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Racconti Gay

Storia di un massaggio

By 19 Gennaio 2015Dicembre 16th, 2019No Comments

DISCLAIMER: Fatti, luoghi, persone qui raccontate sono frutto della mia fantasia, il che &egrave un peccato… Mi piacerebbe un giorno che il presente scritto diventi realtà.
E’ il primo racconto che scrivo, di getto e frutto della noia; mi scuso per eventuali errori. Il discorso interiore &egrave ovviamente sarcastico, non me ne vogliano eventuali colleghi.

Il fisioterapista &egrave un lavoro duro, soprattutto se sei agli esordi; non ti conosce nessuno, hai poca esperienza e vieni facilmente intimidito dal dolore e dalle persone, soprattutto se sei molto sensibile.

Già da tempo qualcosa non tornava. Sudavo freddo e mi tremavano le mani durante i massaggi, soprattutto se sotto avevo schiene imponenti, muscoli spessi e magari intravedevo qualcosa sotto i boxer; ovviamente per me era solo banale curiosità, quasi attrazione accademico-professionale per quell’insieme di corde, di leve e di carne che riportavo alla salute con le mie mani.
Un accenno, qualche battutina stupida “Te la cavi bene con le mani, eh?” buttata lì, dalla varia fauna che rappresenta perfettamente il mio gregge di pazienti, passando dall’imprenditore rampante che, come i cavalli da tiro, spende fino all’ultima energia finch&egrave non si schianta fragorosamente al suolo fino all’annoiata casalinga che getta all’aria i soldi pur di avere qualcuno con cui sfogare le sue sordide o pallestraccianti frustrazioni.

Altro giro, altro regalo. Soldi pochi, pazienti qualcuno, poca fiducia e tanto olio di gomito… Più il lettino, croce e delizia di 25kg da portare in spalla per scale anfratti corridoi animalidomestici caverne; stavolta &egrave un secondo piano, parcheggio davanti al portone, ascensore rotto e odore di cibo buono nell’aria – lo stomaco borbotta dalla fame; con un sospiro penso che la fortuna &egrave dalla mia parte.

Non tanto alto, molto in forma eppure non muscoloso. Questo l’essere umano che mi si para davanti, la cui croce (per lui) e delizia (per me) &egrave un insopportabile dolorino che lo tormenta costantemente solo durante la partitella di calcio con gli amici. Le solite domande professionali, frutto di un’addestramento universitario nauseabondo, creato per dar un’aria di mistica competenza ad un qualsiasi bipede dotato di attestato; un caso semplice insomma.
Lavato mani, disinfettato lettino (perch&egrave io disinfetto sempre il lettino! -Ed &egrave vero), paziente pronto, comincia il massaggio/trattamento/chiaccherata; perch&egrave si sa, il paziente &egrave un cliente e una persona che sta male, va messa a proprio agio.

E qui entro nel mio piccolo mondo, fatto di olio e carne, dove il mio palmo, le mie dita ed il mio gomito esistono al puro scopo di soddisfare la perversa brama di salute di questo corpo, che giace qui in mio completo potere. Scorrono veloci, pizzicano, tendono, stirano e premono secondo un millenario schema imparato in 3 giorni di corso a mille euro più iva a Ferrara.

E poi ci sono le chiacchere: mentre io, assorto nella meravigliosa macchina umana, rassicuro il sofferente di amena patologia della futilità della propria condizione patologica, ci senta di ammazzare il tempo rimanendo impuniti; o almeno, rilasciati per insufficenza di prove.
Che cosa fai nella vita, il lavoro, lo studio… Bravo Marco, fallo parlare, dopotutto &egrave abbastanza interessante. Solo alla domanda sulla ragazza glissa come un pattinatore sopra una macchia d’olio, peraltro arrossendo leggermente; non insisto, ed automaticamente, spinto da chissà quale ancestrale o sopito istinto, lo sguardo passa dalla povera coscetta infiammata alla linea lunga dei boxer. Non mi aspettavo nulla, al massimo il lieve rigondiamento dell’apparato genitale maschile; e così era. Lui lo nota, io non noto che lui nota, e dopo un nuovo torrente di parole su come l’università sia fucina d’uomini stupidamente colti e ottimisticamente inutili, i boxermostravano un figurino diverso; diversamente da prima, io lo noto e lui lo nota, e io noto che lui nota, e lui nota che io arrossisco. Perch&egrave sento un formicolio tra le gambe? Siano benedetti i jeans larghi, che tra le morbide volute di tessuto nascondo un’imbarazzante verità. La diga si rompe. Incubi sogni pensieri paure angosce desideri si distribuiscono formando un unico pensiero:

voglio il cazzo.

Nudo puro e crudo.

Le mani mi tremano vistosamente, e anche lì – Marco, dovresti fare il politico! – viene tutto celato dal famoso Massaggio Vibratorio, tanto caro a stimolare quei muscolini così teneri!

Siamo al termine; le mani, odiose traditrici dell’omoepifania appena compiuta si ribellano al lavoro. Ed ecco, quella maledetta frasettina presupponente la raffinata abilità delle mie falangi. Stavolta lo prendo come un complimento, e prima di rendermene conto, pronuncio la frase.

Quella frase.

Eccome se ci so fare…

Arrossisco violentemente, con i jeans che ormai mostrano la mia vergogna; la testa bassa, gli occhi oscenamente ricercano quel gonfiore nei boxer. Fermati Marco fermati fermati fermati. Lo sguardo sale, la sagoma &egrave netta. Il mio viso ormai violaceo incontra il suo. In quel sorriso le orride immagini del pubblico ludibrio a cui rischio di venire esposto scompaiono, e prende posto quel Marco che si vede dopo tre pinte di birra. Perch&egrave la birra si misura in pinte, mica in litri!
Continua a sorridere, io sorrido “però qui c’&egrave ancora un po’ di gonfiore!”. Non sono io. Sono io. Lo voglio. “e cosa si può fare?”
Il tessuto nero morbido lascia il posto ad altrettanta morbidezza; &egrave molto simile al mio, solo un pochino più grande; la vista, la mia prima vista di fronte ad un pene mi lascia inebetito per qualche istante buono. Sono un suo accenno mi ridesta. Sorride ancora.
Salto dal dirupo, dal baratro di cui non sono mai riuscito a scorgere il fondo. Un fondo dalla pelle morbida, che al mio tocco sussulta leggermente. Quel piccolo cilindretto di carne &egrave per me fonte di autentico terrore, eppure il corpo a cui &egrave attaccato non mi respinge, anzi, si priva del suo sangue, fluido vitale, per riempirmi la mano di cotanta bellezza. La punta &egrave violacea, il prepuzio teso. La mia mano, esercitata da ormai una decina d’anni all’atto impuro della masturbazione, imita i movimenti che ogni giorno mi liberano dalle tensioni e dalle menate di ogni giorno.

Lentamente, la mano va su e giù. Sorride. Marco &egrave nel baratro, e non si vede più.

Il mio sangue &egrave lì, a riempirmi i pantaloni, rubato ai centri prefrontali del giudizio. La mano va sempre più veloce, &egrave leggermente umido, e pulsa; sorride, e ansima, la mano si ferma e mi viene da urlare, da sfogarmi; mi guarda un attimo assorto e silenzio la bocca riempiendola di Lui. Spingo con forza finch&egrave lo sento in gola e il riflesso del vomito non c’&egrave. Questo corpo, che tanto mi ha fatto penare per la sua forma durante gli anni del liceo mi regala una sorpresa, una sorpresa sotto forma di gola profonda.
Sorride, e non dice nulla. Assaporo quel pene così duro ed eretto, asta e bandiera a suggellare la mia abilità, quattro soldati che issano lo stendardo della Mia Guadalcanal Omo; un sapore leggero, quasi impercettibile, più marcato su quella cappella ormai bollente. Conscio di tremendi soffocotti adolescenziali ricevuti da denti inesperti, che mai dovrebbero incontrare la delicata mucosa, la lingua turbina e gira su tutta l’asta, la mano lo afferra ed ecco che succhio le palle, pelose ma ben tenute. Sento la respirazione accelerare, un crampo e la mia gola &egrave inondata di liquido caldo; il sapore la consistenza e il calore sono insopportabili, lo ingoio con un guizzo….
Marco &egrave nel baratro, sta bene. Non torna indietro.
Non sapevo fossi così bravo… Con la bocca; il cuore si ferma, la professionalità ritorna, torno fisioterapista; “Come va?” – “Benissimo…Sei stato bravo” – “Dicevo per la gamba” – “Ah… Ma sai che non mi fa più male?” – “Ottimo, casomai contattami”. Biglietto da visita, chiudo tutto e fuggo.
Sorride

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