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Come una corda di violino

By 13 Ottobre 2023No Comments

Teso, come una corda di violino, alle tue spalle vibro di desiderio. Sono spalle larghe le tue, forti, di uomo ancora giovane, allenato alle “prove” della vita. Mi inebrio del profumo che emana dalle tue membra. Un odore potente, di muschio di quercia misto a lavanda, che esala sensazioni di geranio, di tropici lontani, di piante erbacee, di fresco estratto di vetiver proveniente da terre selvagge d’Africa. Radici e muschio miscelati che effondono nell’aria la potenza rigenerante della tua natura virile, eppure tanto dolce da stimolare le mie carni che sai sfiorare come delicati petali di rose, impregnandoti dell’odore dell’intima mia sostanza che si frammischia alla tua eccitante fragranza.

Accarezzo l’ambra che si distende sotto le mie mani, la tua pelle abbronzata, segnata dal calore del sole che ti ha lungamente baciato (destando la mia gelosia) nel ciclo vitale del giorno. M’inebria e mi turba sapere che fra poco saremo saldamente uniti, incastrati, incapsulati, fusi in un unica gemma splendente di mille pulsioni, di inedite sensazioni, di irraggiungibili estasi desiderate, nutrite, anelate. Ci contorceremo lungamente, addensati in unica materia.

Ti stringo fra le mie braccia, il mio petto contro la tua schiena, affacciandomi sul tuo sensibile orecchio, leccando la cartilagine esterna, gustando il carnoso lobo pendulo, penetrando nel labirintico dotto per vellicare il meato auricolare. Brividi di piacere ti scuotono. Le mie calde braccia ti cingono la vita; le mani risalgono dall’addome verso il tuo petto. Lasci che tasti le tue dure mammelle, i capezzoli turgidi; li sfioro con i polpastrelli, giocandoli, titillandoli intorno; li avverto ancora più gonfi (imboccarli è il mio struggente desiderio, ma non posso dalla posizione alle tue spalle; eccitarli con le labbra, soffiarli: ance del mio godere, brividi del tuo piacere!). Accarezzo il collinoso petto; le dita si districano tra cespugli ombrosi sparsi su ondulate chine e poi s’aggrappano ai ruvidi umboni, areole zigrinate, cercando il provocante appiglio sessuale dei tuoi capezzoli.

In quel momento mi sorprendono le mani guidate dalle tue forti braccia che, retroflesse sul fondo della mia schiena, nonostante la difficile posizione in cui ti trovi, prono sotto di me, mi afferrano le chiappe, dilatandomi l’ano. Colpo proibito! D’istinto inarco la schiena indietro, mentre la mia verga, oltremodo eccitata, s’innesta, con moto improvviso, nell’orifizio del tuo corpo, “pene”trando, sorpreso (riflesso involontario, spontaneo moto di anima e corpo). E tu, luciferino, m’accogli. Avverti la pressione che imprimo al mio attrezzo. Rilassi il muscoloso gluteo, dilatando l’ingresso per facilitarmi il percorso. Il mio “cuore” sprofonda nella tua burrosa dolcezza, apprezzando con gioia la tua prensile attitudine! Chiudo gli occhi e mi prodigo a oscillare il bacino nel moto naturale, nei due sensi, in avanti e indietro, strofinando il pistone nel tuo capiente cilindro, arroventando le pareti del nostro “Amore”.

Tu sfiati di godimento; io mugolo di piacere; tu guaisci, mostrando il dolore che provi nel subire l’affronto; uggioli prostrandoti, però, all’amplesso. Accelero per cercare il momento più intenso che ci faccia annullare nell’orrido botro che ci vede precipiti. Ansia mi prende! Non so se per raggiungere l’acme supremo della nostra apoteosi, ovvero per ritardare l’istante in cui ci sentiremo assolti dal nostro carnale fardello, alleggeriti dal nostro peso, inglobati nel nostro vischioso, reciproco umore che ci avvolga in un bozzolo di suprema voluttà.

Ti stringo, tenendo il mio coltello ancorato al fodero della tua carne, che non possa sfuggire; né tu lo vorresti nella frenesia che ci annebbia la mente. Una mano mi scivola verso il basso in cerca del tuo “fallo”. Facile è la presa. Il tuo nerbo proteso è raggiunto! Lo sento proteso, turgido, gonfio di piacere. Stimolo la cappella che continua a filare liquido prostatico. Lo afferro al centro del corpo del mostruoso randello che cerca di liberarsi dalla mia stretta che l’obbliga a inghiottire la naturale effusione della liquorosa materia. Freme nella mano che lo strozza, mentre avverto i versi soffocati del suo padrone che partecipa alla congiura autolesionista, infilandomi un dito nel profondo del mio ano (vorrei che fosse più in fondo, ma può solo affacciarsi al mio fosso, costretto dalla posizione infelice che lo vede capro espiatorio delle mie “pene”).

Quell’indice inserito mi stimola il sesso che non può più contenersi e, rotto ogni indugio, riversa fiotti di lava nel capiente canale che l’accoglie. Riempie la cloaca, tracima e si riversa all’esterno, mentre il povero drudo piange di piacere, agitando l’occluso, cieco budello che provoca lo schizzo improvviso dello “tutto pieno”. Intanto continuo a segarti, violento; e tu sfiati ripetutamente, rauco accedi al godimento estremo a cui ti porto e…sborri, anche tu, violento in uno due tre quattro, cinque…sei sprazzi, più lenti, eiettando il tuo seme fra le dita della mia mano sul lenzuolo davanti, nel nostro talamo.

Svuotati, ansanti, giaciamo, di lato entrambi sul letto, ancora inseriti uno nell’altro, ancora un’unica massa, un unico corpo. Il sopraffiato si attenua, sfocia in un lungo sospiro, prima di diventare normale respiro. Oh, Dio, se ti amo!
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