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Racconti Gay

Il signore degli aneliti 1

By 25 Novembre 2008Dicembre 16th, 2019No Comments

Stavano scappando inseguiti da un’orda di orchi. Ogni tanto Lekola si fermava ad aspettare l’amico nano ‘Su dai Gemiti, svelto che ci raggiungono’ Avevano lottato strenuamente infierendo gravi perdite al gruppo di orchi che avevano incontrato nel tentativo di ricongiungersi alla compagnia dell’anelito, fino a che un altro drappello di mostri giunti in quell’istante aveva fatto spostare le sorti dello scontro a favore dei seguaci delle tenebre. L’elfo Lekola aveva fatto cadere tra loro e gli orchi un albero che era in bilico e questo aveva creato una certa confusione fra gli assalitori e aveva consentito ai due di prendere una decina di metri di vantaggio. Fortunatamente gli inseguitori correvano alla stessa andatura del nano Gemiti e quindi quei dieci, preziosi, metri rappresentavano un patrimonio che poteva essere conservato. Il terreno del bosco era scivoloso e, nel momento in cui passarono sopra un piccolo argine che costeggiava il fiume scivolarono entrambi percorrendo seduti il crinale erboso e umido e cadendo infine nelle fredde acque. Un attimo di smarrimento poi l’elfo Lekola disse a Gemiti ‘Saltami sulle spalle’ Detto fatto i due partirono per attraversare il fiume con il nano saldamente fermo sulla groppa dell’elfo che ora fendeva le acque turbinose.
Gli orchi si erano intanto fermati sul bordo dell’argine e urlavano quasi a pregare che il fiume travolgesse i due e risparmiasse loro una lotta che poteva comunque portare ancora a perdite. L’elfo e il nano procedevano nel fiume barcollando causa la forte corrente. Oramai l’acqua lambiva il collo di Lekola ma comunque riuscivano faticosamente a procedere. D’un tratto il livello del fiume cominciò lentamente a decrescere e questo stava a significare che avevano oltrepassato il punto più profondo e potevano quindi sperare di avvicinarsi alla riva opposta. Quando si resero conto di ciò gli orchi urlarono ancora di più, ma stavolta per dispetto, e i più coraggiosi cominciarono ad attraversare il fiume senza considerare che la loro attesa speranzosa ai bordi aveva fatto guadagnare terreno ai fuggitivi. Così, mentre i due raggiungevano la riva e si voltavano, ai loro occhi si presentava lo spettacolo di circa la metà degli orchi che, impacciati, si trovavano quasi in mezzo al guado e avanzavano lentamente.
Rincuorati da questo ulteriore vantaggio conquistato i due si lanciarono nella profondità della foresta cercando di far sparire le loro tracce. Corsero per un buon chilometro inerpicandosi per le colline che sovrastavano il fiume. In lontananza giungevano i rumori degli orchi che stavano organizzando la ricerca e questo era un ulteriore stimolo per entrambi a correre al massimo. Quando una radura si parò davanti loro sostarono un attimo a prendere fiato e a guardarsi intorno per cercare il posto migliore dove continuare la fuga. ‘Guarda lì!’ Esclamò entusiasta l’elfo, profondo conoscitore della foresta, indicando un cespuglio molto consistente appoggiato alla parete della collina. ‘Beh cosa c’&egrave?’ Chiese il nano e l’altro gli rispose ‘E’ una caverna coperta da un cespuglio. Vuoi che ripariamo là?’ I rumori degli orchi inseguitori si facevano più distinti e la fatica pesava quindi la risposta del nano trovò entrambi d’accordo ‘Sì andiamoci!’ Lekola si avvicinò al cespuglio, lo esaminò per bene poi scelse il punto dove scostarne i folti rami. Entrarono nel buio antro rilasciando il cespuglio a proteggere la loro roccaforte e avanzarono prudenti. La caverna era proprio buia ma, in lontananza, c’era un bagliore e lo seguirono. Percorsero un budello lungo e tortuoso fino a che non si aprì una stanza circolare dove un foro posto in alto lasciava filtrare la luce del sole oramai calante.
Lekola si avvicinò al buco che era creato da alcuni massi irregolari che erano caduti da secoli a questa parte fino a formare una collinetta sul fianco dell’altura che portava oltre il bosco verso la pianura. L’antro era abbastanza ampio per stare riparati senza offrire a sguardi curiosi da sopra i massi segni ella loro presenza e così fecero. Si accorsero allora di un bel problema: avevano tutti i vestiti bagnati e anche lo zaino non si era salvato, rimanevano solo alcune gallette semi bagnate da mangiare alla svelta, ma per cambiarsi niente. Con l’avvicinarsi della sera e del freddo restare con gli abiti bagnati era una scelta sbagliata e quindi dovevano porre rimedio. Ancora ansimanti per la battaglia e la fuga, ne discussero. Decisero infine che la cosa migliore, non potendo accendere un fuoco, era togliersi i vestiti bagnati e stenderli sperando che almeno perdessero un po’ di umidità durante la notte e cercare di stare riparati e vicini stesi sopra il mantello di Lekola che era il più ampio ed il meno bagnato. Cominciarono a spogliarsi. Gemiti esibì tutte le caratteristiche dei nani, una corporatura tozza e robusta, un culo molto pronunciato in fuori, e un arnese ben consistente anche a riposo, il tutto sotto una pelle dura a glabra a dispetto del barbone che ornava il suo volto. Anche Lekola era glabro, ma la sua carnagione era pallida e delicata e accompagnava la sua corporatura ben proporzionata e asciutta che culminava con un cazzo lineare e apparentemente poco sviluppato. Superava di quasi il busto il suo compagno di avventure ma nessuno dei due sembrava badarci. Si stesero sul mantello, all’inizio un po’ imbarazzati, poi il freddo della notte che cominciava a scendere subdolo e a infiltrarsi nelle giunture li spinse a farsi progressivamente più vicini fino a che il bisogno di calore li portò uno nelle braccia dell’altro. Cominciarono a scambiarsi il caldo tepore del proprio corpo a vicenda e questo diede serenità a entrambi. Passato il freddo impellente e cominciando a sentirsi i benefici dell’abbraccio, questo benessere diede loro una piacevole stimolazione. Ognuno avvertiva contro la sua una pelle molto diversa e questo non rappresentava un ostacolo ma faceva crescere la curiosità di una conoscenza più approfondita.
Gemiti che aveva il viso contro il petto dell’amico, cominciò a leccare i capezzolini del giovane elfo, mentre le mani dello stesso lo stavano accarezzando lungo tutto il corpo. I due membri cominciavano a dimostrare il piacere che il tepore dei loro padroni dava l’uno all’altro. Entrambi non avevano mai scopato con esseri di un’altra razza e questo rappresentava una scoperta che acuiva i sensi ed il piacere godendo di sensazioni sconosciute. Lekola era affascinato dalla consistenza e al tempo stesso della morbidezza della pelle dell’amico nano, la carne era così soda che risultava a volte difficile prenderla nella mano. Gemiti accarezzava beato il corpo dell’amico stupito e affascinato della sericità della sua pelle dalla delicatezza e al tempo stesso di come si adattava facilmente alle pressioni delle sue mani voraci. Avevano combattuto insieme, avevano visto la morte in faccia e le erano sfuggiti, ora il desiderio di sottrarsi alla morte si tradusse in un desiderio di vita e di sesso e si lanciarono ognuno a gustare il sesso dell’altro. Lekola impugnò l’uccello di Gemiti, che svettava gigantesco nel corpo del nano, anche per le dimensioni dell’amico, e, prima di prenderlo in bocca lo ammirò: era tutto bitorzoluto e ricchissimo di vene che si ingrossavano sempre più a scoperchiare una cappella larga e paonazza che contrastava quasi con il colore abbrunito dell’asta. Lo leccò lentamente poi lo fece suo stupendosi di come era strano sentirsi il cavo orale riempito di uno strumento così articolato e ben diverso da quello degli amici elfi che aveva in precedenza assaggiato.
Anche Gemiti aveva in pugno la base dell’uccello dell’amico elfo e ne rimirava le forme estremamente aggraziate e regolari, sembrava quasi lo studio di uno scultore che aveva voluto creare un arnese regolare e simmetrico. E poi era lungo e apparentemente stretto, ma stringendolo si accorse che esso si dilatava e si stringeva a piacere del suo padrone. Cominciò a leccarlo restando inebriato dal profumo di muschio e di maschio che esso emanava, allora, impazzito dagli odori e dalla libidine, vi si gettò succhiandolo e leccandolo per tutta la lunghezza. Passò poi a inghiottire le palle, prima una, poi l’altra rimando sorpreso dal fatto che la loro pelle fosse liscia e ben diversa dalla sua, raggrinzita e dura. Ma fu proprio per gustare meglio i coglioni dell’amico che si ritrovò con il naso dentro il solco a pochi millimetri dal buchino. L’odore del culo dell’elfo era una miscela indescrivibile di sapori: dal sudore all’afrore della foresta. Fu come se un corto circuito attraversasse il cervello del nano: non capì più niente e si gettò a leccare con la sua lingua rugosa il tenero bocciolo che lo faceva così eccitare. Teneva le chiappe aperte e stava succhiando con la forza di un vento, di un tornado, inumidendo l’entrata e ficcandoci dentro la lingua: sembrava quasi che il culo si aprisse accondiscendente per accogliere il dolce intruso in se.
E che questo massaggio di lingua fosse piacevole lo dimostravano i lamenti estasiati che dalla bocca dell’elfo impegnato nel bocchino si levavano con sempre maggiore frequenza. Questo fece aumentare ancora di più la foga del nano che oramai era lanciato: voleva quel corpo, voleva quel culo, lo voleva far suo, lo voleva possedere con una profondità e una intensità che non aveva mai provato, nemmeno la prima notte delle sue prime nozze. Decise di provare a penetrarlo perché il desiderio era talmente impellente da essere doloroso. Fece sistemare di schiena il dolce amico e posò le sue gambe sulle sue spalle. Ne intravide il sorriso mentre si avvicinava puntando il suo arnese fiammante di desiderio alla porta del paradiso, fu riconoscente perché con le mani esso stava dilatando le chiappe a favorire la penetrazione. Sostò all’ingresso premendo senza spingere. Colse una contrazione e spinse. Prodigiosamente i tessuti cedevano quasi fossero di burro ma mantenendo al tempo stesso la consistenza giusta per accogliere il dolce ospite. Sembrava quasi che essi si potessero aprire e stringere in funzione di chi entrava e delle sue dimensioni. Arrivò quindi fino in fondo e assaporò per qualche istante il piacere della conquista, poi cominciò a scorrere su e giù dentro e fuori, e quando usciva sentiva i tessuti richiudersi ma poi, dolcemente riaprirsi al suo nuovo ingresso. Lekola nel frattempo stava assaporando il piacere sottile di essere riempito da quello ‘strano’ uccello’ così diverso da quelli che il suo culo aveva ospitato in passato. Quando lo aveva tutto dentro le sue viscere lo stringevano a ‘sentirne’ tutti i contorni, tutte le venuzze, tutte le rotondità.
Entrambi ansimavano perché il corpo, la mente e l’anima di ognuno erano rivolti verso il piacere proprio e dell’altro. Gemiti ad un certo punto si fermò e togliendosi fece cenno all’elfo di mettersi a pecorina, si portò alle sue spalle, fece abbassare ancora un po’ il livello dove si posizionava il culo e, standosene in piedi, lo infilzò nuovamente con il suo tizzone ardente di desiderio. Prese quindi a vibrare colpi sempre più frequenti e sempre più profondi, con la forza che contraddistingueva la sua razza e il giovane elfo vi si abbandonò come una foglia si abbandona al vento che lo porta in giro. Ma dove portava quel turbinio che sentiva negli intestini? La risposta era semplice e la diedero entrambi urlando il loro piacere alla luna che faceva capolino dalla fessura della volta nella caverna. Ansimanti attesero che i respiri riacquistassero la consueta frequenza e si staccarono l’uno dall’altro, giacendo però vicini. Le mani di Lekola carezzavano dolcemente il corpo dell’amico, indugiando ora sui capezzoli, ora sull’imbocco del culo. Il nano era come privo di forze e lasciò fare ma al tempo stesso si chiedeva come fosse possibile che l’elfo fosse già pieno di desiderio: misteri della sua razza! Lasciò che una mano gli pizzicasse i capezzoloni e che le dita dell’altra, opportunamente inumidite, si facessero largo nello sfintere.
Erano anni che Gemiti non faceva sesso anale, l’ultima volta risaliva a quando aveva partecipato alla battaglia delle ‘Terre del Cazzo’ e l’esercito dei nani era stato lontano da casa oltre tre mesi causando un desiderio di sesso via via più sfrenato tra le truppe. Eppure stavolta apprezzava la dolcezza con la quale veniva preparato alla prossima penetrazione da quelle dita così delicate con i suoi tessuti intestinali. Ma come dovevano sistemarsi? Gemiti si alzò e, dando le spalle all’amico, si piegò in avanti divaricando le gambe mentre Lekola si sistemava in ginocchio alle sue spalle. Il nano temeva il momento della penetrazione perché ricordava i cazzi nerboruti dei suoi compagni d’arme che, senza molti preliminari, entravano causando dolore che poi lasciava posto ad un piacere profondo e intenso. Pensava anche che forse pure lui aveva dato dolore e piacere ai suoi commilitoni ma ora il passato era passato e quello che contava era solo l’uccello simmetrico e regolare dell’elfo che stava premendo all’ingresso del suo culo. Fu con sorpresa che si accorse che il suo sfintere era stato sforzato senza causargli eccessivo dolore, solo una fastidiosa tensione ai tessuti intestinali, sembrava quasi che lo spessore del cazzo di Lekola avesse lo spessore di un dito. Non sapeva il nostro nano che gli elfi così come avevano il culo (e le fighe) che si adattavano agli ospiti, così anche i loro uccelli avevano dimensioni che variavano in funzione del desiderio del padrone e della consistenza dell’ospite. E così, colpo dopo colpo, il cazzo cresceva di consistenza occupando tutto lo spazio che le viscere e lo sfintere del nano potevano offrire senza lacerarsi.
Fu solo dopo qualche minuto di manovre di adattamento che Gemiti prese coscienza di essere piantato su un cazzo sempre regolare ma di dimensioni quasi asinine. Sentirsi posseduto da un uccello di tali dimensioni gli causò un altro corto circuito e, ansando, cominciò a muovere il culo per farsi fottere più a fondo. Lekola aspettava solo questo e diede il via alla sua galoppata trionfante che si concluse un paio di minuti dopo riempiendo di candido liquido caldo gli intestini del nano. Ora erano veramente stanchi e, abbracciati l’un l’altro, lasciarono che le stanchezze della battaglia e del sesso facessero scendere il sonno riposante sulle loro membra e sulle loro menti.
Una pallida luce entrava dal foro sopra di loro ma a Lekola sembrava di aver sentito un rumore strano all’imboccatura del corridoio e per questo si era svegliato, ma quando si girò ebbe un brivido perché era troppo tardi! Un gigantesco orco si stagliava all’ingresso della caverna brandendo una spada sguainata e avanzando verso di loro. Non ebbe molto tempo per pensare ma l’unica idea che gli balenò per potersi salvare fu di girarsi mettendosi a pecora davanti al nemico dilatandosi le chiappe quasi ad offrire il proprio culo alla profanazione dell’orco. Questi si fermò perplesso, sapeva che avrebbe dovuto uccidere i due nemici ma il dono inatteso di quel culo così pallido, così tenero da infilzare lo fece indugiare. Poi pensò che poteva godere della offerta ricevuta e poi fare giustizia dei tanti commilitoni morti per mano dei due. Tanto bastava controllare il nano che continuava a dormire e tenersi la spada a portata di mano. Con un grugnito di goduria sfoderò la bestia che teneva in mezzo alle gambe, gli diede alcuni colpi, ma non ne servirono molti perché la situazione lo stava eccitando moltissimo, poi si avvicinò a quel buco che lo attraeva come una dolce ossessione.
Lekola aspettava sperando che la mossa a sorpresa gli desse almeno i minuti di vita di un amplesso e quindi il tempo per architettare qualcosa di più articolato. Desiderava di essere penetrato perché voleva dire che la sua strategia aveva avuto successo, ma al tempo stesso la temeva perché giravano strane leggende sulle dimensioni degli uccelli degli orchi. Sentì la grossa cappella posarsi all’ingresso del buco quasi stesse cercando la strada più giusta per entrare e, con terrore, si rese conto che non ne avvertiva i confini. Per quanto cercasse di essere rilassato fu come se una frustata lo avesse colpito quando l’orco gli sfondò il culo. Gli elfi &egrave vero avevano i tessuti che avevano grandi capacità di adattamento ma a tutto c’&egrave un limite! Ed era per questo che i primi colpi del nemico gli causarono un dolore fortissimo che si tramutò in un urlò che morì soffocato dalla mano che l’orco gli piazzò davanti la bocca. Aveva le lacrime agli occhi e pensò che forse sarebbe stato meglio morire senza passare queste sofferenze. Ma più il tempo passava più i tessuti del suo culo elfico si adattavano alle dimensioni spropositate del randello che lo stava squartando. E dai remoti recessi del suo cervello cominciò a salire un piacere sottile che a poco a poco si fece dominante. Il piacere gli diede la lucidità di parlare all’orco per capire come mai il loro nascondiglio era stato violato. Fu così che venne a sapere che l’orco stava cercando un posto dove cagare in pace e aveva scostato il cespuglio di ingresso della caverna poi la curiosità lo aveva fatto salire fino all’antro. L’elfo ora rantolava dal piacere anche lui come il suo penetratore. Questi vibrava colpi feroci quasi volesse massacrare il suo amante provvisorio con una spada meno affilata ma più consistente e intanto sentiva salirgli alla testa il piacere. Era oramai prossimo a inondare il condotto anale dello stuprato quando, stupito, vide la lama di una spada sbucargli dalla pancia mentre un dolore lancinante partiva dalla schiena. Gemiti, approfittando dell’accoppiamento tra i due, si era defilato, aveva raccolto la sua spada e,scivolato alle spalle dell’orco, lo aveva infilzato da parte a parte. Con un rantolio disperato l’orco cercò di girarsi verso il suo aggressore ma si accasciò esanime ai suoi piedi.
I nostri due amici erano lì scossi dal pericolo gravissimo che avevano corso, ma anche per quello che Lekola si era inventato per prendere tempo. L’elfo infatti si sentiva ancora ad un passo dal piacere che rappresentava il culmine di un percorso passato attraverso il dolore della penetrazione violenta e non lubrificata da parte dell’orco ma che alla fine stava sfociando nel giusto riconoscimento. Gemiti invece era rimasto, pur preso dalla tensione di cogliere alla sprovvista e uccidere il nemico, eccitato dalla visione del compagno violato dal membro del loro avversario. Fu quindi con immenso piacere che si sentì chiedere, quasi implorare, ‘Ti prego, fammi godere!’ Si avvicinò all’amico, lo fece sistemare comodo per la propria altezza e lo penetrò assaporando la lubrificazione naturale che si era prodotta nel canale posteriore. L’elfo fremette nel sentirsi posseduto, stavolta da una mazza amica, e si abbandonò completamente all’amico nano. Fecero sesso a lungo quel giorno e ogni volta che il dovere sembrava richiamarli a cercare i propri compagni di battaglie, il desiderio aiutava a trovare sempre nuove scuse. Infine si addormentarono non senza aver stavolta posto dei tranelli all’ingresso della ‘loro’ grotta.

Di Ettoreschi (ettoreschi@yahoo.it)

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