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Racconti erotici sull'Incesto

La madre di Michele

By 27 Febbraio 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

Alla festa dei diciotto anni di Michele c’era una discreta animazione.
Io ero tra i suoi più vecchi amici.
Compagni di scuola fin dalle medie, poi al liceo, ed ora stavamo per ‘maturarci’ ed entrare all’Università.
Michele, come sempre, era molto gentile, ci accolse all’ingresso del Club dove aveva organizzato la festa, ricevendo con espressioni affettuose e cortesi i molti regali che gli venivano dati. Per tutti aveva una parola amabile, di ringraziamento.
A tutti diceva di scusare l’assenza della mamma, dovuta a imprevisti e improvvisi contrattempi.
Non c’era chi non conoscesse, di nome, la mamma di Michele, perché era sempre presente, dovunque e comunque, nel cuore, nella mente e sulle labbra del figlio.
Era una specie di leit motiv, a scuola.
La mia mamma mi ha spiegato’
La mia mamma mi ha aiutato’
La mia mamma la manda a salutare’
La mia mamma &egrave impossibilitata a venire al ricevimento dei professori, ma ha incaricato di sostituirla ‘tata Gaetana’.
Gaetana era bassotta, grassotta, con occhi inespressivi, sembrava sempre distratta, invece ascoltava e annotava nella sua mente.
Del resto, c’era ben poco da dire sul rendimento scolastico di Michele.
Sempre attento, diligente, educato, generoso senza farlo pesare.
Aveva i voti più alti di tutti, e riusciva a non darsi arie, a non rendersi antipatico.
Bisognava, però, sopportare pazientemente le infinite citazioni che si riferivano alla sua mamma, la onnipresente Teodora.
Michele te lo diceva appena ti conosceva: mi chiamo Michele, e mia madre &egrave Teodora, proprio come l’imperatrice di Bisanzio che, anche lei, aveva un figlio di nome Michele.
Ogni tanto ci portava ad assaggiare deliziosi pasticcini fatti dalla mamma.
Comunque, in otto anni che ci conoscevamo, che eravamo compagni di scuola, non ero mai stato a casa di Michele, nella sua bella ed elegante villetta a mezza costa, sui colli.
Michele aveva sempre decantato la bellezza, l’eleganza, la giovane età della sua splendida mamma, ma nessuno l’aveva incontrata né vista in foto.
Quella sera, alla sua festa, a me e a qualche altro amico più vicino a lui, aveva espresso il suo rammarico per l’assenza della mamma.
Ci diceva che era una bravissima danzatrice, e che sapeva anche eseguire alla perfezione bellissime danze orientali.
Cominciò a descriverla in un modo nuovo.
Per la prima volta ci parlava di come fosse bella, ma in un particolare modo.
Aveva capelli neri, lunghissimi, fino ed oltre le ginocchia, che spazzolava a lungo, e che la avvolgevano come in un mantello serico e corvino.
‘Dovreste vedere la mia mamma, quando &egrave vestita solo dei suoi capelli.
L’avorio delle sue gambe, dei fianchi, s’intravedono al muoversi dei capelli che l’accarezzano, le lambiscono il seno turgido dove campeggiano due meravigliosi lamponi.
E’ meravigliosa la mia mamma.
Il ventre liscio, piatto, impreziosito dal prato che sale dalle sue gambe, sul grembo, cosparso di infiniti riccioli scuri.’
Noi ci guardavamo l’un l’altro, sorpresi, e quella descrizione alimentava la fantasia, suscitava la nostra curiosità di giovani esuberanti e sempre interessati ai riferimenti erotici.
Gli chiesi, proprio io, quanti anni avesse la mamma.
‘La mia mamma aveva diciotto anni quando sono nato io, fate voli il conto.
Ma sembra che per lei il tempo non sia mai passato, ha un corpo da modella. Venere callipigia non &egrave che una brutta copia di lei. Ha carni sode, meravigliose, inebrianti”
La nostra eccitazione andava montando, i nostri piselli lo dimostravano.
Per fortuna cominciava un ballo lento, un vecchio tango argentino, e le ragazze, che mal sopportavano quel nostro appartarci a confabulare, furono lietissime di essere prese tra le nostre braccia e di accogliere tra le loro cosce la conseguenza della descrizione di Michele.
Io insistevo tra le gambe della generosa Marlene e dentro di me andavo ripetendo: ‘tié Teodora’tié” che quasi combinavo un guaio. Meno male che riuscii a frenarmi in tempo.
Comunque, Marlene comprese il mio dramma, e nell’angolo della serra del Club si adoperò diligentemente perché il coso riacquistasse pace, curando di non far restare in giro alcuna traccia della mia abbondante eiaculazione, come io ingurgitai fino all’ultima stilla che raccolsi dalla sua fica.
Da allora, però, non mancammo di provocare Michele a dirci qualcosa della sua mamma, soprattutto del suo corpo, della sua sessualità, delle abitudini.
Michele ci guardò dapprima sospettoso, diffidente, poi, cominciò a confidarsi.
Ogni giorno c’era qualcosa di nuovo.
Riuscimmo a fargli accettare anche qualche ragazza, nel gruppo dei ‘pochi’.
Ascoltavamo, attenti, i suoi racconti, cercando di non far trapelare un certo scetticismo.
Comunque, non potevamo nascondere che in qualche modo ci eccitavano.
Descriveva il volto della mamma come un perfetto ovale, dai tratti incantevoli, incorniciato dai capelli neri. Gli occhi, le piccole orecchie, le labbra.
Vedevo la bocca di Marlene che istintivamente si protendeva, come per un bacio.
Poi era la volta del seno.
Scultoreo.
Aveva gli occhi socchiusi, mentre parlava, e faceva vedere le tette materne in ogni particolare, l’attaccatura, la rotondità, la sodezza, l’alabastro della carne, il rosa delle areole, il vermiglio dei capezzoli, come essi si ergessero prepotenti, invitanti.
Sembrava come se scorresse le fattezze di qualche scultura classica, della Paolina del Canova’
Io ne profittavo per comparare tattilmente quanto Michele tratteggiava e la tetta di Marlene, ricevendo in cambio un baciò di sfuggita quando le dissi che la sua era più bella.
Teodora cominciava a non avere più segreti per noi, per gli amici, e le amiche, del figlio.
La volta successiva passò alle gambe, iniziando dai piccoli piedini, dagli alluci graziosi, salendo alle caviglie snelle, al polpaccio affusolato, alle ginocchia lisce e tonde.
Stavamo in attesa, ansiosi, che proseguisse a salire, nella descrizione, ma saltò all’ombelico, piccolo aggraziato, che era piacevolissimo esplorare con la punta umida della lingua, prima di lasciarla scivolare più in basso.
Eravamo tutte orecchie.
Marlene era stretta a me.
Le cingevo la vita, la mano sulla parte scoperta tra la gonna e la blusa, il dito che carezzava piano l’interno del suo ombelichetto grazioso.
Le sussurrai che avrei voluto baciarglielo.
Michele, intanto, stava spiegando come fosse affascinante per una lingua fremente incontrare i riccioli increspati del pube di Teodora, scendere nella valle delle delizie, percorrerla fino all’ingresso del pozzo incantato, indulgere in una breve esplorazione preliminare, sentirne il palpito, ritrarla, proseguire lungo il canyon delle natiche opime, omaggiare il bocciolo rosa che si nasconde tra esse, e insistere risalendo lungo la schiena liscia come la seta, scostando i lunghi capelli che la coprivano.
I nostri uccelli impazzivano, scoppiavano nei pantaloni, e i bacini delle ragazze si protendevano in avanti, le gambe si dischiudevano, in attesa che le nostre dita si introducessero nelle loro passere vogliose e stillanti.
Diavolo di un Michele!
Era normale che alla fine del racconto ci fosse un coro di: ‘e poi?’
Michele sorrise, alzò le spalle.
Per quel giorno era tutto.

Nella saletta riservata del Club avevamo preso i vari cuscini e li avevamo messi a terra, in circolo.
Ci eravamo seduti sopra, con le gambe intrecciate, alla araba.
Saggiamente le ragazze non erano in jeans.
Si presumeva che indossassero gli slip, sotto le mini, o un perizoma.
Marlene aveva qualcosa che sembrava tanto un filo interdentale, o più esattamente inter’labiale, che non celava neppure uno dei suoi riccioli dorati, e che non ostacolava affatto ogni eventuale visita, di qualsiasi genere.
Michele aveva un’aria, come ispirata, che assumeva ogni volta iniziava uno dei suoi racconti.
Così, accosciati, in tondo, ognuno con vicino la propria ragazza, sembravamo gli ascoltatori intenti a seguire, incantati, il racconto del cantastorie, come si vedono ancora in qualche mercato arabo.
‘Ieri sera” ‘cominciò Michele- ”sono tornato a casa con un CD che ho regalato alla mamma: Sheherazade, di Rimsky-Korsakov.
Poi sono andato in salotto, a guardare la TV.
Ero uscito un po’, dopo cena, ero entrato nel negozio della musica, avevo scorto quella nuova edizione di Sheherazade, e avevo pensato che a mamma sarebbe piaciuta.
Non sbagliavo.
Dopo pochissimi minuti, qualcuno era entrato, silenziosamente, aveva spento la luce centrale lasciando solo un tenue chiarore, si era avvicinato al riproduttore di CD, e subito iniziarono le note languide e rapitrici della bellissima composizione dedicata alla principessa delle Mille e una Notte.
Era Teodora, che cominciò a danzare, mollemente, lascivamente, avvolta solo nei suoi capelli, con movenze sensuali e provocanti, forse più confacenti a Jezabel che a Sheherazade.
Gesti e atteggiamenti che divenivano sempre più stuzzicanti, affascinanti, invitanti.
Ondeggiare di fianchi, tremare di tette, incantevole spettacolo di glutei tondi e ammalianti, desiderabili.
Quando la musica cessò, mamma cadde al suolo, raccolta su sé stessa.
Mi alzai, le tesi la mano, l’aiutai a rialzarsi.
Era ancora in preda al rapimento della danza.
Si &egrave aggrappata a me, stretta a me.
Sentivo, attraverso la mia leggera camiciola, il premere dei suoi capezzoli rigidi, e le sue cosce che s’alzavano per ospitare la mia evidente erezione.
Era una cosa meravigliosa.’
Cercando di nascondere le mani sotto i cuscini che avevamo messo sulle nostre gambe, perché era tutto uno smenare.
Dita che carezzavano sempre più freneticamente clitoridi e fichette, falli segaiolati a dovere, e tutto uno sbrodolare che non riuscivamo a contenere.
Era come se Teodora fosse in mezzo a noi, sculettante e provocante, in avida attesa di completare la sua danza del ventre con dentro qualcosa di molto consistente.
E le nostre ragazze, in quel momento, erano tutte tante Teodore.
Dopo un attimo di suspense, Michele riprese il suo racconto.
‘Devo ammettere che ero arrapato come un mandrillo in fregola, e la mia fantastica mammina-danzatrice non era da meno.
Le misi la mano tra le gambe e la sentii bagnata, vogliosa, pronta.
Le sue labbra imprigionarono le mie. La sua lingua cercò la mia.
Mi chinai a ciucciarle i capezzoli.
Vibrava come le corde di un’arpa.
S’era rovesciata indietro col capo, il suo corpo nudo era stretto a me, il suo grembo era come una ventosa.
Sempre con lei aggrappata al mio collo, tolsi la camiciola, lasciai cadere pantaloni e boxer.
Teodora cadde sul tappeto, sul cuscino attorno al quale aveva girato intorno, danzando.
Il cuscino era proprio sotto le sue natiche.
Le gambe erano dischiuse.
Il sesso, contornato di splendidi riccioli color inchiostro, era lì, roseo, palpitante, proteso.
Fui su lei, dolcemente, mi prese il glande, lo portò vicino al pozzo del paradiso, e mi fece entrare.
Era come uno stormire di campane, un coro celestiale, un succhio lungo e vorace che mi svuotava, deliziosamente.
Non immaginavo, anzi non conoscevo, il modo di fare l’amore di Teodora.
Era magnifica, passionale, voluttuosa.
Gemeva dolcemente, e questo aumentava la mia eccitazione, si muoveva con maestria, fremeva, palpitava, veniva squassata da orgasmi favolosi, si fermava un momento, aspettava il tepore del mio seme, e cominciava di nuovo, insaziabilmente.
Non so quanto durò, quante volte si rinnovarono i nostri amplessi, ma filtravano i primi chiarori dell’alba ed ancora giacevamo, l’uno sull’altra, dopo aver a lungo sperimentato il godimento di tanti suggerimenti del kamasutra.’
Non aggiunse altro.
Si alzò, fece un gesto col capo, di saluto, uscì dalla saletta.
La mia eccitazione era alle stelle.
Quella di Marlene mi superava.
Decidemmo di andare a casa sua, la più vicina e libera per tutta la sera.
Marlene, maliziosa e raffinata, frugò tra i vari CD, trovò quello che cercava, si liberò in un baleno dei pochi vestiti e mi raggiunse a letto, dove l’attendevo in perfetta tenuta da torneo, con la lancia bene in resta.
Dovevamo scaricarci subito.
Al resto ci avremmo pensato dopo. Sarebbero stati i post’liminari!
Eravamo arrapatissimi, e quando si sparsero nella camera le prime note della Sheherazade (delicato pensiero di Marlene) stavamo già scopando appassionatamente, ardentemente, entusiasticamente.
Fu un turbinio travolgente, un susseguirsi di voluttuosi orgasmi, suoi e miei. Le conseguenze del nostro piacere, i risultati, gli effetti, si fondevano nella sua palpitante vagina, ci impiastricciavano, colavano tra le sue splendide chiappe, ma quando il mio insaziabile plettro tentò di trarre melodia anche dal suo bellissimo mandolino, Marlene non fu c’accordo.
Ansimava, era sudata.
‘Loro non lo hanno fatto’!’
E dovetti accontentarmi, si fa per dire, di ripercorrere la precedente strada.
Fu due giorni dopo che ci incontrammo tutti, di nuovo.
Questa volta seduti sui divani.
Almeno io, perché Marlene non disdegnò di sedere sulle mie ginocchia.
Michele ci guardava, senza parlare.
Fui io, per la verità, a rompere il silenzio.
‘Ci hai sempre parlato del culetto meraviglioso della tua’ cio&egrave di Teodora, ma quelle natiche affascinanti e stuzzicanti, credo di poterle definire, dalle tue descrizioni, voluttuosamente prensili, non hanno avuto alcuna parte nel dopo danza?’
Michele abbassò la testa, pensoso.
Cominciò a parlare con voce bassa.
‘E’ vero, quella sera festeggiammo come vi ho detto.
Ma c’&egrave stato un seguito.’
Ci accingemmo a prestare la massima attenzione.
‘Io l’ho detto, alla mia stupenda mammina, che quella danza era stata la causa per cui non avevamo resistito al nostro reciproco desiderio.
‘Sia benedetta la danza’, ha risposto mammina.
E ieri sera, mentre ero già a letto, con la cuffia, che ascoltavo Bach, &egrave entrata nella mia camera, ha armeggiato intorno all’impianto di diffusione acustica, staccato il mio auricolare e si &egrave messa al centro del vano.
Appena iniziata la struggente aria del ‘Canto Indù’ Tea ha lasciato cadere la tunica che indossava e, ferma sulle gambe, ha cominciato a far palpitare il ventre, a dimenare il suo splendido culetto. Poi ha iniziato a girare per la camera, lentamente, scotendo le tette, protendendo le natiche e facendole roteare sotto i miei occhi incantati.
Inutile dirvi che immediatamente il mio fallo ha assunto pregevoli dimensioni, e così svettante non aveva nulla da invidiare agli obelischi di Luxor.
Mi sono messo a sedere sulla sponda del letto, nudo, con quel coso ben eretto.
Teodora, giunta dinanzi a me, si voltava, dimenava il sedere, si avvicinava, e s’abbassava ricevendo il mio pisellone tra le sue robuste e tiepide chiappe.
E la cosa &egrave durata, esasperantemente, per tutta la non breve suonata.
Ogni volta le natiche si dilatavano maggiormente, il buchetto baciava il mio glande turgido e violaceo.
Fu istintivo, raccogliere dalla mia bocca l’abbondanza della saliva che si era formata e cospargerne la punta del pisello.
Teodora ripassava, e ogni volta suggeva col suo buchetto parte di quella crema viscida, che io rinnovavo continuamente.
Quando sono giunte le ultime note, la danza &egrave divenuta delirante, passionale, il sedere si agitava, le mani di Teodora dischiudevano le natiche, il buchetto, rorido, sembrava essersi ingrandito, sbocciato.
Si &egrave fermata di fonte a me, si &egrave voltata, abbassata, con la mano ha preso il mio obelisco, lo ha avvicinato all’incanto che custodisce tra le chiappe, vi si &egrave infilata con decisione, respirando profondamente, accogliendolo con lunghe e voluttuose peristalsi.
Si alzava e abbassava.
Con una mano le titillavo il clitoride, con l’altra strizzavo i capezzoli.
Non immaginavo che sopraggiungesse così rapidamente il suo orgasmo, ma seguitò, sempre più entusiasta, anche quando le mie dighe cederono ed in lei irruppe il fiotto travolgente del mio seme che l’andava invadendo.’
Michele si fermò.
Tacque.
Abbassò la testa.
Il culetto di Marlene non era rimasto inerte, anche perché le mie carezze non mancavano
Il mio fallo premeva nei pantaloni, tra le belle natiche della mia ragazza.
Le mie labbra erano vicine al suo orecchio.
‘Allora, tesoro?’
Lei annuì, senza parlare, e seguitò a strofinarsi sul malloppo che stringeva tra le natiche.
Non avemmo bisogno della saliva, noi.
Bastò inumidire la punta del mio coso nella sua madida vagina e poi trasferirla in altro loco.

La sconosciuta, di vista, madre di Michele, ma conosciutissima in tutti i suoi particolari anatomici e nei suo comportamenti erotici, destava la nostra curiosità. La esasperava.
Marlene, io e altri due compagni decidemmo di fare in modo di incontrare Gaetana, da sola, e farle qualche domanda.
Possibile che in tanti anni non sia stato possibile incontrare questa meravigliosa femmina, danzatrice voluttuosa, incantatrice e ingorda amante?
Ci appostammo, pazientemente.
Finalmente, dalla villa uscì l’utilitaria guidata da Gaetana.
Le facemmo segno di fermare.
Si fermò, abbassò il finestrino, ci guardò, con un lieve sorriso, gentilmente.
Ero stato delegato io a parlare.
‘Scusi, signorina, ma vorremmo avere notizie della madre di Michele, della signora Teodora. Abbiamo la sensazione che non stia molto bene.’
Gaetana sbarrò gli occhi.
Spense il motore.
Aprì lo sportello.
Scese.
‘Volete notizie della madre di Michele?’
‘Si.’
‘Della signora Teodora?’
‘Si.’
‘Ma benedetti ragazzi, la signora Teodora &egrave morta nel dare alla luce Michele!’

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