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Racconti erotici sull'Incesto

AMOK!

By 6 Luglio 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

Amok &egrave una parola malese che indica una “follia rabbiosa, una specie di idrofobia umana… un accesso di monomania insensata, non paragonabile a nessun’altra”. E’ un delirio, una specie di raptus che si manifesta improvvisamente, violentemente, senza un motivo apparente, che viene da dentro, neanche tu stesso ne sai la ragione, ma la ragione c’&egrave, &egrave profonda, nascosta. Non la sai perché l’hai sotterrata nel tuo intimo più profondo.
Amok &egrave anche un interessante libro di Stefan Zweig.
Non &egrave del libro, però, che intendo parlare, ma di questo malessere che a volte mi assale e mi fa fare cose che razionalmente non vorrei mai compiere. E’ un cambiamento improvviso. Qualcosa che lo scatena c’&egrave, sicuramente, ma neppure il mio psicoanalista &egrave ancora riuscito a identificarlo.
Raptus? Non lo so.
E’ un impulso inatteso, inopinato, brusco. E dopo non &egrave che io rimanga soddisfatto, appagato.
Per fortuna, finora non ho mai fatto del male a nessuno. La violenza, chiamiamola così, &egrave stata contenuta entro certi limiti. Contenuta, non controllata. Violenza, furia, aggressività. Anche allorché non &egrave necessaria.
Quando mi capita? Esclusivamente con l’altro sesso; se ne sono particolarmente attratto, affascinato; quando mi eccita; quando lo desidero; lo voglio.
Mi sono accorto di quello che mi andava capitando mentre allo stadio, dove eravamo per le finali scolastiche, prima di andare all’università, ero intento a vedere le gare. Dinanzi a me, Rosetta, la mia compagna di banco, con la quale andavo perfettamente d’accordo. Certamente che l’ammiravo. Era una splendida fanciulla, mia coetanea, avevamo festeggiato insieme il compimento della maggiore età. Un corpicino delizioso, lunghissimi capelli neri, occhi verdi. Non era mancata qualche fuggevole tenerezza, l’allungamento di una mano che indugiava sulla sua gamba, che le sfiorava il seno’ ed anche qualche bacio, senza particolare coinvolgimento.
Rosetta seguiva attentamente lo svolgersi della corsa. I suoi capelli erano quasi sulle mie ginocchia, li carezzavo dolcemente, e mi andavo eccitando. Mi sembrava come se stessi entrando in una nuvola, in un banco di nebbia, i suoni mi giungevano ovattati. Suoni strani, come di grida soffocate, di qualcuno che respirasse a fatica. Mi sorpresi a stringere le mascelle, fino a far scricchiolare i denti, avvolsi i soffici capelli di Rosetta intorno alle dita e tirai’
Che le tirassi i capelli me lo ha detto lei. Dette un piccolo grido e si voltò di scatto.
‘Mario, ma che fai, sei impazzito? Come ti salta in mente di tirarmi i capelli a quel modo!’
Uscii improvvisamente dalla nuvola, mi guardai le mani. Era vero! Avevo qualche suo capello tra le dita. Le chiesi scusa, non ricordo neppure che incredibile buffa scusa inventai. Scosse la testa, mi sorrise.
‘Sei proprio strano, certe volte.’
Per farmi scusare le proposi di prendere insieme un gelato.
Accettò. Non sembrava che mi serbasse rancore.
I capelli. Mi tornava sempre alla mente un quadro che raffigura Adamo ed Eva, con i capelli della donna molto lunghi, in parte sul seno e sul pube. Del resto credo che ai tempi del mitico Eden, il compito di curarli era demandato esclusivamente alla natura. Bei tempi!
Anche i capelli di un’altra Eva, mia madre, sono molto lunghi. Più o meno come quelli del dipinto.
A pensarci, &egrave proprio così, il contatto con i capelli, anzi con tutto ciò che gli inglesi chiamano ‘hair’, cio&egrave pelo, mi provoca qualcosa di strano, Parlo di ‘pelo umano’, perché carezzare il vello d’una bestia mi lascia indifferente. Non &egrave lo stesso con quelli che posiamo definire pussy-hairs. Si, quel morbido e serico pelame che adorna il sesso femminile.
Ne ho le prove.
Con Melania sono andato al cine, intenzionato a godermi la pellicola di cui tanto si parlava. Del resto, tra noi c’era una cordiale amicizia e null’altro, anche se si tratta di uno di quei ‘tocchi’ di ragazza che resusciterebbero anche il più morto dei cocks.
Nel voltarsi dall’altra parte, una ciocca dei suoi lunghi capelli mi sfiorò il volto, mi sentii pervaso da una specie di scarica elettrica. Fu istintivo porle la mano sulla spalla e afferrarle i capelli. Riuscii a non tirarli, come avrei desiderato, anzi come mi era imposto da una specie di istinto irrefrenabile. Mi limitai a carezzarli. Si spense la luce. Melania mi guardò con una strana luce degli occhi, era la prima volte che mi capitava di essere tenero con lei. Si avvicinò a me, prese l’altra mia mano e se la mise in grembo. Era aperta, sentivo, o credevo di percepire, i peli del suo pube. Volevo, dovevo, toccarli. Non fu molto difficile. La gonna aveva una zip sul lato, il perizoma era microscopico. I suoi ciuffi erano morbidi, serici, deliziosi. Avevo il desiderio di morderli. Si, morderle i peli. Ad un tratto afferrai un ricciolo e detti uno strattone. Melania soffocò a malapena un grido, sobbalzò. Tirai fuori la mano, era piena del suo magnifico vello. Riposi quella specie di trofeo nel taschino, la strinsi a me. Null’altro.
A casa, prima di andare a letto, presi i ‘peli’ di Melania e li misi sul fazzoletto bianco che avevo posto sul comodino. Erano corvini, ricci, serici. Li guardai fisso. Quelli di Eva, di Eva mia madre, sarebbero stati quasi rossi, lei era auburn-haired, aveva i capelli color rame.
Mi ci volle molto ad addormentarmi, e dormii male.
Sognai d’essere un piccolo uccello, uno scricciolo, che volava senza meta, impaurito, alla ricerca di qualcosa senza sapere cosa. Tentavo di fermarmi a mezz’aria, riprendevo a volare, allarmato, disorientato, smarrito. D’un tratto andai battere in un alcunché che mi teneva prigioniero, una pania che m’invischiava, e più mi muovevo disordinatamente e più ne divenivo prigioniero, quasi mi soffocava, sembravano tante corde che mi stringevano. Erano capelli, tanti, di tutti i colori. No, prevalentemente erano come fili di rame, cercavo di svincolarmi, di strapparli col becco’. Mi svegliai di soprassalto, madido di sudore, sgomento, terrorizzato’
Appena reputai che l’ora non fosse indiscreta, telefonai a Rosetta.
‘Ho paura, Rosetta, ma non so di che!’
‘Fra un po’ passo io, con l’auto. Ti chiamo col clacson. Scendi.’
Non mi fece attendere molto. Aprì lo sportello, salii, mi guardò con una tenerezza commovente. Ci scambiammo un bacio, soprattutto amichevole, fraterno, affettuoso.
‘Dove andiamo?’
‘Dove vuoi tu, Mario. Io, comunque, ho indossato il costume da bagno’ Piscina?’
‘Meglio mare. Non voglio vedere gente. Oggi la spiaggia non dovrebbe essere affollata, siamo appena agli inizi della stagione.’
‘OK’
Guidava con molta calma, guardava la strada, ogni tanto una sbirciatina a me.
‘Scusa, Rosy, ma mi sentivo perduto’ confuso”
Le raccontai il sogno.
‘Cosa avevi fatto, prima?’
Non le dissi nulla di Melania, del film, dei’peli strappati’ di come li avessi messi sul fazzoletto, del fatto che erano nerissimi, mentre quelli di’ no, non dissi nulla di ciò.
Stavamo entrando nell’abitato del Lido. Poca gente nelle strade e qualche negozio era ancora chiuso.
‘Per favore, fermati in qualche posto, desidero acquistare un paio di pantaloncini da mare. Anzi’ da bagno.’
S’accostò al marciapiede, fermò. Disse che mi avrebbe aspettato in auto.
‘No, vieni, mi aiuti a scegliere e poi andiamo a mangiare un bel gelato.’
‘Ti accompagno, ma il gelato lo prendiamo al Kursaal, allo stabilimento balneare, ne fanno degli ottimi.’
Acquisto rapido. Presi ciò che Rosy mi suggerì. Andammo al Kursaal, lasciammo l’auto al parcheggiatore, ci facemmo assegnare una cabina, un ombrellone, due lettini. Non c’erano molti bagnanti. La cabina era una delle migliori, in muratura, ottimamente attrezzata, anche con la doccia, calda e fredda.
Come entrammo, Rosetta tolse lo chemisier, rimase in slip e piccolo reggiseno che poco o nulla nascondeva della sua floridezza mammaria. Era bellissima. Io andai nel vano della doccia, e tornai indossando i pantaloncini appena acquistati.
Rosy mi guardò.
‘Ti stanno benissimo.’
‘Grazie alla tua scelta!’
Si voltò verso lo specchio, sciolse i capelli’
Ecco l’improvviso bagliore che attraversa la mia mente, la scarica che mi pervade’ l’impulso che s’impadronisce di me’ Sono alle sue spalle’ le afferro i capelli, con forza, quasi la faccio cadere sul pavimento, sempre con una mano che tira la chioma e l’altra che, freneticamente, le strappa il reggiseno, lo slip. E’ lunga, a terra. Adesso sono i miei pantaloncini ad essere lacerati, con violenza’
‘Mario’ non fare così’ non devi’ non c’&egrave bisogno’ lo voglio anche io’ tesoro’ calmati”
Ero tra le sue gambe dischiuse, col fallo prepotentemente eretto e vibrante, senza lasciare i capelli lo indirizzai alla sua vagina, ci fu una piccola resistenza, una contrazione certamente difensiva, poi la penetrai fin quando potei’ restai così’in lei’ fermo’
La sua piccola mano cercò di districare i capelli che ancora ghermivo, prese la mia e la portò sul suo volto’
‘E’ bello, caro’ &egrave bellissimo’ ma sta calmo’ sono qui”
Cominciò a muoversi, lentamente, poi più appassionatamente. Ora ero più rilassato, mi piaceva sentirmi nel suo grembo, pazzamente, e fu bellissimo, sempre di più. Gemeva, ansava, sussultava, e l’orgasmo la travolse nel momento in cui io straripai in lei. Meravigliosamente.
Tutto splendido, ma non riuscivo a spiegarmi il perché della mia improvvisa aggressività; la ragione per cui i capelli mi facessero quell’effetto scatenante. Rosy mi guardava, tra il felice e il rammaricato.
‘Perché, Mario, perché quel modo di saltarmi addosso’ quasi tu volessi violentarmi’ io ti voglio’ caro’ ti ho sempre voluto’ non”
Le tappai la bocca, dolcemente, con un bacio.
‘Scusa, Rosetta, scusa. Non so cosa mi prende. E’ come una forza interiore che non riesco a controllare, qualcosa che mi fa fare quello che non vorrei fare’ non lo so’ scusami”
La giornata fu piacevolissima. Prima di tornare a casa, dopo essere stati sui lettini, sotto l’ombrellone, più o meno vestiti data la mia furia che aveva quasi distrutti i costumi, tornammo in cabina, ci unimmo di nuovo, a lungo, incantevolmente. Tornammo in città.
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Andai a cercare, ancora una volta, ‘amok’. Rilessi più volte ciò che avevo già letto migliaia di volte: E’ un delirio, una specie di raptus che si manifesta improvvisamente, violentemente, senza un motivo apparente, che viene da dentro, neanche tu stesso ne sai la ragione, ma la ragione c’&egrave, &egrave profonda, nascosta.
La ragione c’&egrave, profonda, nascosta. Quale?
Guardai intorno: il soffitto, dalla finestra, i mobili’ A quell’ora, forse, erano già tutti usciti, ognuno aveva il suo lavoro da svolgere. No, il venerdì mamma ha il suo giorno libero. Non ha lezioni. Forse posso chiederlo a lei. Eva, mia madre, il mio porto sicuro, dove potevo rifugiarmi quando la tempesta mi sconvolgeva. Sono grande, ormai, un uomo fatto, ma tra le braccia della mamma, della mia giovane e splendida mamma, mi sento tranquillo. Mi piace farmi cullare da lei, carezzare, come quando ero piccino e qualcosa mi turbava.
Così com’ero, in pantaloncini e t-shirt, andai in cerca di lei. Non era in giro per casa, andai alla porta della sua camera, abbassai lentamente la maniglia, socchiusi l’uscio.
Era seduta alla toletta, in vestaglia, si spazzolava lentamente i lunghi capelli. Il suo volto bellissimo era riflesso nel grande specchio che, inoltre, lasciava scorgere la magnificenza, rigogliosa e solida, del seno che occhieggiava dai lembi semiaperti della vestaglia. Era il seno che mi aveva allattato, mi sembrava di sentire ancora il sapore del tiepido dolce liquido, di percepire il turgore del capezzolo che stringevo tra le labbra, e il live sussultare del suo grembo quando più avidamente succhiavo.
Mi scorse attraverso lo specchio, smise di spazzolare i capelli.
‘Mario! Tesoro, vuoi dirmi qualcosa?’
‘Si, ma’. Sono confuso”
‘Vieni qui, piccolo mio.’
Si girò sullo sgabello, senza preoccuparsi di chiudere la vestaglia. Ora erano visibili anche le belle gambe, le cosce, e il ramato dei suoi capelli, che le scendevano sul petto, andava a fondersi con quello, più scuro del pube.
Mi avvicinai a lei, mi tese le braccia, mi fece sedere sulle sue ginocchia. Stavo benissimo. Mi sentivo in paradiso. Un piccolo bacio, una carezza’
‘Allora, Mariuccio, cosa c’&egrave?’
‘Non lo so, ma’, ogni tanto divengo strano, faccio cose che non penso, che non vorrei fare”
‘Ad esempio?’
Mi teneva tra le sue braccia, i suoi capelli sfioravano il mio viso. Li toccai. Mi accorsi che mi contrassi, mi irrigidii’
‘Ecco”
Non riuscivo ad andare avanti.
Nella mente scoppiò, improvviso, un bagliore’ si diradò lentamente’ ogni cosa intorno perse colore, divenne tutto bianco e nero’ solo i capelli di mamma conservavano i corruschi riflessi ramati’
Rivissi tutto.
Era sdraiata sul letto, nuda, con le gambe fuori dalla sponda, divaricate’ era come una fiamma violenta quella che aveva tra le cosce’ più su il seno, candido, come la panna, con una grossa ciliegia su ogni bianchissima mammella’ Lui, mio padre, stava uscendo dal bagno’ anche lui nudo, col suo fallo eretto’ si avvicinò al letto’ si pose su lei’ non mi era ben chiaro cosa facesse’ ma il suo sedere s’alzava e abbassava’ sempre più in fretta’ aveva attorcigliato i capelli tra le sue dita’ quasi li tirava, come redini di un cavallo da domare’ lei gli aveva intrecciato i piedi sulla schiena’ non vedevo la sua testa, ma sentivo il suo continuo gemere’ lungo’. ossessionante’ e poi il suo grido’ che per me fu lacerante, assordante, straziante’ scappai senza fare rumore’ sconvolto, sbalordito, spaventato’ ero andato per chiedere di stare un po’ con loro, nel loro letto’ fuggivo confuso nella mia cameretta’ non so se svenni o mi addormentai’ quando mi risvegliai erano le dita della mamma che mi carezzavano’
‘Mariuccio, come ti senti? Se agitato’ caldo’ hai la febbre”
Ora erano le mie dita attorcigliate ai capelli di lei, e stavano tirando. Notai una piccola smorfia di dolore sul suo volto’ le stavo facendo male’ ero contento’ era quello che volevo’ mi eccitava’ mi abbassai per prendere un capezzolo tra le labbra, e lo succhiai voracemente’
‘Ma Mario’ cosa fai”
M’ero alzato, senza lasciarle i capelli, la stavo quasi trascinando sul letto’ la spinsi’ sulla sponda’ Mi guardava, esterrefatta, sbalordita’ la lasciai così, per un istante, il tempo di sfilarmi i pantaloncini’ il sesso balzò fuori imponente’ Mi chinai a nascondere il volto tra le sue gambe, a baciarla, golosamente’ Non potevo vedere il suo viso, ma ad un tratto sentii le sue mani tra i miei capelli. Alzai le mie e presi i suoi. Tirando piano, però, questa volta. Le baciai il pube, l’ombelico, tra le mammelle, i capezzoli, le sue labbra carnose che si dischiusero’ ero su lei’ prese il mio fallo e lo portò dolcemente alla rorida apertura dalla quale venni al mondo, mi attirò a sé, si spinse verso me. Entrai tremante, era caldo, mi carezzava, mi mungeva dolcemente. Pur nella incontenibile eccitazione, mi sentivo rilassato, calmo’ Sentii i suoi piedi intrecciarsi sul mio dorso, e lei che ondeggiava voluttuosamente. Ero aggrappato ai suoi capelli’ alla mia ancora di salvezza’ Gemeva, meravigliosamente, lungamente, sempre di più’ e questa volta fui io a strapparle quel grido. Liberatorio. Per lei e per me.
Da allora, vedere, carezzare i capelli &egrave solo il rinnovarsi d’un ricordo fantastico. D’una magia salvatrice. Lei mi ha dato la vita una seconda volta.
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