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Racconti erotici sull'Incesto

Anche i commercialisti sbagliano

By 30 Novembre 2006Dicembre 16th, 2019No Comments

In questo racconto dal taglio un po’ ‘cinematografico’ ho cercato di amalgamare sesso e ‘noir’, matrimonio classico ma impegnativo.
Sperem ben’

Anche i commercialisti sbagliano

Lo stava spiando dal buco della serratura, in vestaglia e colla folta chioma scarmigliata, trattenendo il fiato.
Lui uscì dopo pochi istanti dalla doccia, il fisico prestante lucido come quello di un lottatore, asciugandosi i lunghi capelli ondulati, che come viticci gli ricadevano sulle spalle ampie e nerborute.
‘Dio mio”, pregava la signora Rossini scrutando il figlio, le labbra socchiuse, assalita da ondate di desiderio che la colpivano con la violenza di uno scudiscio. ‘Dio mio’dammi la forza di resistere, &egrave mio figlio! No, non posso’&egrave’&egrave mostruoso quello che mi passa per la mente”, si ripeteva, sperando che la razionalità avesse la meglio sul brutale istinto che in quel momento le guidava la mano tra le cosce.
Ma ritornando in camera sua , col cuore martellante e la gola riarsa, sapeva che la lotta sarebbe stata impari.
Sdraiata sul letto, nuda e tremante, appagò finalmente la propria femminilità infuocata, la mente rivolta all’immagine dolce e proibita del figlio Davide’

-Mi dispiace, signora’-, sospirò lentamente il dottore, con lo sguardo basso, comunicandole la terribile notizia. ‘Il tumore &egrave già in stato avanzato. Voglio essere onesto fino in fondo con lei: ormai non c’&egrave molto fare. Purtroppo, in questi casi, quando si inizia ad avvertire il dolore &egrave troppo tardi per sperare che le cure servano a qualcosa. L’avessimo scoperto prima, qualche mese fa, forse’
-Come’come’-, balbettò la signora Rossini impallidendo, invecchiata di vent’anni.
Una tenda nera le offuscò la vista, mentre una sensazione di nausea e sfinimento le annodava la gola. Svenne.
Il medico e l’infermiera, dopo qualche minuto, riuscirono a rianimarla: volevano che restasse a riposare un po’ sul lettino, ma la donna si ribellò.
Iniziò a singhiozzare, torturata dal tremendo aculeo che si faceva largo nella sua mente, e che diventava sempre più acuminato mano a mano che riprendeva lucidità, come le preoccupazioni che cerchiamo di sconfiggere nel sonno, ma che tornano a pungerci inesorabili alle prime luci dell’alba.
-Tutto’voglio sapere tutto, dottore! Quanto mi resta?-, piagnucolò la povera donna.
-Due, tre mesi al massimo’-, replicò il medico guardandosi le mani, con un tic nervoso che gli deformava il volto ossuto, cercando di addolcire col tono della voce quella pillola avvelenata. ‘Mi dispiace signora. Le sto parlando da uomo, non da medico, in questo momento. Tenteremo qualche cura, ma ormai non c’&egrave più niente da fare’un miracolo forse, chissà’
La signora Rossini si alzò rabbrividendo, scossa dai singhiozzi, e fuggì da quell’incubo che odorava di morte e cloroformio.
Corse a perdifiato finché le gambe la ressero. Si fermò esausta in un giardinetto schiacciato tra i condomini, a qualche centinaio di metri di distanza, sopraffatta dalle fiamme che le bruciavano i polmoni.
Alcuni bimbi giocavano allegri, cullati dallo sguardo amorevole delle madri.
Il suono argentino delle risate, il gorgoglio dell’acqua nella fontanella, la natura ubertosa che esplodeva nel pomeriggio estivo, il sole caldo che le accarezzava la pelle’Tutto le ricordò come una pugnalata la bellezza di quello che avrebbe dovuto abbandonare.
Vomitò, in faccia alla vita forse, che l’aveva ripudiata.

Il locale era stracolmo, grondante varia umanità.
Tranquilli padri di famiglia, ragazzotti più o meno squattrinati, pensionati, benestanti professionisti, vecchi e giovani, in giacca e cravatta o in jeans e t-shirt ‘tutti incatenati allo stesso, terribile demone: il gioco.
La bisca era nel seminterrato di un elegante palazzo del centro, ufficialmente adibita a sede di un non meglio specificato ‘Circolo culturale cittadino’.
In realtà, in una saletta celata nelle viscere della struttura, raggiungibile con una ripida scaletta dopo aver percorso un dedalo di corridoi, la facevano da padroni la roulette e l’whisky , il baccarà e il fumo, il poker e molte altre amabili attrazioni.
Davide entrò nel locale alle dieci di sera, lo sguardo torvo e teso, salutando distrattamente qualche conoscente già seduto ai tavoli.
Verso mezzanotte se ne andò, pallido e con gli occhi lucidi, dopo essersi giocato, e aver perso, l’ennesimo stipendio.
‘Il diciannove non ne voleva sapere di uscire’al poker peggio ancora! Che serata del cazzo ! E adesso come lo dico alla vecchia, che mi sono sputtanato un’altra mesata al gioco”, si tormentava tornando a casa, rattristato da quella che sapeva sarebbe stata la reazione di sua madre, a cui aveva promesso di smettere.
Ignorava ben altre drammatiche notizie, che lo avrebbero sconvolto appena rincasato.

Piansero quella notte, madre e figlio, teneramente abbracciati.
Quando la donna si confidò con Davide sul male incurabile che di lì a pochi mesi l’avrebbe strappata alla vita, il ragazzo scoppiò in lacrime, trascinando anche la madre in un nuovo abisso di disperazione, dal quale stava faticosamente riaffiorando.
-Dopo papà, anche te’-, singhiozzava Davide stringendosi al petto la madre, quasi volesse strapparla alla morte.
La signora Rossini piangeva sommessamente, le grosse lacrime che solcavano il volto dolce e mansueto, senza dir nulla, perché nulla si poteva dire.

Si svegliò in piena notte,intrisa di sudore, se sonno si poteva chiamare un leggero dormiveglia, col male che l’avrebbe presto uccisa a sghignazzarle beffardamente all’orecchio.
Quando suo figlio, alcuni giorni prima, l’aveva stretta a sé piangendo, stava perdendo l’autocontrollo.
Avrebbe voluto rivelargli il desiderio malato che la tormentava, e che si era fatto ancor più bruciante sapendo che poco tempo le restava ormai per poterlo soddisfare.
Restò a lungo sveglia, ad occhi sbarrati, dilaniata dalla lotta interiore tra cuore e mente, tra carne e spirito.
Molte ore dopo, quando un leggero e livido chiarore trapelò dalla finestra socchiusa e il rumore del primo traffico annunciò il risveglio della città, si riaddormentò.

Ma non le riuscì di riaddormentarsi la notte successiva.
Dopo qualche ora di sonno agitato si risvegliò in preda alle paure più angoscianti.
Della morte, del dolore’ma anche terrore di non riuscire a soddisfare il suo desiderio più morboso, l’unica cosa che la distraesse da ben altre, insopportabili preoccupazioni.
Si alzò e indossò la leggera vestaglia di seta posata su una sedia. Uscì dalla camera, e percorrendo il buio corridoio arrivò davanti alla stanza del figlio.
Si fermò un attimo, indecisa, impaurita, meditando di ritornarsene in camera sua.
Furono le sue carni torride, non la mente, ad ordinare al braccio di bussare timidamente alla porta.
-Sì ?-, rispose Davide.
-Sei ancora sveglio ? Non riesco a prender sonno, mi faresti un po’ di compagnia ?
-Certo mamma, entra pure. Stavo leggendo qualcosa-, disse il ragazzo, con tono allegro.
La signora Rossini entrò, timorosa e al tempo stesso eccitata, richiudendo piano la porta dietro di sé.
Il figlio, vedendola, ebbe un sobbalzo, come sempre quando ammirava la madre pronta per coricarsi: sublime nell’elegante veste da camera, dalla quale facevano capolino le sottili caviglie d’un bianco abbacinante e i deliziosi piedini scalzi, baciati dalla moquette.
Restò a bocca aperta mentre lo sguardo correva sui lunghi capelli scuri abbandonati sulle spalle, sul collo diafano, sui tratti sottili e delicati del bel volto maturo, che l’assenza di trucco rendeva ancor più indifeso e bisognoso di carezze, quasi virginale.
Davide, senza riuscirvi, cercava di scacciare i pensieri molesti che sempre aveva in queste occasioni.
Quante volte si era donato piacere, nel chiuso della sua camera, immaginando il corpo pallido e sinuoso che si era adagiato sul letto accanto a lui’
Quante volte l’aveva sentita urlare, con l’orecchio della fantasia, mentre lo stringeva tra le cosce, graffiandogli la schiena e baciandogli il collo, naufraga nell’oceano dei sensi’
Adesso l’oggetto dei suoi sogni più inconfessabili era lì, e gli sorrideva.
La signora Rossini, allungandosi, scoprì i polpacci e un tratto delle meravigliose cosce; scoprì pelle proibita, morbida e setosa, che pareva brillare nella penombra della stanza.
Davide deglutì rumorosamente, mentre un’erezione maestosa, che cercava di nascondere col lenzuolo, gli deformava i boxer.
-Non riesco a dormire, scusami-, sussurrò la donna, prendendogli la mano
-Non ti preoccupare mamma, tanto nemmeno io riesco a prender sonno. Fa troppo caldo.
-A dire il vero volevo anche parlarti-, continuò la signora Rossini, con un sorriso d’incertezza. ‘In questo periodo, come puoi immaginare, sto pensando molto al tuo futuro. Al mio, ormai’
-Non parlare così, ti prego !
-Ma devo ! E’ la realtà dei fatti, non possiamo far finta di nulla
-Sì ma’
-Quando non ci sarò più-, lo interruppe la madre,- tutto quello che abbiamo sarà tuo. Questa casa, il negozio, anche se so che di vendere cellulari e televisori non t’importa molto’E anche i fondi, i soldi che io e tuo padre abbiamo risparmiato in trent’anni di sacrifici’centomila euro, più o meno. Ma di questo abbiamo già parlato
-E allora basta’-, borbottò il figlio, la cui eccitazione per la vicinanza così intima della madre si stava trasformando in disagio.
-Zitto, lasciami finire !- , troncò lei, con un tono nel quale, sotto la scorza di durezza, trapelava l’affetto. ‘ La cosa che mi preoccupa di più &egrave quel tuo strameladettissimo vizio’tutti i soldi che ti sputtani al gioco ! Voglio solo che mi prometti che userai bene quello che avrai’Vorrei che ti trovassi una brava ragazza, che mi dessi un nipotino, anche se io non potrò mai vederlo’
-Ma mamma’
-Promettimelo !
Il ragazzo non se la sentì di confessarle che solo pochi giorni prima aveva miseramente abbandonato duemila euro sul tavolo verde. Mentì e promise, consolandosi e giustificandosi col fatto che, una volta defunta, la madre non avrebbe più sofferto vedendolo precipitare nei gorghi di una vita penosa e grama.
-E poi c’&egrave dell’altro’-, balbettò la donna, trovando d’un tratto la determinazione che le era sempre mancata. ‘Ho un desiderio solo prima di andarmene. Un desiderio malato, lo so, che non riuscirei mai a confessare a nessuno. Io stessa me ne vergogno’
Si gettò nel vuoto, sperando che amorevoli braccia giungessero in suo soccorso.
Avvicinò la bocca a pochi centimetri dalle labbra del figlio e gli sussurrò, ad occhi chiusi per trovare il coraggio: -Cerca di non disprezzarmi per questo’perdonami’amami’
E il bacio che gli diede fu quello di un’amante, non di una madre.
Davide fu vigliacco. I loro desideri erano gli stessi, ma non osò confessarglielo.
Restò sorpreso, questo &egrave vero, ma le sue braccia non respinsero quel caldo corpo che gli si donava, non allontanarono la bocca che si allacciava alle sue labbra. E la madre era troppo rapita, troppo intenso era il rogo delle sue carni, per accorgersi che la reazione del ragazzo non era quella che sarebbe stata normale in un figlio.
Pochi secondi ancora e già erano avvinghiati l’uno all’altra, nudi, dimentichi di ogni morale e divieto. Smaniosi anzi di poterli abbattere, placando i sensi nel santuario dei loro corpi.
La signora Rossini stringeva avidamente il giovane corpo del figlio, i muscoli guizzanti e fieri che innervavano i suoi quasi due metri di statura.
Scese con la lingua lungo i pettorali e lo stomaco del ragazzo, solleticando il teso reticolo degli addominali.
Ma quando la testa si abbassò ulteriormente ad abbeverarsi alla fonte proibita ed agognata, Davide non pot&egrave trattenere un profondo sospiro d’estasi e incredulità.
-Cristo mamma, mi fai impazzire’così impazzisco’-, mormorava piano, fissando il soffitto e carezzando i capelli della madre, che leniva con la bocca le sofferenze della sua verga affamata.
La donna era in uno stato di totale trasporto e abbandono, intenzionata a strappare agli ultimi mesi di vita il massimo del piacere possibile, per sé e per il figlio.
L’asta tesa del ragazzo scavava le profondità della sua gola, laddove nemmeno il padre era mai giunto.
Davide prese a sollevare il bacino verso l’alto, supino sul letto, mentre abbassava contemporaneamente e con forza la testa della madre. La fellatio raggiunse in tal modo un’intensità insopportabile, quasi dolorosa, che gli strappava gemiti d’indicibile piacere.
-Oddio ma”non credevo fossi così’-, grugniva osservando la donna, che puntava su di lui i sorridenti occhi nocciola.
-Tutto quello che vuoi amore’stanotte e finché potremo non ti negherò mai nulla, farò quello che vorrai’-, miagolò lei ad un tratto.
Quelle parole di assoluta sottomissione e disponibilità centuplicarono l’eccitazione del ragazzo, che improvvisamente mise a fuoco del tutto la situazione che stava vivendo, come se la voce della madre e il suo alito caldo e profumato l’avessero liberato dalla sua miopia.
Si alzò, in preda all’appetito più doloroso, e la strattonò in modo brusco giù dal letto.
-Cristo ma”così’-, mugolava mentre la possedeva brutalmente in gola, penetrandola così in profondità da strapparle irreprimibili conati di vomito.
Davide sospingeva la testa della donna verso di sé, mentre con violenti colpi di bacino immergeva l’asta nella bocca rovente, insensibile agli ansimi e ai mugugni di dolore della madre, ai disperati tentativi che faceva per non soffocare o rigettare, ai suoi occhi dolenti che lo supplicavano di smettere.
Quando il piacere divenne bruciante, il ragazzo si arrestò- la verga brillante di saliva che dondolava pulsando a pochi centimetri dalle labbra materne- ché la notte era ancora lunga.
Sollevò delicatamente la donna prendendola tra le possenti braccia, e l’adagiò sul talamo, le lingue vorticanti e abbracciate come edera al muro.
Spalancò le bianche cosce e la sua lingua si trasformò nel viatico che conduceva la madre in paradiso, viscida carne che la sollevava ad altezze incommensurabili.
Prese ad allargare piano le dolci pieghe della femminilità materna, che come valve custodivano la perla rosea e fumigante così a lungo desiderata.
E Davide giocò a lungo con quella perla, leccandola e titillandola come un gattino affamato con una ciotola di latte tiepido e un gomitolo di lana, mentre la madre impazziva, tirandolo per i capelli e piantandogli le unghie nel collo.
La signora Rossini emetteva versi e brandelli di parole incomprensibili, quasi stesse parlando nel sonno, respirando affannosamente.
-Amore’amore’&egrave’Dio mio’.-, riusciva solamente a sussurrare di tanto in tanto, in qualche raro istante di lucidità.
Solo quando, gemendo forte e inarcando la schiena, regalò al figlio il nettare pungente del suo piacere, Davide allontanò la bocca, reclamando per sé il corpo che gli aveva dato la vita.
-Sì amore, ti voglio dentro’voglio sentirti dentro di me’-, balbettava la signora Rossini, mentre il figlio, prendendole le caviglie, le apriva le gambe, approssimando la verga all’ invitante tabernacolo dischiuso.
Entrò lentamente nel corpo della madre, assaporando ogni anfratto di quelle carni morbide e tiepide, che mai la sua asta avrebbe dovuto conoscere. Ben presto raggiunse l’agognato nido, il luogo più recondito e misterioso, laddove trent’anni prima era scoccata la scintilla primigenia (bah’.forse mi sono lasciato prendere un po’troppo la mano’mi sembra di essere Hugo, ma tant’&egrave’).
-Oddio mamma, questa &egrave la cosa più bella della mia vita!-, ansimava Davide baciandole il volto e muovendosi convulsamente dentro di lei.
-Ti sento amore, ti sento dentro’torna dentro di me-, sospirava la donna stringendo i denti, mentre la verga incandescente che aveva creato le scavava il ventre.
-Oh sì mamma, lo sento che ti piace’ti piace sentirti il tuo bambino dentro, fino in fondo’
-Mmh’aggh’-, grugniva lei, stringendolo sempre più forte tra le gambe e accompagnando con tutto il suo essere i furiosi fendenti che la squassavano, che le aprivano le viscere come mai nessuno aveva osato e saputo fare, rivelandole l’abbagliante astro del godimento.
L’obelisco di carne continuava il suo lavoro incessante. I testicoli tamburellavano solenni contro i glutei della donna, quasi dirigessero il rovente amplesso; i versi animaleschi dei due amanti, i loro sospiri e gemiti strozzati riempivano il silenzio di quella notte estiva, dove l’amore e il peccato supremo si saldavano in un legame indissolubile.
Il ragazzo, accecato dalla corsa verso il piacere, diventò violento, insensibile alle esigenze della madre.
-Ti faccio morire, ti scopo come non ti ha mai scopata nessuno’-, rantolava, mentre gli affondi si facevano sempre più brutali, smanioso com’era di vincere la resistenza dolce e calda del corpo materno.
Prese a giocare crudelmente con i seni della povera donna, piccoli e pallidi globi carnosi che ricordavano quelli di una fanciulla. Affondava i denti in quella consistenza morbida e tiepida, arrestandosi solo quando i lamenti della madre diventavano strazianti.
Per parecchi minuti imperversò in quel modo sul corpo della donna, lasciandole il seno ed il ventre martoriati e doloranti, finché avvertì il seme scalpitare impaziente .
-Stavo già venendo-, bisbigliò Davide, baciandola delicatamente dietro un orecchio. ‘Non ancora’adesso girati, che voglio assaggiarti tutta.
La signora Rossini si mise carponi sul letto, quindi il figlio le scostò le natiche, rivelando l’implume e acceso sfintere.
Iniziò a leccarlo con voluttà, infilandovi la lingua per alcuni centimetri e mulinandola piano nelle viscere della madre. Un sapore disgustoso gli ordinava di smettere, ammonendolo con qualche conato, ma l’eccitazione e il desiderio di conoscere ogni recesso di quel corpo tanto amato permisero al ragazzo di proseguire l’esplorazione.
-Oh mio Dio, così non posso resistere’non’basta’-, si lamentava frattanto la madre, sudata e avvampata, sentendo l’umida e viscida protuberanza riempirle il retto.
Quando la signora Rossini disperava ormai di poter sopportare oltre quel celestiale supplizio, improvvisamente tornò la quiete.
Ma era solo il silenzio ansioso e innaturale che precede il terremoto.
Un dolore mai provato prima l’artigliò, come se un ferro incandescente l’impalasse, mentre il figlio immergeva la grossa verga nello stretto budello, che nessuno aveva mai violato.
-Te lo spacco’ti rompo il culo. Ti voglio tutta per me, solo mia!-, sibilava Davide devastando il ventre della madre, che fasciava l’asta come una guaina rovente e soffocante.
Il ragazzo dovette forzare parecchio per giungere alla meta, tra gli strepiti e le urla della donna, finché lo scroto rigonfio schiaffeggiò i glutei pallidi che stava cavalcando.
Abbrancò i seni della madre, quasi febbricitante nella sua foga, con lo stomaco ed il petto che aderivano alla schiena inarcata di lei.
-Ohh cristo’così mi fai male’rallenta, ti prego! -, gridava la signora Rossini, con la voce incrinata dal pianto, sforzandosi inutilmente di trattenere le lacrime.
-Taci, taci! Fatti scopare come mi piace’-, ruggì Davide, che iniziò a lavorarle selvaggiamente l’ospitale pertugio, mentre con le dita le tormentava i sensibili capezzoli eretti.
Il pungente piacere a lungo covato tormentava il giovane, che cercava di prolungare l’estasi di quella prima notte.
La mente vagò negli struggenti pascoli della memoria: si rivide appena adolescente, quando appagava i suoi sensi in subbuglio sognando la madre sottomessa alle sue voglie.
Ripensò ad un piovoso pomeriggio di tanti anni prima, quando lei e il padre, credendo di essere soli in casa, avevano dato libero sfogo al loro istinto, gridando a squarciagola l’estasi che li tormentava.
La disperazione invase l’anima di Davide, nel momento in cui capì che non sarebbe più riuscito a controllarsi.
Si ritrasse a malincuore dal tiepido rifugio, mentre il seme ribelle si incamminava verso la libertà.
Prese la madre per i capelli, in malo modo, ottenebrato dal formicolio dei sensi, e scesero dal letto.
-Apri la bocca, ti prego’sto venendo’-, supplicò tremando la donna inginocchiata davanti a lui.
Il membro paonazzo, teso all’inverosimile, sparì nella sua gola. Dopo qualche istante, pulsando piano, eruttò il nettare caldo della sua passione.
-Oh’Dio mio’-, balbettava Davide, sostenendosi alla testa della madre, tanto deboli erano le sue gambe in quel momento.
L’asta di carne era completamente affondata in quella grotta rovente, così in profondità che i denti della donna lambivano i testicoli ormai appagati.
La signora Rossini cercò di divincolarsi, per non rigettare.
-Ti prego mamma’no’resta così!-, la scongiurò il figlio, guardandola implorante.
Dagli occhi della madre comprese che tutto gli sarebbe stato concesso, in quella e nelle altre notti a venire.
La povera donna si rassegnò al trattamento con docilità. Solo quando il figlio, ormai soddisfatto, la lasciò libera, riversò sul pavimento alcune boccate di vomito e sperma, tossendo e respirando affannosamente.
Molte altre volte saziarono i loro corpi, quel giorno, quasi volessero rifarsi del tempo perduto.
L’alba timida e fresca che sussurrò infine alle persiane li trovò abbracciati nel sonno, esausti. Forse non sarebbe mai sorta, se avesse saputo di essere una tra le ultime della loro vita insieme.

Quella sera la bisca era affollatissima. Come la sua testa.
Vi si accavallavano in modo confuso i pensieri più disparati, senza che nessuno riuscisse a prevalere sugli altri. L’imminente morte della madre, l’eredità che ne sarebbe derivata e la mestizia perversamente abbracciata all’euforia di poter disporre di un così considerevole patrimonio lo avevano messo in uno stato d’animo mai provato prima, come se due forze uguali e contrapposte lo stessero strattonando per la giacca. Senza aggiungere ovviamente il dono che la notte precedente sua madre gli aveva fatto, e che si sarebbe ripetuto finché la sorte l’avesse lasciata tra le sue braccia.
Il demone quella notte era particolarmente vispo, all’erta: doveva aver bevuto più caffé di quanti ne avesse già bevuti lui.
Sussurrava all’orecchio di Davide la sua allettante litania, che lacerava come un mantra la debole forza di volontà del ragazzo.
‘Dai stronzetto, gioca ! Il prossimo giro andrà meglio !’ , blaterava il demone, seduto al tavolo del poker accanto al suo pupillo.
‘E dai, punta di più morto di fame, che fra qualche mese di soldi ne avrai parecchi, volente o nolente !’, sghignazzava al ragazzo che, pallido e nervoso, chiudeva gli occhi mentre la pallina bianca girava vorticosamente nella roulette.
Alle tre del mattino il demone, ormai sazio, se ne andò a dormire.
Davide, ingobbito e bianco come un cencio, uscì dal locale trafitto dagli sguardi degli altri giocatori, che lo fissavano con occhi in cui compassione e derisione si confondevano.
Giocò parecchio quella notte. Giocò forte, come non aveva mai osato fare, pungolato dal demone e anestetizzato dal dolore per la madre morente.
Entrò ricco ed uscì povero.
La casa, il negozio, i soldi’Tutto bruciato, ancor prima di poterlo stringere tra le mani, in una sola notte di follia e disperazione.
Pianse, ricordando che tra qualche mese l’avrebbe abbandonato anche la cosa più importante di tutte.

Quando il telefono squillò, Davide se ne stava tristemente abbandonato sul divano, cercando di ammazzare con un libro i cattivi pensieri che lo tormentavano.
Al quinto squillo si decise ad alzarsi, imprecando per l’interruzione.
-Sì, pronto !-, rispose sgarbatamente.
-Ciao Casanova’siamo noi’-, biascicò una voce rauca.
Il ragazzo non ebbe bisogno di chiedere spiegazioni. Conosceva fin troppo bene quel tono, canzonatorio e arrogante insieme.
-Che’che volete?-, mormorò intimidito.
-Ti sei divertito parecchio, stanotte !-, continuò la voce al telefono.- Spero che il signore tornerà a trovarci’
-Ma’che volete da me?-, balbettò il ragazzo, iniziando a tremare.
-Niente, niente. Volevo solo ricordarti che i debiti di gioco vanno pagati.
-Fra qualche mese avrò i soldi, ve l’ho già detto stanotte’
-Sì, sì’- , l’interruppe bruscamente l’altro. ‘La storia di tua madre malata che fra qualche mese ti lascerà la bottega, la stamberga e il conto in banca ce l’hai già raccontata ieri !
-E allora ? Fino a quel momento non posso’-, disse Davide, con la vista annebbiata ed il cuore impazzito.
-E allora niente ! Non so se questa storia sia vera o no. Comunque, se fra tre mesi non paghi ‘
-Pagherò, ve lo giuro !-, lo interruppe il ragazzo. ‘Quando mia madre mor’, quando erediterò vi darò tutto !
Silenzio.
-Lo conosci ‘Tarantella’, quel mezzo storpio che bighellona sempre attorno al locale, vero ?
-Sì’-, balbettò Davide, con le gambe molli come gommapiuma.
-Beh ecco’una volta giocava centravanti in serie C, e c’aveva pure un sacco di fiche’Poi una sera c’ha dato dentro un po’ troppo alla roulette e non ha saldato’E l’altro, che chiamano ‘el pirata’ perch&egrave c’ha la benda e gli manca ‘n occhio? Lo conosci ? Anche lui ha perso parecchio e non ha pagato. Così abbiamo applicato alla lettera il detto ‘occhio per occhio, dente per dente’, non so se mi sono spiegato bene’-, latrò la voce, sghignazzando allegramente.
-Pagherò, lo giuro !-, trovò la forza di rantolare Davide, prossimo ad un mancamento
-Ah’un’altra cosa’non cercare di svignartela, ti teniamo d’occhio !-, terminò l’altro, riagganciando.
Il ragazzo si trascinò fino al divano e vi si buttò come un automa, immerso nei più cupi pensieri.
Aveva appena chiuso gli occhi, trattenendo a stento lacrime di disperazione, quando il telefono squillò di nuovo.
Andò a rispondere, preparandosi a riudire quella voce acuminata, che gli azzannava le budella.
Ma all’apparecchio c’era qualcun altro.
-Buonasera’famiglia Rossini ?-, mormorò una bassa voce maschile, che non aveva mai udito prima.
-Sì, certo-, rispose Davide, sospirando per il sollievo.
-C’&egrave la signora, posso parlarle ? Sono il dottor Moretti.
-Un attimo’Mamma, c’e al telefono un certo dottor Moretti, vuole parlarti !-, gridò, rivolto verso il bagno.
-Sono in doccia tesoro! Fatti dire, non posso uscire’-, rispose la madre, con la sua voce dolce e amorevole che agì come un balsamo sul cuore strapazzato del ragazzo.
-In questo momento mia madre non può venire-, borbottò Davide al telefono. ‘Ha detto che può lasciare detto a me, se vuole.
-Mmh’certo’certo’-, disse il dottore, col tono di chi sta pensando al da farsi.
-Va be”senti’-, riprese, – di’ a tua madre che ho una bellissima notizia da darle.Riguardo quello che le ho detto la settimana scorsa, beh ecco’
La voce assunse una sfumatura di scusa e di gentilezza affettata, come di chi debba riparare ad un grave errore.
-Beh ecco’-, proseguì il dottore,- c’&egrave stato uno scambio di cartelle, un errore della mia segretaria, me ne scuso sinceramente. Tutto quello che ho detto a tua madre’tutto sbagliato! Sono contentissimo per voi! Comunque dille di passare dal mio studio o di telefonarmi al più presto, mi raccomando. Le spiegherò tutto.
-Okay, d’accordo-, rispose Davide, ripensando a ciò che gli era appena stato riferito.
-Bene, allora ciao-, terminò il dottore, interrompendo la chiamata.
Il ragazzo abbassò lentamente la cornetta, a bocca aperta, cercando di cogliere il significato implicito di quella conversazione.
In un primo momento la gioia più intensa rinvigorì ogni fibra del suo corpo.
‘Il dottore’uno scambio di cartella’il tumore non c’era, mamma sta bene !’, meditava, il volto estatico aperto in un ampio sorriso.
Pochi istanti dopo una gelida folata di paura riportò nella sua anima l’inverno più tetro.
La felicità appena scorta rese ancor più feroce e insopportabile il terrore che l’artigliò.
‘Ma se mamma sta bene’l’eredità’il debito ”, balbettò, sfigurato in volto.
La madre in salute implicava l’inesistenza dell’eredità presunta, che già aveva perduta al gioco.
D’altro canto, se si fossero ridotti sul lastrico per saldare i suoi debiti, la madre l’avrebbe guardato col più profondo disprezzo per il resto della vita, ne era sicuro.
Vide ‘Tarantella’ e ‘el pirata’ farsi beffe di lui, vide l’abisso che lo circondava: da una parte la vendetta degli strozzini della bisca, dall’altra la madre che l’avrebbe ripudiato, rinfacciandogli per sempre la loro miseria.
Intuì quello che dovette provare Raskòl’nikov nella casa della vecchia; gli sembrava che la sua vita e le sue azioni fossero guidate dall’inesorabile e sapiente mano di Dostoevskij.
Nel suo cervello alcune sinapsi inviarono oscuri e perversi impulsi, impercettibili cortocircuiti che lo incamminarono su di una strada senza ritorno: la paura e la vergogna imbrigliarono infine l’amore filiale.
Si trascinò in cucina, col passo incerto di un ubriaco. Aprì il cassetto del tavolo e prese un coltello, la lunga lama che mandava sinistri barbagli sotto la luce del lampadario.
Camminò lentamente verso il bagno, pallidissimo, con lo sguardo vacuo ed assente di un folle, e spalancò la porta.
-Che c’&egrave amore, ti serve qualcosa ?-, disse la signora Rossini, sentendolo entrare.
-Niente mamma’sono solo venuto a riprendermi quello che mi spetta’-, mormorò con voce atona, quasi parlando a sé stesso.
Un urlo lacerante, dove si mescolavano terrore ,dolore e sorpresa, fu l’ultimo suono che sgorgò dalla bocca della madre, mentre la lama le trafiggeva a morte il cuore.

A Davide sembrò di udire quel grido anche nella sirena dell’auto della polizia che il giorno dopo lo stava portando in carcere.
Lo sentiva sempre anche nel fastidioso fischio prolungato che annunciava l’ora dei pasti, nei trent’anni successivi passati in galera, dove inesistenti occhi accusatori lo fissavano attraverso le sbarre della cella, la notte.
E quando molti anni dopo, vecchio e canuto, solo e tremante, si congedò definitivamente su di un misero letto d’ospedale, fu sempre quell’urlo terribile l’ultimo suono che sentì, profeta di ben altri, inenarrabili tormenti.

L’espressione sorridente che il dottor Moretti aveva involontariamente assunto parlando col ragazzo si trasformò in una smorfia di rabbia a stento trattenuta.
-Quella stronza di segretaria’sempre a limarsi le unghie e a telefonare al fidanzato! Ma stavolta le rompo il culo!-, mormorò stizzito, richiudendo la cartrella. ‘ Sfido io che alla signora Rossini le &egrave venuto un mezzo infarto, quando la settimana scorsa mi ha telefonato e le ho detto cosa doveva pagare di tasse, quest’anno! Quell’imbecille ha messo nella sua cartella anche gli incartamenti del signor Rossini, che con lei non c’entra nulla, e che &egrave proprietario di dieci appartamenti e due alberghi’brutta stronza. Che figura di merda!
Si alzò, sbuffando, e andò a riporre i documenti in archivio.
‘Va be’, al figlio l’ho detto. Almeno passerà una serata più tranquilla, povera donna”, rimuginava, tornando a sedersi sull’elegante poltrona di pelle.
-E comunque sono cose che possono capitare’e che cazzo, anche i commercialisti sbagliano!-, borbottò fra sé, accendendosi l’ennesima sigaretta della giornata.

Fine

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