rosita si concede sempre! Chiunque in città la vuole può possederla, figuriamoci gli amici. Sempre, dovunque e in ogni modo. Senza distinzione di sesso, di età, di etnia. Compagni di liceo, professori, autisti, preti, poliziotti, commercianti, immigrati, ricchi, poveri, e chi ne ha più ne metta l’avevano posseduta ed erano stati posseduti da lei. Conosce l’intimo sapore di almeno un palermitano sessualmente attivo su tre. Bastava o aspettare, rispettandola. O prenderla senza se e senza ma, con forza. Lei non si sarebbe né rifiutata, né lamentata. Sottomessa era felice. Principessa era raggiante. Sfuggiva per gioco, anzi, per gioia. Ed io lo so e gioisco con lei.

‘Venite qui! è fantastico’ urla Rosita dal fondo di una via. Aggiriamo rovi e macerie e la raggiungiamo. S’è ficcata in una piccola chiesetta che non avevo mai notato, al margine settentrionale del paese. In alto, sul timpano della facciata della chiesetta, una strana statua occupa la nicchia centrale dove precedentemente doveva esserci l’effigie del santo dedicatario della chiesa. Grottesco, mai visto. Sembrava un folletto malizioso, più che un santo, un satiro lascivo. Una profonda incisione posticcia figurava sull’architrave del piccolo portale:
ECCĔ SĂCELLUM PRIAPI, RĔPRĬMĬTE MĂLĬTĬA

Entriamo, troviamo Rosita più elettrizzata e solare che mai, scorazzare curiosa in un ambiente stranissimo. Mi porge la fotocamera e mi dice, eccitatissima: ‘Tieni, John! Devi farmi troppe foto, meraviglia! Ma che statue sono, è un paradiso di richiami alle gioie del corpo e dell’anima!’
La cappella, a pianta centrale, è davvero minuscola. Perfettamente integra e ben mantenuta. La parete circolare e il soffitto di marmo nero portoro. Al mezzo un grande basamento rotondo di porfido su cui si adagia una possente scultura di bronzo. Un trittico. La figura centrale è una creatura grottesca e al contempo fiera e gaia. Sguardo di gioia asessuata e pura che incanta, invoglia e seduce. Sorriso di elfo che strega. Una sorta di nano-folletto tarchiato e muscoloso che mostra un cazzo incredibile. Una nerchia bronzea assolutamente sproporzionata al resto del corpo, eretta, turgida all’inverosimile, percorsa da venature sinuose e gonfie. Ai fianchi dell’essere, due superbe fanciulle si chinano ad abbracciarlo, fissandone, una lo sguardo, l’altra il glande possente. Tutto intorno, nella parete circolare, sette nicchie, sei, accolgono statue di magnifiche donne, tutte di marmi diversi. Perfette, stupende, dee molto seducenti, sode e abbondanti, porche assetate di gioia in pose estremamente sensuali. Nella nicchia centrale, di fronte l’ingresso e alle spalle del trittico del dio, un tabernacolo di marmo nero portoro ha inciso uno strano simbolo sullo sportellino d’oro massiccio. Gli sguardi delle sei donne convergono sulla scultura centrale.

Impietriti noi, all’estremo dell’esuberanza Rosita. Come si spiegava quell’assurdo posto? Così perfettamente conservato tra macerie e rovine?
Rosita cominciò a dedicarsi a noi.
‘Ma siete scemi? Bloccati! Ma spogliamoci, facciamo l’amore! Questo è il tempio del piacere, godremo come non mai! Antonio! Non mi sembri tu!’
Allora si getta ai piedi di quello e gli abbassa i pantaloncini. ‘piccolo ma adorabile!’ esclama con un risolino soffocato e infantile. E lo prende in bocca, bazzotto. ‘Ah, che figata pazzesca!’ si scioglie Antonio rinvigorendo al volo. Mi avvicino, accarezzo i capelli di Rosita con delicatezza, per un po’, poi, di botto, le spingo la testa con forza, come so che ama lei, per permetterle di affondare e prendere in gola il cazzo di Antonio. Ci mettiamo a cerchio intorno a Rosita, come le statue intorno al loro dio che le domina e possiede, noi ci diamo alla ragazza. Bocca accogliente, gola ormai sciolta. Affonda me, affonda Marco, affonda Antonio; ritmica, rapida, perfetta, fluida, irrorata di miele. Non esiste una bocca al mondo come quella di Rosita, soprattutto quando è con me ed i miei drughi.

Un rumore sordo ed una voce possente interrompe il nostro gioco. Un uomo sopraggiunge, comparso chissà da dove. Un austero, gigantesco monaco cinto da un cordone dorato in un lungo saio scuro . Oltre due metri di uomo. Sguardo giovane che seduce, lineamenti immortali. ‘E’ giunta l’eletta mai vergine, sii benvenuta, benvenuta nella casa di Priapo! Ti aspettavo da tanto tempo! Libri la pace di Priapo sull’uomo terrestre corrotto dal pudore della malizia, sia questo male debellato! Accolti siate voi, che avete giaciuto con lei, accolti con gioia e piacere, amici miei, nella casa del sommo piacere.’
Prende allora la ragazza dai capelli e la trae a sé con rude violenza. Noi proviamo a reagire, a difenderla, ma lei ci ferma. ‘Lo voglio, è stupendo, è il mio signore, lo so’ L’uomo tira fuori il cazzo. Trenta centimetri di verga bazzotta. Rosita, incantata, lo guarda, lo annusa, lo lecca. L’uomo comincia a schiaffeggiarla col cazzo, con violenza brutale, lasciandole ampie chiazze rosse sulle gote.
Rosita è all’acme della sua purezza adolescenziale, lo sguardo manifesta una felicità estrema, candida, di estasi totale.
Le strappa via la gonnellina con un gesto rapidissimo e le dice, gentile: ‘Chinati ai piedi del nostro liberatore, piccola.’
La vediamo da lontano, immobilizzati da una seduzione senza nome. La vediamo nel suo splendore. A pecorina, col torace sul pavimento, il sedere indietro e all’insù a più non posso e la testa accostata al basamento del trittico di Priapo. Mi cerca, mi fissa, mi sorride celestialmente, mi fa l’occhiolino. Culo divino, chiappone sode e orifizio rosa al cielo. Si carezza il clitoride, le anche, i seni.
Il sacerdote prende dal tabernacolo centrale un calice d’oro, versa un liquido fluorescente sull’ano di Rosita L’orifizio cede e si dilata magicamente da se, accogliendo quel fluido ultraterreno. Il volto della ragazza si fa rosso fuoco. Urla felice, stridula: ‘lo voglio, forte, ora, ti prego, ora’
Il cordone dorato del saio cade sul pavimento. La monta a cavalcioni.
Il Cazzo, durissimo entra al volo. Le urla di Rosita sono il canto straziante e incantevole delle Sirene. Stordiamo davvero, davvero immobilizzati. Colpi secchi e violenti, dati con compostezza solenne, muscoli tesi, vigorosi, perfetti. ‘Questo è! Ahhhssssh! lo aspettavo! Ahhhssshhh! Lo aspettavo Mmehggg!!’ Urla Rosita a squarciagola. Poi sangue, inevitabili schizzi per quella incredibile sodomia. Antonio e Marco cominciano a disgustarsi, il tutto è davvero brutale, stornano lo sguardo.
Io continuo stregato a fissare.
E’ il sesso degli dei.
Mi alzo, senza indugio lo metto in bocca a Rosita.
‘Falla tacere, bravo!’ mi dice l’uomo gigantesco con voce soave, mentre continua a stantuffare in culo senza mai un cambio di ritmo. Sento le sensazioni di piacere estremo inferte a Rosita dal vibrare dei denti sul mio sesso e dai soffi soffocati nella gola. Qui c’è spazio per me oggi, ed è già davvero tanto, per un comune mortale.
L’uomo smette di scopare, esce; io mi faccio da parte. Distende Rosina sulla schiena, s’accovaccia sul suo viso e ne possiede la gola. Una sola volta. Quel gigantesco cazzo le sarà arrivato all’anima, rimanendoci per un lungo minuto. Poi esce di botto. Lei respira, al limite. Lui esplode. Non come un normale uomo. Schizzi che durano decine e decine di secondi. Oltre dieci minuti di venuta. Sulla faccia, sulle tette, su tutto il corpo, copiosa come neanche cento uomini. Poi il monaco si china sulla ragazza esausta e vibrante. La bacia con gentilezza sul viso e sul corpo; con un dolce e prolungato cunnilinguo le regala poi orgasmi da paradiso. La voce di Rosita si fa labile, un dolce sibilo. Si addormenta con una tenera espressione di fanciulla pace sul volto. Prima di noi.
Ci svegliamo distesi su un altro pavimento di marmo, tra polvere e detriti. Il tetto divelto. Un cielo rosso e stelle del tramonto. Siamo dentro i ruderi della cinquecentesca chiesa di Sant’Onofrio Eremita. Una deteriorata Vergine con Bambino mi guarda da un’abside incrinata. I lineamenti del viso sono inconfondibili, sono quelli di Rosita.

Piaciuto il mio racconto? dimmi la tua qui:
jonathan.caligola@gmail.com

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