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Racconti erotici sull'Incesto

le schiave cap 1-5

By 31 Dicembre 2009Dicembre 16th, 2019No Comments

Auguri a tutti e un grazie speciale a Franca68 che si è presa la briga di correggere il possibile Cap 1-5

I giorni da schiava di Sonia diventarono settimane, le settimane mesi.
Con l’aiuto di mamma, della zia e della paletta, imparò velocemente a badare a casa, scoprendo anche un certo talento per la cucina.
Era felice, per incedibile che sembrasse. Ora capiva la mamma e la zia, capiva la loro devozione verso il padrone, vedeva la sua vita di prima vuota e superficiale. Ora aveva uno scopo e intorno trovava gente che la amava. I più non avrebbero mai capito un simile sentimento, ma lei era felice e questo bastava; così pensava Sonia mentre mamma e zia finivano di prepararla come il padrone aveva ordinato. Le avevano fatto mettere un paio di scarpe con tacchi altissimi e a parte questo solo la punta della scarpa toccava terra; sembravano trampoli. Indossava poi un corpetto molto stretto, il collare, che ormai era parte di lei e che toglieva solo per lavarsi, trucco leggero con labbra rosso passione; infine i capelli erano raccolti a coda di cavallo.
-Dai, andiamo, non facciamolo aspettare-, disse zia Selene.

Sonia s’incamminò verso la sala dei giochi con passo molto incerto. Dietro di lei le gemelle, la mamma e la zia, indossavano solo le scarpe e il collare.
Il trio entrò nella stanza. La giovane schiava si diresse verso il padrone e quando fu davanti a lui si fermò, allargò le gambe e mise le mani dietro la nuca, come le era stato insegnato. La mamma e la zia invece si buttarono ai piedi dell’ uomo baciandoli e leccandoli come cagne devote.
Il padrone, completamente nudo e seduto sulla sua poltrona, sembrava a Sonia un dio sul suo trono. La schiava vide un nuovo gioco nelle sue mani. Era qualcosa che non aveva ancora provato, ma sicuramente doloroso. L’idea la eccitò.
Il ‘gioco’ nelle mani del padrone era composto da due lastre di materiale plastico trasparente e rigido, grandi e spesse come due fette di pan carré, ed erano tenute insieme da quattro bulloni posti agli angoli. Il padrone cominciò ad allentare i bulloni.
-Questo è uno dei miei giochi preferiti-
disse il padrone a Sonia alzandosi,
-ora metterò un tuo seno fra queste due lastre e poi stringerò di nuovo i bulloni in modo che lo schiaccino in mezzo.-
L’uomo, finito di svitare i bulloni, separò le lastre e ne mise una sotto il seno sinistro e l’altra sopra. Reinserì i bulloni e cominciò a stringere, lentamente e dolorosamente.
Sonia sentiva il seno compresso sempre più dalla morsa e il dolore aumentare. Voleva gridare ma conservò il fiato per dopo. Sapeva di essere appena all’inizio.
Il padrone aveva stretto il più possibile con le mani. Non soddisfatto, prese due chiavi, le applicò una sopra e una sotto ai bulloni e fece forza stringendo ulteriormente le tette della schiava .
-Aaaaaaah-
Sonia non poté fare altro che gridare. La zia e la mamma, ancora occupate a leccare i piedi del padrone, udirono l’urlo e contemporaneamente pensarono che tra poco sarebbe toccato a loro.

L’aguzzino prese un altro oggetto identico al primo e l’applicò l’altra tetta. Ormai la schiava non si tratteneva più e urlava a squarciagola.
Il padrone finì di stringere anche questa morsa, poi fece due passi indietro per ammirare la sua opera.
I seni della schiava sembravano sandwich, compressi com’erano.
Il padrone si avvicinò alla schiava e mise brutalmente due dita nella figa, che era bagnata fradicia.
Sonia sentì le dita entrare in lei e darle forza per sopportare ancora un po’ quel supplizio che le straziava i seni.
Il padrone masturbava la ragazza sempre più velocemente. Sonia sentì l’orgasmo salire in lei e il dolore diminuire. Le mancò l’ equilibrio, s’appoggiò al suo signore, aprì di più le gambe. Le dita la violavano sempre più in profondità. Finalmente godette senza dire una parola, senza urlare, mordendosi le labbra.
-Ora facciamo divertire anche le altre ‘.
Il padrone sollevò la schiava e delicatamente la stese sul pavimento.
-Voi due venite qui. Sdraiatevi di fronte a lei e mettetevi le punte delle sue scarpe nella figa – disse il padrone.
Le schiave prontamente obbedirono e si sdraiarono di fronte a Sonia, allargarono le gambe il più possibile, afferrarono le caviglie della giovane schiava e conficcarono la punta della scarpe nella loro figa. Erano ancora quasi asciutte e le scarpe grosse. Le due donne fecero molta fatica a farle entrare nella fica, mentre Sonia cercava di aiutarle spingendo e causando loro dolore.
Il padrone intanto si era procurato un bastoncino cilindrico lungo una trentina di cm, dei chiodini e un martellino. Afferrò un seno di Giuliana, appoggiò il bastoncino al capezzolo all’interno fra seno e seno fra le tette puntò un chiodino dall’altra parte del capezzolo e inchiodò il capezzolo al bastoncino; poi ripeté l’operazione con l’altro. A quel punto entrambi i capezzoli erano inchiodati al bastoncino.
Giuliana gridò in preda al dolore pulsante che le era stato causato ai seni, strinse con più forza la caviglia della figlia e si cacciò la scarpa piu in profondità nella figa. Strinse i denti: conosceva il padrone da molto tempo e sapeva che il peggio doveva ancora arrivare.
Il padrone calò una corda dal soffitto e la legò al bastoncino che univa i seni della sventurata, poi tirò.
Un urlo straziante riempì la sala. Giuliana sentiva i capezzoli tirare verso l’alto e inarcò la schiena per assecondarli. I suoi seni ora erano tirati al massimo in alto.
Il padrone prese un’altra corda, l’annodò a un seno per poi passarla all’altro, poi di nuovo sul primo e cosi via. Quando ebbe finto, le tette di Giuliana sembravano un salume insaccato.
Soddisfatto della propria opera, slegò il bastoncino che teneva in tensione le tette della povera schiava. Sonia osservava il padrone all’opera; trovava attraenti le tette della mamma conciate in quella maniera.
Non ancora soddisfatto del ‘gioco’ il padrone afferrò per i capelli la madre di Sonia e la trascinò fino a un macchinario che lei non conosceva. Questo nuovo ‘gioco’ era cosituito da un cavalletto a cui la mamma venne saldamente legata a pecora dietro di lei vi erano due grossi peni di gomma collegati da tubi a qualcosa che sembrava un motore. L uomo posizionò i falli artificiali nei due buchi della mamma, fece entrare le cappelle, armeggiò poi un po’ vicino al motore, schiacciò un pulsante e i cazzi finti entrarono completamente dentro la donna, strappandole ancora urla di dolore, uscirono subito dopo per poi rientrare e uscire di nuovo. Entravano ed uscivano a ritmo sostenuto. Giuliana gridava il suo dolore ma anche il piacere di sentirsi sfondata da quei grossi arnesi che le sembrava arrivassero alle tonsille.
Sonia vide il padrone masturbarsi guardando la schiava sbattuta così violentemente. Il dolore al seno schiacciato da quella morsa era diminuito, ma l’eccitazione era salita molto e sentiva i suoi umori colarle fino al culo. Aveva voglia di un grosso cazzo o almeno di potersi toccare ma il suo signore non lo permetteva.
-Tocca a te ‘, disse rivolto a Selene,
poi l’afferrò per i capelli e trascinò anche lei fino ad un lettino, la sollevò e ce la lasciò cadere sopra.
-Vieni qui, Sonia!-
La schiava cercò di ubbidire immediatamente ma le scarpe avevano i tacchi altissimi, quindi ci mise un po’ ad alzarsi e a raggiungere il padrone.
Il suo signore intanto aveva legato saldamente la schiava al lettino e poi avvicinato un carrello.
Sonia aveva raggiunto il suo padrone e sorrise alla zia. Questa ricambiò, poi diede un’occhiata al carrello: sopra di esso stava il macchinario per la corrente a bassa tensione. Il padrone sistemò i cavi, due per ogni seno e tre per ogni labbro della figa, poi si avvicinò al macchinario.
-Vedi questa manopola, Sonia? Ha quattro posizioni: la prima è una tensione, la seconda dà piacere, la terza dolore e piacere e la quarta dolore. Regolala come vuoi-.
Sonia non ebbe dubbi: afferrò la manopola e la ruotò fino al massimo. Le urla della zia sovrastavano anche quelle della mamma. Il padrone osservò la zia dibattersi e inarcare la schiena sotto la scossa continua. L’eccitazione salì ancora in Sonia, che non resistette più e allungò una mano verso la figa, sperando di non essere notata. Voleva godere, ma il padrone se ne accorse.
-Ti prude, schiava? Ora ti do qualcosa che risolverà il problema, sdraiati per terra!-
La schiva obbedì come sempre. Il padrone prese un grosso vibratore pieno di borchie, lo accese e l’infilò tutto dentro la figa fradicia della schiava vogliosa. Per non farlo uscire, poi, afferrò le grandi labbra e le sigillò con cinque spille da balia .
Sonia godette come una porca nel sentire il grosso vibratore entrare in lei. Sentì le borchie contro il collo dell’utero e le piacque. All’improvviso percepì un nuovo dolore lancinante alle grandi labbra e capì subito che cosa fosse. Ma fu solo un attimo e il piacere tornò subito.
Il padrone la mise a pecorina e infilò il suo grosso cazzo nel culo della schiava con un sol colpo, la penetrò fino a colpirla con le palle,
restò immobile alcuni secondi godendosi il massaggio del vibratore poi prese a scopare Sonia con ferocia animale. Quel giorno era particolarmente eccitato, le urla delle schiave per lui erano musica.
Anche Sonia ricominciò ad urlare, un po’ per il piacere della doppia penetrazione e un po’ perché i terribili colpi del suo signore le facevano dondolare i seni ancora chiusi nelle terribili morse e le causavano dolori tremendi. Ma il supplizio non durò molto. Dopo pochi colpi il padrone, terribilmente eccitato, venne abbondantemente nelle viscere di Sonia fra le urla di dolore e forse anche di piacere delle tre schiave.

Alcuni minuti dopo il padrone seduto sulla sua poltrona, ansimava esausto dopo aver avuto il miglior orgasmo della sua vita.
‘ Sono le migliori schiave che abbia mai avuto, docili, ubbidienti, sottomesse, ma soprattutto così masochiste’, pensò il padrone mentre le schiave si liberavano a vicenda dagli oggetti di tortura che il padrone aveva applicato loro. Una volta finito si diressero verso lo spogliatoio per lavarsi e cambiarsi. Anche l’uomo si alzò, perché aveva urgenza di urinare. Entrò nello spogliatoio e si diresse verso il water.
Sonia era tutta un dolore. Le faceva male la figa e il culo, ma soprattutto le tette non le sentiva più. Vide il padrone entrare nello spogliatoio e dirigersi al cesso, lo seguì devota, lo superò e si inginocchiò davanti al water
-Padrone onora questa umile schiava ‘, gli disse. Poi spalancò la bocca nell’attesa.
Il padrone era sorpreso, puntò il moscio pene in direzione della bocca della schiava e ci pisciò dentro. Cercò di farlo lentamente, fermandosi a volte, dando il tempo alla schiava di bere fino all’ultima goccia.
-Questa schiava ringrazzia per l’ onore concessole-, disse Sonia.
-Questa sera dormirai nel mio letto-, disse il padrone compiaciuto della performance della sua schiava.
Sonia aveva da poco scoperto che la mamma e la zia dormivano nella stanza del padrone, a volte nel suo letto a volte in due lettini per cani di grossa taglia posti ai piedi del letto. Quella notte dormirono ai piedi del letto.

Sonia era distesa sul fianco nel letto del padrone. Nella camera buia tutto era silenzio; sentiva il respiro lento del suo padrone accanto a lei e le sembrava di percepire anche quello della mamma e della zia in fondo al letto. Pensava che non si potesse chiedere di più dalla vita, che le cose non potessero andare meglio di così.
Infatti non andarono meglio, ma peggiorarono e peggiorarono molto.

Nei due mesi successivi le attenzioni del padrone furono tutte per Sonia. Era sempre lei a portargli la colazione e a beneficiare dell’erezione mattutina, lei divenne la protagonista unica della sala dei giochi.
Le altre schiave non venivano più usate e la cosa le umiliava. Fin qui tutto bene, ma non avevano più un orgasmo da settimane, il padrone le ignorava e, ancora peggio, aveva vietato di ‘giocare’ fra loro e senza torture non erano piu in grado di raggiungere l’orgasmo.
Questa situazione era ormai diventata una bomba ad orologeria che sarebbe esplosa presto.
Infatti poco tempo dopo approfittando dell’assenza del padrone le tre schiave cenarono insieme, ma più che altro bevvero parecchio. Sonia, stanca e ubriaca, si ritirò nella camera del padrone come le era stato ordinato raccomandando loro di non fare tardi ma soprattutto di non fare danni.
Ormai era tardi per le raccomandazioni: l’alcool aveva acceso in loro una voglia di godere sopita da settimane e appena la schiava giovane fu uscita dalla stanza si recarono nella stanza dei giochi e ci rimasero diverse ore.

Sonia fu svegliata dalle urla del padrone in piedi in fondo al letto.
‘Dev’essere tornato prima’, pensò la schiava, ma mezza intontita dal sonno e con i postumi della sbornia non capiva perché urlasse in quel modo. Si alzò e automaticamente andò a mettersi di fianco al padrone e ai piedi del letto vide la mamma e la zia nei loro lettini da molossi. Allora capì perché il suo signore fosse così fuori di sè.
Le schiave avevano addosso i segni di una lunga sessione nella camera delle torture: avevano commesso una mancanza imperdonabile, la peggiore per una schiava devota, avevano trasgredito ad un ordine tassativo del loro dio.
‘Adamo ed Eva se la sono cavata con la cacciata dal paradiso loro non se la caveranno cosi facilmente’, pensò Sonia.
-Rinchiudi queste due cagne in calore nella gabbia grande giù di sotto, non farle uscire per nessun motivo e non dare loro niente né da bere né da mangiare-, le urlò il padrone.
Sonia non aveva mai visto il padrone arrabbiato e si affrettò ad ubbidire. Prese due guinzagli e li legò al collare della mamma e della zia, che piangevano e supplicavano il perdono, e le trascinò di sotto.
Tornò al piano terra giusto in tempo per vedere il suo signore uscire sbattendo violentemente la porta. Aspettò di sentire la macchina uscire dal vialetto poi tornò di sotto.
Le due donne rinchiuse nella gabbia piangevano disperate. Sonia chiese cosa avessero combinato e loro raccontarono una lunga notte di torture e piacere senza il padrone. Sonia ascoltò il racconto poi tornò subito di sopra nell’attesa del rientro del suo signore.

Il padrone rientrò a tarda sera. Era ubriaco e aveva con sè due grossi alani. Seguito da Sonia, scese insieme ai cani nella stanza dei giochi, aprì la gabbia dove erano rinchiuse le due schiave e fece entrare i cani, richiuse e si accomodò sulla poltrona. Appena seduto, Sonia gli si gettò ai piedi per baciarli e leccarli come le era stato insegnato.
-Voi due siete solo delle cagne in calore, e siccome sono un padrone attento alle vostre esigenze vi ho portato dei compagni che soddisferanno le vostre voglie. Forza puttane, ora mettetevi a pecorina ché i vostri amici hanno voglia-.
Le schiave si chinarono immediatamente. Appena a terra, i grossi cani salirono loro sopra e dopo un certo numero di tentativi andati a vuoto riuscirono a penetrare con i loro grossi arnesi le due schiave.
Le donne erano abituate ad essere penetrate falli di gomma e dildi giganteschi il padrone infilava nelle loro fighe l’intera mano, ma il cazzo dei molossi anche se non molto largo era veramente lungo e gli animali le scopavano con colpi terribili causando loro enorme dolore.Le urla delle schiave eccitarono il padrone.
Sonia continuava a baciare e leccare le scarpe del padrone e sentiva la madre e la zia urlare. Questo la eccitava, immaginava la scena: le due donne cavalcate in maniera bestiale dai due animali, ma non osava voltarsi a guardare perché aveva paura della reazione del padrone.
Si sentì afferrare per i capelli: era il padrone, che la tirò su quel tanto da mostrarle un’evidente erezione sotto i pantaloni. Per la schiava il da farsi era chiaro. Slacciò il bottone dei pantaloni, aprì la cerniera, abbassò le mutande ed estrasse l’oggetto di tanti suoi sogni bagnati, l enorme cazzo del padrone.
Lo leccò, succhiò ed ingoiò tutto. Tante colazioni servite a letto le avevano insegnato come far raggiungere il massimo godimento al suo signore e il premio per tanto impegno e devozione fu una copiosa sborrata nella bocca della schiava.
-Tu sei la migliore-, disse a Sonia poi con voce più alta in modo che lo sentissero tutte, -Da oggi quelle cagne vivranno là dentro insieme ai loro compagni, mangeranno e berranno dalle stesse ciotole e senza aiuto delle mani. Per i loro bisogni le porterai in giardino insieme ai cani e saranno sempre nude, chiaro?-
-Si mio signore-, rispose Sonia.
-Da questa notte dormirai nel mio letto e’ non deludermi anche tu’-
Il padrone uscì dalla stanza. Sonia lo seguì, arrivò alla porta e si voltò verso la gabbia: le schiave erano ancora in balia dei grossi cani che non sembravano per niente stanchi. Chiuse la porta e raggiunse il padrone.

Era di nuovo buio e silenzio nella stanza del padrone, Sonia non riusciva a prendere sonno. Non aveva mai visto il padrone arrabbiato o ubriaco e sperava fortemente che tutto si risolvesse per il meglio.

Per tutta la settimana il padrone si comportò in maniera insolita: non scese neanche una volta nella sala dei giochi a controllare le schiave e anche con Sonia si comportava in maniera strana.
La schiava dal canto suo era sempre più preoccupata, il suo signore non aveva abusato di lei una sola volta da quando era successo il fattaccio, anzi due notti l’aveva presa in maniera classica e aveva preteso da lei l’orgasmo. Per riuscirci dovette immaginare di essere lei quella seviziata dai due alani. Poi, una notte, tutte le sue speranze che la vita tornasse come prima crollarono.

Il padrone era tornato a casa di nuovo ubriaco. Non aveva mangiato nulla ed era andato subito a dormire e la schiava lo aveva seguito. Nel buio della camera da letto lui le fece una confessione.
-Sonia sei la mia migliore schiava, tua madre e tua zia mi hanno profondamente deluso penso di abbandonarle -.

Nel buio della camera, mentre il padrone russava profondamente, a Sonia è caduto il mondo addosso. In pochi mesi aveva trovato la felicità e in pochi giorni l’aveva persa. Non poteva permettere che la mamma e la zia fossero abbandonate. Lei le amava, ma non aveva idea sul da farsi. L’ unica che le venne fu d’avvertire le interessate.
Si fece coraggio e usci di soppiatto dal letto, camminò in punta di piedi fino alla stanza dei giochi, poi chiuse la porta e si sentì un po’ sollevata perché la stanza era insonorizzata.
Accese la luce, i cani abbaiarono brevemente. Le due donne nella gabbia erano ridotte in uno stato pietoso e non si lavavano da una settimana. Erano lerce, avevano le ginocchia e i gomiti sbucciati a furia di stare a quattro zampe, erano dimagrite, i cani abusavano frequentemente di loro e puzzavano di sperma a distanza di metri.
Sonia si avvicinò alla gabbia e spiegò alle detenute il motivo della visita. Le gemelle si fissarono negli occhi per un attimo e poi Giuliana si rivolse alla figlia:
-Ci devi aiutare. Ci serve la chiave della cella-
– Mamma lo sai che non posso’lui’-
-Sonia ci serve solo la chiave non chiediamo di più per carita-, la implorò la zia.
Sonia ci pensò un po’ su. Se il padrone fosse mai venuto a sapere che aveva fatto una cosa simile, avrebbe abbandonato anche lei e il solo pensiero la uccideva. Ma non poteva neanche abbandonare la mamma e la zia: loro erano una famiglia. Prese la chiave e la porse loro
-Cosa volete fare?-.
-Non preoccuparti tesoro, vai a dormire prima che il padrone si accorga della tua mancanza-, disse la mamma.
Sonia le baciò sulla bocca attraverso le sbarre, poi disse:
-Non fate sciocchezze vi amo-.
-Ti amiamo anche noi-, disse la zia.

Sonia era di nuovo al buio nel letto del padrone, pensava alla mamma e alla zia e piangeva silenziosamente. Prese una mano del padrone e la portò su una tetta, sperando che la stringesse così forte da farle molto male. Era stata cattiva e lo meritava, ma lui dormiva profondamente e non se accorse nemmeno.

Era di nuovo mattina. Sonia spalancò gli occhi, uscì dal letto e si diresse verso lo spogliatoio. Entrò nella stanza dei giochi, accese la luce e ‘ i cani erano fuori dalla gabbia. Alzò lo sguardo, vide e poi corse fuori a chiamare il padrone. Entrò in camera come una furia, strattonò il padrone con forza, cosa che le sarebbe costata la fustigazione a sangue, ma in quel momento aveva cose più importanti a cui pensare.
Il padrone aprì gli occhi e la fissò un attimo frastornato, poi la colpì al viso facendola finire per terra.
-Padrone, padrone’ nella gabbia’ padrone’ subito!-
Il padrone si alzò. Aveva mal di testa, ma sapeva che se la schiava aveva osato tanto doveva esserci un motivo valido.
Scese le scale entro nella stanza dei giochi vide i cani liberi, guardò nella gabbia e capì il perché di tanta agitazione.
Le schiave all’interno erano in piedi su due sgabelli. Dalla cima della gabbia pendevano due cappi che finivano al collo delle gemelle. Se le gambe delle due avessero ceduto le conseguenze sarebbero state ovvie.
Il padrone corse verso la porta della gabbia.
-Dammi la chiave,Sonia’-
Ma una volta visto il lucchetto che chiudeva la porta della gabbia capì che non gli serviva. Le schiave avevano rotto la chiave all’interno del lucchetto e ora non si poteva piu aprire.
Il padrone non si perse d’animo.
-Nel capanno degli attrezzi c’è una trancia, valla a prendere-.
-NO! Se qualcuno di voi due esce dalla stanza, noi saltiamo-, disse Selene.
-Chiediamo perdono per i nostri errori. Padrone puniscici come ritieni meglio, ma non ci abbandonare. Non possiamo vivere senza di te. Decidi ora: o ci permetti d’essere tue schiave per sempre o ‘ la nostra vita non ha più importanza-, disse Giuliana.
Il primo pensiero del padrone fu ‘come faccio a fare sparire i corpi’ ma gli passò subito dopo essersi seduto sulla sua poltrona. In effetti lo avevano deluso, ma anche lui aveva le sue colpe perché si era concentrato solo su Sonia negli ultimi mesi trascurandole pesantemente. Così ora minacciavano di uccidersi se non le avesse perdonate. Non avrebbe mai trovato schiave più devote, però non le poteva perdonare cosi semplicemente: era pur sempre il loro padrone.
Sonia si accucciò ai piedi del padrone. Era terrorizzata, i sensi di colpa la divoravano. Se fosse successo qualcosa alla mamma o alla zia non si sarebbe mai perdonata.
Il padrone trovò quello che riteneva un buon compromesso per dare alle schiave il perdono, ma non aveva fretta. Perciò rimase a lungo ad osservare le schiave in piedi sullo sgabello e parlò solo quando le gambe delle donne diedero i primi cenni di cedimento.
-Vi perdono a due condizioni. Per prima cosa, sarete marchiate a fuoco per non dimenticare mai il vostro errore-, disse.
-Sarà un onore padrone-, rispose Selene.
-La seconda condizione, intesterete a me tutto ciò che possedete, beni mobili e immobili-
-Noi ti apparteniamo già anima e corpo tutto: ciò che e nostro e tuo mio signore-, disse Giuliana.
-In quanto a te-, disse rivolto a Sonia, -ovviamente hanno saputo da te che le volevo abbandonarle e sei stata tu a dare loro la chiave, quindi anche tu verrai marchiata a fuoco-.
-Grazie padrone-; rispose Sonia, mentre gli baciava i piedi felice del perdono ottenuto dalla mamma e dalla zia.

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