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Racconti Gay

Il matto del paese

By 20 Aprile 2012Dicembre 16th, 2019No Comments

Non c’è dubbio che avrei potuto resistere alla sua carica. Non c’è dubbio che non credetti nemmeno un attimo alla sua minaccia; sarebbe stata la parola dello ‘scemo del paese’ contro la mia. Tuttavia il fatto di sentirmici costretto, la leggera euforia della grappa e la sua aggressività maschile, mi fecero arrendere quasi subito. In fondo lo avevo già fatto una volta. E, come per gli assassini, una volta che hai ucciso, un omicidio o due poco cambia.

Donato mi stringeva la mano sul suo cazzo così forte da farmi male, tanto da farmi temere di ritrovarmela fratturata.

‘ Va bene, te la faccio, ma lasciami la mano ‘ implorai ‘ lasciami dai, mi fai male!

Donato mi guardò con aria soddisfatta, ma con una certa sufficienza, come a ribadire il concetto che il gioco lo conduceva lui e che stava esercitando un suo diritto su qualcosa di suo; dopo qualche lungo secondo, mi lasciò andare la mano. Stette pensieroso ancora un attimo, pensando al da farsi poi, improvvisamente, mi spinse verso il letto e mi ci fece sdraiare supino. Tenendomi fermo con un ginocchio, si tolse la camicia e si slacciò i pantaloni e quando ebbe finito, mi alzò la maglietta scoprendomi il torace. Infine, liberato il ginocchio, lasciò che i suoi pantaloni e le mutande calassero fino ai piedi.

Questo cambio di posizione e la sua veemenza mi spaventarono un poco e non potei fare a meno di pensare di aver fatto una grossa cazzata ad accettare. Mi era andata bene una volta e, invece di andarmene via, mi ero fatto convincere da quel pazzo a rifarlo ed ora ne avrei sopportato le conseguenze.

‘ Zora, moglie mia ‘ diceva mescolando la realtà con la fantasia ed intanto aveva fatto aderire il suo corpo nudo sul mio. Il suo viso era a pochi centimetri dal mio, potevo vedere i suoi denti, la sua lingua, il suo alito di sigarette.

‘ Puttana! Puttana! Che belle chiappe che hai ‘ sussurrava mentre mi tastava le natiche ‘ Che bel culo, vieni qui, dammi un bacio… ‘ e presomi alla sprovvista appoggiò le sue labbra sulle mie e mi infilò la lingua in bocca. In un primo momento, ebbi un moto di disgusto e lui dovette accorgersene perché si staccò subito. Ma non si arrese. Sempre sopra di me, fece in modo di lasciare uno spazio tra noi due, cosicché potessi allungare una mano sul suo cazzo ed iniziare a masturbarlo; e, quando si sentì soddisfatto di quello che gli stavo facendo, mi ribaciò.

Questa volta però, non provai disgusto. Forse il suo alito e la sua saliva non erano ai massimo, forse l’odore del suo corpo sudato e quello che proveniva dal suo pisello non erano piacevoli, ma, l’insieme di questi elementi, uniti al suo desiderio quasi animale mi fecero eccitare. Improvvisamente, persi il controllo della realtà e mi immedesimai totalmente nella sua fantasia, divenendo a tutti gli effetti la sua femmina. Mossi la mia lingua e risposi al suo bacio, cercando di ritmare la lingua con il movimento della mano sul cazzo. Donato non parlava più e all’improvviso lo sentii godere sopra la mia pancia. Lasciai colare lo sperma caldo sopra di me, senza opporre resistenza, guidando il suo piacere e seguitando a rispondere al suo bacio caliente.

Quando si fu placata la sua voglia, si alzò e mi sorrise, indicandomi soddisfatto il lago di seme che aveva lasciato su di me. ‘ Ora mi devo lavare Donato ‘ gli chiesi supplichevole ‘ lasciami andare ‘ e lui senza opporre resistenza mi fece andare.

‘ Ci vediamo dopodomani? ‘ mi chiese prima che me ne andassi.

‘ Sì Donato. Dopodomani. Studia però.. ‘ risposi senza convinzione.

Uscii da quella casa convinto che non ci sarei mai più ritornato. Forse avrei parlato col prete, avrei inventato una scusa, forse sarei ripartito, forse sarei sparito. Mi era piaciuto farlo? Era solo stata curiosità? Comunque non si poteva nè si doveva più farlo. Non lo farò più, basta, quello scemo pervertito non lo devo più vedere. Ma le notti successive non riuscii a dormire. Ero agitato, avevo un forte complesso di colpa, mi vergognavo ed allo stesso tempo mi sentivo euforico. E se ci fossi andato un’altra volta? Una sola volta, tanto per riprovare? Forse.

Il giovedì successivo, subito dopo pranzo, con il cuore in gola, vestito di pantaloncini corti, t-shirt ed infradito, bussai alla sua porta.

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