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Racconti 69

Mergers and Acquisitions

By 29 Settembre 2008Febbraio 9th, 2020No Comments

Seguire la vendita di una società può essere una cosa interessante ma anche una noia mostruosa. Da alcuni giorni mi ero trasferito nel piccolo albergo di un paesino della provincia di Brescia per meglio seguire le attività connesse alla vendita di una fabbrica ad una società americana. Giorni e giorni con gli occhi sui numeri, asfissiato dalle domande degli oditors e dei legali. Tutto doveva essere pronto per il lunedì successivo quando l’avvocato della controparte americana sarebbe arrivato per esaminare i dati e dare un parere sulla nostra proposta di vendita.
Venne il fatidico lunedì. Tutti i fascicoli erano pronti, la presentazione ben studiata, i direttori indossavano camicie ben stirate e fiori freschi facevano mostra di se nei vasi che ornavano la sala riunioni. La delegazione americana arrivò intorno alle 10 e 30. Il gran capo vestiva come un mafioso del Bronx, o meglio come tanti film ce lo avevano dipinto: vestito gessato, camicia bianca, cravatta scura, scarpe bicolori ed anellone d’oro al mignolo. I suoi collaboratori non erano da meno. Completava la delegazione una avvocatessa. Non potei fare a meno di notarla: sulla trentina, bionda, abbastanza alta, i capelli raccolti dietro la nuca. Vestiva un tallieur con pantaloni che sembrava uscito da un catalogo della Postalmarket e delle scarpe con tacco alto. La sua bocca però, esaltata da un rossetto esageratamente rosso, era sensuale e le sue labbra carnose.
La giornata trascorse tra presentazioni e riunioni. Ero seduto di fronte alla avvocatessa e più la guardavo più, nonostante i suoi modi bruschi, mi sembrava bella. Ogni tanto mi soffermavo a guardarla e più di una volta ebbi l’impressione che lei mi guardasse e ricambiasse il mio sguardo con aria di sfida. La discussione durò a lungo, la loro comprensibile diffidenza verso una possibile acquisizione in Italia era palese. Quando finimmo era quasi ora di cena, al momento di salutarci per rivederci al mattino dopo seppi che, data la scarsa ricettività alberghiera della zona, il gruppo si sarebbe diviso tra più alberghi e che la bella avvocatessa si sarebbe sistemata nel mio stesso albergo. Mi offrii di accompagnarla con la mia auto. Durante il tragitto mi raccontò di venire da una località nei dintorni di Chicago, sede della società, di essere sposata ed avere due figli. Chiacchierando chiacchierando arrivammo all’ hotel dove ognuno di noi si recò alla propria stanza per posare i bagagli e prepararci per la cena.
La cena di lavoro fu di una noia mortale, gli americani erano stanchi per il lungo viaggio ma non disdegnarono il buon vino italiano; la conversazione, tutta in inglese, non andò oltre le solite banalità ma servì ad aumentare la confidenza tra gli interlocutori. Tornammo ai nostri alberghi abbastanza presto, l’avvocatessa, che avevo scoperto chiamasi Elizabet, mi disse che il suo più grande desiderio era togliersi le scarpe, farsi una doccia ed una buona dormita. Seduta sul sedile del passeggero Elizabet sembrava ancora più bella, aveva sciolto i capelli rivelando una folta chioma riccia e bionda, notai le mani affusolate e le lunghe unghie laccate forse finte.
Mi ero già spogliato e mi accingevo a farmi la doccia quando sentii bussare alla mia porta. Mi domandai chi poteva essere, mi coprii con l’accappatoio ed aprii. Sorpresa! Era Elizabet in accappatoio con i capelli bagnati, mi spiegò che aveva scoperto che il suo asciugacapelli da viaggio non funzionava in Italia (ci credo noi usiamo i 220Volt loro i 150V.) e che non riusciva a spiegare al portiere ciò di cui aveva bisogno. Le dissi di entrare e che le avrei prestato il mio. “E tu come farai?” mi chiese . “Aspetterò che tu abbia finito, quando me lo riporterai farò la doccia” risposi. Era veramente bellissima vestita di quel accappatoio che, un po’ corto, lasciava vedere delle bellissime gambe ed una carnagione chiarissima, la mia eccitazione stava per diventare visibile ed imbarazzante, finsi di sistemare il mio accappatoio per nascondere la mia erezione. “Sarai stanco, mi dispiace farti aspettare che io finisca – disse – La mia stanza e’ più grande. Potresti fare la doccia da me mentre io mi asciugo i capelli nella stanza. Così potrai asciugarli subito e non prenderai freddo”. L’invito mi parve strano, conoscevo la spigliatezza delle donne americane ma la cosa comunque “puzzava” e nel contempo mi eccitava. Accettai.
La sua stanza era in fondo allo stesso corridoio della mia, era effettivamente più grande ed aveva un letto matrimoniale in vece di un singolo. Entrando nel bagno percepii distintamente il suo profumo e mi eccitai ancora di più’. Aprendo l’acqua udii il caratteristico suono del asciugacapelli in funzione. L’acqua calda che scorreva sulla mia pelle iniziò a rilassarmi, chiusi gli occhi per godermi il caldo abbraccio del getto. Mi venne alla mente l’immagine di lei che si asciugava i capelli ed una parte del mio corpo cessò di rilassarsi. Una potente erezione si stava scatenando, continuavo a tenere gli occhi chiusi ed a insaponarmi, ad un tratto sentii un rumore ed aprii gli occhi. Lei era li davanti a me. “Scusa ho dimenticato la spazzola” ma i suoi occhi fissavano un ben preciso punto del mio corpo. Fece finta di nulla ed uscii, la mia erezione aveva, per l’imbarazzo, avuto un piccolo calo durante la sua irruzione ma subito dopo rinvenne ancora più vigorosa. Finita la doccia mi avvolsi nell’accappatoio non senza difficoltà data l’erezione ed uscii dal bagno. Elizabet era nel letto, apparentemente nuda, coperta dal lenzuolo e leggeva una copia del New Yorker indossando un paio di occhiali senza montatura. Mi guardo’ sopra gli occhiali, “L’asciugacapelli e’ sulla mensola, fai pure”. “Non ti disturbo?” chiesi, sperando in cuor mio che non mi mandasse via. “No, no. Sei molto gentile, fai pure, se esci così prenderai freddo”.
Iniziai ad asciugarmi i capelli con molta lentezza, contemporaneamente cercavo di immaginare le sue forme sotto le lenzuola. Nel compiere l’operazione di asciugarmi i capelli l’accappatoio però tendeva a salire, mettendo in mostra tutta la mia erezione, mi girai di spalle. Terminato di asciugarmi i capelli spensi il phon e mi girai, la copia del New Yorker era sul pavimento insieme con gli occhiali, Elizabet era supina, le coperte fino al mento ma le sue gambe si muovevano mentre un suo braccio convergeva inequivocabilmente verso il suo basso ventre. Mi lanciò una occhiata di fuoco passandosi la lingua sulle labbra, non potevo resistere. Mi avvicinai al letto e tirai via le coperte, lei era nuda e con una mano si accarezzava le piccole labbra. La sua “pussy” era completamente depilata ed il suo interno di un rosa acceso. Le sue dita accarezzavano il clitoride mentre la sua mano sinistra stringeva il suo seno sodo. Era troppo anche per un gentiluomo come me’ Sciolsi la cintura dell’ accappatoio ed il mio bastone si erse in tutta la sua lunghezza. Lei alzò la testa e lo prese immediatamente tra le labbra, il suo calore mi avvolse. Era bravissima: lo faceva arrivare fino in gola, poi lo faceva scorrere fuori soffiando ed indugiando sul frenulo. Ero scosso da brividi di piacere, “Do you like it darling?” mi chiese con sguardo malizioso. “Meglio di Bill Clinton” risposi. Ridemmo insieme e potei apprezzare la sua voce argentina. Salii sul letto e ci lanciammo in un lento, dolce sessantanove. Lei era sopra di me, con una mano mi teneva le palle, l’altra alla base del pene. La sua lingua guizzava ora sul meato ora saliva con estenuante lentezza lungo la mia asta. Io avevo allargato il più possibile con le dita le sue piccole labbra e con la lingua leccavo il suo clitoride, poi, lentamente risalivo verso il suo buchino, roteando la lingua all’ interno. Sempre lentamente continuavo a risalire verso l’ano, assaporando con dolcezza le rughine che ornavano il suo sfintere. Era veramente bravissima, ogni volta che mi sentiva vicino all’orgasmo si fermava, aspettava che l’onda si placasse poi riprendeva. Da parte mia avevo cominciato ad insistere sulla clitoride che ora appariva una piccola bacca rossa, quando inserii prima uno poi due dita nella sua vagina venne in un orgasmo potente, menando il bellissimo culo e mugolando. Come assatanata si impegnò di più sul mio cazzo mordicchiandolo, non potevo più resistere e venni con un grugnito. Era quello che voleva, bevve tutto fino all’ultima goccia, assicurandosi fino all’ultima stilla passando la lingua sul buchino.
Si girò e si sdraiò accanto a me, potevo sentire il calore dei suoi seni pressati contro il mio petto, ci baciammo scambiandoci i sapori dei nostri umori. Le sue gambe avevano avvinghiato la mia gamba sinistra ed il lento sfregamento contro la mia coscia provocato dal movimento del suo bacino le provocava una forte sensazione di piacere. Vederla masturbarsi con il mio corpo mi eccitò di nuovo. La volevo, volevo penetrarla ma lei non mollava la presa. Insinuai una mano e presi a sgrillettarla mentre le nostre lingue si avviluppavano di nuovo. Stavo per salire sopra di lei quando mi disse “Wait darling”, allungò la mano oltre il bordo del letto e tirò fuori un lungo vibratore di colore nero. Sarà stato lungo almeno 40 centimetri e largo 5, ricoperto di lattice che sembrava pelle, la superficie appariva lubrificata. . La vidi allargare le gambe ed infilarselo dentro, capii al volo, presi il controllo del giocattolo ed iniziai a muoverlo su e giù mentre le succhiavo il clitoride. Lei si torceva di godimento, le sue mani si aprivano e si chiudevano spasmodicamente stringendo i miei capelli, “Faster, faster..”. Venne inarcando il busto con una violenza che mi strappò il dildo di mano. Non ne potevo più, la girai e la tirai alla pecorina, senza tanti riguardi, mentre era ancora squassata dall’ orgasmo appoggiai la mia cappella al suo ano e spinsi. La sentii emettere un grido soffocato ed irrigidire le gambe ma il bastone ormai aveva varcato il suo sfintere. Mi fermai a godermi il suo stretto budello, poi allungai un braccio sotto di lei e tornai ad afferrare il dildo nero che ancora pendeva dalla sua vagina. Sincronizzando i movimenti presi a penetrarla in entrambe i buchi, lei godeva come una pazza agitando i fianchi, io spingevo come un animale facendo sbattere le cosce contro le sue natiche. Lei mordeva il cuscino per non ululare di piacere e svegliare tutto l’albergo. Quando affondavo potevo sentire quel cazzone nero che la riempiva dall’altra parte della sottile parete. Venne e venne ancora finchè le sue contrazioni non fecero venire anche me che le riversai un caldo getto di sborra su per l’intestino.
Ero esausto, ci sdraiammo sul letto e caddi in una specie di torpore mentre la sentivo ancora ansimare. Dopo un tempo che non riuscii a quantificare la sentii salire sopra di me. Aveva allargato le sue labbra e con queste aveva avvolto il mio cazzo ormai esanime ed in questa posizione aveva cominciato ad ondeggiare avanti e indietro nell’intento di risvegliarlo. Dopo qualche minuto il mio bastone aveva ripreso una qualche consistenza ma era ancora floscio. Lei lo fece scorrere dentro di se continuando nella rianimazione. Io ero stravolto ma volevo tener alta la bandiera, la girai sulla schiena e presi a spingere ma, vuoi le fatiche precedenti, vuoi la abbondante lubrificazione, stentavo a raggiungere una erezione decente. Accadde allora quello che non mi aspettavo. Con mano sicura Elizabet prese il dildo ed iniziò a premere contro il mio sfintere. Era grosso ed io, a parte qualche dito, non l’avevo mai preso dietro ma non so perchè questo mi fece l’effetto del viagra. Più il bastone nero mi sfondava il culo più il mio cazzo si intostava. Lei con sadica precisione faceva coincidere una maggiore spinta con il momento in cui tiravo indietro il bacino per preparare un nuovo affondo. Non capivo più nulla, menavo colpi come una bestia, la nerchia finta nel culo mi bruciava ma mi dava una eccitazione mai provata. Venni, venni per un tempo interminabile, spingendo fino ad avere i crampi alle gambe. Poi piombai in un sonno ristoratore.
Il mattino dopo mi risvegliai accanto a lei con un intenso bruciore nelle parti basse. La salutai con un bacio e tornai nella mia stanza. La trattativa andò a buon fine ed il mio lavoro finì, ci scambiammo gli indirizzi ma da allora non ci siamo più sentiti.

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