Skip to main content
Racconti erotici sull'Incesto

Picatrix

By 14 Febbraio 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

“Mio caro Rupescissa, immagino di potermi riferire a lei utilizzando il suo pseudonimo, le scrivo questa lettera per presentarmi e per presentare alla sua attenzione il progetto cui sto lavorando da tempo.

Forse le sembrerà strano, se non derisibile, quanto apprenderà da questa mia, se avrà la paziente cortesia di leggere sino in fondo i documenti allegati, ma le assicuro che quanto scrivo &egrave tutto vero. So che non &egrave facile credere a certe cose, so pure che tanto si &egrave speculato su quest’argomento, ma leggendo alcune delle storie scritte da lei e pubblicate in rete ho ritenuto di trovare nella sua persona un “orecchio” sensibile.

A questo punto &egrave necessaria una breve premessa:

Il mio nome non &egrave importante, può pensare a me e rivolgersi nelle sue risposte che anelo utilizzando lo pseudonimo indicato nell’indirizzo. Un nome vale l’altro e nessuno &egrave importante quanto l’essere umano che lo porta. Questo ho appreso nei lunghi anni della mia carriera di lavoro.

Ho raggiunto l’età in cui &egrave bene lasciare ai giovani le incombenze di un lavoro che richiede una prontezza di mente tipica della loro età, dove la matura esperienza &egrave sì utile ma solo per smussare l’impeto giovanile. Ho lasciato ai miei figli l’agenzia d’investigazioni private nel campo industriale e mi sono limitato al ruolo di consigliere. Nel mio settore, quello della protezione dei segreti industriali, dei brevetti o delle informazioni sui dipendenti, la tecnologia corre più della mia mente e non potevo obbiettivamente continuare a lasciare ai miei figli un ruolo secondario.

La passione per l’investigazione, l’innata curiosità, mi hanno spinto da tempo ad interessarmi dei fenomeni definiti paranormali. Lo so, &egrave un vezzo che mal si addice ad un professionista, tanto &egrave che non ho mai pubblicizzato la cosa ai tempi della mia attività. Ora, con più tempo a disposizione ho potuto dedicarmi alla mia passione. Non le dico il tempo speso nella ricerca di testi orami ritenuti persi o rarissimi, le ore passate nella traduzione e nello studio di pagine ingiallite dal tempo e le risorse economiche impegnate nell’impresa. Oggi, con una nota d’orgoglio, posso dire di possedere una delle più vaste collezioni di testi ermetici, alchemici e magici d’Italia se non d’Europa.

Ho fatto questa lunga premessa per presentarmi non come un esaltato ma come un umile studioso. In realtà ho sempre affrontato l’argomento con scetticismo, con l’occhio critico dell’investigatore e con la curiosità (mi ripeto) tipica di questo mestiere. Se vogliamo possiamo dire che ho affrontato questa materia con mentalità scientifica, ho sempre cercato prove certe e replicabili. Tutto il mio scetticismo e la mia, mi perdoni l’immodestia, intelligenza si sono scontrati tempo fa in un caso davvero particolare.

Per non correre il rischio di riportarle i fatti già analizzati dalla mia mente e quindi poco obiettivi le invio, in allegato, quelli che furono i miei appunti ed i miei rapporti all’epoca dei fatti.

Li legga con attenzione e con il dovuto “scetticismo” poi mi dirà cosa ne pensa.

Se lo riterrà opportuno potrà usare questo materiale per imbastire un racconto, meglio sarebbe una serie di racconti. Ci tengo a sottolineare questo punto, sono anni che cerco il modo di divulgare ciò che ho appreso durante le mie ricerche attraverso un mezzo che venga preso sul serio solo da chi sa leggere tra le righe””

Quando scrivi storie erotiche e gestisci un sito di racconti ti abitui a ricevere la posta più strana. Delle tante mail ricevute nello scorso 2001 questa attirò subito la mia attenzione. Subito pensai di essere di fronte al delirio di un fantasioso logorroico, anche a causa della mole d’allegati al messaggio: 1.8 Mb di file formato Word!

Aprii gli allegati dopo averli controllati con cura tramite il mio antivirus, questa mail poteva essere un modo elegante ed inusuale di inviare virus. Mi trovai sullo schermo pagine e pagine scritte in Times New Roman corpo 8!

Chi &egrave quel pazzo che scrive così piccolo? Mi domandai!

Con calma inizia a leggere quei documenti, poco alla volta restai affascinato da ciò che apprendevo. In quelle pagine si andava delineando una storia che trovava conferma in alcuni dei testi alchemici ed ermetici in mio possesso. Se questo tipo aveva letto i miei stessi libri, il che era probabile visto che affermava di possedere una delle migliori biblioteche sul tema, stava raccontando la verità; troppe erano le coincidenze.

Non sapevo se credergli e prendere per buone le sue schede, i suoi rapporti, il suo racconto o se ritenere il tutto frutto della sua fantasia. In ogni caso mi forniva materiale per una serie di racconti e decisi di abbracciare la sua proposta di scriverci su.

Ben presto si rifece vivo inviandomi altro materia costituito da diagrammi, disegni ed immagini in appoggio a quanto aveva inviato nella sua prima mail. Nel corso dell’anno i nostri contatti s’intensificarono sino al punto in cui decidemmo di incontrarci. Lui sapeva che io stavo a Torino ed io sapevo che lui inviava le sue mail da Milano (ognuno ha i suoi mezzi!), in quell’incontro mi trovai davanti una persona in grado d’ispirare subito fiducia, non pareva affatto troppo creativa semmai il contrario sembrava ben saldo alla realtà. Affermò subito che non credeva neppure al 30% di quanto mi aveva inviato ma quello era quanto aveva scoperto e appreso. Dopo una piacevole serata passata in un tranquillo e discreto ristorante in cui parlammo a lungo dell’argomento mi salutò invitandomi a raccontare questa storia. Mentre ci scambiavamo gli ultimi saluti fuori del locale, distrattamente mise la mano nella tasca del suo cappotto ed estrasse una pietra lavorata della dimensioni di un ciondolo e me la consegnò pregandomi di tenerla con cura e attenzione.

Abbassai lo sguardo su quell’oggetto, era chiaramente quarzo ialino lavorato in modo da ottenere una forma a disco e dei disegni sulle due facce. Rimasi affascinato dalla luce che emetteva e dal calore di cui pareva pregna, persi del tempo e quando alzai lo sguardo lui si era già allontanato. Da allora non mi riuscì più di contattarlo né tramite posta elettronica, né tramite il suo cellulare e neppure all’indirizzo di Milano che mi aveva dato.

Non so che fine abbia fatto, ma sento che appena pubblicate queste storie si rifarà vivo.

“Se vorrai comunicare con un pianeta o comunque chiedergli un favore che ti &egrave necessario, in primo luogo purifica la tua volontà e la tua fede, e fai particolare attenzione nel non adorare altri idoli…

… Quando vorrai entrare in comunicazione con il pianeta cui &egrave rivolta la preghiera, vestiti con indumenti che abbiano colori a quello congruenti..”

hàyat al-hakim (Picatrix)- il fine del saggio, cap 7′ -di Maslama al Magriti

tradotto dal saggio Picatrix 1256

Zoara sollevò lo sguardo verso la Luna osservandola per lungo tempo, quindi riportò la sua attenzione sul puntino luminoso del pianeta cui era votata e ne valutò l’angolo che formava con il nostro satellite e l’orizzonte. Il suo occhio era, ormai, in grado di stabilire con assoluta certezza il preciso istante in cui dare inizio al rito, osservò ancora la ragazza che ne aspettava, trepidante, la conclusione, poi chiuse gli occhi contando mentalmente i minuti che ancora la separavano dal perfetto allineamento cercando di liberarsi da ogni pensiero estraneo ed impuro. Una sola distrazione, un solo pensiero non consono alla grandiosità del momento, qualsiasi sentimento negativo come l’egoismo, l’egocentrismo, la superbia, l’invidia o l’odio, potevano vanificare tutto e trasformare un operazione di luce in un trionfo del male. Era pericoloso il cammino che stava per intraprendere, ma grazie all’umiltà innata nella conoscenza, sapeva di riuscire. Una conoscenza vissuta, una conoscenza cosciente, non una semplice memoria di dati o cognizione di fatti.

Beatrice, intimidita dall’atmosfera surreale, osservava rapita la figura stagliata contro la luce lunare della donna.

Vestita di una tunica bianca in seta, molto trasparente, ornata di fili d’oro che le scivolava da una spalla scoprendo in parte il seno, Zoara stava al centro del cerchio di pietre e querce, dove solo lei poteva entrare. Portava sul capo, trattenuto da una corona ornata di perle, un velo bianco finissimo che non riusciva a trattenere i suoi lunghi capelli rossi.

Zoara brandiva con la mano destra uno specchio e quando la muoveva l’anello d’oro con incastonata una perla mandava dei riflessi caldissimi. Con la sinistra, invece, teneva un pettine mentre si avvicinava alla brocca di vino appoggiata vicino al turibolo dove ardevano le braci.

La luna le era chiaramente amica se con i suoi raggi disegnava la perfezione del corpo. Si muoveva leggera con movimenti lenti e sensuali, a piedi nudi sull’erba. Beatrice capiva che la donna stava per entrare in comunione con il tutto raggiungendo uno stato di completa estraniazione dal corpo.

Nell’aria fresca del bosco, i capezzoli di Zoara segnavano il tessuto premuto dal vento contro di lei, si capiva che era completamente nuda, sotto, dal piccolo rilievo all’altezza del pube, era bellissima pensava Beatrice. Sentiva che se fosse stata bella come lei non sarebbe dovuta ricorrere alle sue conoscenze per risolvere il problema che l’opprimeva.

Nel frattempo Zoara lasciò cadere sulle braci una manciata di una sostanza che emise un fumo terribile, ma molto profumato; chiuse gli occhi ed aspirò più volte quella suffumigazione, quindi si ritrasse dalla colonna di fumo e disse:

Ti sia benigno Iddio, o Venere, tu che sei Signora della sorte. Fredda e umida, pura e bella, ben odorata e piacevolmente ornata. Tu che ami l’amore, le feste, gli ornamenti, la bellezza e la raffinatezza e la buona musica ‘

Beatrice ascoltava quell’invocazione, pur sapendo che il suo ruolo era solo passivo non voleva perderne un gesto o una parola. Il riferimento all’amore, però, la distrasse. La sua mente vagò alla ricerca dei più bei ricordi di Bertrand, il suo promesso e già amato sposo, partito al seguito di Filippo l’Ardito, conte di Borgogna, nella speranza di conquistarsi un pezzo di terra in quel nascente stato così promettente. Nato bene, ma non primogenito, sperava in quel modo di ottenere una qualche proprietà in cambio dei suoi servizi. Lei non capiva quella bramosia, la sua dote era più che sufficiente a loro due ed ai figli che sarebbero potuti nascere dalla loro unione. Inoltre il suo castello da tempo reclamava una forte presenza maschile dopo la morte di suo padre, necessitava di un uomo in grado di affrontare i tentativi, più o meno leciti, d’espansione dei signorotti confinanti

Non accettava il suo presunto orgoglio, credendolo sintomo d’indecisione o paura verso il matrimonio, per questo si era rivolta a Zoara. Non una maga, ma una filosofa esperta in quelle materie che riuscivano ostiche a moltissimi uomini. La sua conoscenza e il conseguente potere avevano origini più antiche di quel potere che le aveva strappato il suo amato per portarlo in guerra, per questo era sicura del buon risultato.

Intanto lei continuava la sua preghiera:

‘questi sono i tuoi naturali effetti. T’invoco in tutti i tuoi nomi: Zoara in arabo, Venere in latino, Anyhyt in fenicio, Admenita in greco, Sarca in indiano. ‘ lei pronunciava questi nomi con un misto di rispetto e ammirazione, prima di gettarsi a terra rivolta verso il pianeta che portava il nome della dea, disse ancora ‘ Ti scongiuro inoltre per Beytel, l’angelo che sta al tuo fianco per realizzare pienamente le tue forze.

Rialzatasi getto altro materiale sulle braci per incrementare il fumo che saliva al cielo, prese tra le mani il ciondolo che aveva realizzato e lo alzò verso il pianeta.

Beatrice seguiva con vivo interesse l’operazione che stava per giungere al termine e Zoara era completamente concentrata ora che aveva raggiunto il culmine del rito, quindi le due donne non poterono cogliere la variazione nei lievi rumori del bosco. Un silenzio improvviso si era fatto intorno a loro, sia i predatori notturni sia gli insetti tacevano come rispettosi verso la grandezza dell’opera che si stava compiendo. In realtà gli animali erano stati disturbati da una presenza estranea al loro mondo. Se le due donne erano riuscite ad integrarsi alla perfezione nell’ambiente, tranquillizzando gli abituali abitanti del bosco, il gruppo di uomini armati al seguito del frate Domenicano si muoveva goffo e rumoroso. Non tanto, però, da farsi scoprire dalle due donne.

Magister, i miei uomini sono pronti ad intervenire. ‘ disse il capitano rivolto al frate.
No! Dica loro di accerchiare la radura, ma senza farsi scorgere. Voglio assistere sino alla fine di questa immonda commedia in modo da raccogliere tutte le prove necessarie sulla colpevolezza di quella donna. ‘ ordinò il Domenicano.
Come lei ordina, Magister!

L’uomo raggiunse il drappello armato e dispose i suoi uomini come richiesto, poi cercò con lo sguardo il frate ma non riuscì più a trovarlo nell’oscurità. Temendo che si fosse addentrato da solo nel bosco e conscio dei pericoli della selva s’affanno a cercarlo.

Capitano, si muove come un orso gravido! Faccia attenzione o ci farà scoprire!

La voce dell’inquisitore lo colse di sorpresa provenendo dalle sue spalle. Il frate si stava avvicinando alla radura silenzioso. Il militare non poté che ammirare l’abilità di quell’uomo in grado di muoversi nella selva come un animale. Qualcosa nella sua mente iniziava a dirgli che non era uno dei soliti inquisitori, armati solo della propria fede e della conoscenza; di certo non aveva sempre fatto il frate nella sua vita, lo aveva capito da come aveva valutato l’armamento del drappello prima di intraprendere quell’impresa. Non si sarebbe stupito di vederlo brandire con abilità una spada in un duello contro il maligno stesso. Sorrise, quel frate gli piaceva e gli infondeva fiducia, una naturale intesa era nata tra di loro: l’intesa che nasceva solo tra uomini d’arme.

Il Domenicano raggiunse il cespuglio immediatamente prospiciente la radura e si mise all’ascolto. Subito riconobbe nelle parole della donna le frasi di quel libro che lui stesso aveva fatto bandire dopo averlo studiato in dettaglio alla ricerca delle ignobili eresie in esso contenute. La donna stava chiaramente rivolgendo le sue preghiere ad una divinità pagana, citandola con i suoi nomi nelle lingue arcaiche come antico era il suo culto. Zoara, Anyhyt, Affludita, Admenita e Sarca non erano altro che i diversi nomi, nella varie lingue, con cui era chiamata la falsa divinità identificata con il pianeta Venere. Il frate rabbrividì a quella sequenza di nomi, conosceva il potere che quelle menti deviate, a suo parere, attribuivano al Nome, alla parola o meglio alla sequenza di suoni che la componeva. Preso dai questi pensieri e perso nei ricordi del tempo passato su quel libro si ritrovò a cantilenare nella mente un’altra sequenza di nomi per lui più musicali: “Marech, Baharam, Barit, Hanez, Ebahaze ‘ Marte”. Era come se la sua mente si fosse sdoppiata, mentre la parte razionale seguiva le mosse della donna per trovare in esse i futuri capi d’accusa, quella irrazionale era persa nelle parole del libro.

” Ma che Beyteyl ‘ quale suono orrendo! Rauchaheil, Rauchaheil! ‘ questo &egrave un bel suono: pulito, forte, netto, decisivo ed incisivo”. La mente dell’inquisitore seguitava sul rito di Marte mentre la donna officiava a Venere. Se solo la sua razionalità si fosse resa conto di cosa accadeva nell’altra parte della mente sarebbe fuggito lontano da quel luogo, terrorizzato!

Ti prego per tutti i tuoi spiriti, Tu così veridica nei tuoi amori e nelle Tue amicizie e così bella e coerente nei sodalizi che determinano gli Amori e le congiunzioni, e guidando ‘. ‘ la donna continuava ignara il suo rito.

“Amore? Sempre l’amore cercano, e pare vogliano, le donne” pensava in quel momento l’inquisitore “Qual cosa più inutile dell’amore? Qual suono orrendo e per nulla confrontabile alle mirabili parole rivolte a Marte: colui ch’&egrave della stessa natura del fuoco, patrocinatore di guerre, rovina di uomini eccelsi, istigatore di furori, di ira e di tutte quelle cattive predisposizioni che devastano il cuore degli uomini, foriero di morte e di guerre fratricide, di rapporti incestuosi e di spargimento di sangue ‘ semmai &egrave questa la divinità che devi pregare o donna!”

Il Domenicano si scosse, risvegliandosi dal suo torpore mentale, e subito la ragione dimenticò la parentesi irrazionale per attivarsi sui reali motivi della sua presenza in quel bosco. Nello stesso istante Zoara fu raggiunta da una zaffata di fumo acre e soffocante proveniente dal braciere, insospettita da quell’odore inusuale verificò il colore della colonna di fumo contro la luce della luna e si preoccupò quando scopri che il solito verde era maculato di rosso. Subito fu presa dal timore di aver sbagliato la composizione delle polveri, ma rivendendo mentalmente le operazioni preliminare si rassicurò. Non riusciva quindi a spiegarsi quel colore e quel puzzo di morte che usciva dal turibolo.

Il pianeta era in posizione benevola quindi Zoara decise di portare in ogni caso a termine il rito, prese dalla pietra sulla quale l’aveva riposto il ciondolo che sarebbe divenuto il talismano per la giovane. Fatto con una pietra, che pareva quarzo ialino, recava incisa l’immagine di una donna nuda in piedi di fronte ad un fallo eretto di dimensioni enormi, almeno in proporzione a lei, sotto una mano sinistra, stilizzata, reggeva un pettine. Zoara ne tastò sensualmente la superficie scorrendola con il pollice poi, per valutarne meglio la levigatura, se lo portò alle labbra. Soddisfatta la impugno con ambe due le mani e la sollevò in alto rivolta verso il pianeta. Nel compiere questa operazione la veste salì lungo il suo corpo sin quasi a scoprire del tutto le gambe che lei teneva semi aperte.

Questo diede l’ultima scossa al Domenicano, la vista delle gambe nude sino ai glutei fece ribollire di rabbia il suo sangue.

BASTA COSì! Adoratrice di satana!
Capitano faccia il suo dovere e arresti quella demonolatra.

Si, magister.

Improvvisamente il cerchio di pietre fu invaso da armati che si avventarono sulla donna.

Il Domenicano uscì dal bosco e si avvicinò a lei con lo sguardo fiero di chi aveva appena sconfitto un nemico.

Donna, – disse ‘ la tua adorazione del demonio ti ha persa. Non solo lo adori senza timore ma trascini nella tua esecrabile nefandezza una giovine innocente, sfruttando le sue pene d’amore.
Non sto adorando nessun demonio, prete! ‘ lo interruppe lei ‘ Lo sai benissimo. Tu mi accusi perché hai paura delle conoscenze che stanno alla base dei miei riti.
Non &egrave con le parole che salverai la tua anima, ma riabbracciando la vera fede ‘ capitano portatela nel palazzo del Vescovo e lì rinchiudetela. Trattatela con riguardo, non &egrave accusata di alcuna eresia, per ora, ma solo d’essere caduta in errore, quindi non c’&egrave pericolo che infetti con le sue dottrine false altri bravi cristiani.
Andate ora ‘- li incitò l’inquisitore. Poi rivolto al giovane notaio al seguito disse: – Avete sentito signor De Roussan?

Si, magister. La donna che si fa chiamare Zoara si &egrave citata durante la sua infame preghiera al signore degli inferi. Chiaro segno della sua perversione’- tentò di imbastire un discorso il notaio.
Signor De Roussan, non avete inteso niente dunque?
Quella donna stava pregando Venere e Zoara &egrave uno dei nomi di quel pianeta. Precisamente il suo nome nella lingua degli infedeli.

Sappiate che ho riconosciuto chiaramente la provenienza di quelle parole. Esse derivano dal Fine del saggio, un libro blasfemo che tenta di riportare agli antichi splendori la false divinità dei greci e dei romani, altrimenti noto con il nome del suo traduttore dall’arabo: Picatrix.

Un testo condannato dalla Chiesa ma che continua a traviare i sedicenti filosofi che vedono in esso una comoda scorciatoia al sapere.

Quando Alfonso X, il Saggio, nello scorso secolo lo fece tradurre in lingua volgare, commise un gravissimo errore, di cui ancora oggi ne paghiamo le conseguenze ‘ e chissà per quanto tempo ancora le pagheremo.

La donna che abbiamo arrestato stava pregando Venere, probabilmente per la buona riuscita di un talismano d’amore, confezionato per la giovane che era qui poco fa.

Ma perché perdo tempo a spiegarvi queste cose?

Al processo verrà fuori tutto. Spero solo, per l’anima di quella donna, che si ravveda e torni in seno alla Chiesa.

Andiamo, &egrave stata una notte lunga e fredda!

L’inquisitore seguì il drappello sino al vecchio convento, trasformato dal Vescovo in sede inquisitoriale, per sincerarsi che la donna fosse trattata con il dovuto rispetto. Anche quello faceva parte dei suoi doveri: lui e i suoi colleghi non dovevano punire ciecamente il colpevole o il sospetto d’eresia ma convertirlo, ricondurlo nella vera fede; e per fare questo gli imputati dovevano essere in buona salute.

Rinchiusero la donna in quella che era stata una delle celle dei monaci, verificarono la chiusura della porta e raccomandarono alla guardia di portargli altre coperte e dell’acqua per lavarsi. Al domenicano non era sfuggita la macchia di sangue all’altezza del pube di lei e conosceva ciò che il libro richiedeva per quel rito che aveva interrotto.

Era sua intenzione lasciare la sospetta da sola, a meditare sulle sue colpe, per alcuni giorni prima di sottoporla all’interrogatorio. Prese mentalmente nota di procurarle degli abiti più casti prima di portarla di fronte ai suoi collaboratori; soprattutto al notaio, così giovane e schiavo dei suoi sensi, del tutto privo del controllo che lui, come i suoi fratelli, aveva acquisito negli anni del noviziato.

Finalmente giunse nella sua cella ai piani superiori, senza nemmeno accendere un lume recito velocemente e automaticamente le solite preghiere e si coricò dopo aver risposto lo scapolare sull’inginocchiatoio. Si addormentò immediatamente, come d’abitudine.

Zoara era rinchiusa da cinque giorni ormai quando sentì il rumore dei passi di più persone nel corridoio. La porta della sua cella si aprì mostrando la figura austera, nell’abito del suo ordine, dell’inquisitore.

Alzati e non temere. ‘ disse con tono falsamente dolce il frate. – Siamo qui per ascoltare la tua confessione di pentimento. Speriamo che le notti in questa cella, che ha visto tanti veri credenti nel passato, ti abbiano portato verso la luce della vera fede, avvicinandoti all’unico Dio!
Io sono sempre stata e sono ancora una buona credente.
Chiedete a chi volete in paese. Chi mi conosce potrà testimoniarvi la mia fede. ‘ si difese lei

Dimentichi che ti abbiamo vista e sentita adorare il demonio poche notti fa?
Non adoravo Satana e voi tutti lo sapete.
Applicavo nient’altro che i riti spiegati in quel libro scritto da uno che ‘

Allora confessi la tua latria. ‘ la interruppe lui.
Sapete benissimo che quel libro &egrave stato scritto da un infedele e che loro non credono nemmeno nei santi. Quindi non potrebbero ritenere i pianeti degli dei ‘ ed &egrave di questo che mi si accusa ‘ o sbaglio?
Sbagli. Il tuo errore sta nel non vedere il disegno del maligno dietro le parole di quel libro.
Inoltre non sai nemmeno che quel libro &egrave ritenuto blasfemo anche dai mori.

Medita su questo, più tardi sarai condotta al cospetto dei teologi che studieranno il tuo caso, Saranno loro a decidere in cosa tu credi veramente.

Il domenicano uscì dalla sua stanza e lasciò entrare il giovane notaio che doveva occuparsi di compilare i documenti relativi alla sua identità.

Lei n’approfittò per affinare il suo piano atto a renderle la libertà. Notò con vero piacere l’interessamento del giovane verso il suo corpo. A giudicare da come la stava guardando capiva che, in quel momento, la immaginava senza vestiti. Maledì mentalmente la mancanza di uno specchio e di una quantità d’acqua adeguata a rendere decente il suo aspetto. In ogni caso era sufficientemente attraente per lui.

Si sedette, con dei movimenti sensuali, in netto contrasto con il suo aspetto, sull’asse che fungeva da letto e indicò al notaio la sedia posta di fronte al semplice scrittoio. Lui, dopo aver disposto le sue carte, si accomodò ed iniziò a studiare sfrontatamente la donna con uno sguardo che di “professionale” aveva ben poco. Non disse una parola mentre osservava le curve del suo corpo a malapena nascoste dalla tunica semi trasparente che indossava dalla notte del rito. Puntava sulla sua posizione di forza, sul suo potere per intimidirla, più che sul proprio carisma per spingerla a domandargli aiuto nella sua causa. In fondo, essere un notaio al servizio dell’inquisizione portava degli indubbi vantaggi.

Il suo sguardo si fece sempre più esplicito e spudorato; gli sembrò di intuire qualche segno di difficoltà da parte della donna. Bene, quello era il suo scopo. Metterla in condizioni di inferiorità e lasciar cadere dall’alto della sua posizione la sua benevolenza. Quella tattica gli aveva fruttato parecchi favori da parte delle indagate che gli erano capitate tra le mani. Si sentì incoraggiato a continuare nella sua intimidazione, sapeva che dopo il pianto disperato, confortato dalla sua finta dolcezza, la donna non sarebbe più riuscita a negargli niente; la promessa, che non avrebbe potuto mantenere, di un suo benevolo interessamento avrebbe smontato l’ultima barriera posta a difesa della femminilità. Il giovane aveva raggiunto la massima sicurezza di se insieme alla convinzione che, oramai, mancasse poco all’esplosione delle lacrime; quando, lei prendendolo in contropiede iniziò lentamente ad alzarsi, guardandolo fisso negli occhi. Si avvicinò a lui lasciando scendere lo sguardo sulla zona genitale dell’uomo messa in evidenza dai calzoni aderenti, sorrise maliziosa e divertita mentre lasciava che la tunica scivolasse giù da una spalla sino a scoprirle completamente il seno. Lui indietreggiò e lei gli si fece ancora più incontro offrendogli le labbra per un bacio.

Il giovane notaio iniziò a sentirsi meno sicuro di se, si aspettava una donna remissiva e disperata; non una che prendesse l’iniziativa. Tentò di riprendere il controllo della situazione minacciandola come ultimo tentativo di dimostrarsi superiore a lei.

Zoara gli si portò contro, appoggiandosi con tutto il corpo, sfiorandogli le labbra e accarezzandogli delicatamente la zona genitale. Sospirava invitante con la bocca socchiusa in attesa di un suo bacio. Lo stimolò con delle pressioni ritmiche del suo pube contro il membro.

Quest’ultima mossa terrorizzò del tutto il giovane che uscì di corsa dalla stanza. Ordinò alla guardia di richiudere la porta poi appena raggiunse un angolo isolato del lungo corridoio si lasciò scivolare seduto in terra con il respiro ancora affannato.

Nella sua cella, intanto, Zoara sorrideva soddisfatta. Aveva sconfitto l’arroganza di quel piccolo uomo troppo sicuro di se e della posizione che occupava. Non temeva possibili ritorsioni da parte sua, in realtà era troppo debole anche solo per pensare di farle. Sapeva che, superata la fase del terrore, lui sarebbe tornato per avere quello che le aveva appena promesso; allora sarebbe stato completamente nelle sue mani.

Tra le altre cose, Zoara, doveva trovare il modo di comunicare con la giovane donna per cui aveva preparato il talismano che stava attivando la notte in cui fu arrestata. Beatrice era venuta in possesso di quell’oggetto e lei doveva assolutamente spiegarle molte cose al riguardo, inoltre ricordava la stranezza del colore del fumo, poco prima dell’intervento degli uomini dell’inquisitore. Qualcosa non era andato per il verso giusto e doveva, quindi, prendere in mano quel talismano per accertarne la piena funzionalità e verificare l’eventuale presenza d’influssi diversi da quelli previsti dal rito. Zoara temeva che quel colore rossastro intravisto nel fumo fosse dovuto ad una negativa influenza di Marte. Aveva preso tutte le precauzioni per evitarlo, sapeva quanto il pianeta del signore della guerra fosse nefasto, ma un suo gesto, o una sua distrazione o, peggio, qualcuno lo aveva richiamato.

Era così presa dai suoi pensieri e non sentì la serratura della porta che veniva aperta.

Entrarono due armati e le intimarono di seguirli. Uno davanti e l’altro dietro la scortarono al piano superiore in una camera buia dove troneggiava un crocefisso di notevoli dimensioni. Dietro ad un tavolo massiccio stavano seduti alcuni religiosi con l’abito dei domenicani ed uno vestito in modo sontuoso e vistoso, certamente il vescovo.

L’inquisitore che era al centro si alzò in piedi e la invitò nuovamente a sconfessare il suo credo blasfemo. Le ricordò che era accusata di demonolatria, in quanto era stata sorpresa a rendere culto a dei demoni, chiamati con il nome di antiche e false divinità ma sempre demoni erano. Le ricordò anche che la pratica inquisitoriale sancita dal Directorium inquisitorum prevedeva in questo caso il trattamento riservato agli eretici. Quindi se non confessava il suo crimine e si pentiva sarebbe stata lasciata alle attenzioni del braccio secolare.

La donna non cedette alle minacce, anche perché non si riteneva colpevole di nulla. Resistette alle lusinghe e alle minacce sino a quando, spazientito, il domenicano disse:

Basta, donna, tu sfidi la nostra intelligenza e la nostra pazienza. ‘ l’aggredì verbalmente ‘ Signor De Roussan metta a verbale che l’eretica &egrave stata affidata al braccio secolare per la prima sezione di tortura.
Lei vigilerà sullo svolgimento, pronto a verbalizzare ogni sua parola ‘e ricordi: ecclesia abhorret a sanguine.

Non una goccia di sangue deve uscire dal corpo di quella donna!- detto questo si avviò verso l’uscita seguito dagli altri giudici.

Sì Magister ricorderò, sarà mia cura vigilare. ‘ lo rincorse con la voce il notaio.

Il riferimento al sangue e al corpo della donna generò delle sensazioni contrastanti nel giovane. L’attrazione che provava per lei iniziava a ledere il suo controllo, la reazione ai tentativi d’intimidirla ed alle sue attenzioni nella cella l’avevano, all’inizio, impaurito ma ora desiderava ripetere quell’esperienza. Gli era capitato raramente di avere tra le braccia una donna consenziente e vogliosa quanto lui.

Ordinò all’addetto di iniziare con i classici tratti di corda, quindi si sistemò comodamente sulla poltrona prima occupata dall’inquisitore poiché, da lì, poteva avere un’ottima visione della donna illuminata da un raggio di sole il quale, grazie ad una accurata disposizione delle pesanti tende, la colpiva in pieno.

L’aguzzino si portò dietro alla donna dimostrando chiaramente il suo disagio, non gli era mai capitato di sottoporre ai tratti di corda una donna così bella e dallo sguardo terribilmente innocente come il suo. Prese le sue mani, unendole prima di legarle ma fu interrotto dal richiamo del notaio:

Non dietro, mastro Michael, ma davanti. Legatele le mani sul davanti! ‘ ordinò il giovane.

Chiaramente sollevato dall’ordine il torturatore si affrettò ad ubbidire. Il supplizio consisteva nel sollevare il sospetto con la corda legata alle mani, se venivano legate dietro la schiena la tortura era molto dolorosa e portava, di norma, alla lussazione delle clavicole; mentre se venivano legate davanti al corpo il dolore era decisamente inferiore.

Sollevò la donna a pochi centimetri da terra tenendola in quella posizione.

De Roussan si alzò e aggirò il tavolo, si portò di fronte alla donna osservandola, con rinnovato coraggio, in quella posizione. La tunica, che oramai aveva perso il suo candore, non riusciva a mascherare la tonicità del suo corpo. Sospesa per le braccia metteva in mostra il suo splendido seno, la curva armoniosa dei fianchi e le gambe slanciate e sottili. Volendo si può dire che non rappresentava l’ideale femminile in voga ai suoi tempi, troppo magra e fianchi troppo stretti. Non sembrava una buona generatrice di bambini e il suo corpo asciutto ricordava più quello di un guerriero di quello d’una donna; ma il suo fascino e l’armonia delle curve del corpo la rendevano attraente agli occhi del giovane notaio, al quale ricordava le donne egiziane che aveva conosciuto nella cosmopolita Roma.

La metta giù. Piano, ma ‘ non lasci scendere le braccia. Le consenta d’appoggiare solo i piedi. ‘ ordinò all’uomo che stava trattenendo la corda, poi rivolto più a lei che a lui aggiunse: – Non vogliamo che soffra troppo! ‘ una donna così bella!

Le girò intorno, ispezionandola a fondo, poi si recò verso l’aguzzino e gli strappo la corda dalle mani; la legò ad un anello infisso nel muro in modo che lei non potesse abbassare le braccia poi indicò, silenziosamente, l’uscita all’uomo.

Quando fu solo tornò ad occuparsi di lei.

Si portò alle sue spalle chinandosi per riuscire ad osservarla da sotto la tunica.

Sei una donna molto bella, sarebbe un vero peccato deturpare il tuo corpo con delle dolorose torture.
Se collabori saprò essere gentile con te e ti eviterò di soffrire, potrai mantenere intatta la tua bellezza e chissà? Magari, riuscirò a farti liberare.

Sai io ti credo, non sei un’eretica ‘ tantomeno una maga!

Zoara non disse una parola in risposta, sentiva il suo sguardo che la stava spogliando, lo sentiva indugiare sulle natiche e gli piaceva. Paradossalmente essere legata in quella stanza buia, in completa balia di quel piccolo maniaco sessuale le procurava un crescente senso d’eccitazione.

Tentò, con successo, di riprendere il controllo. Non poteva permettersi di perderlo in quella situazione.

Sentì la mano di lui che seguiva la curva dei fianchi scendendo verso le natiche e soffermarsi su di esse. Spinse in fuori il sedere per consentirgli di godere della sua rotondità.

Vedo che capisci, sei molto intelligente ‘ collabora e non te ne pentirai. ‘ le sussurrò in un orecchio lui.

Sicuro d’averla in suo potere gli si portò davanti, con le mani la esplorò lentamente in ogni parte del corpo. Lei chiuse gli occhi e lo lasciò fare. Lui intese la quella reazione come sintomo di paura nei suoi confronti e si eccitò, la sentiva in suo pieno potere.

Si allontanò da lei dirigendosi verso l’unica porta, sbarrandola; era tardi ma non voleva correre il rischio di essere disturbato o peggio scoperto dall’inquisitore, il quale non avrebbe esitato un istante a rinchiuderlo nelle segrete.

Prese uno stiletto e tornò da lei.

La sfidò con lo sguardo mostrandogli minaccioso l’arma, quindi fece scorrere la lama sulle curve del seno, dei fianchi e sul pube. Giocò a lungo in quel modo poi infilò la lama nella scollatura della tunica e, con un colpo secco, la tagliò sino in fondo scoprendo le sue nudità, le osservò a lungo soddisfatto, quindi rifinì con cura il suo lavoro lasciandola completamente nuda.

Infilata l’arma nella cintura ritornò a palparla, questa volta sulla pelle. Zoara non riuscì a contenere l’eccitazione e si lasciò sfuggire un lieve sospiro mentre chiudeva gli occhi per assaporare meglio le sensazioni della corda che le legava le mani, il leggero dolore alle braccia trattenute in alto e le mani ruvide dell’uomo che l’esploravano.

Come prima lui fraintese, lesse in quel sospiro la rassegnazione e negli occhi chiusi il tentativo di sfuggire alla realtà, la volontà di non vedere quello che le stava facendo. Alla stessa maniera valutò il suo gemito quando gli infilò un dito nella vagina, spingendolo più in fondo che poteva; ma si sbagliava: lei stava godendo di quelle attenzioni così come si godette il freddo contatto dello stiletto sui suoi capezzoli.

Lui faceva scorrere la lama di piatto sul corpo della donna seguendone la curve, premendogli i capezzoli e arruffandogli i peli del pube.

Stufo di quel gioco ruotò la lama di taglio, graffiandole la pelle. Lei riaprì gli occhi a quel nuovo ed intenso stimolo. Gli piaceva e le si dilatarono le pupille, lui che la stava osservando continuò e immaginando di vedere la paura in quei occhi si eccitò ulteriormente. Seguì il bordo del seno poi si divertì a far scorrere il taglio della lama leggero sui capezzoli ormai turgidi.

Zoara era quasi al limite dell’autocontrollo, godeva dei quelle sensazioni e sperava che lui si decidesse a iniziare qualcosa di più serio.

Inebriato dalla sensazione di potere su di lei, il giovane fece scorrere la lama verso il bacino. Mentre scendeva premeva sempre di più e iniziava a disegnare sul suo corpo una serie di sottili tracce arrossate.

Potrei spingere solo un po’ di più e infilerei la lama nel tuo bellissimo ventre ‘ ma penso di divertirmi di più ad infilarci altro! ‘ gli confidò con la voce rotta dall’eccitazione.

Dopo avergli confessato le sue fantasie premette la lama contro il basso ventre, al limite della resistenza della pelle, mentre con l’altra mano violava la sua vagina.

Quella penetrazione, il dolore della lama premuta contro la pelle e la reale sensazione di pericolo, in quanto non conosceva le sue intenzioni, fecero godere Zoara. Rantolò e iniziò una serie di movimenti incontrollati del pube. Questo la portò a spingere verso la lama e a ferirsi lievemente.

Il netto dolore e la vista del suo sangue la fecero quasi venire. Quel sangue invece sconvolse lui. Per quanto lieve e minima la ferita aveva violato il principale veto imposto dalla chiesa sulle torture.

Il giovane notaio si affretto a scusarsi, posò lo stiletto e slegò la corda lasciando scendere le braccia della donna.

Lei si accucciò sulle ginocchia e aspettò che lui gli si avvicinasse. Con la testa bassa e lo sguardo in direzione del pavimento, pareva sottomessa e timorosa dei possibili sviluppi; in realtà si stava godendo gli ultimi rimasugli della forte eccitazione che aveva raggiunto. Inspirava a fondo gonfiando il seno e rilasciava lentamente il respiro mentre lui gli si faceva sempre più vicino.

Il giovane si fermò a pochi passi da lei. La osservò nei dettagli del suo bellissimo corpo, si tranquillizzò notando che la ferita non stillava più sangue e tornò ad eccitarsi grazie alla presunta sottomissione di lei. Riacquistata la sua spavalderia prese il suo viso da sotto il mento e lo sollevò sino ad incrociarne lo sguardo.

Lei non poté fare a meno di notare il rigonfiamento eloquente nella zona genitale dell’uomo e si sentì attratta dal membro che veniva disegnato dal tessuto aderente dei calzoni. Alzò le mani ancora legate nella sua direzione con l’intento di farsele slegare, ma lui si rifiutò. Allora lei sorrise e le appoggiò sul legaccio che tratteneva i calzoni. Con mille difficoltà iniziò a liberarli studiando al contempo la sua espressione che andava mutando dalla sicura spavalderia allo stupore. Come riuscì ad estrarne il membro lo brandì portandoselo davanti alle labbra e iniziò a leccalo dolcemente. Sentiva la sua erezione crescere sempre di più in consistenza e lo ingoiò, aspirando forte mentre con la lingua giocava sul glande. Continuò sino a sentirlo rantolare di piacere ed a percepire il sapore dei suoi umori lubrificanti. Allontanò la bocca da lui e, sfidandone lo sguardo prepotente, reclinò la schiena all’indietro, quasi sino a terra; appoggiata sulle ginocchia con la gambe aperte offriva in questo modo il suo ventre ai desideri del giovane.

A lui girò forte la testa mentre apprezzava con gli occhi e con la mente quel corpo offertogli in maniera così spudorata, le mani legate gli davano inoltre la sensazione di avere il controllo totale di lei. Si sfilò i calzoni e s’inginocchiò pronto ad infilarsi nella sua vagina ma lei si rialzò con un colpo di reni formidabile, appoggiando le mani sul busto lo spinse giù salendogli a cavallo. Prese il membro mentre si sistemava bene su di lui e se lo appoggiò contro la vagina; lo accolse dentro di sé senza difficoltà, scendendo piano sino a farsi penetrare completamente e iniziò a muoversi ansimando con un’espressione decisa sul volto.

Il giovane De Roussan si ritrovò all’improvviso a passare da una posizione di dominio sulla donna a una in completa balia dei suoi desideri, sentì la sua sicurezza cedere al pari della sua eccitazione.

Lei invece sentì quel membro, prima possente e minaccioso, sgonfiarsi dentro di lei. Non si preoccupò di questo, se lo aspettava e ci contava. Restò in quella posizione contraendo solo i muscoli del pube e gli disse:

Rilassati, lasciati andare ‘ scoprirai che fare l’amore con una donna che lo desidera &egrave molto più appagante che possederla con la forza ‘ coraggio, non pensare e ascolta solo quello che sale dal tuo inguine!

Confortata dall’espressione stupita ma intelligente di lui continuò a muoversi lenta e sensuale.

Poco alla volta sentì il suo membro tornare duro e piacevole, allora si concesse dei movimenti sempre più decisi e mirati al raggiungimento del piacere.

Nella mente di Zoara si miscelavano fra di loro una quantità di pensieri e sensazioni. Sentiva ancora la lama dello stiletto che graffiava la sua pelle, il dolore alle braccia legate in alto e la sensazione di paura provata quando ancora non aveva imparato a conoscere colui che ora stava sotto di lei.

Si eccitò ancora di più!

Le mani ancora legate non le permettevano i movimenti che voleva quindi si lasciò andare, senza tentare nulla di particolare, nessun movimento più intenso di quelli che riusciva a mettere in atto ma ascoltando con attenzione quello che saliva dal suo ventre.

Venne con un forte gemito, si appoggiò con le mani unite al busto del giovane e lo cavalcò più forte che poteva sino alla fine del suo piacere.

Lui, oltre che ottimamente dotato era anche molto resistente, forse grazie alla persa eccitazione poi ritrovata che lo aveva fatto ripartire dall’inizio, riuscì a mantenere il membro rigido dentro di lei senza venire.

Soddisfatta e distrutta, Zoara, si accasciò sopra di lui. Solo i suoi leggeri colpi di tosse emessi per richiamare la sua attenzione la ridestarono. Si staccò da lui, gemendo mentre lo sentiva uscire, scivolò indietro portando il viso sopra il pene con l’intenzione di svuotargli i testicoli con la bocca ma era troppo scomoda. Decise di sdraiarsi sulla fredda pietra del pavimento, lo invito a salire a cavallo del suo seno e gli ingoiò il pene stesa sotto di lui. Lo leccò e lo succhiò sino a portarlo all’orgasmo tanto sospirato, accolse sul viso e nella bocca i fiotti di sperma eccitando ancora di più il suo nuovo amante.

Sentiva che oramai il giovane era in suo potere, una volta provato il piacere di giacere con una donna come lei non avrebbe più avuto la forza di negarle niente. Non solo; il fatto che lei era stata in grado di resistere alle sue pressioni, godendo delle sue torture, gli aveva dimostrato la sua forza. Abilmente spinse il giovane ad aiutarla nel contattare Beatrice, non gli chiese di aiutarla nel processo, sapeva che in qualche modo ne sarebbe uscita bene; ma doveva comunicare con quella ragazza.

La stessa notte, l’inquisitore meditava nella sua cella. Stranamente e contrariamente alle sue abitudini faticava a prendere sonno. Il pensiero andava sempre a quella giovane donna, al suo corpo così esile ed apparentemente innocente ma, al tempo stesso, così invitante e seducente. Pensava alla grande forza dimostrata ed alla sua evidente intelligenza. Sapeva quanto pericolosa fosse quest’ultima dote unita all’avvenenza di una donna. Si domandava se non fosse proprio il disturbo apportato da quella donna al suo autocontrollo a spingerlo contro di lei. In fondo la donna non aveva colpa se lui non era stato in grado d’evitare di guardare il suo corpo con concupiscenza, se la sua mente l’aveva attratto e distratto.

Una donna non può essere dichiarata colpevole di un crimine solo perché il maligno si &egrave divertito a fare del suo corpo una fonte di turbamento. Un uomo di Chiesa, un uomo forte, un uomo razionale come lui sapeva e poteva resistere a quelle lusinghe.

Allora perché si ritrovava a quell’ora della notte, quando ormai mancava poco al mattutino, con la mente occupata a pensare a lei e a sentire una strana forma di preoccupazione per l’esito del processo?

Turbato e, ormai, sfinito dalle troppe ore di veglia tentò di spostare i suoi pensieri sulla preghiera, un espediente che sempre lo aveva aiutato a ritrovare la serenità interiore e la pace dell’animo che tanto anelava. Iniziò a recitare meccanicamente quelle parole di fede che lo accompagnavano ormai dall’adolescenza. Con esse ritrovò la pace poiché la mente non seguiva più quei pensieri inquietanti, lentamente la stanchezza prese il controllo e si abbandonò al tanto sospirato sonno. La mente perse il controllo razionale dei pensieri come un una anticipata fase onirica, nulla quindi le poté impedire di trasformare la sequenza di parole della preghiera in una sequenza di nomi: “Dayabeduz, Heyaydez, Handabuz, Maharaz, Ardauz, Deheydemiz ‘.”. L’uomo, l’inquisitore, non poté accorgersi di quanto fosse stato irrazionalmente influenzato da quel libro che tanto razionalmente combatteva.

Il processo si risolse come lei aveva previsto. Interrogata dai dottori della fede, Zoara, era risultata perfettamente ortodossa, la sua fede non aveva sbavature di sorta, anzi i dotti si stupirono non poco nel trovare una donna laica così edotta negli articoli di fede. Restava il fatto che lei aveva pregato e offerto doni a quelli che la chiesa riteneva aspetti del demonio.

Zoara se la cavò, con gran disappunto dell’inquisitore, affermando la sua totale buona fede e l’ignoranza sul fatto che il Picatrix fosse ritenuto un libro empio. Si lasciò convincere dei suoi errori e li abiurò. Oltre al libro empio aveva anche letto, con profitto, il Directorium inquisitorum e sapeva come comportarsi di fronte al tribunale. A giorni era prevista la sentenza, a detta del giovane notaio era sarebbe stata condannata ad un breve periodo di pubblica penitenza: avrebbe, con tutta probabilità, dovuto indossare l’abito dei penitenti e assistere a tutte le funzioni religiose più importanti in modo da essere vista dai fedeli.

Niente di così grave come sembrava all’inizio. Grazie alla sua intelligenza Zoara aveva capito quando non era più il caso di insistere con la tesi iniziale. Ora rimaneva il problema del talismano ancora in mano a Beatrice.

Fra poco uscirò da qui, sarò una penitente ma il tribunale non menzionerà la mia colpa, non pretenderà un’abiura pubblica.
Che progetti hai tu? ‘ chiese la donna al giovane De Roussan.

L’inquisizione mi ha confermato qui ad Albì, sono soddisfatti del mio lavoro e pare che ci sia in giro ancora qualche focolaio d’eresia albigese ‘ ci sarà molto lavoro!
Il magister tornerà a Carcassonne, nella sua sede, questi focolai non sono così importanti da richiedere la sua presenza qui. ‘ rispose con noncuranza lui.

Bene! Lo sai che quando non tenti d’essere diverso da quello che sei e lasci che la tua dolcezza e sensibilità escano fuori non sei tanto male?

Lui arrossì senza rispondere alla velata proposta della donna. La sua fantasia già veleggiava verso i focosi incontri che avrebbe avuto con lei una volta libera. Lontano dagli occhi dell’inquisitore poteva muoversi come meglio credeva, lui non avrebbe approvato una sua relazione con un’eretica confessa.

Devi farmi un favore ‘ che ti ricambierò come tu speri!
Trova quella ragazza che era con me la notte che mi arrestarono e fatti consegnare assolutamente il talismano che le ho dato.

Perché me lo chiedi?
Perché l’opera non era completa, quell’oggetto può diventare pericoloso in mani sbagliate!
Ma tu hai abiurato il tuo errore! ‘ affermò il giovane con aria smarrita.
Ho abiurato l’errore che credevano avessi commesso, non ho mai negato il reale potere di quei riti. Come avrai notato nemmeno il tuo magister mi ha chiesto di farlo ‘ lui sa, lui conosce i potere delle formule del Picatrix, per questo lo combatte con tutte le sue forze.
E’ un uomo molto intelligente ‘ ma poco saggio!

Trova quella donna!

E se non vorrà consegnarmelo?
Distruggilo!

Il giovane scoprì che la ragazza, terrorizzata dall’arresto di Zoara, si era data alla fuga nel timore che l’inquisizione si rivolgesse a lei non come una povera vittima delle false promesse della presunta maga ma come ad una complice.

Partì sulle sue tracce, scoprì che si era fermata a Castres da alcuni amici di famiglia quindi aveva proseguito per Béziers. La raggiunse prima di Nimes, a Ganges!

Ci volle del tempo per convincerla, non voleva mollare l’ultimo baluardo cui si aggrappava la speranza di rivedere presto il suo amato. Poi quando seppe che Zoara era uscita bene dal processo si convinse che era una vera maga e credette alla parole del notaio sulla pericolosità dell’amuleto incompleto e lo consegnò a lui.

De Roussan contemplò l’oggetto, si rigirò la pietra tra le mani e mentre cavalcava sulla via del ritorno gia pregustava il suo prossimo incontro con la donna che lo aveva spedito sino lì. Non voleva tornare in città, nel palazzo dell’inquisizione in possesso di quel talismano. Non che credesse al suo ipotetico potere, ma il solo fatto di averlo con se gli procurava un vago senso di disagio, come se un qualcosa di negativo, maligno, pregnasse la pietra impenetrabile di cui era composto.

In fondo aveva promesso a Zoara di riportarglielo o distruggerlo.

Si trovava sul piccolo monte che sovrasta il paese di Ganges, nei pressi di una voragine da cui i locali lo avevano avvertito di tenersi alla larga. Con un largo gesto della mano, quasi plateale lanciò la pietra dentro quel buco che si apriva nel terreno, poi spronò la cavalcatura e galoppò verso casa.

Quella voragine era l’ingresso delle grotte delle Demoiselles, una cavità naturale penetrava nel profondo della terra. Il giovane non poté osservare il talismano rompersi sulle rocce e né sentì il rumore del suo precipitare in acqua. Affondando nel piccolo rigagnolo che scorreva in fondo, la pietra emise un vago bagliore prima di adagiarsi sul fondo finendo nella fenditura tra due massi erosi. Lì era destinato a rimanere per l’eternità, o sin quando, una piena improvvisa, lo avesse smosso riportandolo alla luce.

Il sonno di Carlo era molto agitato come di regola da alcune settimane.

Sperava in quel periodo di ferie, in Agosto, per recuperare le forze e la tranquillità. Apparentemente non aveva motivi di seria preoccupazione, il lavoro andava bene e la sua relazione con Cristina aveva trovato nuovi eccitanti spunti da quando avevano iniziato a vivere insieme nella sua casa.

Quel senso d’oppressione, il sonno rovinato da sogni che non riusciva mai a ricordare, l’inappetenza e il conseguente dimagrimento lo tormentavano da circa tre mesi dopo l’inizio della convivenza. I medici interpellati non avevano rilevato niente di patologico ed erano concordi nel ritenere la sua psiche il vero colpevole senza, però, proporgli nessuna soluzione valida a parte un vago: ” Si riposi un po’!”.

Per quello si erano recati in Francia con l’intento di visitare la Linguadoca e l’Aude. In quei giorni si trovavano nei pressi del confine con la Provenza, in una zona d’ameni altipiani tagliati dal fiume Hérault.

Dopo la cena e una breve passeggiata nei campi nei pressi della villa di fine ‘600 trasformata in albergo, conquistarono la stanza da letto.

Cristina tentò, come di norma in quelle sere di vacanza, di risvegliare il suo desiderio sessuale, senza risultati apprezzabili. Carlo si scusò con lei, promettendole un risveglio di fuoco, poi tentò di riposare.

Forse fu il tentativo di seduzione messo in atto da Cristina a guidare i suoi sogni o forse no, ma sognò.

Sognò una donna molto bella, dai lunghi capelli rossi. Un corpo da favola, molto alta, dotata di uno sguardo a volte intenso e indagatore altre volte dolce e sensuale.

Portava indosso una tunica bianca legata in vita da un semplice cordino ed era scalza. Una catena al collo la legava alla statua, in grandezza naturale, di un uomo nudo dalla possente muscolatura, la testa coronata e una spada incisa sulla destra.

Mentre si avvicinava vedeva la sua bocca muoversi come per parlare ma, rapito dalla carnosità di quelle labbra non udiva alcun suono. Quando fu davanti a lei con estrema facilità la sciolse dalla catena, tant’&egrave che si stupì che non l’avesse già fatto lei stessa da sola.

Con un’abile mossa, la donna, slegò la sua cintura e subito la tunica scivolò a terra, non indossava altro.

Era incredibilmente alta, poteva guardarla negli occhi mentre lentamente faceva aderire il corpo al suo.

Come accade nei sogni si ritrovò, all’improvviso, nudo come un verme, i suoi occhi vogliosi, il seno sodo premuto contro tanto da consentirgli di sentire la pressione dei capezzoli, lo eccitarono oltre ogni misura. Il bacino della ragazza si muoveva piano al ritmo del respiro stuzzicandogli il pene eretto, sentiva la sua pelle aderire al glande e poi staccarsi lentamente mentre si muoveva come se fosse dentro di lei.

Le accarezzò il viso guidandolo verso le sue labbra e la baciò. Lei rispose con passione mentre con una gamba lo avvinghiava. La strinse facendole scivolare una mano sulla schiena, raggiunto il sedere prese con forza una natica. Lei, allora, sollevò anche l’altro arto e se la ritrovò in braccio con le gambe aperte e la peluria della vagina premuta contro il membro.

La portò verso il letto e, delicatamente, la mise seduta sul bordo, quando staccò le labbra dal bacio le mani di lei corsero alla ricerca del pene. Se lo portò alla bocca ed iniziò a succhiarglielo molto lentamente quasi con dolcezza ma con un ritmo inesorabile. Lui provava un piacere caldo e pacato quando le sue labbra si dischiudevano intorno al glande per ingoiarlo. Quando, però succhiava con forza sembrava che tutto il suo seme volesse uscire in un colpo solo provocandogli una fitta di intenso piacere, violenta, quasi dolorosa.

Si allontanò di colpo dalla donna, per riprendere un minimo di controllo, quindi s’inginocchiò fra le sue gambe mentre con una mano la invitava a sdraiarsi completamente. La vista della leggera peluria rossa sul suo sesso fu un richiamo irresistibile, vi tuffò la lingua mentre con le mani si faceva spazio. Lei sospirava di piacere ed ebbe un forte fremito quando, con tutta la sua forza lui la penetrò con la lingua. Aveva un buon sapore e non smise di leccarla sino a quando i movimenti del suo bacino furono sintomatici di un imminente orgasmo.

Lei era li, sdraiata sul bordo del letto con le gambe aperte appoggiate a terra. Lui sempre in ginocchio di fronte a lei mentre con le mani le massaggiava ogni parte del corpo. Quando sentì il suo respiro regolarizzarsi appoggiò il pene alla vagina, guidandolo con una mano lo strofinò delicatamente. Un movimento del pube lo invitò dentro, allora spinse, prima delicatamente poi, non trovando alcuna resistenza, la penetrò a fondo.

Le sue gambe lo legarono nuovamente a impedendogli ogni movimento. Fu lei, muovendo il bacino e contraendo i muscoli giusti a gestire il loro piacere.

Arrivò all’orgasmo quasi subito, slacciò le gambe appoggiandole a terra e inarco il corpo. Lui, finalmente libero le diede quello che non aveva potuto darle prima, andò avanti e indietro cercando di seguire il ritmo delle sue ondate di piacere. Uno sguardo lo aiutò a capire cosa voleva ancora da lui. Venne dentro di lei, spingendo a fondo dentro il suo ventre, mentre lei inspirava a bocca aperta ad ogni suo impulso.

La donna non disse mai una parola, si rialzò e gli regalò ancora un breve bacio, dal suo sguardo s’intuiva la gratitudine.

Carlo si risvegliò, sudato ed estremamente eccitato. Aveva ancora ben chiaro in mente il viso di quella ragazza ma non riusciva a ricondurlo a nessuna donna da lui conosciuta. Non gli era mai capitato di fare dei sogni erotici dove le protagoniste erano donne sconosciute, normalmente sognava la sua compagna, qualche amica o conoscente che era riuscita ad accendere la sua fantasia ma mai una sconosciuta.

Osservò la sua donna che ancora stava dormendo. Appoggiata su di un fianco gli volgeva la schiena. L’invitante curva del suo sedere generò in lui un nuovo desiderio. Iniziò ad accarezzarle la schiena strappandole un leggero mugolio. Fece scorrere la mano dalla sua spalla sino in vita, poi risalì i fianchi. Si portò verso di lei mentre con la mano cercava la vagina. La trovò umida quindi, da dietro guidò il suo pene dentro di lei.

Se era già sveglia non lo diede a vedere, lo lasciò fare per un po’ poi iniziò a muoversi anche lei, ancora intorpidita dal sonno i suoi movimenti erano languidi e dolci come quelli della donna del sogno.

Cercò, con una mano, la vagina e iniziò a stimolarla mentre la penetrava. Trovò il suo collo con la bocca e lo baciò provocandogli leggeri brividi di piacere mentre il loro ritmo aumentava.

Lei, stando bene attenta a non farlo uscire sfruttava tutta la lunghezza del pene per poi chiudersi contro di lui quando lo aveva tutto dentro. Quando Carlo si accorse che stava per venire l’afferrò, una mano fra il materasso e il suo fianco, l’altra da sopra l’altro fianco aperta sul suo ventre per stringerla contro di se. Seguì, come nel sogno, il suo piacere cercando di incrementarlo con le spinte.

Non venne dentro di lei ma la invitò a girarsi, gli si mise a cavallo e appoggiò il membro in mezzo al seno che lei premette con le mani per farlo aderire bene. Le bastarono poche mosse per farsi inondare dal suo seme.

Carlo aveva deciso di eiaculare sul corpo della sua donna per verificare la quantità di seme che aveva a disposizione quel mattino. Il sogno era stato così reale da lasciargli dei forti dubbi sulla sua semplice valenza onirica.

Dopo quell’amplesso ritrovò parte della tranquillità che aveva perduto, convinto di poter attribuire l’agitazione delle sue notti ad un desiderio erotico non soddisfatto. Pensava che se avesse sfogato i suoi istinti, con la volenterosa collaborazione di Cristina, i suoi sonni sarebbero tornati normali ‘ ma si sbagliava.

Dopo il forte temporale della notte, Carlo e Cristina, non speravano nel magnifico cielo azzurro ritratto nella finestra della loro camera d’albergo. Decisero d’approfittarne e di procurarsi due canoe per ridiscendere il fiume. Sbrigate le poche formalità e fissato il luogo dell’appuntamento, dove sarebbero stati recuperati, si avviarono con calma sulle acque limpide. Il paesaggio era stupendo e non invogliava a correre.

Dopo poche ore, quando il Sole d’Agosto iniziava a farsi sentire, si concessero il primo di una lunga serie di bagni della giornata. Nell’occasione studiarono meglio l’itinerario, decisero di fermarsi per il pranzo in qualche insenatura nei pressi dell’abitato di Ganges, situato oltre la metà del percorso, dove il fiume si allarga all’improvviso e il suo letto formato da grandi lastroni di roccia crea delle piscine naturali dove l’acqua si scalda facilmente al Sole.

Quando raggiunsero il luogo prestabilito, ormeggiarono o meglio tirarono in secca le canoe in una piccola insenatura del tutto invisibile dalla strada che correva ad una ventina di metri sopra di loro. L’intimità del luogo e l’amenità del paesaggio li convinsero a provare l’ebbrezza di un bagno completamente nudi. Desideravano sentirsi parte integrante di quella natura così bella.

Si spogliò per prima Cristina e subito si tuffò da un trampolino naturale, Carlo la seguì con un tuffo goffo che generò l’ilarità di lei. Nuotarono e giocarono sino a quando le loro carezze si fecero un po’ troppo particolari. Si avviarono quindi verso la riva dove Carlo bloccò Cristina per i piedi, trattenendola in acqua per metà. Risalì il suo corpo fino alla bocca e la baciò.

Cristina notò la magnifica erezione che le premeva sul ventre e senza tanti complimenti sguisciò via da sotto di lui e corse verso le imbarcazioni. Stese a terra un asciugamano, nel mezzo delle due canoe, e vi si sdraiò sopra ridendo, quando lui la raggiunse gocciolante lei raccolse le gambe e le aprì, oscenamente invitante.

Carlo s’inginocchiò nel mezzo e si lasciò cadere su di lei, abbracciandola come poteva e baciandola teneramente. Cristina era molto contenta di quelle effusioni, sintomo evidente che lui stava iniziando a rilassarsi veramente e a godersi le ferie. Mentre si lasciava accarezzare i fianchi e le natiche muoveva il pube, invitante ed esplicita, così come espliciti erano i suoi baci sulla bocca. Poco alla volta cercava di scivolare più in alto in modo da portare la vagina alla giusta altezza del pene. Lui capì le sue manovre e un po’ per gioco, un po’ per malizia la seguiva vanificando i suoi tentativi.

Non c’&egrave la fai più ‘ vero? ‘ le domandò malizioso.
Dai, non fare lo stronzo ‘ prendimi ‘ ora!
Ho voglia di giocare ancora un po’ con te, solo che se continui a scivolarmi via ‘. Idea!

Carlo vide la corda che legava la prua delle canoe, in quel momento libera, la prese e, con un movimento secco e violento, costrinse Cristina ad alzare le braccia; quindi le legò insieme i polsi con un nodo tanto stretto da procurarle una fitta di dolore. Per essere sicuro che non potesse muoversi assicurò l’altro capo della corda al tronco di un’acacia lì vicino. Nel compiere questa manovra salì a cavallo del suo busto con il membro eretto dall’eccitazione che stava provando nel legarla. Si chinò in avanti per far girare intorno al tronco la fune avvicinando pericolosamente il pene alla sua bocca. Lei lo ingoiò, dischiudendo le labbra mentre lui spingeva in avanti, lasciandosi penetrare la gola; poi lo succhiò forte leccandolo al contempo.

Carlo non se lo aspettava e d’istinto si ritrasse da lei, poi invaso dalla piacevole sensazione che quella bocca sapeva sempre dargli spinse in avanti. Trovò la cosa tanto piacevole da continuare quel movimento mentre terminava di legarla.

Con la mente offuscata dal piacere scattò all’indietro, portandosi nuovamente in mezzo alle gambe di Cristina, in ginocchio. La osservava come muoveva languidamente il pube o nel modo in cui incavava il ventre mentre spingeva in alto la folta peluria; dal suo sguardo intuiva che era per nulla preoccupata di essere stata privata della libertà. Era decisamente invitante. Troppo invitante, tanto che nella mente di Carlo iniziava a formarsi l’idea che lei si comportasse in quel modo per sfidarlo, per dimostrargli che anche se legata era sempre più forte lei ed era lei a dominare, comunque, il gioco.

Sentì montare il desiderio di farle capire chi era ad avere il comando in quella situazione, che lui era in grado di resistere ai suoi inviti ma soprattutto: che il regista era lui.

Il senso di prevaricazione che provava in quell’istante lo stava eccitando, guardava il membro eretto e lo immaginava strumento di punizione per quella donna che osava sfidarlo con il languore di un corpo praticamente perfetto, almeno ai suoi occhi.

Spostò lo sguardo dal seno all’interno della canoa alla sua destra, dove trovava posto il contenitore stagno dei viveri; lo prese. Al suo interno tra le varie cose c’erano quattro lattine di birra gelate, ne prese una e l’appoggiò con studiata lentezza tra le gambe di Cristina, poi impugnò il coltello a serramanico che lì era riposto e lo appoggiò sul ventre di lei. Cercò tra le sue cose e trovò il cilindro stagno che conteneva il suo orologio e i pochi soldi che si erano portati dietro, lo guardo con un sorriso: aveva le dimensioni giuste, forse un po’ più grande del suo pene ma era perfetto.

Prese il coltello dal ventre e lo sostituì con la lattina gelata. Subito lei contrasse i muscoli a quel contatto lanciando un gridolino di stupore e piacere. Carlo fece rotolare la lattina sul suo corpo salendo verso il seno, la guidò nel risalire la curva della mammella sinistra e indugiò sul capezzolo sempre più turgido.

Cristina aveva gli occhi chiusi, rapita dalle forti sensazioni che stava provando. Una situazione come quella non l’aveva ma i nemmeno sognata: legata ad un tronco, all’aperto con la possibilità di essere spiata da qualcuno, il suo uomo che giocava con i suoi sensi in un modo magistrale. Doveva concentrarsi per non venire subito tanto era forte la sua eccitazione.

Carlo giudicò che la temperatura della lattina era oramai ottimale, lui non amava le bevande troppo fredde, l’aprì spruzzando Cristina e la tracannò in un sorso.

A stomaco vuoto l’alcool entrò subito in circolo. Forse per questo trovò il coraggio di estrarre la lama del coltello, fissarla con l’apposita sicura, e avvicinare il metallo al ventre della sua donna.

Il contatto con quell’oggetto appuntito e freddo procurò dei forti brividi a Cristina che assaporò quelle percezioni sino in fondo, sempre con gli occhi chiusi. Le piaceva quella sensazione di leggero dolore mista ad un vago senso di pericolo. La paura che quella lama la ferisse l’eccitava tanto quanto l’essere nuda e pronta davanti al suo uomo.

Carlo fece scorre la lama molto affilata impugnandola come un rasoio. Si spostò di lato a lei, impugnò il coltello con la sinistra e con l’altra mano le appoggio il contenitore cilindrico alla vagina, con calma lo insinuò tra le labbra puntando il buchino, quando fu sicuro della direzione iniziò a spingerglielo dentro, poco alla volta ma inesorabile nella sua marcia. Quando giudicò di averne infilato una buona misura lo lasciò dove si trovava e tornò ad occuparsi della lama del coltello.

Cristina non aveva più fiato per ansimare, il pezzo duro e indeformabile dentro il suo ventre le limitava notevolmente i movimenti ma le piaceva da impazzire. Il tocco ruvido della lama sulla pelle sensibile del seno le fece contrarre alcuni muscoli del bacino accrescendo in quel modo la sensibilità attorno all’oggetto che la penetrava, rantolò di piacere stimolando la fantasia di Carlo.

Lui aveva una strana sensazione addosso, sentiva di avere già vissuto quella scena ma era sicuro di non aver mai fatto niente del genere. La sensazione durò solo un brevissimo istante, poi sparì com’era venuta.

Strofinò la lama sui capezzoli, leggera mentre una mano scendeva scorrendole il corpo verso il pube. Afferrò il surrogato fallico e iniziò a muoverlo dentro il suo ventre. Manovrava il contenitore e stuzzicava i capezzoli. Continuò in quel modo sino a quando lei urlò di piacere.

Cristina inarcò il corpo e tirò forte le corde che la legavano, contrasse ripetutamente il ventre nel tentativo di incrementare la sensibilità al piacere.

Carlo abbandonò il coltello, estrasse da lei il contenitore cilindrico e in poche abili mosse la penetrò. Si mosse rapido su di lei seguendo il ritmo che gli dettava, continuò a muoversi anche quando Cristina rilassò, esausta, tutti i muscoli.

Ormai era troppo dilatata per riuscire a sentire qualcosa, Carlo uscì da lei e rapidamente avvicinò il pene alla sua bocca. Spinse di reni anche lì e, confortato dalle abili mosse della lingua, iniziò a percepire l’avvicinarsi dell’orgasmo. Le venne dentro la gola, tanto spingeva forte in quel momento.

Cristina riuscì ad ingoiare tutto senza rischiare il soffocamento, mentre lui si ritraeva esausto lei lo seguì con la bocca fin dove le corde lo consentivano.

Lui si alzò in piedi, guardò lei e poi si guardò in giro. Cercava qualcuno. Voleva offrire quella donna, legata in quel modo ad uno sconosciuto che, magari, si ritrovava a passare da quelle parti. Voleva vederla in balia delle fantasie di un altro uomo, sentiva il bisogno di guardarla mentre godeva con il membro di uno sconosciuto, voleva vederla ricoperta del seme di uno, due ‘ non importa quanti uomini mentre legata ed inerme non poteva evitare i loro spruzzi. A quei pensieri sentì il turgore tornare, guardò in basso e vide il suo pene nuovamente pronto. Lo prese in mano e iniziò a menarlo, in piedi sopra di lei. Fissava il ventre di Cristina e lo vedeva gonfio del pene di un altro uomo, lo immaginava entrare e uscire da quella vagina ancora dilatata, vedeva la sua bocca piena dello sperma di uno sconosciuto e venne. Gocciolò il poco seme ancora rimasto dopo il precedente orgasmo sul corpo di Cristina sotto di lui.

Mentre il piacere passava la sua mente tornò lucida. Guardò lei legata e subito non riuscì a capire cosa era successo, poi ricordò.

Rammentò tutto, quello che era successo, quello che aveva sognato e provato.

Si vergognò, si stupì, si sconvolse; poi vide il viso soddisfatto e lo sguardo grato e appagato della sua donna e si sentì un po’ meglio.

La liberò e quindi la coccolò a lungo. Mangiarono e si riposarono. Si era fatto troppo tardi per continuare la discesa del fiume, chiamarono il noleggiatore e presero appuntamento poco oltre per il recupero: nel punto in cui il fiume sfiora la strada per le grotte delle Demoiselles e in cui si scarica il torrente che corre al loro interno.

Si rivestirono velocemente e ripresero a navigare sul fiume in modo da raggiungere al più presto il luogo recentemente concordato. Non avevano mangiato molto, tutto il loro tempo era stato impegnato a giocare con i sensi. Ora non sentivano i morsi della fame ma un languore diffuso misto ad un inappagabile desiderio, tutto quello che desideravano in quel momento era raggiungere la loro camera d’albergo per riprendere i giochi interrotti.

Remarono sino a vedere sulla loro sinistra la confluenza di un piccolo torrente e, subito dopo, un approdo dove già il fuoristrada con il carrello per le canoe al traino gli aspettava. L’avvicinamento non era dei più semplici e Carlo volle tentare per primo, in modo da poter aiutare Cristina in seguito. Mentre lui manovrava per avvicinarsi alla riva, lei puntò la prua della sua canoa verso il piccolo affluente, sentiva un forte richiamo in quella direzione. Forse era la vegetazione stupenda ed incontaminata, forse lo stupendo disegno che formavano le sue acque che rimbalzavano sulle rocce o forse c’era altro d’inspiegabile, ma Cristina iniziò a remare contro corrente risalendo il piccolo torrente. Non era una navigazione facile, specie per una principiante, ed era molto faticosa, ma lei insistette nel risalirlo sin quando il suo sguardo non fu attirato da un leggero luccichio nell’acqua bassa vicino alla riva. Si avvicinò a fatica e notò, nel fondo, una pietra tonda adagiata sul fango portato dalla piena della notte, tentò di prenderla ma era troppo lontana, allora manovrò per avvicinarsi. Nulla da fare, l’acqua era troppo bassa per consentire il galleggiamento della canoa, continua ad urtare i massi sul fondo. Arrivava a pochi centimetri dalla pietra con la pagaia senza mai riuscire a prenderla; con uno sforzo si sbilanciò nella sua direzione riuscendo ad infilarle il remo sotto, proprio mentre stava per sollevarlo un ondata più forte delle altre la ribaltò. Cristina si ritrovò con tutto il corpo sott’acqua e la corrente che la spingeva verso la riva e la pietra. Aprì gli occhi e la vide, senza preoccuparsi della sua situazione si sforzò di raggiungerla con le mani. Appena riuscì a prenderla si rese conto di aver quasi consumato l’ossigeno nei suoi polmoni e di provare l’irresistibile bisogno di respirare. Tentò di spingere la testa fuori dell’acqua ma la canoa la continuava a tenere sotto. Una vaga forma di panico iniziava a diffondersi in lei, non aveva mai avuto paura dell’acqua considerandola un elemento naturale per lei, ma ora tutti i suoi sforzi d’emergere risultavano vani. Gli affanni le stava facendo consumare molto ossigeno e stentava a controllare l’istinto di respirare. La sua mente razionale sapeva che se avesse tentato di respirare in quel momento avrebbe solo immesso acqua nei polmoni. Per fortuna tanti anni di sport acquatici le avevano insegnato a non perdere mai la calma quando si trovava sotto, lentamente riuscì a liberarsi dalla canoa e quindi a riemergere. Appena mise la testa fuori inspirò violentemente più volte, sin quasi a provare dolore per la quantità d’aria immessa nei polmoni. Il suo primo pensiero cosciente fu per la pietra che aveva recuperato con tanto rischio, confortata dal fatto di tenerla ancora in mano cercò la canoa e la vide in balia della corrente. S’issò quindi sulla riva per raggiungere via terra gli altri e confortarli sul suo stato di salute. La fitta vegetazione rallentava, però, la marcia e quando giunse in vista del gruppo trovò Carlo che issava sulla riva la sua canoa vuota. Lo sguardo preoccupato del suo uomo si trasformo in rabbia quando apprese cosa era successo e quali erano stati gli eventi che l’avevano portata a ribaltarsi con la canoa. Nella relativa intimità della loro camera d’albergo, Carlo abbandonò il suo autocontrollo ed iniziò ad inveire contro di lei e contro la sua avventatezza. Cristina lo lasciò sfogare, sapeva che quelle parole di rabbia nascevano dalla preoccupazione per il rischio che aveva corso. Quando le parve che Carlo si fosse calmato tirò fuori il suo bottino.

Guarda che cosa ho trovato sul fondo del fiume. &egrave questo che tentavo di prendere quando mi sono ribaltata ‘ non una pietra qualsiasi. ‘ così dicendo gli porse l’oggetto ‘ Mi pare preziosa! Non capisco di quale materiale sia, ma osserva com’&egrave finemente lavorata!

Carlo prese quella pietra traslucida e se la rigirò tra le mani. Ora che la sua preoccupazione e la conseguente rabbia erano scemate grazie alla scenata si sentiva meglio e dedicò molta attenzione a quell’oggetto.

Mi pare di quarzo! Il materiale non &egrave prezioso. Sì &egrave bello ma &egrave un minerale molto comune, però ‘ hai ragione reca una bellissima incisione. Cos’&egrave quest’oggetto che sta davanti a quella donna?
A me pare un bel ‘ emm’ un bel fallo gigantesco! ‘ disse Cristina ridacchiando.
Dai! Sii seria!
Guardalo bene, si notano tutti i dettagli ‘ ma ‘ in effetti tu non sei abituato a vederlo dal mio punto di vista! ‘ Aggiunse lei con una nota di malizia nella voce.
Stai tentando di farti perdonare usando biecamente il tuo corpo?
Tu che ne dici? ‘ Rispose lei alzandosi in piedi per avvicinarsi a lui.

Cristina non diede a Carlo il tempo di aggiungere altro, premette il suo corpo contro il suo ed alzò il viso verso le labbra dischiudendo le proprie. Carlo restò bloccato dalla sensazione di aver già vissuto quella scena poi abbassò le labbra verso quelle della sua donna e la baciò. Lei si avvinghiò al lui con una gamba e lo strinse forte a se, lasciandosi andare nella passione del bacio. Cristina muoveva il corpo invitante premendo il bacino contro la zona genitale di Carlo per stuzzicarlo e per soddisfare almeno in parte il desiderio di sentire qualcosa dentro il ventre. Appagata dal lungo bacio la ragazza si staccò per slacciare l’accappatoio indossato subito dopo la doccia e lo lasciò cadere in terra rimanendo completamente nuda, quindi, dopo averlo fissato negli occhi, s’inginocchiò ai suoi piedi allungando le mani verso la cintura dei pantaloni. Lo spogliò in fretta, anche perché il suo obiettivo era solo quello di raggiungere il membro già eretto. Prese l’organo di Carlo tra le mani e senza attendere il suo invito vi si tuffò contro con la bocca aperta. Ingoiò e succhiò forte procurando in lui una sensazione piacevole e dolorosa al contempo. Carlo non riusciva più a connettere, da una parte il piacere e dall’altra i ricordi del sogno della notte precedente stavano spingendo il suo intelletto in una zona completamente irrazionale, guidata solo ed unicamente dall’istinto. Cristina gli stava procurando le stesse sensazioni della donna del sogno.

Carlo sentiva l’orgasmo avvicinarsi pericolosamente, per quanto piacevole quella situazione non riusciva a soddisfarlo completamente, se abbassava gli occhi su Cristina sentiva nascere il desiderio di entrare nel suo ventre e muoversi in lei sino ad esploderle dentro. Afferro la ragazza per i capelli e la costrinse ad allontanare la bocca dal membro, quindi la invitò ad alzarsi e adagiarsi sul letto. Approfittò del momento per terminare di spogliarsi, si levò gli indumenti con ostentata calma riponendoli in ordine sulla sedia. Questo era un espediente utile a riconquistare un minimo di autocontrollo lasciando scemare la forte eccitazione. Quando si voltò verso il letto ebbe un mancamento; Cristina lo stava aspettando seduta sul bordo del letto, con le gambe appoggiate in terra unite e composte. Attese che lui appoggiasse il suo sguardo su di lei per lasciarsi cadere sdraiata e aprire invitante le gambe. Carlo rivide per un attimo la rossa peluria pubica della donna del sogno, rapito da quell’immagine si avvicinò e iniziò a leccarla come nel sogno. Cristina ebbe un sussulto, contrasse tutti i muscoli mentre una fitta di piacere s’irradiava in tutto il corpo. Muoveva il pube strofinandolo contro la lingua di Carlo per incrementare il piacere e per invitarlo dentro. Lui, oramai non riusciva più a scindere la realtà dal sogno e si comportò esattamente come in quell’avventura onirica. Procurò a Cristina un orgasmo bellissimo ed intenso poi si lasciò andare dentro di lei.

Terminato il rapporto si alzò subito in piedi e non ascoltò le sue tenere richieste dirigendosi verso il bagno. Sentiva la necessità di una doccia, per lavare via la confusione dalla mente. Cristina, intanto si era trascinata verso la testa del letto e, dopo aver assestato i due cuscini, si sistemò comoda per osservare meglio l’oggetto trovato nel fiume. Notò, in quest’occasione un piccolo foro su quello che doveva essere il lato superiore, sino a quel momento le era sfuggito per il poco tempo dedicato alla sua osservazione e a causa della lieve trasparenza della pietra. Subito pensò di farne un ciondolo da portare al collo, iniziò a figurarselo legato in diversi modi ma, alla fine, optò per un semplice legaccio in cuoio.
Si fermarono in quella regione sino al termine delle ferie; l’Aude presentava una varietà di paesaggi incredibile e un’infinità di cittadine storiche di grande interesse. Poi le ferie finirono e, con una nota di malinconia sui loro volti, si avviarono verso l’Italia. Non avevano percorso molti chilometri che Cristina propose di allungare di un giorno le ferie con una sosta in una cittadina lungo il percorso. Senza capirne il motivo si sentiva fortemente attratta dal paese di St. Remy de Provence. Dopo averne vista l’indicazione su di un cartello stradale era nata in lei l’esigenza di soggiornare in quel luogo. Carlo, forse attratto più dal passare un’altra notte di puro sesso con lei che dalla visita di un’altra cittadina del sud della Francia, accetto di buon grado. Mancavano, ormai, solo un paio di chilometri dalla meta quando Cristina indicò una via sterrata al suo uomo.

Prendi quella strada! ‘ disse lei con un tono d’urgenza.
Ma ‘ va nei campi!
No, c’era un cartello che indicava un Hotel.
Qua? Ma costerà una follia!
Prendila ti dico, torna indietro! ‘ insistette lei, poi quando lui ebbe terminato la manovra continuò ‘ Ecco, vedi là su quel cartello ‘ Chateau de Roussan ‘ mi piace!
Io dico che non ci fanno neppure entrare!
Proviamo! ‘ terminò lei ottimisticamente.

In effetti era un bell’albergo in un antico palazzo signorile. Il prezzo di una camera non era poi così spropositato ed il magnifico parco che lo circondava rendeva quell’alloggiamento sicuramente appetibile, anche se solo per una notte. Sistemati i bagagli si avviarono verso il paese di St. Remy lungo una stradina secondaria consigliatagli dal proprietario, il quale aggiunse che era inutile prendere l’auto: il paese si trovava a pochi passi (1 Km circa!) e non era facile posteggiare al suo interno. La giornata era calda e leggermente afosa, il clima tipico di quella regione, ed era piacevole passeggiare all’ombra dei platani secolari che costeggiavano la via. Per tutto il percorso Cristina parlò di vari argomenti ma sempre con velate allusioni alla loro ritrovata passione, eccitando Carlo con il pensiero di ciò che sarebbe seguito alla cena. Giunti in paese lei volle trovare un negozio o una bottega artigiana dove cercare un laccio di cuoio o qualunque altra cosa con cui trasformare quella pietra in un ciondolo. Girarono a lungo per il paese percorrendo ogni singola via del centro storico, Carlo si stava chiedendo cosa avesse di speciale quella cittadina tanto da spingere Cristina a proporre una sosta lì, in fondo avevano visitato paesi e città in cui l’architettura e l’integrità degli edifici storici erano, senz’altro, più affascinanti di ciò che stava vedendo, quando Cristina lanciò un’esclamazione di gioia. Aveva trovato ciò che cercava e, senza dare a Carlo il tempo di raggiungerla, entrò nella bottega di un artigiano. Quando Carlo varcò la soglia la vide mentre mostrava al titolare la pietra trovata in fondo al fiume e tentava di spiegargli nel suo stentato francese cosa aveva in mente. L’uomo ascoltò apparentemente distratto la spiegazione, la sua attenzione era tutta rivolta alla pietra. Prima che Cristina terminasse d’esprimersi, il bottegaio le domandò molto cortesemente se intendeva vendere quella pietra. Cristina rimase di stucco, tutto s’aspettava tranne che una proposta di quel tipo. L’artigiano, allora, offri una cifra che Carlo giudico veramente interessante. Cristina rivolse a lui lo sguardo in cerca d’aiuto, non intendeva bene quella lingua e un numero pronunciato da un francese assume sempre un significato oscuro. L’uomo, intuita la difficoltà tentò d’esprimersi in italiano, segno evidente di quanto fosse interessato all’acquisto, ma dopo una breve trattativa in cui Cristina si vide offrire anche dei gioielli in oro, lei gli spiegò il motivo per cui non intendeva venderlo e raccontò all’uomo il rischio corso per entrare in possesso di quella pietra. Lui ascoltò, questa volta con grande interesse, il suo racconto e alla fine disse di aver capito, quindi armeggiò in un cassetto e ne tirò fuori un cordino di canapa con cui legò la pietra trasformandola in una collana. Notata la faccia delusa di Cristina spiegò che quel tipo di “amuleto”, sì usò proprio questo termine, andava legato con quel materiale, quindi lo porse a lei invitandola ad indossarlo subito, le spiegò che doveva stare all’altezza del cuore: né più in alto, né più in basso. Cristina eseguì poi si voltò verso lo specchio ammirandosi, soddisfatta tentò di pagare l’artigiano ma questi non ne volle sapere, disse che un pezzo di corda non lo avrebbe certo mandato in rovina, si preoccupò solo di controllare che il ciondolo fosse alla giusta altezza poi pregò Cristina di non prestarlo o regalarlo mai a nessun’amica, ma di tenerlo sempre con se. Cristina gli ricordò ancora una volta quanto aveva rischiato per prenderlo e quindi lo salutò. Carlo era leggermente scosso ed incuriosito dal comportamento di quell’uomo, soprattutto era sconvolto dalla cifra offerta per quell’insignificante pezzo di quarzo e dal rifiuto di venderlo da parte di Cristina. Lei, invece, continuava a specchiarsi nelle vetrine, felice del suo nuovo ornamento.

Aveva ragione, sai? Intendo quel tipo del negozio ‘ con questo cordino sta proprio bene, meglio del laccio di cuoio che avevo immaginato io! ‘ disse lei radiosa.
Quello che non capisco io &egrave ‘ il motivo per il quale non lo hai venduto? Ma ti rendi conto di quanto ti ha offerto?
Certo che ho capito bene la cifra, ma ho rischiato la vita per prenderlo ed ora me lo tengo, inizio a pensare che mi porti fortuna!
Credo che settantamila franchi portino la stessa fortuna, anzi ‘ molta più fortuna!
Vuoi apparire venale quanto non lo sei, piantala che tanto non ti credo! ‘ sentenziò lei prima di rivolgere il suo sguardo verso un’altra vetrina.

Non ebbero modo di tornare sull’argomento, Cristina non intendeva discuterne ulteriormente e Carlo era sufficientemente saggio da capirlo. Il resto del pomeriggio trascorse tranquillo sino al loro ritorno in albergo. Dopo una doccia veloce decisero di cenare nel ristorante dell’albergo considerata l’ampia scelta di piatti e la possibilità di pasteggiare all’aperto.

Cristina, come sempre era in ritardo. Quando Carlo uscì dalla doccia lei era ancora intenta a cercare nella valigia l’abito da indossare, spostava sbuffando i vari vestiti lamentandosi di aver portato troppa poca roba, di aver lasciato a casa proprio quel completino che le stava benissimo ed era indicato per l’occasione. Carlo le ricordò, con molta diplomazia, l’ora e rimarcò il fatto che lei poteva permettersi anche un paio di jeans talmente era bella e seducente. Nessuno avrebbe notato il suo abbigliamento rapito dalla luce dei suoi occhi. Cristina, che in quelle occasioni si sentiva metaforicamente sollevata per il sedere, pensò di dimostrare al suo uomo che in fondo aveva ragione: scelse nel mucchio una gonna non troppo corta ma aderente ed una maglietta di cotone leggera, l’afa della Provenza in Agosto la rassicurava. Depose il tutto sul letto e rivolse lo sguardo a Carlo per controllarne le reazioni, notò che appariva più scocciato dal ritardo piuttosto che interessato a cosa lei si mettesse addosso. Stizzita dalla sua noncuranza indosso la gonna, quindi le scarpe, poi con una mossa rapida e decisa slacciò il reggiseno lanciandolo sul letto e indossò la maglietta. Sapeva che il tessuto chiaro e leggero avrebbe lasciato chiaramente trasparire il seno nudo, immaginava l’effetto dei capezzoli eretti e d’un tratto li sentì inturgidirsi. Questa volta guardò Carlo con aria di sfida ma fu ripagata dal suo sguardo smarrito. Senza dubbio lui intendeva protestare, non era geloso ma non amava quando lei si metteva troppo in vista.

Andiamo! ‘ disse lei.

Carlo soffocò in gola ogni protesta intimorito dai suoi occhi e dal tono di voce deciso. Riuscì solo a dire:

Sei sicura di non aver freddo più tardi?
Sicurissima, senti che temperatura c’&egrave ora. Anzi .. ti dirò che tempo di aver troppo caldo così!

Non terminò neppure la frase che le sue mani erano scivolate sotto la gonna, con poche abili mosse riemersero stringendo gli striminziti slip che indossava, lanciò pure loro sul letto e senza più aggiungere altro uscì dalla porta.

Per tutta la cena Carlo fu intento ad ammirare il seno di Cristina che si muoveva sensuale al ritmo del suo respiro sotto quella maglia che nascondeva ben poco della sua perfezione, alternativamente scrutava in direzione dei diversi tavoli per capire se la sua donna era meta delle occhiate spudorate degli altri clienti. Inizialmente si sentì notevolmente infastidito quando il cameriere indugiò un po’ troppo nel consigliare a Cristina quali piatti scegliere, dalla posizione che aveva assunto aveva un ampia visuale del seno, poi iniziò a provare un senso di eccitazione al pensiero di quanto fosse desiderabile la donna che aveva davanti, la sua donna. Iniziò inconsapevolmente a sperare che i capezzoli spingessero sul tessuto per evidenziare ulteriormente la sua nudità, quindi cercò di eccitarla parlandole suadente e ricordandole cosa era successo in riva al fiume. L’effetto fu quello sperato, Cristina iniziò ad eccitarsi in un modo quasi incontenibile; vedeva il seno gonfiarsi ed i capezzoli premere con forza sulla stoffa della maglia, sentiva le gambe incedere verso le sue aperte. Lei era senza biancheria, solo in quel momento comprese che con le gambe divaricate dava ampio respiro alla vagina e la esponeva in pubblico. Carlo arrossì per lei e Cristina intese quel suo colore come sintomo d’eccitazione quindi scivolo un po’ di più sulla sedia per raggiungerlo con i piedi sotto il tavolo. Continuarono a giocare per tutta la cena, si eccitarono a vicenda, si stuzzicarono al limite della sopportazione e si rimpinzarono di cibo e vino per sublimare quel desiderio.

Un po’ troppo cibo ma soprattutto troppo vino.

Risalirono in camera animati dalle migliori intenzioni ma quando lei uscì dal bagno trovò Carlo già profondamente addormentato, si sistemò al suo fianco con l’intenzione di svegliarlo per ricordargli i progetti fatti per tutta la sera, si concesse solo qualche minuto per riprendere il pieno controllo del suo corpo ma presto cadde addormentata pure lei. Un sonno profondo che durò per tutta la notte.

Solo verso l’alba Carlo fu destato da una serie di leggere e ritmiche vibrazioni del materasso, ancora obnubilato dalla semi incoscienza del risveglio non riuscì a capirne la causa. Quelle oscillazioni lo disturbavano da un lato spingendolo al completo risveglio mentre lo cullavano invitandolo a chiudere gli occhi per concedersi ancora qualche ora di sonno. Fu la curiosità a vincere.

Spostò lo sguardo verso la sua donna, immaginando di trovarla sveglia e impegnata in qualche oscuro esercizio ginnico atto a tonificare qualche parte del suo corpo, non era la prima volta che veniva risvegliato dalle sue flessioni o torsioni fatte nel letto. Questa volta, però, Cristina pareva addormentata. Coricata su di un fianco gli volgeva le terga, come sempre, ed aveva la testa spinta sul cuscino in direzione della spalliera del letto e reclinata verso la schiena, come se fosse concentrata in un grande sforzo. I movimenti del lenzuolo attirarono la sua attenzione, con molta cautela la scoprì del tutto mettendo a nudo la schiena ed i glutei. Notò allora che il suo braccio, appoggiato sul fianco, si muoveva lento e sensuale mentre il sedere oscillava avanti e indietro ancora più lento.

Carlo si sollevò quel tanto che bastava per spingere il suo sguardo oltre il fianco di lei e finalmente vide la sua mano che massaggiava, o meglio accarezzava, il ventre con movimenti circolari. Ogni tanto la mano premeva sulla pelle in concomitanza di una forte contrazione dei muscoli addominali. Tutto l’insieme: la mano, le contrazioni, i movimenti alternati dei glutei, fecero insorgere in Carlo il sospetto che Cristina di stesse masturbando. Resto sconvolto da questa scoperta, più l’osservava più si convinceva di aver ragione. In tutti gli anni passati insieme lei non aveva mai cercato il piacere da sola mentre era in sua compagnia. Sapeva come metteva in pratica l’autoerotismo poiché lei gli aveva descritto nei dettagli come amava masturbarsi, ma non l’aveva mai vista in azione. Subito provò un forte senso di colpa, lei lo aveva eccitato per tutta la sera senza ottenere nulla di concreto, lui era crollato subito addormentato dopo cena. Ora lei stava cercando da sola il piacere che le aveva negato. Un ulteriore e più approfondita analisi della situazione rassicurò Carlo: Cristina stava dormendo. Era chiaramente in preda ad un sogno, un magnifico sogno a giudicare dall’espressione del viso!

Improvvisamente Carlo ricordò il suo sogno di poche notti prima, della incredibile realtà dei particolari e della vivacità dei ricordi al risveglio; era tentato di svegliare la sua donna, d’interrompere la sua azione autoerotica per farla godere con una penetrazione vera e non solo onirica. Ma lo spettacolo di quel corpo che iniziava a fremere di piacere era più forte del desiderio da esso generato. Restò a guardarla sistemandosi in modo da avere la più ampia visione possibile, in maniera di poter spingere lo sguardo in ogni anfratto tra le cosce, tra i seni e soprattutto sul ventre. Amava in modo particolare osservare il suo ventre mentre si contraeva nella ricerca del piacere, cercava sempre più spesso forme di accoppiamento che gli concedessero la piena visione del pube e del ventre quando la penetrava.

Cristina spinse il capo completamente verso la schiena e gemette nel sonno, i glutei testimoniavano un ritmo forsennato delle contrazioni mentre la mano premeva con forza sul ventre. Lei stava godendo di un orgasmo lunghissimo ed intenso, lo si poteva desumere dall’espressione concentrata del viso.

Carlo era completamente rapito da quello spettacolo, non l’aveva mai vista godere con la sua mente fredda e non coinvolta materialmente in quel piacere. La sua posizione di semplice osservatore gli consentiva, finalmente, di osservare tutta una serie di particolari che gli erano sempre sfuggiti proprio a causa del suo diretto coinvolgimento. Quando anche lui cercava il piacere insieme a lei non poteva notare come contraesse i glutei nel culmine dell’orgasmo per poi rilassarli lentamente mentre andava scemando; oppure come le labbra si assottigliassero mentre godeva, erano turgide e gonfie durante l’amplesso ma si irrigidivano durante l’apice, il ventre s’incavava e poi si gonfiava leggermente verso il pube a seconda di quali muscoli erano coinvolti dalle involontarie contrazioni. La cosa più eccitante era il profumo che emanato dalla sua pelle; non sapeva di sesso come durante l’amplesso ma di un “non so che” di molto più dolce e sensuale. Poi Carlo si perse in quello spettacolo e non riuscì più a memorizzarne tutti i dettagli, solo una cosa rimase impressa indelebilmente nella sua mente: quanto era bella Cristina quando godeva. Sarà stato il corpo che, teso nel piacere, disegnava delle curve perfette, sarà stato il seno gonfio e turgido, i sensuali movimenti del ventre, l’espressione del viso ‘ Carlo non riusciva a deciderlo ma lei era bellissima in quel momento. Provò una forte delusione quando Cristina iniziò a rilassarsi, cadendo in un sonno più profondo, poiché lo spettacolo era finito troppo in fretta. Restò ad osservarla a lungo, scrutando il suo corpo alla ricerca dei segni del piacere di poco prima; non riusciva a credere che nulla di quell’esplosione di sensualità fosse rimasto su di lei dopo soli pochi minuti. Il corpo di Cristina rimaneva sempre una stupenda opera d’arte, adagiato in quella posizione esaltava le sue curve naturali grazie anche alla luce del mattino che filtrava dalla finestra, ma non trasmetteva nulla di più che un semplice piacere per gli occhi. Poco prima, mentre godeva, emanava un’aura di sensualità che risvegliava le più recondite ed inconfessabili fantasie; i sinuosi movimenti catturati dalla vista si trasformavano nella mente di Carlo in onde d’eccitazione, gli pareva quasi di sentire il piacere scorrere nel suo corpo. Quando lei raggiunse l’apice e si contrasse spasmodicamente Carlo temette, o meglio sarebbe dire sperò, di venire insieme a lei. Aveva ben presente l’effetto che quelle contrazioni, quegli spasmi, avevano sulle sue mani strette sui glutei o sulla schiena di quando facevano l’amore, ma vederli da una prospettiva esterna assumevano un valore assoluto e trasmettevano una carica erotica mai sentita prima.

Ormai impossibilitato a prendere nuovamente sonno, Carlo resto seduto sul letto impegnato a progettare delle situazioni in cui avrebbe potuto nuovamente assistere ad uno spettacolo di quel tipo. Senza dubbio avrebbe potuto chiedere a Cristina di masturbarsi davanti a lui dopo averle raccontato di quella mattina, lei lo avrebbe senz’altro soddisfatto. Soprattutto ora che pareva essersi risvegliata sessualmente parlando. Però una scena autoerotica su richiesta avrebbe avuto lo stesso valore?

Carlo non lo sapeva e non aveva dati sufficienti su cui basare una qualsiasi proiezione, stava sperimentando insieme alla sua donna una nuova forma di vita sessuale. Il recente amplesso sulla riva del fiume, i giochi eccitanti della sera precedente o più semplicemente la passione con cui lei faceva l’amore in quei giorni, gli stavano dimostrando la trasformazione di Cristina nella donna da sempre sognata. Sentiva, in quel momento, di non poter più fare a meno della sua sensualità, della dolce e costante, crescente ed esplosiva eccitazione che sapeva dargli. Non sapeva se questo era amore o un semplice desiderio carnale unito ad una buona dose di affetto, ma avvertiva il bisogno fisico di percepirla nel corpo e nell’anima, di essere con lei una cosa sola per poterla avere completamente. Questo sentimento lo turbava profondamente, non aveva mai sentito lo stimolo di possedere una donna; possedere non carnalmente, &egrave chiaro, ma di avvertirla sua, completamente sua’ non unicamente sua però!

Carlo era confuso da una miriade di sentimenti e pensieri in contrasto tra di loro e, peggio ancora, in netto contrasto con tutto ciò che aveva provato sino a quel giorno. Improvvisamente la sagoma del corpo di Cristina perse di definizione diventando una sagoma indistinta tra le lenzuola mentre lui era perso nei suoi pensieri. Ai limiti della coscienza percepì, ma non comprese razionalmente, delle lievi variazioni in quella figura: i capelli apparirono una massa di colore rossastro ed il corpo, soprattutto le gambe, parvero allungarsi mentre la vita si stringeva. Come Carlo tentava di mettere a fuoco quella figura essa prontamente si trasformava in quella della sua donna che dormiva tranquilla e lui ripiombava nei suoi pensieri. Giunse al punto di non considerare più quelle visioni distorte della realtà e si chiuse sempre di più nel suo mondo tanto da non accorgersi della mano di Cristina che scivolava lenta sul suo petto accarezzandolo.

Lei si era svegliata con un piacevolissimo languore, caldo e sensuale, distribuito per tutto il corpo; volto lo sguardo al suo uomo lo vide seduto contro la spalliera del letto e apparentemente impegnato a meditare. Provò subito il fortissimo impulso di accarezzarlo ma lui non pareva accorgersi di quelle attenzioni, allora face scivolare la mano verso la zona dove era certa di ottenere una sua pronta reazione.

Carlo percepì uno strano calore scendere dal petto verso i genitali localizzato in un area dell’approssimativa dimensione di una mano. Sorrise all’idea di come fosse facile somatizzare i pensieri erotici che stava inseguendo e chiuse gli occhi godendosi quello che riteneva il frutto della sua immaginazione. Quando, però, sentì un qualcosa di caldo e umido circondare morbidamente il glande strabuzzò gli occhi stupito, guardò verso il basso; faticò nel comprendere cosa stesse accadendo, vedeva una chiazza di capelli di colore indefinito sopra il suo bacino. Lo stimolo che riceveva era talmente intenso da costringerlo a chiudere gli occhi, lentamente si rilassò godendosi quel piacere inaspettato. Nella sua mente ciò che aveva visto poco prima andava confondendosi ancora di più, quei capelli iniziavano ad apparirgli rossi e lunghissimi, non si chiese come fosse possibile ma era sicuro che quella era la donna del suo sogno. Evidentemente stava dormendo e quella visione era tornata da lui. Ricordò cosa era seguito al sogno precedente, ai due magnifici rapporti che aveva avuto con Cristina e sperò che questo fosse premonitore di altri piacevolissimi e trasgressivi amplessi.

Fu solo quando percepì il corpo della donna salirgli a cavallo delle gambe e adagiarsi su di lui che comprese la realtà: il rigoglioso seno di Cristina premeva sul suo petto e riconosceva i movimenti delle sua anche mentre si preparava a farsi penetrare. Aprì gli occhi e si ritrovò davanti quelli della sua donna che sorridevano umidi dall’eccitazione. Un bacio sulle labbra, una lingua che ne seguiva il contorno, lo fecero scivolare nuovamente nell’incoscienza sopraffatto dai sensi. Riuscì solo a capire che lei, chiunque fosse, si era guidata il membro nel ventre ed ora scendeva lenta per accoglierlo tutto. Quella donna era calda, molto calda, e la sua vulva era talmente dilatata dall’eccitazione che faticava a percepirne l’interno. Lei iniziò a muoversi subito decisa giocando con le anche ed il bacino per non sollevarsi da lui, una danza complessa con il ritmo scandito dai suoi gemiti.

Carlo si stava godendo nei minimi dettagli le sensazioni che nascevano dal basso, le sentiva generarsi dal morbido contatto della pelle sensibile del glande con le pareti interne della vagina, dalle contrazioni di essa, dal lento scivolare dentro e fuori; le avvertiva salire verso il cervello e qui attivare reazioni che poi tornavo, per istinto, a comandare i muscoli in basso. Seguiva questo percorso sempre con gli occhi chiusi, quando tentava di aprirli per unire l’eccitante visione del corpo della donna alle sensazioni fisiche scopriva di faticare non poco a mettere a fuoco qualsiasi immagine, quindi rinunciò all’impresa imputando al precoce risveglio questa difficoltà. Solo quando la sentì intensificare le sue mosse pur rallentando il ritmo e capì che era ormai prossima all’orgasmo, tentò con tutte le sue forze di mettere a fuoco il viso della donna. Aprì gli occhi puntandoli verso la massa indistinta di capelli ed al fulcro roseo che appariva nel loro centro. La realtà si rivelò poco alla volta passando prima per una fase in cui lui fu sicuro di riconoscere i lineamenti della donna del suo sogno, poi proprio nell’istante in cui lei inarcò la schiena rilasciando un suono liberatorio la riconobbe. Carlo vide all’improvviso il viso di Cristina godere di un orgasmo molto intenso, con un espressione del tutto simile a quella che aveva durante la notte e che tanto gli era rimasta impressa nella mente. Si eccitò ulteriormente a quella vista, tanto da non riuscire a contenere l’esplosione di un orgasmo. Venne insieme a lei e dentro di lei unendo i suoi ansimi ai gemiti. Cristina scese su di lui accogliendolo sino in fondo e resto in quella posizione a godersi le sue pulsioni sino al loro termine, poi si lasciò cadere sul suo petto senza però lasciarlo uscire. Carlo la abbracciò e la strinse forte a se mentre si abbandonava al languore, chissà perché continuava a tornargli in mente l’immagine del viso di quella donna del sogno?

Non se ne preoccupò più di tanto, presto la parte razionale del suo cervello prese il sopravvento ricordandogli che dovevano prepararsi per la partenza, quel giorno terminavano le loro ferie e dovevano per forza rientrare. Nonostante tutto si sentiva bene, era sicuro che Cristina si sarebbe rivelata una continua fonte di sorprese in futuro, non gli restava che aspettare e cogliere le occasioni. Ricordava bene tutte le sensazioni ed i pensieri di quella notte e mentre realizzava questo capì di non aver mai sognato poiché non dormiva affatto, si ripromise di trovare il tempo per meditare con la dovuta calma su questi fatti. Non se ne preoccupava, i diversi impegni di lavoro ed i diversi orari consentivano a tutti e due di ricavarsi momenti di assoluta solitudine e calma nell’arco della settimana. Una cosa le premeva di più adesso: scoprire cosa avrebbe inventato la sua donna nel suo nuovo modo di vivere il sesso.
Cristina non si separava mai dal suo ciondolo trovato nel greto di quel torrente in Francia e recuperato in modo avventuroso, nonché del tutto incosciente. Era arrivata al punto di non indossare più quei capi o quei gioielli che stonavano con lui pur di averlo sempre con se. Questo stupiva non poco Carlo che conosceva bene la passione della sua donna per le collane in genere e la sua fantasia nell’abbinare sempre vestiti diversi. Vederla rinunciare a quel girocollo che acquistato grazie a ad un lavoro che l’era costato molte ore d’impegno, infiniti mal di testa e preoccupazioni lo stupiva ancora di più, lei aveva sempre inteso quell’oggetto come simbolo della sua determinazione e di conquistata indipendenza economica. Eppure, ora rimaneva chiuso nella cassetta in banca senza alcun rimpianto da parte sua. All’inizio ritenne questo suo nuovo amore per quel ciondolo come una passione passeggera, forse legata al ricordo del viaggio in cui lo aveva trovato, ma dopo quasi un anno iniziava a pensare che ci fosse altro sotto. Lei non era mai stata così legata ad un oggetto, questa sua mania rasentava il feticismo. Spesso lo teneva indosso quando facevano l’amore e in quelle occasioni lei era magnifica, Carlo non capiva se indossando quel ciondolo si sentiva più spregiudicata, passionale, sicura di se e delle sue doti o se lo indossasse solo quando provava un desiderio fuori della norma. Sta di fatto che quando la vedeva arrivare a letto con quell’oggetto indosso sapeva che avrebbe avuto tra le mani una donna calda come non mai e piena d’iniziativa, una fonte di continue e piacevolissime sorprese.

Cristina era cambiata da quelle ferie in Francia, profondamente cambiata! La ragazza dolce ma decisa nelle sue scelte nonostante una sempre presente dose di tenera insicurezza, si era trasformata in una donna sensuale e disinvolta, dotata di un’intraprendenza preoccupante. Gli occhi che l’avevano fatto innamorare di lei per la loro patina di timidezza ora rilucevano audaci al limite dell’insolenza. Se prima, quando si sedeva o si sdraiava sul divano lo faceva con grazia comunicando calore umano e raffinatezza, ora le stesse mosse per assumere le stesse posizioni erano un aperto richiamo sessuale. Anche il suo modo di vestire si era evoluto, gli identici capi di prima ora erano indossati sempre con qualche bottone in più slacciato e le gonne sembravano più corte di una volta. L’intimo era stato relegato in un cassetto per far posto ai nuovi completini che aveva comprato, inutile dire che si trattava di capi molto sexy.

Carlo notava questo cambiamento avvenuto in maniera repentina e si ripeteva che in fondo quella che aveva davanti era la donna da sempre sognata. Cristina gli era piaciuta per un’infinità di doti poi le affinità elettive avevano fatto il resto, l’unica cosa che poteva imputarle era stata la sua scarsa propensione alla seduzione nonostante la natura l’avesse dotata di tutti gli strumenti adatti. In fondo lui aveva conosciuto una ragazza che ora si stava trasformando in donna, quindi i cambiamenti erano del tutto naturali, ma gli mancava quell’aura d’innocenza che aveva prima. Di certo, pensava Carlo, non era merito o causa del ciondolo questo cambiamento anche se era propenso a pensarlo. Sicuramente quelle ferie avevano spinto la sua donna superare gli ultimi tabù sul sesso; i loro amplessi all’aperto, i loro giochi al ristorante, la libertà sessuale conquistata nell’attimo in cui si era masturbata a letto con lui, senza dubbio erano alla base della sua trasformazione.

Quanto era profonda questa trasformazione?

Questo era il dubbio di Carlo.

Doveva assolutamente tenere il suo passo se non voleva perderla. All’inizio della loro relazione aveva ben chiaro di intraprendere il cammino con una ragazza che presto sarebbe divenuta donna. Un cambiamento inevitabile che l’avrebbe portata a sentire il bisogno di cose diverse da quelle che aveva trovato in lui quando si era innamorata. Conscio di questo Carlo aspettava quel momento con un misto d’eccitazione e paura al contempo. Si domandava se sarebbe stato in grado di diventare l’uomo che lei avrebbe desiderato.

La coppia non deve fondarsi sulla monotonia, fonte di falsa stabilità, ma deve continuamente evolversi insieme. Questo lo aveva ben chiaro nella mente ma temeva l’evoluzione su vie diverse, se lei si fosse allontanata l’avrebbe persa e questa consapevolezza lo faceva sentire male nonostante il fatto che, attualmente, il loro rapporto attraversasse un periodo particolarmente felice.

Doveva iniziare a capirla ed entrare nella sua mente piuttosto che seguire l’impulso di entrare solo nel suo corpo, cosa in cui si era molto impegnato nell’ultimo anno. Considerata la sua naturale propensione ad analizzare per primo l’aspetto fisico del problema pensò d’iniziare a comprendere meglio la sua donna con lo studio approfondito della sua rinnovata sessualità. Sino a quel momento si erano limitati a migliorare la qualità dei loro amplessi, e questo era stato possibile soprattutto grazie alla carica erotica emanata da Cristina, forse era giunto il momento di sperimentare altre forme di ricerca del piacere. Quali però?

Questo doveva scoprirlo da solo, non poteva coinvolgerla nella ricerca, spettava a lui proporle nuovi giochi, nuovi amplessi, nuove perversioni in modo da divenire l’unica sua guida al piacere. Se fosse riuscito nell’intento l’avrebbe legata a se con il doppio nodo dell’amore e della dipendenza sessuale; nel caso contrario, in cui fosse stata lei a proporre nuove esperienze, avrebbe rischiato di perderla in quanto nulla le avrebbe impedito di continuare la ricerca da sola in caso di delusione. Se una delusione sarebbe nata dalla sue proposte, invece, poteva sempre imputare a il fallimento all’audacia dell’idea’ in fondo lui aveva attivato la fantasia, creato occasioni e opportunità, se non funzionava la colpa non era sua. Carlo non si rendeva conto che questa linea di pensiero sottolineava in modo inequivocabile la sua debolezza poiché cercava in anticipo le scuse per un fallimento nemmeno in programma.

La fantasia non gli era mai mancata. Sino a quel giorno semmai l’aveva limitata temendo di chiedere troppo alla sua compagna, ma visti gli ultimi sviluppi pensò di testare le reazioni di Cristina messa in condizione di provare nuovi stimoli. Per realizzare tutto questo, però, aveva bisogno d’aiuto, era abbastanza umile da riconoscerlo.

Una sera come tante altre si ritrovò a tarda ora ancora seduto sul divano intento a guardare distrattamente la televisione, gli occhi registravano la sequenza d’immagini di un film degli anni cinquanta diffuso da una rete regionale ma la mente era impegnata a sviluppare le sue fantasie erotiche su Cristina. Lei era già a letto, l’indomani doveva prendere il treno all’alba, ma prima di lasciarlo solo in sala lo aveva gratificato con una lunga serie di sensualissime moine, poi se n’era andata sculettando felice proprio nel momento in cui lui iniziava a sentire una prepotente erezione premere sui jeans. Carlo se ne fece una ragione ma il comportamento di Cristina aveva dato il via ad una serie di pensieri culminati nell’analisi dettagliata delle situazioni erotiche in cui intendeva coinvolgerla. La pubblicità entrò prepotente nella stanza, distogliendolo da quelle meditazioni, grazie alla variazione del volume. Carlo imprecò mentalmente contro il tecnico ed il suo concetto di miscelazione delle tracce audio poi fu attratto dalle immagini pubblicitarie di una catena di sexy-shop. Non si stupì più di tanto vista l’ora ma gli scaffali di quel negozio iniziarono a risvegliare il suo interesse.

“Ecco dove trovare ciò di cui ho bisogno!” si disse mentre prendeva nota della rivendita nella sua città.

Il giorno seguente, approfittando dell’assenza della sua donna, entrò deciso in quel negozio ma appena varcata la soglia perse tutta la sua risolutezza. il primo impatto visivo fu quello di una enorme poltrona di forma decisamente fallica e pure del colore adatto. Carlo tentennò di fronte a quell’oggetto, tanto da far supporre un suo interesse alla commessa.

Le piace? &egrave una poltrona particolare ma molto comoda’ la provi! ‘ disse lei con un tono gentile e professionale.
Dovrei sedermi proprio sui’ così tutti potrebbero dirmi che sto sulle’! ‘ rispose.

Mentre cercava le parole per spiegare alla ragazza cosa stava cercando si distrasse ad ammirarla. Era molto carina e succintamente vestita con uno dei capi presenti in vetrina.

Lo so che non &egrave facile ambientare, ma se lei ama stupire gli amici’ con questa poltrona vedrà che parleranno di lei a lungo’ abbiamo anche altri colori, se lo desidera ho il catalogo! ‘ continuò lei senza badare al suo diniego, evidentemente aveva istruzioni di spingere quel prodotto. Mentre parlava con noncuranza si accomodò sul fallo, ovvero sulla poltrona, accavallando le gambe maliziosa.

“Ecco, siamo a posto!”, pensò Carlo poi disse:

No! &egrave senza dubbio un oggetto molto interessante ma’ vede’ sono qui per cercare qualche piccolo oggetto’ per’ per’ la mia ragazza! Insomma, vorrei vedere cosa avete per’ – Carlo era notevolmente imbarazzato, tanto da non riuscire a terminare la frase. Per fortuna la commessa era avvezza a quelle situazioni e venne in suo aiuto.
Capisco! ‘ disse ‘ Pensa ad un regalo per lei come ad esempio dell’intimo molto sexy o delle vestaglie, dei bustini, scarpe’ o preferisce degli oggetti che lei può usare da sola o in compagnia? ‘ domandò lei
Oggetti? Sì vediamo gli oggetti!
Bene mi segua! ‘ disse mente si alzava con grazia da quella poltrona assolutamente sgraziata ‘ Solo per sapere come indirizzarla, la sua ragazza ama i rapporti classici o la sua fantasia spazia anche nella dominazione, ad esempio?
Direi che sono qui per scoprirlo! ‘ rispose Carlo messo a suo agio dalla franchezza della commessa e dall’assoluta indifferenza con cui trattava l’argomento.
Ah! Bene! Mi fa piacere conoscere un uomo che si preoccupa così tanto del piacere della sua donna. Ok, vedrò di presentarle una serie d’articoli polivalenti in modo che lei possa studiare le sue reazioni ed utilizzarli nel modo più appropriato. Se poi vorrà qualcosa di più specifico farà sempre in tempo a tornare!
Ottimo!
Sa, prima di entrare temevo di non riuscire a superare l’imbarazzo’ ma lei &egrave così gentile che’!

Lavorando qui dentro da ormai più di due anni, ho imparato che non esistono perversioni o deviazioni sessuali in senso assoluto, ogni perversione non &egrave più tale nel momento in cui &egrave accettata, direi meglio desiderata, da tutti e due. Nel sesso l’unico limite &egrave la nostra fantasia e qui trattiamo tutto il necessario per realizzarle! ‘ lo rassicurò.
In effetti, temevo d’essere giudicato un perverso o peggio ‘!
Se qui giudicassimo i clienti avremmo finito di lavorare e potremmo chiudere il giorno stesso!
Ma eccoci arrivati di fronte ad una serie d’oggetti che non possono mancare in una coppia: i falli sintetici!

Vedo che ne avete un’ampia collezione!
Sì, c’&egrave n’&egrave per tutti i gusti! Questo, ad esempio &egrave il più venduto, vede come appare estremamente reale nella forma e nelle dimensioni? ‘ Mentre descriveva l’articolo la ragazza lo maneggiava in un modo conturbante, le sue mani scivolavano sulla superficie morbide e sensuali come se si trattasse di un vero fallo di carne.
Vedo! ‘ disse lui deglutendo
Possiamo aumentare le dimensioni o diminuirle, scegliere un altro materiale’ ad esempio sono molto belli quelli in vetro o materiale trasparente’ certi sono studiati per vedere attraverso e possono essere illuminati, hanno una piccola lucina sulla punta! Ha mai visto una vagina dilatata mentre viene penetrata?
No! No! Penso’ sia uno spettacolo unico!
Lo &egrave, mi creda! Almeno lo dice il mio ragazzo! ‘ affermò lei con un’aria d’intesa.
Ci credo! Ma, mi dica.. quelli più piccoli’?
Ah! Questi? ‘ disse prendendone uno dallo scaffale ‘ sono per voi maschietti!
Noi?
Sì, sono uno stimolo particolare se vengono usati in contemporanea ad una fellatio. La sua donna la penetra dietro mentre la stimola con la bocca’ ad alcuni uomini piace moltissimo!
Non lo metto in dubbio ma rimarrei sul convenzionale!
Questo &egrave convenzionale per alcuni, ricordi!
Ha ragione! Ma’ ora veniamo a noi’ quale di questi mi consiglia per rendere felice la mia donna?

Alla fine Carlo uscì dal negozio con due falli di cui uno trasparente di dimensioni normali ed uno in gomma leggermente più grosso, come consigliato dalla solerte commessa, un paio di manette in plastica, catene di un materiale dal suono metallico ma molto leggere, due sfere metalliche legate da una catenella (di cui ancora era dubbioso), una serie di mutande da strappo (come le aveva definite la ragazza), un completino in latex (che costava quanto un abito firmato), alcuni profilattici dalle forme fantasiose e un portachiavi in pelle raffigurante una vulva con tanto di pelo (a dire il vero quest’ultimo gli fu regalato considerata la cifra spesa) al cui interno potevano essere riposte le chiavi e chiuse con una comoda zip sita proprio dove immaginate!

Chiusa questa parentesi di folli acquisti Carlo predispose il piano per il fine settimana. Innanzi tutto telefonò quegli amici, che temeva si facessero vivi, raccontandogli che avevano programmato una gita romantica al mare, quindi mise nel frigorifero alcune bottiglie di vino bianco brut e chiamò la solita pescheria per prenotare due Astici ed eventuali Ostriche. Studiò con cura la stanza da letto e la sala alla ricerca dei punti strategici in cui posizionare la telecamera e nascondere la fotocamera, al termine inserì nel lettore cd un disco di Blues e si rilassò sul divano: tutto pareva a posto.

Non aveva ancora chiuso gli occhi per lasciarsi prendere completamente dalla musica che balzò in piedi sconvolto da un pensiero: “La vaselina! Ho scordato la vaselina!”, per fortuna le farmacie erano ancora aperte.

Quel venerdì sera Cristina rincasò tardi e distrutta dalla giornata di lavoro, il lungo viaggio in treno poi non le aveva consentito di riposarsi, però i suoi occhi s’illuminarono di gioia davanti al pacco che Carlo le fece trovare sul letto. Mentre lui fingeva indifferente di occuparsi degli affari suoi in cucina lei iniziò a scartarlo con impazienza, in realtà lui stava ascoltando con molto interesse i gridolini di piacevole che provenivano dalla camera. Lei, però, non disse nulla e non corse da lui per ringraziarlo con un bacio come al solito. Pochi istanti dopo Carlo sentì l’acqua scrosciare nella doccia, allora pensò che era meglio dedicarsi alla cena e rimandare a più tardi il discorso che si era preparato. Cristina lo prese in contropiede entrando in cucina con indosso solo l’abito in latex, Carlo restò a bocca aperta: era bellissima! Il materiale sintetico aderiva a lei come una seconda pelle sottolineando con i suoi bagliori le curve accentuandole poiché stringeva nei punti strategici. Il seno pareva esplodere a stento contenuto ed il ventre era tracciato nei dettagli. Lei fece una piroetta per mostrarsi tutta e per permettergli di sbavare sui suoi particolari disegnati dai fuseaux aderenti. Notò pure che il ciondolo risaltava in modo particolare su quel materiale, Cristina non se ne separava mai! In quel momento Carlo ritenne di aver fatto un ottimo acquisto, giudicò superfluo spiegarle che lo aveva scelto poiché era molto simile a quello indossato dalla commessa del negozio.

Sei bellissima! Stupenda, eccitante’ – Carlo non trovava le parole.
Grazie amore! Hai avuto un idea fantastica, ho sempre sognato una abito come questo!
Dopo lo’ collaudiamo?

Veramente lo avevo preso per domani sera, immaginando che saresti arrivata stanca’
Infatti, sono stanchissima! Il collaudo che intendevo era solo visivo!
Come?
Guardami bene, scrutami, spiami, eccitati ed eccitami con il tuo sguardo, scopami con gli occhi e godi del mio corpo sognandomi! ‘ disse lei tutto d’un fiato con la voce sempre più calda e sensuale.

Carlo restò imbambolato ad ascoltarla rapito da quel timbro di voce e dal significato delle sue parole. Appena tornò alla realtà si avvicinò a lei e l’abbracciò forte prima di baciarla, quindi la prese per mano e l’accompagnò al tavolo.

Poi mi racconti dove lo hai comprato questo! ‘ disse lei passando le mani sopra la superficie lucida dell’abito.
Non ho preso solo quello, domani ti faccio provare tutto!
Tutto? ‘ rantolò lei
Tutto! ‘ sottolineò lui.

La serata trascorse tranquilla così pure la notte. Carlo e Cristina avevano giocato nell’eccitarsi per tutta la sera, lei aveva tenuto indosso quell’abito nonostante non fosse certamente molto comodo e lui la stuzzicava incitandola ad indovinare cos’altro avesse acquistato in quel negozio. Andarono a letto vinti dalla stanchezza ma con tutti i sensi allerta, Carlo s’addormentò aspettandosi di fare dei sogni erotici molto eccitanti poiché questa era la norma. Dalla prima avventura onirica, avuta nell’estate con quella strana donna sconosciuta dai capelli rossi, aveva ripetuto spesso quell’esperienza. Quella donna veniva a trovarlo ogni volta in cui era particolarmente eccitato, spesso dopo un suo rapporto con Cristina. Ormai era come un’amica, una confidente, un amante segreta, una sorella. Ricopriva tutti questi ruoli in apparente contrasto tra di loro ma in armonia con il suo ruolo di “stimolatrice”. Carlo apprendeva dai lei, durante i sogni, le tecniche da applicare con Cristina; all’inizio era rimasto stupito da come lei appariva simile nelle reazioni alla donna immaginaria della sua mente, poi ipotizzò che la donna onirica era nient’altro che l’immagine di Cristina.

Non sapeva che in realtà era proprio Cristina ad essere diventata l’immagine della donna del sogno grazie al ciondolo, né mai lo scoprì!

Cristina si risvegliò in un letto vuoto, ancora confusa spinse una mano verso il posto normalmente occupato dal suo uomo per valutare il calore residuo tra le lenzuola. Il posto era ancora tiepido, evidentemente lui si era alzato da poco. Soddisfatta da questa analisi si rigirò su di un fianco per concedersi un altro po’ di sonno. Nei giorni in cui poteva riposare lei adottava sempre questa strategia per intuire l’ora, era meno traumatico palpare le lenzuola che aprire gli occhi per leggere l’ora sulla sveglia, era sicura della puntualità con cui Carlo andava a correre ogni mattina. Quando al successivo risveglio, quello definitivo, aprì gli occhi la prima cosa che vide fu la tuta in latex appesa ad un anta dell’armadio, la sua forma ed il modo in cui cadeva la facevano apparire come il risultato della scuoiatura di un essere dalla pelle sintetica con la forma umana. Un senso di disagiò s’impossessò di lei, pensava che poche ore prima c’era lei dentro quella tuta e che quella era la sua pelle estirpata dal suo corpo divenuta poi necrotica nella notte. L’orrore per il dolore di sentirsi strappare la pelle dalla carne viva la fece rabbrividire tanto da costringerla a rinchiudersi a riccio tra le coperte. Lentamente la ragione prese il sopravvento e razionalizzò la vera natura di quella forma umanoide appesa nella stanza. Cristina si alzò velocemente dal letto per rifugiarsi sotto la doccia, l’acqua che scorreva sulla pelle ebbe il potere di renderla nuovamente al mondo reale. Dimenticò i sogni ad occhi aperti di poco prima e, dopo essersi asciugata, tornò in camera per vestirsi. Mancava poco all’ora di pranzo, presto Carlo sarebbe tornato, le parve una buona idea comunicargli subito il suo programma per il pomeriggio tramite quell’abito in latex: lo indossò.

Quando lui rientrò la trovò in cucina intenta a prepararsi un caff&egrave. Era di spalle ma evidentemente percepiva la sua presenza poiché divaricò le gambe tendendo i glutei. Carlo restò immobilizzato dallo spettacolo, il latex seguiva la curva del sedere tanto fedelmente da smuovergli qualcosa nel basso ventre. Il grande vantaggio di quel materiale era di copiare fedelmente il corpo nascondendo al contempo le piccole eventuali imperfezioni. Le si avvicinò in silenzio non per suo volontà ma perché non era in grado di proferire parola, le appoggiò le mani sui fianchi e la trasse verso di sé. Lentamente e sensualmente iniziò a far scivolare la mano sul ventre stringendosela sempre più contro. Lei si lasciò andare e guidare dalle sue mani; concesse al corpo di adattarsi a quello di Carlo, le piaceva la sensazione che il latex le rimandava sulla pelle. Quando due mani forti raggiunsero e strinsero il seno, Cristina ansimò rilasciando tutta l’aria che aveva nei polmoni; poi inspirò a fondo per spingere le mammelle verso quelle mani. Nello stesso tempo sollevò il sedere per pressarlo contro i genitali di Carlo, quindi iniziò a muoversi in modo da stuzzicarlo, da eccitarlo ancora di più. Capì d’aver raggiunto il suo scopo quando percepì una consistente presenza premere sulle natiche. Non ancora soddisfatta localizzo in quel punto preciso il massaggio attuato dal suo sedere, anche in questa occasione riceveva di riflesso degli stimoli amplificati dal latex. Le piaceva sempre di più il regalo di Carlo, aveva sempre guardato con curiosità gli abiti confezionati con quel materiale, sapeva che disegnavano il corpo magistralmente ma non sospettava minimamente l’effetto che potevano avere sulla pelle. Forse era solo un fattore somatico generato dalla consapevolezza d’essere particolarmente attraente e sexy conciata in quel modo. Indossava spesso durante i loro rapporti una sottoveste, della biancheria o le calze poiché trovava stuzzicante la sensazione che provava sulla pelle accarezzata attraverso la seta o la lycra, ma non aveva mai supposto che esistesse un altro materiale in grado di replicare quelle percezioni. Ora si sentiva come nuda ma protetta, sapeva che non nascondeva nulla del suo corpo ma sentiva quell’abito come una seconda pelle più robusta che non toglieva nulla alla sensibilità.

Cristina si girò su se stessa, tra le mani di Carlo, per poterlo guardare negli occhi, quando lui perse la presa lei n’approfittò per fare un passo indietro ed appoggiarsi al top della cucina, pose le mani ai lati afferrandone il bordo e restò immobile in attesa. Come lui si avvicinò lei unì le gambe in modo che non si potesse infilare in mezzo ed attese ancora. Si lasciò scrutare dai suoi occhi, li vedeva scorrere dalle gambe al seno e poi nuovamente verso le gambe sostando a lungo sul pube. Quello sguardo, tanto eccitato da apparire quello di un folle, la stava provocando. Di solito sentiva un languido calore seguito da lievi scosse elettrice quando lui la spogliava con gli occhi, ora c’era qualcosa di nuovo: lui non la stava denudando, non intendeva strapparle la tuta’ la voleva così!

Carlo sollevò lo sguardo sui suoi occhi ed annullò lo spazio tra i loro corpi, la imprigionò contro i mobili della cucina e fermò il viso a pochi centimetri dal suo. Lei sentiva l’erezione del suo uomo premerle sul ventre e si ritrovò a pensare che se l’avesse presa in quel momento il punto più alto in cui lo sentiva da fuori sarebbe stato lo stesso che avrebbe sentito da dentro. Cristina chiuse gli occhi per resistere alla tentazione di pregarlo di penetrarla subito, chiamò a raccolta tutta la sua razionalità e disse con la voce rotta dall’emozione:

Non vuoi mangiare qualcosa?
Dopo! ‘ disse lui.
Ti preparo cosa vuoi!
Dopo! ‘ L’aggredì lui diminuendo ancora lo spazio tra i loro visi
Perché cosa vuoi adesso? ‘ gli domando Cristina con un tono di voce malizioso ora che aveva ripreso un minimo d’autocontrollo.
Svuotarmi dentro di te! ‘ rispose Caro sempre più eccitato.

Questa frase ebbe il potere di generare un fortissimo calore proprio nel punto del suo utero in cui Cristina immaginava di sentire il seme di Carlo invaderla.

Lo sai che quest’abito si apre anche di qua? ‘ le domandò all’improvviso lui.

Cristina non ebbe il tempo di capire a cosa alludesse che una mano si fece strada tra le sue gambe, raggiunse il pube e abilmente aprì la tuta in latex proprio in corrispondenza della vulva. Lei era ancora stupita dal fatto di non aver notato quella possibilità che si sentì penetrare da un suo dito. La sorpresa unita al desiderio accumulato le consentirono di apprezzare a pieno quel piccolo dito, gemette tanto forte da urlare ed aprì le gambe in modo da invitarlo a spingere di più. Carlo era già entrato per tutta la lunghezza del dito medio, di più non poteva fare in quel momento, allora scavò dentro di lei valutandone l’eccitazione dalla dilatazione. Poi estrasse il dito fradicio per lubrificare il clitoride, soddisfatto lo spinse nuovamente dentro di lei.

Cristina fremeva e stentava a tenersi in piedi, era costretta a sorreggersi con le mani sul top in questo modo esponeva completamente il corpo alla fantasia del suo uomo che continuava imperterrito nel suo andirivieni dal clitoride all’interno della vulva. Era terribilmente eccitante la situazione e piacevole al punto che Cristina temeva di venire tanto era sensibile in quel momento, dal canto suo Carlo non pareva intenzionato a smettere sino a quando lei non si sarebbe accasciata a terra esausta. Non voleva un orgasmo in quel momento, intendeva gustarsi al meglio quello che inevitabilmente sarebbe seguito; l’unico modo per farlo smettere era piantargli le labbra sulle sue ed impedirgli di respirare. Stava per baciarlo quando lui spostò la mano libera dal seno alla gola. Cristina restò quindi ferma ad aspettare le sue prossime mosse, infatti, sentiva rallentare di frequenza ed intensità lo stimolo in basso. Un poco più rilassata si concentrò sugli occhi del suo uomo per carpirne le intenzioni.

Carlo pareva in preda ad un delirio erotico, le pupille erano completamente dilatate donandogli uno sguardo inquietante. Lentamente la sua mano stava aprendo la guaina in latex all’altezza del seno scoprendolo poco alla volta, Cristina sentiva le mammelle espandersi dopo essere state costrette per tanto tempo; l’aria a contatto della pelle sudata le donava una sensazione di fresco tale da farle intirizzire i capezzoli rendendoli ancora più turgidi.

“Succhiameli, baciameli’ mordicchiameli… ti prego!” pensava Cristina mentre il seno le veniva finalmente liberato del tutto. Carlo, però, restò affascinato dal ciondolo che indossava sotto l’abito ed invece che appoggiare le labbra sui capezzoli diede un sensualissimo bacio al talismano, in quello stesso momento lei avvertì come una scossa scorrerle per tutto il corpo.

Carlo parve risvegliarsi, il suo sguardo tornò normale e si focalizzò sugli occhi di Cristina.

Ti amo! ‘ le disse con calore.
Anche io, lo sai! ‘ ribadì lei languida.
Ti voglio! ‘ annunciò lui.
Prendimi! ‘ si offrì lei.
Seguimi! ‘ ordinò lui.

Cristina si lasciò condurre per mano verso il salotto, camminava dietro lui in preda a sentimenti contrastanti, almeno all’apparenza. Una parte di lei desiderava spogliarsi prima di stendersi sul letto e farsi prendere nella più classica delle posizioni, voleva abbracciare stretto il suo uomo mentre faceva l’amore con lui, consumare insieme il rito sino a sentire il suo seme espandersi nel ventre; l’altra parte la spingeva a desiderare un amplesso trasgressivo, giochi perversi e un piacere fine a se stesso, voleva essere presa con indosso quell’abito in latex, sentiva il bisogno di urlare di piacere, di godere smodatamente. Cristina non capiva cosa le stesse accadendo, sentiva di avere voglia di lui ma non riusciva decidere in che modo soddisfarla. Arrivati nel centro della sala Carlo la pregò di restare immobile in quella posizione poi sparì alle sue spalle. Tornò poco dopo, dal rumore dei suoi passi Cristina capì che stava correndo.

Hai voglia di giocare? ‘ le domandò
‘ a cosa? ‘ richiese lei.
Fidati!

Carlo si portò alle sue spalle e delicatamente le pose sugli occhi una benda tipo quelle usate per riposare in aereo o in treno ma’ in latex!

Dopo un lungo ed espressivo mugolio lei domandò:

Che intenzioni hai!
Di farti godere! ‘ la rassicurò lui

Privata della vista Cristina si sentì subito fuori posto ed esposta. Solo la profonda fiducia che aveva in Carlo le consentiva d’accettare quel gioco e di abbandonarsi alle lusinghe delle sue mani. I sensi le si attivarono spinti dal desiderio unito alla curiosità, era pronta a percepire ogni minimo rumore e ogni odore; il minimo stimolo meccanico come una carezza la faceva sobbalzare. Carlo si divertiva a sfiorarla cercando di toccarla dove meno se lo aspettava, in assoluto silenzio si portava davanti a lei e le sfiorava appena le labbra con le sue poi rimaneva a guardare quella bocca che chiedeva baci. Le appoggiò un dito sul naso poi scese lentamente sulle labbra, lei le socchiuse lasciando sfuggire un sospiro quindi allungò la lingua per leccargli la mano. Carlo non la ritrasse ma la aprì del tutto offrendole il palmo. La lingua di Cristina era morbida ma forte allo stesso tempo, spaziava sul palmo seguendone le linee. Era sensualissima, nella mente di Carlo si stavano formando immagini che vedevano quella lingua agire in quel modo sul suo glande; pensò di venire in quel momento! Ritrasse la mano con una velocità ingiustificata ed un piccolo singulto molto significativo, indietreggiò di un passo e vide Cristina che sorrideva soddisfatta, aveva capito cosa gli stava accadendo. Carlo si allontanò ancora di un altro passo e guardò la sua donna che, sicura di se, stava al centro della stanza con le gambe divaricate e quel sorriso irriverente sulla faccia; in quel momento iniziò a pensare che quel gioco poteva essere troppo per lui, forse non sarebbe riuscito a sopportare l’eccitazione sino in fondo, sicuramente avrebbe perso il controllo del proprio corpo e avrebbe eiaculato quando meno era opportuno.

Benché bendata e apparentemente in suo potere era lei la più forte, sembrava in attesa delle sue mosse ma Carlo sentiva che era lei a controllarlo. La sua femminilità, la sua sensualità, generavano in lui le fantasie che lei voleva, che lei desiderava.

Carlo si sentì perso e scoraggiato. Stava per cadere in una pericolosa forma di paranoica depressione che se non affrontata avrebbe rovinato tutto il gioco, quando il suo sguardo fu richiamato dal seno di Cristina che si sollevava seguendo il ritmo di un respiro sempre più veloce. Spostò quindi la sua attenzione al bacino e di qui al ventre osservando come si muoveva sotto il latex, l’impressione che ne ricavò era quella di una crescente eccitazione. Ipotesi avvalorata dall’espressione del viso che aveva perso del tutto l’irriverenza di prima.

Dove sei? ‘ sussurrò Cristina.
Vicino! ‘ rispose lui rauco ‘ Ti guardo! ‘ disse anticipandola.

Cristina ansimò sommessamente eccitata da quell’affermazione dando l’impressione di sospirare sottomessa ai suoi occhi. Carlo comprese le sue intenzioni ed il suo gioco nel gioco: lei aveva intuito le sue difficoltà ed i suoi pensieri ed ora stava dimostrandosi sottomessa in sua balia per ridargli fiducia.

Il desiderio però, era reale. Su questo Carlo non aveva dubbi, conosceva ormai bene la sua donna tanto da riuscire a leggerne i messaggi del corpo chiaramente. Lo capiva da come respirava, dai movimenti del ventre e del pube, dal colore delle labbra, dalle mani che non riusciva a tenere ferme.

Carlo controllò di aver preso tutto ciò di cui pensava di aver bisogno e di averlo a portata di mano quando fosse tornato utile, quindi camminò lento sino alle sue spalle. Le appoggiò il pollice sotto il collo poi scivolò sulla schiena sino ai glutei, il tutto molto lentamente; sul sedere ruotò la mano e la aprì per accarezzarlo. Face molta attenzione a non toccarla con altro che la mano e a non fare il minimo rumore, controllava anche il respiro, in modo che la sua attenzione fosse focalizzata solo sulla mano che scorreva il corpo. Lasciò a malincuore il sedere per il bacino; da qui salì verso il seno e quindi scese sino al limite del pube. La accarezzava con dolcezza sfiorando maliziosamente i punti erogeni, il suo scopo era di spingere il desiderio di Cristina sempre più in alto. Era confortato dai mugolii di assenso quando si avvicinava ai punti caldi e dai gemiti di frustrazione quando li evitava deliberatamente.

Apri di più le gambe! ‘ la incitò. ‘ Brava, così! ‘ le disse quando obbedì.

Si allontanò lasciandola in quella posizione ed iniziò a spogliarsi; levò in fretta la camicia ed i calzoni, lanciò la biancheria sulla poltrona e tornò da lei. Mentre ne ammirava il sedere scolpito nel latex ed esaltato dalla posizione delle gambe inseguì la fantasia di farla chinare e di prenderla subito senza tanti preamboli, ma poi si ricordò del gioco e tornò padrone di sé.

La raggiunse nuovamente da dietro per toccarla come prima partendo dai glutei, solo che adesso non evitata più di sfiorarle il seno ma lo prese tra le mani stringendo le mammelle con forza. Cristina fece la mossa di lasciarsi cadere all’indietro tra le sue braccia ma lui la respinse, costringendola a rimanere perfettamente eretta guidandola con una mano sulla schiena. Quella mano poi scese verso il basso tornando sul sedere e da qui finalmente al pube. Solo in quel momento Carlo si ricordò di aver già aperto la tuta all’altezza della vagina, s’intrufolò nella sua femminilità assaporando sulla pelle gli umori che l’impregnavano. Lei era tanto eccitata e pronta da lasciargli la mano bagnata. Carlo indugiò in quel punto, divaricò le labbra e cercò il clitoride, siccome la prendeva da dietro dovette spingere la mano tra le cosce strappandole una serie di piacevoli gemiti.

La stava masturbando dolcemente, senza forzare e senza cercare di farla godere, stava solo focalizzando le sue fantasie su ciò che sarebbe seguito.

L’immaginazione prese forma reale materializzandosi nel fallo sintetico acquistato in quel negozio, quello più grosso per la precisione. Lo prese dopo aver abbandonato la sua donna ai suoi sospiri, lo soppesò valutandone le misure in confronto al suo. Con una nota d’orgoglio notò che, nonostante fosse propagandato per le sue notevoli dimensioni, quello sintetico non era poi tanto più grosso del suo di vera carne. Incoraggiato, esaltato, rassicurato da quel confronto si dedicò finalmente al piacere della sua compagna.

Puntò il fallo di gomma tra le gambe aperte di Cristina, lo strofinò contro le labbra della vagina aprendole, lo imboccò ed iniziò a spingere.

Cristina non disse nulla, non un suono, non un sospiro, sollevò il sedere per posizionare meglio il pube e si lasciò penetrare. Carlo aveva orientato il fallo come se venisse presa da dietro, credeva o meglio sperava che il corpo della sua donna avesse opposto un minimo di resistenza, che non si sarebbe aperto così facilmente a quell’oggetto. Invece lo sentì entrare senza apparente sforzo e riuscì a spingerglielo sino in fondo. Solo quando i finti testicoli urtarono contro il pube Cristina si lasciò scappare un ansimo di profondo piacere. Carlo, allora, le spinse in avanti il sedere per farla tornare nella posizione iniziale, ora se tentava di muovere il fallo sentiva una certa resistenza; era convinto che in questo modo lei sentisse meglio ciò che aveva dentro. Lo tirò fuori, ma non del tutto, per poi spingerlo nuovamente in lei, eseguì questa manovra più volte e sempre più veloce sin quando le gambe di Cristina iniziarono a cedere. Lei tentò di arcuarle, non riusciva più a tenerle aperte e tese mentre veniva penetrata in quel modo, faticava a restare in equilibrio.

No! Resta con le gambe tese’ rimani così! ‘ la pregò lui.

Carlo si sedette in terra per infilare la testa tra le sue gambe in modo da riuscire a raggiungere il clitoride con la lingua. Aprì ancora di più la zip della tuta in latex per farcela nel suo intento di penetrarla con il fallo e leccarla allo stesso momento.

Quel gioco terminò troppo in fretta, appena Carlo riuscì a sistemarsi bene e a leccare e succhiare il clitoride lei raggiunse l’orgasmo.

Cristina contrasse tutti i muscoli e lasciò uscire un tremolante urlo dalla bocca seguito da una lunga serie di suoni gutturali mentre stringeva con le mani la testa di Carlo mantenendola in posizione. Lui, però aveva ancora le mani libere per muovere il fallo dentro di lei, non fermò la sua manipolazione sin quando avvertì il suo rilassamento.

Lei stava per cadere in terra sfinita e s’appoggiava alla sua testa con forza per mantenersi in equilibrio; Carlo tirò via il fallo poi la spinse verso il divano dove, finalmente, crollò distesa. Soddisfatto si alzò da terra e guardò la sua donna. Nonostante la benda che nascondeva gli occhi riuscì a cogliere il suo piacere dal taglio delle labbra e dal respiro ancora affannato. La raggiunse aiutandola a mettersi seduta, quindi le salì a cavallo sollevandosi sino a posizionare il pene davanti a quelle labbra. Cristina ne percepì l’odore mentre si avvicinava e aprì la bocca pronta ad accoglierlo. Come Carlo vide questo spinse in avanti con forza infilandoglielo sino in gola, tanto da strapparle un grugnito. Si pentì subito di quella mossa violenta e si ritrasse ma lei lo seguì non lasciandoselo sfuggire. Iniziò a succhiare, a leccare, a scorrere le labbra sul glande facendolo impazzire di piacere, sembrava che intendesse strappargli subito un orgasmo come per ripagarlo di quello goduto. Lo portò quasi al limite, sino al punto in cui iniziò a sentire sulla lingua le prime fuoriuscite di seme misto a lubrificante sintomo dell’imminente orgasmo, e si fermò ritraendo le labbra dal pene. Carlo restò immobile per un lungo istante nel tentativo di non venire, lei lo sentiva controllare il respiro e stringere forte le mani sul cuscino posteriore del divano nello sforzo della concentrazione, poi si rilassò e lei capì che il gioco sarebbe continuato.

Carlo si sedette a fianco di Cristina ed iniziò ad aprirle la tuta, ora la voleva nuda. Sentiva il bisogno della sua pelle. Le scoprì completamente il seno fermandosi ad ammirare ancora una volta il ciondolo, poi continuò far scorrere la zip sino in fondo. Lei non faceva nulla, si lasciava spogliare inerte persa nel buio della benda e percorsa da mille brividi generati dall’aria fresca sulla pelle sudata. Carlo si fermò nuovamente una volta scoperto il ventre, non resisteva alla voglia di appoggiare una mano sulla pelle morbida che vedeva davanti a sé. Aprì la mano e l’appoggiò poco sopra il pube per comunicarle calore e sensualità ma, soprattutto, amore. Massaggiò con le dita i muscoli del bacino che prima avevano partecipato all’orgasmo, li sentiva ancora tesi opporre resistenza ai suoi palpeggiamenti. Da questo intuiva che era ancora troppo presto per continuare il gioco, Cristina avrebbe senz’altro accettato ogni sua iniziativa ma non l’avrebbe apprezzata sino in fondo; era meglio aspettare sin quando non si fosse completamente rilassata e ripresa dal recente orgasmo.

Ora veniva il difficile: occorreva sfilare la tuta in latex dalle gambe, era talmente aderente da rendere difficoltosa l’operazione, la pelle sudata non aiutava in tal senso. Carlo riuscì a sfilarla via dai glutei con relativa facilità poi, però, dovette alzarsi dal divano e tirare con forza per ottenere qualcosa. La tuta veniva via molto lentamente, Carlo l’aveva presa all’altezza della vita e quindi la rivoltava per sfilarla via, mentre procedeva con questa operazione che indubbiamente presentava pure un lato comico iniziò a visualizzare nella sua mente l’immagine della pelle di Cristina tirata via in quel modo.

Improvvisamente il latex nero assunse un colorito rossastro maculato e striato di blu. Cristina stessa non appariva più rosea nella sua bellissima pelle ma rossa con i muscoli scoperti ed esposti all’aria, all’altezza del ventre poteva vedere chiaramente l’utero.

La stava scuoiando viva.

Stranamente non vedeva altri organi interni ma solo l’utero. Lei non pareva soffrire e la sua espressione dimostrava di un sottile piacere. Carlo passò dall’orrore all’eccitazione; quella scena, la vista della sua donna priva di pelle lo stimolava in un modo sconosciuto sino a quel momento. Tirò con più forza e le tolse via gli ultimi brandelli di pelle strappandole un sospiro di sollievo.

Carlo restò sconvolto da questa esperienza, era ancora immobile davanti a lei scuoiata che si chiedeva come mai non sanguinasse e non urlasse dal dolore, quando un suono, un rumore non identificato in strada lo riportò alla realtà. Tra le nebbia vide il corpo della sua donna tornare normale, ricoperto quindi dalla sua bellissima pelle. Sbatté più volte le palpebre per inumidire gli occhi che sentiva secchi. Una parte del suo cervello annotò il fatto che la canzone suonata dallo stereo non era quella di prima, conosceva bene quell’album e riconosceva il pezzo in esecuzione in quel momento, erano passati almeno sette minuti da quando aveva perso la nozione del tempo. Sette minuti nei quali aveva immaginato di strappare la pelle alla sua donna’ alla donna che amava’ e materialmente lo aveva fatto’ con il latex!

Carlo era sconvolto da questo, non aveva mai provato nulla del genere.

Ci pensò Cristina a smuoverlo dalle sue fantasie.

Non lasciarmi così! Ho freddo! ‘ disse lei con voce languida, poi aggiunse mentre si portava una mano sul pube: – Non vorrai lasciarmi fare da sola? Vero?

Carlo riprese coscienza della vera situazione, abbassò lo sguardo sul suo membro convinto di trovarlo floscio a causa delle fantasie appena avute, invece lo vide granitico come non mai. Stupito ma felice si avvicinò a Cristina inginocchiandosi tra le sue gambe. Prestò molta attenzione a non sfiorarle l’interno delle cosce in modo da non consentirle di capire dove fosse o cosa avesse in mente sino all’ultimo istante. Avvicinò il viso al pube solleticando la delicata peluria con l’aria emessa dal naso, al contempo s’inebriava con il suo profumo che respirava a pieni polmoni. Lei si attivò spingendo verso l’alto il bacino alla ricerca di un contatto. Carlo torturò il desiderio sfuggendole in continuazione, tentando di mantenere sempre la stessa distanza tra il suo viso ed il pube.

Cristina lo percepiva vicinissimo, quando chiudeva un po’ le gambe sentiva le sue spalle tra le cosce; la cosa che desiderava di più in quel momento era la sua lingua sulla vulva, una qualcosa di consistente ma morbido e umido scorrere dal buchino al clitoride per poi tornare verso l’ingresso e qui penetrarla. Rincorreva Carlo ma lui continuava a sfuggirle, intuiva la sua posizione dal calore che coglieva sulla pelle allora spingeva il pube verso la sua bocca senza trovare altro che il vuoto. Era in preda a due sensazioni contrastanti, ma purtroppo spesso unite, come il desiderio e la frustrazione, voleva urlare il suo stato a Carlo per costringerlo a darle soddisfazione e nello stesso tempo intendeva stare al suo gioco; solo che il gioco stava diventando insostenibile. L’orgasmo di prima non aveva ottenuto altro effetto che accrescere il desiderio.

Carlo, se non era dotato di poteri paranormali traeva beneficio da ottima intuizione, proprio nell’istante in cui lei stava per perdere la sua battaglia contro il desiderio a scapito del gioco, allungò la lingua fendendo le labbra della vagina. Fu ringraziato da un lunghissimo gemito ed appagato dalle gambe di Cristina che si aprivano offrendogli il pieno possesso della vulva. Lui, allora, diede fondo a tutto il repertorio in sua conoscenza sulla stimolazione orale; la portò tanto vicino all’orgasmo per poi tenerla lì in sospeso da trasformare quel piacere in una tortura. Lei, tra un gemito ed un sospiro, gli chiedeva di più. Ormai non le era più sufficiente quello stimolo, ora voleva qualcosa di solido dentro. Doveva colmare il senso di doloroso vuoto che sentiva, intendeva soprattutto guardare negli occhi il suo uomo mentre la prendeva e la portava verso il piacere, sentiva il bisogno di godere con lui e non solo grazie a lui.

Carlo, invece, era schiavo di un’altra esigenza leggermente diversa ma, tutto sommato, conforme.

Abbandonò la zona pubica per risalire con la lingua indolenzita il corpo della sua donna sin verso il viso. Raggiunta la bocca la baciò mentre pensava: “Senti il tuo sapore!”, era furiosamente eccitato dall’idea di riportale nella bocca il gusto della vulva; gli piaceva come lei lo baciava in quelle occasioni, pareva che apprezzasse molto i suoi stessi umori. Era grazie a questo particolare che da sempre la sognava intenta in un rapporto saffico.

Carlo era arcuato su di lei con la bocca incollata alla sua ed il pene a pochissimi centimetri dal pube, inutili erano, però, i tentativi d’intercettarlo da parte sua. Come prima, quando usava il viso ed il respiro per stuzzicarla, ora utilizzava il pene. Lo faceva appoggiare sulla peluria fradicia e aspettava che lei spostasse il pube per invitarlo, quindi le sfuggiva. Anche lui moriva dalla voglia di sprofondare in lei ma la fantasia di ulteriori giochi lo sorreggeva. Tutto sommato lei era ancora bendata e lui non aveva provato che la minima parte degli oggetti acquistati in quel negozio!

Una distrazione e percepì chiaramente la carne morbida delle grandi labbra sul glande, abbassò lo sguardo e vide che bastava spingere leggermente per entrare in lei. La tentazione era troppo forte ed il desiderio pure.

Spinse delicatamente per gustare appieno il suo corpo che si apriva, conquistò ogni centimetro di penetrazione con un velocità esasperatamente lenta ma costante sino in fondo. Cristina, dal canto suo, rimaneva in assoluto silenzio senza respirare; lo accoglieva e basta. Solo quando arrivò in fondo lei si concesse un lungo sospiro prima di contrarre forte i muscoli del bacino come per bloccarlo, per non lasciarlo più fuggire da lì. Carlo era prigioniero del suo calore più che della stretta fisica, per nulla al mondo sarebbe più uscito da lì, da quel ventre che lo avvolgeva in quel modo. Spinse, dei lievi colpi comandati dalle reni, come per affondare ancora più del possibile in lei. Ad ogni spinta lei espirava con un gemito, poi inspirava a fondo e rilasciava lentamente il fiato sino alla pressione successiva, intanto si chiudeva contro il membro seguendo la regolare cadenza. Erano come in trance, il tempo non aveva più alcun valore per loro, la regolarità delle spinte era dettata unicamente dal loro affiatamento, nulla di razionale interveniva a guidarli. Il piacere cresceva lento ed inesorabile, senza interruzioni.

Carlo allungò una mano verso la benda sugli occhi di Cristina e la fece scivolare via. Tutti i progetti ed i sogni sui giochi perversi non avevano più alcun valore di fronte all’amore che impregnava quell’amplesso. Gli occhi di lei si fissarono spalancati e lucidi sui suoi e non mollarono più le pupille del suo uomo, nemmeno quando una fitta d’intenso piacere innescò l’orgasmo.

Cristina rantolò delicatamente e inarcò il corpo spingendosi contro di lui. Carlo che sino a quel momento aveva inconsciamente controllato il suo piacere si lasciò andare ed ascoltò con attenzione le veloci contrazioni all’interno del corpo della sua donna che godeva. Venne poco dopo di lei, in tempo per regalarle la piacevole sensazione di un pene che pulsava inondandola. Riversò dentro di lei tutto il seme che aveva mentre leggeva il suo compiacimento negli occhi.

Non aveva usato tutto l’armamentario che si era procurato, a parte il vestito in latex ed il fallo sintetico il resto rimaneva a far bella mostra di sé sul tavolino a fianco del divano. In quel momento Carlo stava pensando proprio a questo e, tutto sommato, non gli importava più di tanto. Rimaneva soltanto molto curioso sull’utilizzo di quelle due sferette metalliche unite da una sottile catena, sentiva che Cristina avrebbe saputo che farsene ed illuminarlo sul loro scopo.

Neppure nei mesi che seguirono ebbe occasione di sperimentare a fondo il suo investimento erotico. Cristina divenne sempre più dolce e appassionata, aveva abbandonato quell’aggressività che l’aveva guidata negli amplessi del periodo precedente. Carlo percepiva qualcosa di diverso pure nel suo aspetto, forse erano gli occhi che davano allo sguardo un intensità particolare, forse il suo modo di muoversi e di porsi a lui ed agli altri. Da qualche tempo aveva abbandonato il ciondolo nel cassetto del comodino dopo averlo indossato ogni giorno per più di un anno.

Carlo non capiva ma gli piaceva questa Cristina, ancora di più della donna seducente ed aggressiva di prima, era stupito dalla rapidità dei suoi cambiamenti ma non sentiva alcun pericolo in essi; non temeva di perderla mai. Si chiedeva se essi avessero un origine razionale, dovuti quindi ad una scelta ben precisa di Cristina, o naturale guidati dall’evoluzione di una ragazza che stava diventando donna. Non trovò mai la risposta, nelle rare occasioni in cui aveva tentato di portare il discorso su quel tema non erano giunti a nessuna conclusione.

Una Domenica di primavera Cristina irruppe in camera svegliando Carlo tutta allegra.

Dai! Alzati! &egrave una giornata bellissima’ ho voglia di uscire!

Carlo soppresse il turpiloquio che stava nascendo in lui e lentamente si costrinse ad emergere dal letto. Cristina gli preparò la colazione, lo guidò sotto la doccia e si offrì pure di collaborare attivamente al suo risveglio definitivo pur di uscire. Poco erano diretti nella vicina città per visitare il mercatino delle pulci che tanto pareva interessarla.

Carlo, ormai, era abituato a questi improvvisi desideri della sua donna e la stava assecondando pur non nascondendo il suo totale disinteresse per quel genere di attività. Arrivati nel luogo previsto la accompagnò tenendola per mano tra i vari banchi, finse di apprezzare gli oggetti esposti e ascoltava con interesse, vero in questo caso, le dissertazioni di lei sui vari stili e forme dei mobili antichi. L’arredamento era una sua passione comune, limitata solo dal loro conto bancario e dai mille progetti che avevano per il futuro. In quell’occasione notò finalmente che lei aveva indossato nuovamente il ciondolo; lo teneva sopra il maglioncino leggero ben in vista.

Erano in procinto di avvicinarsi al banco di un venditori di libri che sarebbe meglio definire vecchi piuttosto che antichi, quando lei parve attirata da un qualcosa che stava nella via accanto, quella che non avevano ancora percorso. Cristina lasciò la mano di Carlo e si diresse decisa in quella direzione, sorpassò senza degnare di uno sguardo i vari espositori per fermarsi davanti ad un banco all’apparenza senza alcuna attrattiva. Lui la rincorse e la ritrovò appena in tempo per sentirla dire:

Non pensavo che lei seguisse questi mercatini?
Che vuole! Ci si inventa un po’ di tutto per guadagnare il pane quotidiano! ‘ rispose gentile l’uomo al di là della sua merce.
Si ricorda di me, vero? ‘ chiese Cristina fissandolo dritto negli occhi.
Certo! Come potrei dimenticare la donna che ha rifiutato la mia offerta per quel talismano?
Questo? ‘ domandò lei prendendo in mano il ciondolo ‘ E ‘ quando mi offrirebbe ora?

L’uomo la guardò a lungo, fissò prima il ciondolo poi gli occhi di Cristina.

Ora la cifra &egrave diversa! ‘ sentenziò
Lo immaginavo! Quanto? ‘ chiese lei
Ricorda quanto le avevo offerto?
Sì!
Ora le offro il doppio!
Il doppio?
Sarò onesto con lei’ vale molto di più, ma devo pur vivere! ‘ disse lui con un sorriso.
Ok! &egrave suo’ ma prima mi deve spiegare come mai il suo valore &egrave cresciuto!
&egrave presto detto’ lo ha indossato lei! ‘ rispose il commerciante.

Cristina ritenne quella risposta galante un modo elegante per eludere la sua domanda. In fondo non gli interessava più di tanto conoscere il motivo di tale valore, era molto più interessata al valore in se stesso. Concluse quindi l’accordo con l’uomo, gli consegnò il ciondolo e lasciò a Carlo l’incombenza di contare il denaro ricevuto.

Grazie! Ha reso felice un povero vecchio collezionista di antichi gioielli! ‘ disse il commerciante.
No! Grazie a lei che ha reso felici due giovani spiantati! ‘ rispose ridendo Cristina

Poi, mentre già si stavano allontanando l’uomo richiamò l’attenzione di Cristina e le disse:

Dimenticavo! Complimenti signora! Complimenti a lei ed a suo marito.

Cristina lo salutò ancora mentre si chiedeva cosa volesse dire, a cosa si riferivano quei complimenti. In fondo lui non poteva sapere!

Una volta a casa Carlo affrontò Cristina e le disse:

Ancora non capisco come mai hai accettato di vendere quel ciondolo!
Ti pare che ci abbia offerto troppo poco? ‘ domandò lei
Poco?! No, assolutamente! Secondo me non valeva neppure il filo con cui lo legavi al collo!
Quello che mi &egrave parso strano &egrave il fatto che tu sembravi consapevole della presenza di quell’uomo e del suo patetico banchetto. Non mi spiego come mai avesse con se tanto contante!

Non lo hai voluto vendere un anno fa ed allora non potevi sapere che il suo valore sarebbe cresciuto. Ci sono troppe cose che non capisco!

Non ci pensare! ‘ disse lei mentre lo spingeva sul divano e si accomodava al suo fianco ‘ pensa che questi soldi serviranno al nostro’-
Al’?
Vedi, questa mattina ho fatto un test di gravidanza’ &egrave risultato positivo!

A Carlo parve che il mondo si richiudesse intorno a loro, non esisteva altro che Cristina e quello che teneva dentro! Per un lunghissimo istante non riuscì a parlare, a respirare, a connettere. L’unica cosa che riusciva a visualizzare era il viso radioso della sua donna.

Poi iniziò la più bell’avventura della loro vita.

‘Incesto’

Questo termine ruotava in continuazione nella mente senza lasciare spazio ad altri pensieri.

‘Incesto’

Elena perseverava a ripetersi mentre un dolore, profondo e diffuso, la spingeva verso sempre più profonde forme di depressione.

‘Incesto, ma come ho potuto’ Come abbiamo potuto?’

Si chiedeva senza trovare una spiegazione plausibile. Soffriva e si sentiva colpevole, sporca, persa.

‘Incesto ‘ sì!’

In fondo quel suono non era poi così sporco, non così perverso e neppure peccaminoso. Le avevano insegnato che non era bene, le avevano detto che non sarebbe mai dovuto accadere, non doveva neppure pensarci; ma le avevano anche nascosto quanto potesse essere piacevole.

‘Incesto’!’

Un sospiro e sentì l’eccitazione crescere, un diffuso calore che partiva da una zona precisa del ventre per espandersi in tutto il corpo. Tentò di lenire la sensazione, quasi dolorosa, che sentiva dentro massaggiandosi il ventre con una mano e ricordò. Le tornarono in mente le mani calde, forti ma dolci, decise e sensuali che scorrevano sulla pelle elettrizzandola. Scendevano dal seno al pube indugiando a lungo sull’ombelico, seguivano con le dita le curve del corpo tracciandole con cura. Audaci la esploravano e timide bussavano alla sua femminilità. Questo contrasto, sintomo di dolcezza e rispetto, la faceva impazzire, non si sarebbe mai stancata d’averle addosso.

‘Incesto!’

Questa volta un gemito rauco uscì dalla gola mentre Elena si penetrava con il dito medio. Lo fece proprio sul suono di quella parola pronunciata a bassa voce come per sminuirne il significato senza precluderne il valore trasgressivo. Ripeté quel termine più volte, sempre più veloce mentre si stimolava senza alcuna pietà il clitoride e la mente riviveva i dettagli della notte precedente. Le lenzuola aderivano al suo corpo incollandosi ad esso grazie al velo di sudore che imperlava la pelle, danzavano sollevandosi leggere sul pube dove la sua mano la stava portando verso l’estasi.

L’orgasmo arrivò inaspettato. Non la solita lenta marea ma un’onda improvvisa e devastante. Contrasse tutti i muscoli ruotando la testa da una parte all’altra finendo per mordere un lembo del cuscino nel tentativo di trattenere l’urlo di piacere che le stava nascendo spontaneo.

Quando aprì gli occhi per la prima volta rimase ferita dall’intensa luce solare che penetrava dalla finestra, aveva dormito più del solito per riprendersi dalle fatiche della notte. Si spinse seduta contro la spalliera del letto ancora intorpidita dal sonno e languida per il recente orgasmo, con gli occhi cercò i segni della sua depravazione. Nonostante l’eccitazione e il piacere provato, che ancora provava, continuava a considerare il suo incesto una folle e lussuriosa deviazione. Nulla nella stanza testimoniava ciò che era avvenuto, nessuna traccia nemmeno sulle lenzuola che apparivano perfettamente stirate alla sua destra sul letto matrimoniale in cui riposava ora. Inconsciamente si ritrovò a massaggiarsi un polso dolente allora ricordò d’essere stata legata alla spalliera del letto. Guardò verso il punto in cui si era aggrappata durante gli ultimi spasmi di piacere, non potendo fare altro che assorbire i suoi colpi sempre più intensi mentre stava per venire in lei poiché era legata. Avrebbe voluto stringerlo a sé, graffiargli la schiena per spronarlo, trattenerlo per i glutei per costringerlo ad eiacularle dentro, rivoltarsi sopra di lui al termine del rapporto per sentirlo mentre si rilassava ed il membro si sgonfiava lentamente; ma l’aveva imprigionata.

Era sempre stato lui a dominarla sin da quando era nata.

Non le dispiaceva quel ruolo, in fondo si sentiva protetta. Nei loro giochi di bambini era sempre lei a sottomettersi alle sue decisioni, a seguirlo in ogni fantastica avventura che s’inventava. Quante volte aveva perso deliberatamente un gioco, una partita, solo per fargli piacere? Sapeva quanto ci teneva a vincere sempre. Lui la ricambiava con delle attenzioni che le sue amichette non sognavano nemmeno: l’aiutava nei compiti, le spiegava paziente le materie che le erano più ostiche, l’accompagnava a scuola ed era sempre lì quando usciva. Era stato lui ad insegnarle a ballare e le aveva spiegato cosa passava per la testa dei suoi amici maschi quando le offrivano un passaggio sul motorino o la invitavano al cinema.

Amava profondamente suo fratello, una presenza costante durante tutta l’infanzia, un valido sostituto del padre che aveva lasciato la loro madre tanti anni prima per cercare non si sa cosa in un’altra donna. Adorava il suo ‘fratellone’ di cinque anni più vecchio di lei ma tanto più saggio e forte ai suoi occhi. Ricordava quanto aveva pianto il giorno in cui s’iscrisse ad una facoltà di un’altra città. Sapeva che non l’avrebbe più avuto tutto per sé, lui sarebbe stato lontano e lei tanto sola, ma doveva seguire la sua strada e costruirsi un futuro. Poco alla volta se ne fece una ragione e iniziò a vivere per sé e non più in funzione sua com’era stato sino ad allora. Questo la rese una ragazza migliore e più sicura di sé. Mentre lui studiava lei si trasformava da bambina in donna, ogni volta che s’incontravano, quando lui tornava a casa o lei andava a trovarlo, si sentiva dire che stava diventando sempre più bella. N’era profondamente gratificata, sentiva la sincerità nelle parole di suo fratello, provava solo una strana forma di gelosia quando lui le raccontava delle sue avventure amorose. Spiegava questo sentimento con la consapevolezza che presto o tardi avrebbe trovato una donna che l’avrebbe allontanato per sempre da lei e si pentiva sentendosi egoista nei suoi sentimenti. La ragione le diceva che il loro rapporto non sarebbe mai cambiato anche se lui aveva una donna da amare, in fondo un legame di sangue era più forte che qualsiasi amore, ma le mancava tanto la sicurezza che le infondeva la sua presenza sin da piccola.

‘Amare il fratello &egrave un conto, ma andarci a letto &egrave tutta un’altra cosa!’

Costatò turbata Elena.

Che cosa era successo, com’era potuto accadere?

Lui si era appena laureato con il massimo dei voti, non poteva essere altrimenti considerando la sua smania di primeggiare a tutti i costi. Incurante delle ore di sonno perse, della salute, degli anni passati sui libri piuttosto che a viverli come un comune ragazzo pure studioso ma consapevole della sua natura aveva raggiunto un livello di preparazione tale da convincere il suo relatore che meritava molto di più. Fu lui a trovargli un posto in quell’istituto francese per uno stage di sei mesi che poi divennero dodici. Ora quello stage stava per diventare un lavoro definitivo, l’istituto non intendeva lasciarselo sfuggire. Era tornato a casa per spiegare a sua madre e a lei che si sarebbe stabilito in quel paese, che la si trovava il suo futuro e non poteva lasciarselo sfuggire. La Loro madre aveva capito, soffriva per il distacco sempre più definitivo ma lo capiva ed in fondo se lo aspettava. Lei non lo capiva, sapeva di doverlo accettare, ma non riusciva a mandare giù questa notizia.

Suo fratello la conosceva bene ed aveva previsto questa reazione.

– Guarda cosa ti ho preso a Parigi!’ le disse mentre disfaceva le valige in quella che era la sua vecchia cameretta, quindi le porse una scatoletta.

– Cos’&egrave? ‘ domandò Elena ancora imbronciata.

– Aprila!

Elena scartò lentamente il pacchetto, sospettosa. Qualsiasi cosa contenesse non poteva certo blandirla o alleviare il dolore che provava.

– Bello!

Cos’&egrave? Un ciondolo!

&egrave bellissimo, dove lo hai trovato?

– In un mercatino che si tiene nelle strade di Parigi, mi pareva una cosa adatta a te e non ho resistito.

– Grazie!

‘ emm ‘ devi per forza trasferirti lì? ‘ domandò lei

– Sì! Non troverò mai un altro posto come quello. Quanto meno adesso che mi sono appena laureato, non dico che vivrò sempre in Francia ma per ora ho trovato quello.

– Lo so, lo so! Lo hai già detto.

– Avanti sorellina, dimmi tutto.

– Mi mancherai molto!

– Anche tu!

– Sono anni che mi manchi, voglio tornare piccola quando tu stavi sempre come. ‘ terminò, tutto d’un fiato, lei con la voce che iniziava a rompersi dall’emozione.

Lui abbandonò la valigia e corse ad abbracciarla.

– Puoi venire con me a Parigi! Potresti studiare lì!

– E mamma? La lasciamo sola?

– Mamma sta vivendo una seconda giovinezza ora che ha finalmente ritrovato l’amore di un uomo, se la lasciassimo in pace potrebbe vivere quello che nostro padre non le ha mai dato.

– Ne soffrirebbe lo stesso, non possiamo lasciarla da sola così all’improvviso!

– Facciamo un test! ‘ propose lui

– Un test?

– Andiamo al mare qualche giorno io e te, e vediamo come la prende!

– L’unico aspetto positivo di quest’idea &egrave che finalmente riavrò il mio fratellone solo per me per un po’ di tempo! ‘ concluse lei.

La madre prese bene la notizia, il mattino seguente, di buon ora, partirono verso la loro seconda casa nelle Cinque Terre. In realtà sarebbe meglio definirla la loro casa d’origine giacché quella era l’abitazione dei nonni. Nativi dei quel magnifico angolo di Liguria.

Elena era raggiante, aveva davanti sei giorni d’esclusivo possesso di suo fratello. Non riusciva neppure a memorizzare tutte le domande che intendeva porgli, voleva sapere tutto ciò che gli era successo nell’ultimo anno. Mentre tentava di riordinare le idee rigirava tra le mani il ciondolo avuto in regalo e l’osservava distratta.

– Ti piace? ‘ domandò lui felice delle attenzioni che rivolgeva al suo regalo

– Sì, molto! Non ti ho ancora ringraziato abbastanza.

Lo sto guardando ora per la prima volta con la dovuta attenzione’ ma cosa c’&egrave inciso?

Pare una donna che tiene in mano quello che sembra un pettine e davanti a lei’ ma’ ma’!

– Ma?

– Davanti a lei c’&egrave un enorme cazz’! ‘ Elena non terminò la frase e fissò con un aria fintamente sconvolta il fratello.

– Sì, pare un enorme fallo’ simpatico vero?

– Ma ti sembra questo un regalo da fare alla tua sorellina?! ‘ domandò trattenendo a stento un sorriso.

– Mi pareva di buon augurio! Ecco tutto!

– Uffa! E piantiamola una buona volta con questa storia che non ho ancora un ragazzo fisso!

– O fesso’! ‘ Sottolineò lui

– Fesso? ‘ il broncio d’Elena questa volta era reale.

– Sì, per sopportare il tuo caratteraccio!

Quanto resistono in media? ‘ le domandò ironicamente

– Senti chi parla di ‘caratteraccio’, proprio tu!

– Infatti, sono ancora single!

Certo che nel tuo caso’! – lui lasciò la frase in sospeso come se si fosse pentito di quell’ultima affermazione.

– Nel mio caso? ‘ lo incalzò lei

– Ecco’ nel tuo caso non dovrebbe faticare molto per sopportarti. Il tuo corpo sembra in grado di ripagare qualsiasi pena tu lo sottoponga.

Sai, ogni volta che ti vedo sei sempre più bella e sensuale.

Il complimento del fratello fece avvampare Elena, era stato formulato con tutta l’innocenza possibile ma lei sentì improvvisamente una pressione dolorosa alla bocca dello stomaco. Rivolse lo sguardo verso di lui alla guida: teneva gli occhi fissi sulla strada e la sua espressione era del tutto indecifrabile. All’improvviso aggiunse:

– Se fossi nei panni dei tuoi amici non ci penserei due volte prima di corteggiarti senza alcuna pietà!

Elena voltò immediatamente il viso verso il finestrino, non voleva che lui notasse il turbamento dovuto a quelle parole. Rispose a quest’ultima affermazione con un grugnito, segno che non intendeva continuare quella discussione, lui allora spinse la cassetta nell’autoradio e lasciò che la musica facesse da sfondo al loro viaggio. Appena riprese il controllo di sé, Elena tornò ad osservare suo fratello e lo analizzò per la prima volta sotto l’aspetto puramente fisico. Sino ad allora lo aveva sempre visto con gli occhi del cuore. Ora, grazie ai complimenti che le aveva rivolto, lo vedeva anche sotto un aspetto più materiale. Lasciò scorrere i suoi occhi dalle mani che impugnavano il volante agli avambracci e da lì sino alle spalle, non si era mai accorta quanto fosse tonico e ben disegnato il suo corpo. Le mani, poi, erano estremamente attraenti, apparivano forti e infondevano sicurezza, le ricordava calde e morbide ma capaci di una presa sicura. Le piacevano quelle mani.

Continuò nella sua esplorazione diventando sempre più audace, spingendo la sua attenzione verso particolari che non &egrave bene valutare in un fratello. Si soffermò, in particolare, nella zona genitale misurando con gli occhi il rigonfiamento dei calzoni.

Cosa pensò in quel momento non &egrave possibile trascriverlo, si trattava d’impressioni più che di parole, di visioni, di fantasie non traducibili in parole; un accozzaglia d’immagini e sensazioni che la turbarono profondamente. Elena si rese conto d’essersi eccitata guardando il corpo di suo fratello, questo non lo aveva previsto e neppure cercato. Raccolse tutta la sua razionalità e spinse i pensieri verso obiettivi reali e tangibili come, ad esempio, la lattina fresca che stava nel sacchetto dietro il sedile. La prese e l’aprì con calma, ne sorseggiò lentamente il contenuto lasciando che il liquido freddo scorresse nella gola; quindi la appoggiò ad una guancia e si concentrò su queste sensazioni. Aprì gli occhi per studiare il paesaggio che scorreva al di là del vetro ed iniziò a contare con attenzione le strisce in mezzo all’asfalto. L’effetto era ipnotico e presto il suo cervello prese a funzionare in automatico consentendo alla coscienza di ritirarsi in un angolo per sublimare i pensieri sconvolgenti che aveva appena generato.

Giunsero presto alla meta. Elena balzò fuori dall’auto e piroettò felice con il viso rivolto verso il sole, quindi raggiunse il muretto che delimitava la proprietà e guardò in basso verso il mare.

– Guarda che mare fantastico e senti che sole caldo! ‘ disse radiosa al fratello ‘ facciamo subito un bagno prima di pranzo, dai!

– Vuoi scendere in mezzo alla calca?

– No, andiamo alla nostra solita caletta, quella di quando eravamo piccoli!

– A piedi? ‘ chiese lui sconvolto

– No, con il Gozzo. Mamma lo ha già fatto mettere in mare a Giugno.

– Perché no?

Preparati che scendiamo in paese a comprare qualcosa da mangiare poi andiamo!

Elena prese le sue valige e corse in casa, raggiunse la sua camera senza preoccuparsi di arieggiare le altre stanze chiuse da tempo e sparse il contenuto delle valige sul letto. D’istinto scelse il costume intero più ridotto che aveva per nuotare ed un bikini altrettanto ristretto per il sole. Si spogliò in fretta lanciando gli indumenti e la biancheria in mezzo al caos di abiti che già giaceva sul letto poi infilò il costume. Lo lisciò con le mani per stenderne le pieghe poi lo sistemò i modo da renderlo ancora più sgambato e si assicurò che i glutei non fossero troppo coperti. Soddisfatta si voltò verso la porta per constatarne l’effetto sullo specchio appeso su di essa ma al suo posto trovò il fratello.

– Sei diventata una magnifica ragazza’ lo sai?

Da quanto era li? Elena non poteva saperlo, restò di sasso a guardarlo mentre lui continuò:

– Bene; &egrave meglio che mi prepari anche io. ‘ disse mentre si sfilava la maglia

‘Che bei addominali!’ pensò Elena.

Non fece in tempo a vedere altro che lui era già sparito nella sua camera.

Poco dopo erano sul Gozzo del nonno, restaurato con tanta pazienza e amore da un artigiano del paese, diretti verso una caletta conosciuta da poche persone e praticamente raggiungibile solo via mare. Elena stava a prua orientata verso il sole, si godeva il calore che la penetrava. Amava il caldo e l’inverno la lasciava sempre con un insostenibile desiderio di sole. Aveva un rapporto sensuale con l’astro, si esponeva senza pudore ai suoi raggi, si lasciava invadere dal suo calore e lo percepiva sulla pelle come le mani calde di un amante. Lì, sulla barca, i delicati spruzzi di acqua salata sollevati dalla prua che la colpivano parevano tanti piccoli baci freschi sulla pelle mandati dal suo amante preferito. Elena si rilassò completamente, era nel suo ambiente naturale, quello che amava di più, quello che il sangue le aveva trasmesso. Solo lei, in tutta la famiglia, era in grado di capire il nonno che si era sempre rifiutato di lasciare quel posto, anche a costo di passare i suo ultimi anni da solo e lontano dagli affetti. Aveva sempre ammirato quell’uomo con lo sguardo reso duro dal sale e dal sole, ma dolce e tenero con la sua nipotina preferita. Le aveva insegnato i segreti del mare, il rispetto ed il timore che confluivano in un amore profondo ed incondizionato. Elena conosceva quelle coste meglio del fratello e portava il gozzo con maggiore sicurezza, ma come sempre lasciava che fosse lui a condurre il loro gioco.

Ormeggiata la barca a pochi metri da riva sbarcarono nella piccola caletta e si sistemarono nel lembo di sabbia tra gli scogli. Come previsto erano i soli occupanti. Elena tornò subito in mare chiamando a gran voce il fratello, poi giocarono con l’acqua come tanti anni prima. Solo che ora lui era molto più forte di lei e nuotava meglio di allora, gli scherzi e le spruzzate di Elena non restarono impuniti. Ogni volta che lui la raggiungeva e la stringeva a se per spingerla sott’acqua lei provava dei piacevolissimi brividi, tant’&egrave che si lasciava raggiungere e non tentava di sfuggirgli. Dopo le prime scaramucce notò che le mani del fratello indugiavano più del normale su certi particolari punti del suo corpo e la presa diveniva sempre più delicata ma forte al contempo, in una parola: sensuale. Elena, all’inizio provò nuovamente quel turbamento, poi lentamente dimenticò che stava giocando con suo fratello; le mani che l’afferravano, il busto che premeva contro di lei, le gambe che sentiva muoversi nell’acqua vicino a sé non erano più parti del corpo di suo fratello, ma semplicemente arti maschili. Erano gli arti di un ragazzo muscoloso e ben fatto che sapeva, evidentemente, come usare i doni che la natura gli aveva dato. Si concesse d’abbandonarsi in una stretta più forte delle altre, lui era dietro di lei e l’aveva presa in vita con l’iniziale intenzione di spingerla sotto, ma come i loro corpi furono a contatto con il sedere di Elena che spingeva sui genitali del ragazzo lui la strinse a sé allargandole una mano sul ventre. Elena reclinò la testa sino ad appoggiarla sulla spalla e smise di muoversi. Il peso gli stava tirando giù e lui dovette muovere velocemente le gambe in modo da tenersi a galla, questi movimenti lo costringevano a strusciarsi contro di lei, a spingere i genitali contro il suo sedere. Elena era completamente presa da quel contatto e se ne godeva ogni singolo dettaglio; se non fosse stato per un’onda più alta che le sommerse il viso sarebbe restata così per ore. Quando conquistarono la riva, ormai stremati dai loro giochi quasi innocenti, lei cercò d’istinto un angolo appartato dove cambiarsi il costume. Guardò in giro valutando l’altezza delle rocce e l’eventuale presenza di anfratti tra di esse, poi ricordò che lui l’aveva già spiata mentre provava quel costume. Decise di non nascondersi, con estrema noncuranza fece scivolare le spalline scoprendo lentamente, ma in modo naturale, il seno, quindi arrotolò il costume sino in vita e si asciugò il busto indugiando parecchio sul seno. Distrattamente osservo il fratello: lui era apparentemente intento a stendere due prendisole sulla sabbia ma i suoi occhi erano tutti per lei. A questo punto, Elena, fece scivolare il costume a terra, rimanendo completamente nuda, terminò di asciugarsi poi infilò il bikini. Quando raggiunse suo fratello si stese al sole vicino a lui pregandolo di passarle i viveri.

Lui aveva gli occhi fissi sul suo bacino e lo osservava muoversi al ritmo del respiro, Elena stava per ripetere la richiesta di cibo ma quegli occhi che iniziava a sentire addosso le piacevano tanto da farle dimenticare l’appetito. Incavò il ventre e distese completamente le gambe avendo cura di tenerle leggermente discostate in una posizione attraente ma non volgare; in quel momento vide gli occhi di suo fratello scendere verso il pube e fissarsi su di esso. Lei si lasciò cadere completamente distesa poi sollevò il sedere spingendo in alto il pube per sistemarsi meglio, allungò pure le braccia dietro la testa per tirare ancora più su il seno e restò immobile a lasciarsi ammirare. Aveva la netta sensazione di sentire gli occhi di suo fratello scorrere il suo corpo, li sentiva spostarsi per soffermarsi sulle sue curve, raggiungere il seno e puntare i capezzoli che ormai erano turgidi dall’eccitazione che la stava invadendo.

Quando non riuscì più a controllare il respiro tanto era eccitata si sollevò appoggiandosi sul gomito rivolta verso il fratello, attirò il suo sguardo verso il viso poi puntò gli occhi sui suoi e disse con la voce più calda e sensuale che avesse:

– Dimmelo!

– Cosa? ‘ domandò lui con la voce rotta quando la sua

– Cosa stai pensando, quello che vorresti dire se osassi.

– Sei stupenda!

– Grazie! ‘ ripose lei con un sorriso, poi aggiunse maliziosa ‘ Dimmi anche resto!

– Posso’ posso toccarti?

– Puoi, sono tua’- Elena stava per aggiungere la parola ‘sorella’ ma non fece in tempo.

La frase le fu ricacciata in gola dai brividi di piacere generati dalla mano di suo fratello che si appoggiava aperta sul suo fianco. Sospirò, poi osservò il punto di contatto come per dare una ragione reale al calore che sentiva nascere da lì, soddisfatta sposto lo sguardo sui suoi occhi e li vide fissi sul suo corpo, con le pupille dilatate dall’eccitazione. Elena si abbandonò e si distese nuovamente offrendo il proprio corpo a quelle carezze inaspettate quanto insperate.

Chiuse gli occhi e si concentrò sulle sensazioni. Sentiva ora quella mano scivolare dal fianco al bacino, premere, palpare dolcemente quindi salire. Lei spinse in alto il seno, lo gonfiò riempendosi i polmoni ed attese l’inevitabile incontro con quella mano, ma essa girò intorno al seno per arrivare alla gola. Qui si divise, le dita seguivano la stessa rotta ma lungo itinerari diversi puntando senza dubbio verso la bocca. Elena era quasi in trance, le piaceva quella mano, adorava quel tocco morbido, caldo, sensuale ma non era ancora la mano che da cui sempre sognava d’essere toccata. Mancava di audacia, era troppo dolce, troppo delicata e troppo sensuale per non desiderare di più. Quando sentì le dita sulle labbra le dischiuse leggermente per consentirgli di giocare con loro, le dita ne seguivano i contorni, si appoggiavano dolci su di esse ma erano sempre leggermente indecise. Elena giocò a questo punto la sua carta: lasciò uscire la lingua, poi quando intercetto un dito lo leccò mentre apriva la bocca invitandolo al suo interno. Risucchiò quel dito per imprigionarlo dentro la bocca in modo da poterlo succhiare, quando lo lasciò uscire lo seguì con la lingua sin dove poteva poi attese i risultati.

Ora quella mano era più carica, la sentiva muoversi più decisa adesso. Quando tornò verso il seno risalì una mammella e si aprì su di essa per stringerla, giocò con i capezzoli attraverso il tessuto del costume, stuzzicandoli. Elena voleva assolutamente sentirla sulla pelle e s’illuse d’essere soddisfatta quando la percepì sfiorare il bordo del reggiseno, ma la mano scese precipitosa verso il ventre lasciandola con una voglia insoddisfatta.

Quando giunse a sfiorare il bordo dello slip lei contrasse il ventre ed attese, le girava la testa e non riusciva più a capire dove fosse e con chi, l’unica cosa importante erano quelle stupende ed eccitanti sensazioni che provava. La mano passò sulle gambe, da lì all’interno delle cosce e lei si aprì a quel tocco, tornò nuovamente verso il pube e questa volta s’infilò decisa sotto il tessuto. La sentì indugiare sulla morbida e ridotta peluria e non riuscì a resistere alla tentazione di aprire ancora di più le gambe. Questo era l’invito atteso dalla mano che, finalmente, s’intrufolò tra le labbra della vagina. Elena sospirò di piacere e quando un dito sfiorò il clitoride gemette.

– Sei un lago tanto sei eccitata! ‘ disse una voce lontana da lei

Elena non la stava a sentire, era totalmente concentrata su quello che accadeva più in basso, seguiva interessata le lente evoluzione di quel dito che passava dal clitoride a sfiorare l’ingresso del suo ventre. Prese il ritmo e appena lo sentì avvicinarsi al buchino spinse in avanti il pube facendosi penetrare. Lui emise un suono stupito ma spinse ancora di più infilandoglielo completamente dentro.

– Senti come sei aperta!

A te non basterà mai questo semplice dito. ‘ la sua era la più eccitante proposta che non avesse mai sentito.

– No! ‘ rantolo lei ‘ non mi basta! ‘ intanto continuava a muovere il pube provocante.

– Cosa vorresti?

– Prendimi!

Elena gemette di disappunto quando lui estrasse il dito da lei, poi sentì gli slip che le venivano sfilati. Collaborò sollevando il sedere e chiudendo le gambe per poi spalancarle nuovamente al termine. Non attese a lungo, presto sentì il corpo di un uomo che si adagiava su di lei, il membro eretto e durissimo premerle sul ventre prima che lui si posizionasse in modo da penetrarla. Si offrì senza remore, senza porsi domande, intendeva solo godere con quell’uomo che la sapeva accarezzare in quel modo unico. Lui la penetrò con un colpo secco, invase il suo ventre mentre lei sospirava di approvazione, poi si adagiò nuovamente su di lei ed attaccò un ritmo lento di corte ma profonde penetrazioni. Elena sorbi quelle spinte all’inizio passivamente, poi iniziò a collaborare. Seguiva il suo ritmo, non intendeva forzare o rallentare, le piaceva subire quei colpi ed assecondarli con i movimenti del pube aprendosi quando entrava per chiudersi su di lui mentre usciva. Nella foga di quest’amplesso lei cercò con le mani qualcosa cui aggrapparsi, qualcosa da stringere forte per scaricare la tensione del piacere in continua evoluzione. Prese un lembo dell’asciugamano in una mano e con l’altra afferrò qualcosa di solido, come una pietra che aveva trovato tra le pieghe del tessuto, strinse con forza mentre il piacere la stava guidando verso una serie di ritmiche contrazioni del ventre in contro tempo alle spinte. Ora aveva la netta percezione del membro che si muoveva in lei, prima a causa della forte eccitazione che l’aveva dilatata come mai le era capitato sentiva poco: era più il corpo dell’uomo sopra di lei a stimolarla che la parte di esso che si muoveva al suo interno. Ora il piacere saliva inarrestabile, non riusciva più a controllare razionalmente il corpo e lasciò spazio all’istinto. Fu la mossa giusta, ben presto sentì nascere un orgasmo di preoccupante intensità, fu invasa dal piacere e per un lungo istante non esistette altro che quello. Godeva ed era continuamente stimolata a godere dalle regolari penetrazione dell’uomo che ora erano molto più intense e perfettamente a tempo con lei. Credette di perdere la ragione quando il cervello si lamentò per il troppo piacere dolendo, sentiva le vene sulla fronte in procinto d’esplodere, poi tutto terminò. Mentre coglieva gli ultimi spasmi di piacere sentiva il corpo maschile sopra di lei tendersi, nello stesso tempo le sue spinte divennero più controllate ma ugualmente intense. Elena capì che anche per lui era arrivato il momento di esplodere e si aprì oscenamente offrendogli il suo corpo senza reticenze. Lui si muoveva sempre più lento come se tentasse di ritardare l’orgasmo per coglierne ogni minimo dettaglio, poi spinse il membro completamente dentro di lei e rantolò mentre iniziava ad eiaculare il suo seme in quel ventre che gli era stato offerto.

Elena provò un rinnovato piacere stimolata da quelle pulsioni. Un piacere non più distorto dall’eccitazione ma più razionale se così possiamo dire. Mentre il suo corpo registrava gli stimoli, e ne godeva, inviava al cervello la notizia che un uomo la stava inseminando. Elena si ricordò solo in quel momento di aver interrotto la sua profilassi anticoncezionale da pochi giorni, preoccupata aprì gli occhi per vedere chi aveva sopra, curiosamente non ricordava come tutto era iniziato. Quando comprese che l’uomo era suo fratello si sentì mancare. Mascherò bene il suo stato d’animo mentre lui si sollevava da lei per stendersi esausto al suo fianco, poi cercò di ricordare cosa era successo.

Ricordò delle occhiate maliziose scambiate con lui, i giochi nell’acqua e le carezze sulla spiaggia. Non riusciva a sentirsi in colpa per quello che avevano appena fatto, anzi era eccitazione quella che provava in quel momento. Allungò una mano sul petto del fratello per accarezzarlo, in quel momento si accorse che stringeva qualcosa nel palmo: era il ciondolo regalatole da lui. Sorrise e se lo infilò intorno al collo poi cercò il fratello.

Quando si risvegliarono per i morsi della fame era tardo pomeriggio, per loro fortuna quell’angolo della caletta era stato raggiunto dall’ombra del promontorio salvandoli in questo modo da un’insolazione. Elena si alzò per prima stropicciandosi gli occhi, quindi scosse il fratello per riportarlo alla realtà. Quando finalmente riprese conoscenza si drizzo appoggiandosi ad un gomito e guardò la sorella seduta sulle ginocchia ancora completamente nuda, senza dire nulla allungò una mano verso le cosce di lei e l’accarezzò. Elena accettò di buon grado quelle coccole poi disse:

– Lo sai cosa abbiamo fatto, vero?

– Parli del sesso tra noi?

– Sì.

– Ho sempre sognato una donna che si muovesse come te, eccitante come te e con un corpo magnifico come il tuo ‘ disse lui tutto d’un fiato.

– Ma siamo fratello e sorella ‘ non si può ‘ &egrave un incesto questo ‘ affermò lei per nulla convinta

– Sì, e non trovi che renda la cosa molto più eccitante? ‘ rispose lui mentre appoggiava la testa tra le sue gambe

Elena non rispose subito, si perse nei suoi pensieri mentre gli coccolava i capelli. Poi disse:

– Ho sempre sognato pure io un uomo con le tue mani, un uomo che mi amasse incondizionatamente e che sapesse darmi le sensazioni che tu mi hai dato questo pomeriggio. Ero certa del tuo amore, mi ami come sangue del tuo sangue, sono parte di te come tu lo sei di me e nessun altro uomo potrà mai amarmi come mio fratello.

Questo lo sapevo, però oggi ho scoperto che sarà improbabile che troverò mai un altro uomo che mi saprà toccare come te, che mi farà godere come te.

– Non &egrave una perversione la nostra se insieme la desideriamo ‘ la assicurò lui ‘ Se il resto del mondo ritiene che tra di noi non ci debba essere sesso oltre l’amore non importa, noi dimostriamo il nostro amore che ci lega con il sesso, donandoci piacere a vicenda.

– All’inizio, o meglio, subito dopo il rapporto ho compreso cosa era successo e, ti confesso, che mi sono sentita male. Ora penso che non posso rinunciare a questo. Ci ho pensato a lungo mentre ancora dormivi.

Ho paura!

– Di cosa sorellina?

– Di cosa potrà pensare la gente, la mamma se mai lo verrà a sapere’.

– Non diremo nulla, questo &egrave ovvio.

Però non smetteremo di giocare tra di noi!

– Per nulla al mondo! ‘ affermò lei

Lui si alzò ed abbracciò la sorella, la tenne stretta sin quando non la sentì lamentarsi quindi la baciò sulle labbra.

Con calma si rivestirono per tornare nella loro casa. Durante il viaggio in barca, Elena, stava seduta a prua in solitudine. Guardava il mare e si chiedeva dove mai l’avrebbe portata la strada che aveva appena iniziato a percorrere con suo fratello.

Lei aveva il brutto vizio di pensare troppo, sapeva inventarsi tutta una serie di futuri possibili pur avendo pochissimi dati da analizzare. In quel momento pensava che se mai avesse desiderato una famiglia, dei figli, una vita all’apparenza normale di certo l’uomo al suo fianco non poteva essere suo fratello. L’idea di generare tra di loro era fuori discussione. La stessa cosa valeva per lui.

Elena sapeva che doveva trovare un uomo con cui crearsi una vita rientrante negli schemi della normalità. Quest’uomo, questa famiglia che desiderava, doveva però non incidere sul rapporto del tutto particolare che aveva con suo fratello. Dove trovare un uomo simile era un problema che ora non si poneva, ma iniziava a programmare tutta una serie di piani per riuscire nel suo intento.

Ogni tanto lanciava uno sguardo verso il fratello impegnato al timone e lui la ricambiava con un sorriso a volte tenero altre d’intesa. Chissà cosa pensava lui in quel momento si chiedeva Elena. Di certo l’evento lo aveva sconvolto più di quanto lasciasse intendere, non era tipo da dimostrare facilmente i suoi sentimenti. Però più lo guardava più si sentiva attratta da lui, sentiva che non sarebbe stata in grado di negargli nulla. Forse la soluzione ai suoi problemi stava proprio in lui, da sempre l’aveva aiutata a risolvere i guai.

Sì. Ne era certa; lui avrebbe trovato la soluzione! Ne avrebbe parlato con lui a cena quella sera stessa, prima di ripetere in un letto l’esperienza del pomeriggio. Aveva tanti bei giochini in mente da realizzare con lui che, se ci pensava, sentiva nuovamente crescere l’eccitazione.

Rivolse al fratello un ultimo sorriso prima di entrare in porto, uno sguardo così carico di sensualità che lui per poco non centrò la banchina con la prua del gozzo. Elena accettò volentieri i suoi rimproveri, intanto rideva dentro di se sapendo cosa sarebbe successo quella stessa notte. La solita via non presentò problemi. Elena scese sul membro di Carlo inghiottendolo con il ventre, poi si lasciò cadere all’indietro, contro di lui, ed iniziò a muoversi. In breve raggiunse un secondo orgasmo, forse per merito della forte eccitazione questa volta urlò nell’apice del piacere. Continuò a muoversi sin quando si sentì sollevare dalle forti braccia del suo ragazzo, fece appena in tempo a lasciar uscire il membro che ricevette un fiotto di sperma sul bacino. Più velocemente che riuscì portò il viso sul pene e inghiotti gli ultimi getti per restare a stuzzicare con le labbra morbide quel pezzo di carne che l’aveva fatta godere due volte in pochi minuti.
Dopo questa esplosione di sensi mitigarono la fame con una cena veloce e dedicarono il resto della serata alle coccole reciproche sin che Elena non disse di avere molto sonno e spedì Carlo a casa sua. Appena salutato il ragazzo sulla soglia lei controllò l’orologio e corse al computer, attivò la connessione alla rete e lanciò il programma di messaggeria in diretta. Selezionò il nome del fratello e gli lanciò un messaggio: “Ci sono!”. Poi si mise in attesa dedicandosi al controllo della posta.
Pochi istanti dopo arrivo il segnale che aspettava.

“Eccomi qua! ‘ puntualissima vedo!”, lampeggiò la finestra di suo fratello.
” Già, non vedevo l’ora di sentirti.. emm .. di leggerti! Uffa ma quando torni?!”, scrisse lei.
” Meno di una settimana, lo sai! Non me lo chiedere tutte le volte o mi fai star male’ non sto bene lontano da te”, apparì sul monitor di Elena.
Si scambiarono i soliti convenevoli, le classiche frasi malinconiche e velate allusioni sin che:
” Allora che hai fatto con il mio amico questa sera?” domandò lui.
“Ti ricordo che il tuo amico &egrave anche il mio ragazzo’ comunque’ scintille! Abbiamo fatto scintille!”
” Racconta”, la esortò lui.
” No, meglio’ ti faccio vedere!”
“Cosa? Hai attivato la web-cam? E’ lui lo sapeva?”, scrisse velocemente lui
“No, non lo sapeva. Ho impostato uno scatto ogni 20 secondi ed ho spento il monitor’ ho il disco pieno d’immagini, ma non le ho ancora viste”
“Vediamole!” scrisse lui.

Iniziarono in questo modo un gioco perverso dove lei inviava al fratello le immagini sfocate che la vedevano protagonista per commentarle insieme a lui. Elena soddisfaceva ogni singola richiesta di particolari e si dilungava nella descrizione delle proprie sensazioni. Si eccitava nel ricordare il suo amplesso e notava dai termini usati dal fratello la sua eccitazione, le piaceva quel gioco. Arrivata alle sequenze finali il fratello le domandò spiegazioni della sua innaturale posizione, allora lei confessò il falliti tentativo di farsi penetrare analmente.
“Non immaginavo che ti piacesse prenderlo lì!”, scrisse lui.
“Non lo so ancora se mi piace e quanto’ non ci siamo riusciti!”
“Pazienta ancora qualche giorno che poi ti apro io!”
Elena ebbe un mancamento non appena lesse le parole del fratello, ringraziò il fato che la loro non fosse una comunicazione telefonica altrimenti con il suono della sua voce il potere di quelle parole le avrebbe fatto perdere il controllo.
Continuarono su questo tono sino a tarda ora, sin che non furono analizzate più volte tutte le immagini in modo che anche lui, all’altro capo della linea, divenne partecipe e complice del piacere della sorella.
Il mattino seguente, Elena, si svegliò con un indefinibile affanno indosso; provata dalla lunga chat con il fratello si rigirò su se stessa per pisolare ancora un po’ sull’altro fianco, ma qualcosa la disturbava e le impediva di riaddormentarsi. Con la mente offuscata cercò, invano, di far luce sul disagio che sentiva. Percorse gli aspetti più intimi del suo animo, quelli che sfidava solo quando non era totalmente cosciente di se, alla ricerca di una spiegazione. Pensò che il turbamento fosse l’inevitabile frutto del suo lungo dialogo con il fratello e del tema trattato in quella discussione; poi analizzò il rapporto con Carlo, nei dettagli di un amplesso riuscito per metà. Il libro letto la notte precedente le aveva lasciato tanti di quei dubbi da toglierle il sonno per oltre un mese, ma dopo tutto non si era addentrata tanto nella lettura da iniziare a comprenderne il reale significato. Poi ricordò!

– &egrave lunedì! – pronunciò ad alta voce mentre si rizzava a sedere sul letto – Oggi &egrave lunedì! – sottolineò – Alle nove in facoltà!

Elena saltò giù dal letto, incurante del lieve mancamento dovuto all’abbassamento della pressione sanguinea tipico della sua ovulazione, e corse in bagno aprendo subito il rubinetto della doccia. Come s’infilò sotto l’acqua cacciò un urlo di puro terrore, nella fretta non aveva controllato la temperatura. Qualcuno, prima di uscire dalla sua casa, aveva manomesso la regolazione della doccia portandola al minimo. Era un idea di Carlo, sempre alla ricerca di un modo per farsi ricordare, per lasciare un segno indelebile nella sua mente. Questa volta il segno lo lasciarono i lunghi improperi lanciati nella sua direzione. Sopravvissuta al trauma iniziale riprese a lavarsi, non aveva guardato l’ora ma sentiva d’essere al limite. S’insaponò stando bene attenta a non bagnare i capelli, nella fretta aveva pure scordato d’indossare la cuffia, quindi non notò subito lo stato di turgore dei capezzoli. Solo dopo ripetuti passaggi sul seno percepì qualcosa di duro sul palmo della mano, subito si guardò l’arto, convinta di trovarvi un pezzo di sapone, poi il suo sguardo si focalizzò sul seno e sui capezzoli. Sul momento ritenne il contatto con l’acqua gelida l’artefice di tale erezione e non si curò di loro sin che, una volta asciugata, non tentò di vestirsi.
I capezzoli non accennavano a scendere, restavano turgidi tanto da crearle non pochi problemi sulla scelta dei capi da indossare. Qualunque maglia o camicia provasse restava segnata dai due puntini che sporgevano in un modo imbarazzante. Non poteva uscire in quello stato ma non intendeva neppure indossare un reggiseno imbottito in una giornata così calda come quella che si prospettava. Si disse che sicuramente non poteva restare in quello stato a lungo senza motivo, senza una fonte di stimoli erotici o termici; inviò un’ulteriore maledizione a Carlo mentre pensava quest’ultima parola.
Indossò, quindi, gli abiti che aveva previsto. Dinanzi allo specchio ammirò ancora una volta i capezzoli così evidenti poi prese il ciondolo dal comodino, lo indossò, ed uscì per strada. Solo in quel momento si concesse di controllare l’orologio, prima non aveva senso preoccuparsi per un eventuale ritardo tanto non portava porvi rimedio, con stupore apprese che non era poi così tardi: c’era ancora il tempo di bere un caff&egrave nel bar sotto casa.
Elena entrò nel locale decisa e si diresse nel suo solito angolo; il ragazzo al bancone non le domandò cosa desiderava, la conosceva da tempo e le preparò subito un caff&egrave come amava lei. Quando glie lo porse l’ammirò per un attimo poi si arrischiò a salutarla.

– Buon giorno Elena! Come va questa mattina?
– Uh! Bene credo. Pensavo di essere in pauroso ritardo ma poi mi sono accorta di non esserlo!
– Hai passato troppo tempo davanti allo specchio per farti più bella di quanto non lo sei già? – la schernì lui
– Specchio? – Elena posò la tazzina bollente – No, sono uscita subito così com’ero’ non avevo guardato l’orologio sicura che fosse troppo tardi!
– Allora sei innamorata! &egrave tipico delle ragazze innamorate perdere la nozione del tempo! – quindi, dopo questa citazione filosofica, aggiunse – Strano, però! Oggi sei più bella del solito ‘!

Elena stava bevendo l’ultimo sorso quando si rese conto di dove collimava lo sguardo del ragazzo, in quel momento percepì chiaramente i suoi capezzoli premere sul tessuto. Posò velocemente la tazzina, ringraziando il giovane, poi pagò alla cassa ed uscì dal locale. Era turbata dal suo stato, non amava mettersi in mostra in quel modo, non le piaceva il messaggio lanciato dai suoi capezzoli eretti. Non erano i segnali emanati da una gonna più corta del normale, dai calzoni aderenti o da un’audace scollatura, questi dei capezzoli stavano ad indicare un qualcosa di troppo intimo per poterlo diffondere a tutti coloro che avrebbe incontrato. Mentre camminava premette una mano sul seno nel tentativo di dominare quella strana erezione, un movimento apparentemente casuale, come se intendesse sistemare il reggiseno, che portò la sua mano a contatto con il ciondolo. Il calore che ricevette da quel pezzo di pietra fu tale da procurarle una fitta al basso ventre, un segnale d’imminente eccitazione sessuale.
Elena si fermò per un istante a valutare cosa sentiva, non le pareva possibile di eccitarsi mentre camminava per la strada lontana da tutti e due gli uomini della sua vita. Il seno non accennava a mettere giudizio, in più ora provava quel doloroso senso di vuoto nel ventre che le faceva perdere la ragione pur di colmarlo.
Passò una mattinata d’inferno, sempre tesa a controllare come esponeva il seno o al modo in cui si muoveva o guardava gli altri. Le sue amiche le domandarono più volte cosa le era successo per essere così sensuale, la studiavano ammirate o invidiose a seconda del grado d’amicizia che le univa. Quando, finalmente, rientrò in casa sul fare del mezzogiorno per prima cosa si spogliò per indossare un vestito più comodo e largo sul seno. Aveva intenzione di nasconderlo per non pensare più ai suoi capezzoli perennemente eretti.
Scrisse una mail al fratello dove raccontava quella giornata nei dettagli domandandogli un aiuto. Poche ore più tardi trovo la sua laconica risposta: “Ok! Rientro domani sera. Volo numero ‘”
Tutto lì!
Elena era sconvolta e leggermente adirata con il fratello. Lei gli aveva chiesto aiuto per una situazione che la stava sconvolgendo anche per causa sua, e lui si limitava ad annunciare il suo rientro?
Era furente, stava per scrivergli un’altra mail di fuoco quando notò il segno rosso sul calendario: suo fratello sarebbe dovuto rientrare la settimana successiva. Aveva anticipato il rientro per starle vicino, aveva senza dubbio incontrato dei problemi per farlo; ora sentiva di amarlo come non mai.

Finalmente l’aereo atterrò, era in perfetto orario ma per Elena in attesa da oltre un ora pareva non dovesse giungere mai. Si era recata in aeroporto con un certo anticipo spinta dal desiderio di rivedere suo fratello, ora seguiva con trepidante interesse le operazioni di sbarco. Quando lui uscì dal controllo doganale lei gli saltò letteralmente addosso, lo abbracciò avvinghiandolo anche con le gambe.

– Calma’ calma sorellina! Ricorda che nessuno deve pensare che tra di noi ci sia qualcosa di più dell’amore fraterno! – disse lui sorridendo mentre le stringeva le natiche con forza.
– E chi se ne frega! Qui nessuno ci conosce’ baciami!

Si salutarono con calore, quindi si avviarono verso casa. Nel tragitto Elena raccontò cosa le era successo il giorno prima, confidò il suo turbamento e narrò di come dovette masturbarsi sino all’orgasmo per smontare l’erezione continua dei suoi capezzoli.

– Pensavo a te in quel momento! Ti visualizzavo al posto di Carlo i quelle foto che ti ho fatto vedere e ti sentivo scivolare nelle mie viscere, entrare in me e strapparmi urli di piacere ‘ ti sentivo fino qui! – Disse lei indicando, alla fine, un punto sul suo corpo ben al di sopra l’ombelico.
– Davvero?! – domandò lui senza riuscire a nascondere l’emozione.
– Sì, ti prendevo come non ho mai preso nessuno e godevo come una pazza! – annunciò sorridente Elena.
– No, intendevo .. davvero fino lì? – chiese indicando il punto in questione sul suo corpo
– Sì, fino qui!
– Allora dovrò montare una prolunga, non credo di arrivare così tanto dentro di te!
– Non importa dove arrivi, basta che entri. Son settimane che ti sogno in continuazione. Sei diventato una presenza costante nella mia mente; giorno e notte. Di giorno ti penso, ti desidero, ti voglio; di notte ti sogno e mi risveglio eccitata ‘ chissà come ti sogno?
– Posso immaginarlo: all’incirca come io sogno te.
– Allora andiamo a casa e anche se sei stanco per il viaggio voglio subito consumare il nostro incesto, intendo unirmi a te e formare il cerchio, voglio essere la tua luna!
– Ed io il tuo sole!
Vedo che hai letto quel Libro!
– L’ho solamente iniziato, ma non ho le basi per comprenderlo sino in fondo’ ho bisogno di un maestro
– Sfortunatamente non posso essere io il tuo maestro avendo appena iniziato a comprendere qualche parola. – Si giustificò lui
– Però puoi dirmi cos’&egrave sto cavolo di drago allora! Quello che io e te dobbiamo uccidere insieme secondo quanto dice il Libro. – insistette lei.
– Guarda al drago come alle tue paure’ questa &egrave solo una delle interpretazioni, ma &egrave quella che interessa a noi.
– A noi? – domandò lei
– A noi! A noi che viviamo nell’aria! – aggiunse lui
– Giusto, a noi che viviamo nell’aria!

Elena non comprese del tutto le farsi ermetiche del fratello, ma non le importava più di tanto. Aveva iniziato a leggere quel libro più che altro per fare un piacere a lui. Non era affatto interessata agli argomenti trattati, ammetteva un certo qual interesse verso quelle teorie ma sentiva un’attrazione più intensa verso un’altra forma di conoscenza occulta. Non sapeva spiegare questo sentimento, ricordava solamente d’essere stata fortemente attratta dalla vetrina di una libreria del centro città, fu tentata di entrare ed acquistare un volume che, semi nascosto, attirò i suoi occhi. Ricordava il titolo: “Picatrix. Ghàyat al-hakim, il fine del saggio”. Forse quel testo era legato a quanto le aveva riferito Carlo sulla discussione con il suo amico medievalista, forse in quel libro c’era la spiegazione ai simboli tracciati sulla pietra che sempre portava al collo. Si ripromise di tornare in quella libreria ed acquistare il libro il prima possibile.

– Ho bisogno di una doccia! – annunciò lui appena varcata la soglia di casa – Mi dai il tempo di farla?
– Mmm sì! Fai pure ma sbrigati!

Elena lanciò uno sguardo d’intesa al fratello, poi si dedicò alle sue valige iniziando a sistemare gli abiti puliti nell’armadio. Mentre li riponeva al loro posto ne aspirava golosamente il profumo, riempiendosi le narici di quell’odore che da sempre le ricordava lui. Quando trovò, conficcata in una sacca laterale, la biancheria usata la raccolse e senza pensare la portò nel bagno per buttarla nella cesta della “roba” da lavare. Entrò decisa senza più pensare che lui era sotto la doccia, le lunge settimane trascorse da sola in quella casa le avevano fatto dimenticare le solite procedure, quando lo vide nudo e mezzo coperto dal sapone rimase fissa ad osservarlo.

– Cos’&egrave? Pare che tu non abbia mai visto un uomo nudo! – la punzecchiò lui
– No, ne ho visti eccome! Solo che non ne ho mai visti farsi la doccia con quell’affare enorme completamente eretto! Specie se la doccia se la stanno facendo da soli! – Disse lei con un tono di voce sarcastico, poi aggiunse – Cosa stavi facendo? Non &egrave che ti stavi ‘.!!
– Stavo pensando a te e a tutto quello che vorrei farti!
– Davvero? – sospirò lei
– Giuro! – confermò lui.

Elena si avvicinò alla vasca, che fungeva anche da doccia, per ammirare meglio il corpo di suo fratello, poi allungo titubante una mano verso il membro e lo ghermì. Lo prese da sotto, nei pressi dei testicoli, poi lo trasse a se per costringere il fratello ad avvicinarsi alle sue labbra. Lo baciò con tutta la passione che aveva messo da parte durante la sua assenza e, nel frattempo, lo masturbava agitando la mano. Quando lo sentì crescere tanto indurirsi al massimo, lentamente scivolò sulle ginocchia e lo prese tra le labbra. Succhio con la stessa passione del bacio, intendeva aspirarne tutto il seme che teneva dentro, lo voleva sentire in gola, sul palato, colare dalle labbra; e desiderava sentire suo fratello fremere dal piacere. Avrebbe coronato il suo sogno se lui non le fosse sfuggito all’improvviso. Stava per protestare quando lui disse:

– Lavami!

Elena si mise in piedi per spogliarsi. Velocemente la camicetta e la gonna volarono sul cesto della biancheria seguite immediatamente dagli slip e dal reggiseno, quindi entrò con lui nella vasca. Si lasciò bagnare dal flusso d’acqua controllato dalle mani del fratello e regolato alla perfetta temperatura. Ebbe un fremito quando le divaricò le natiche per dirigere il getto lì in mezzo. Accortosi della sua reazione lui disse:

– Laviamo bene tutto! Non sei d’accordo?

Elena non rispose ma si abbandonò appoggiando la schiena contro il corpo del fratello per apprezzare al meglio quelle grandi mani che le distribuivano il sapone addosso. Si godette le carezze confortata dalla pressione del membro che sentiva chiaramente appoggiato al sedere.
Sin dal risveglio si era trovata sessualmente eccitata, il solo pensiero di incontrare nuovamente suo fratello riportava in vita la passione trattenuta così a lungo. Era entrata in bagno senza secondi fini, nella sua mente la serata era già stabilita nei dettagli: dopo la doccia coccole, poi cena leggera ma sfiziosa e quindi letto! Invece si trovava gia tra le sue braccia, pelle contro pelle, eccitata e pronta ad unirsi a lui. La ragione le diceva di fuggire da quell’abbraccio poiché, rispettando il programma, avrebbe goduto di più della sua presenza; l’istinto la fece ruotare per affrontare le labbra del fratello.
Lo baciò usando solo la lingua, disegnò il contorno delle labbra del fratello poi la spinse nella sua bocca, indugiò a lungo prima di incontrare la sua poi si premette totalmente contro di lui. Voleva sentire ogni centimetro di quella pelle contro la propria, intendeva prendersi ciò che aveva sognato durante la sua assenza. Elena colse il membro durissimo puntarle sul bacino, le piaceva quel contatto e spinse in avanti tutto quello che poteva per massaggiarlo con la pelle, si muoveva sinuosa conscia dell’effetto che aveva su di lui. Ascoltava i dettagli di quella pressione, ne valutava i punti di contatto, immaginando di averlo dentro invece che contro la pelle. Non resisteva più al desiderio, alzò una gamba per appoggiarla sul bordo della vasca e spinse il pube in avanti strofinandolo contro il pene. Suo fratello si abbassò quel tanto sufficiente ad indirizzare correttamente il membro e se lo guidò con una mano. Come Elena lo sentì puntare e quasi entrare scese su di lui. Gemette mentre la penetrava non tanto per il piacere quanto per la soddisfazione di una lunga attesa. Tentarono in tutti i modi di portarsi l’uno contro l’altro in modo da ottenere una penetrazione profonda ma la posizione non era certo delle migliori. Si mossero sfogando tutto ciò che era stato represso nelle ultime settimana, arrivarono sul limite dell’orgasmo ma nessuno dei due si lasciava andare. Elena voleva di più e, improvvisamente, si sollevò tanto da lasciarlo uscire dal ventre. Quindi lanciò uno sguardo quasi allucinato al fratello e gli voltò le spalle. Scese sulle ginocchia e si piegò in avanti esponendo il sedere. Dentro la vasca non poteva aprire più di tanto le gambe, ma l’urgenza di riprenderlo subito dentro di sé detto le sue scelte. Attese che il fratello si sistemasse dietro di lei poi gli disse:

– Sai già dove prendermi, vero?
– Ti faccio male così, non puoi aprirti!
– Prova, ti prego!

La voce di Elena era tanto roca dall’emozione e così eccitata che non le si poteva resistere; lui si sistemò come poteva e divaricò le natiche della sorella.

– Spingi anche tu – disse rivolto a lei
– Come?
– Come se dovessi far uscire qualcosa, dai che hai capito!
– Provo!

L’ano lentamente si dilatava e lui, dopo averlo stuzzicato con il dito, lo spinse dentro. Elena gemette mentre il dito entrava, tentava in tutti i modi di adattarsi a quella presenza per riuscire a prendere, subito dopo, il membro del fratello. Si lasciò esplorare sin che i suoi gemiti indicarono al fratello che era quasi pronta. Lui puntò il pene sull’ano, doveva assumere una posizione scomoda ma non voleva correre il rischio di rovinare l’atmosfera chiedendo ad Elena di spostarsi sul pavimento o raggiungere il letto. Appena spinse con tutta la dolcezza possibile, lei si aprì in un modo sconvolgente, tanto che riuscì a scivolarle dentro per buona metà della lunghezza. In quell’istante lei sollevò la testa e cacciò un urlo liberatorio tanto intenso da bloccarlo. Non era un urlo di dolore ma di piacere quello di lei, Elena incitò il fratello a muoversi spingendo il sedere verso di lui.

– Toccati tu, io non ci riesco da questa posizione! – la consigliò

Elena fece scorrere una mano da sotto sino al clitoride, come si sfiorò iniziò a godere tanto da impedirle di sincronizzare il dito con la penetrazione.
Sentiva una forma di dolore, molto blanda nonostante fosse la prima volta che affrontava quel tipo di rapporto, ma questo bruciore non riusciva a prevalere sul piacere. Lo stimolo era forte, più intenso di quanto non avesse mai provato e travolgente tanto da farle perdere la ragione. Ebbe un orgasmo feroce, brutale nella sua intensità e del tutto inatteso. Non si rese conto di godere sin quando non esplose in tutto il suo corpo. Lui la seguì sino al termine muovendosi piano dentro di lei, assumendo di volta in volta l’angolazione migliore per penetrarla senza farle male, solo quando la sentì rilassare i muscoli si concesse di venire e le riempì le viscere. Elena non credeva di percepire così chiaramente il piacere del fratello anche lì, sentiva le sue pulsioni e le pareva di cogliere anche il seme che si spandeva in lei.
Quando si disunirono lui si sedette sul bordo della vasca e l’aiutò ad alzarsi.

– Stai bene? – domandò preoccupato dall’espressione del suo viso
– Sì, credo di si!
Ho solo una strana sensazione’ come di dover andare in bagno ‘ scusa non connetto ancora bene!
– Stai tranquilla, &egrave normale! Ti ho iniettato tutto il mio seme dentro e può avere di questi effetti. Mi chiedo solo se ti ho fatto male! Non ti lamentavi ma ‘ ecco &egrave la prima volta!
– No! Stai tranquillo’ sono ancora scossa da quanto ho goduto ma va tutto bene! – disse lei stendendosi nella vasca.

Appena appoggiò il sedere sul piano della vasca, Elena, scatto in piedi, poi disse al fratello.

– Temo che dovrò restare in piedi per un po’. Ma dimmi ‘ lo abbiamo ucciso il nostro drago?
– Non ancora, o almeno non del tutto.
Vieni qua!

Lui la prese per i fianchi e la fece sedere sulle ginocchia stando bene attento a mantenerla con la parte dolorante sospesa, poi prese ad accarezzarle la schiena dolcemente. Dopo un tempo che non aveva alcun significato per nessuno dei due ripresero la doccia interrotta.
Elena era curiosa ed interrogò per tutta la durata della cena il fratello sul significato delle illustrazioni e delle frasi ermetiche di quel libro. Lui rispondeva vago, senza mai scendere nei dettagli che lei ambiva conoscere; le disse solo che il cammino lo avevano iniziato al meglio, ora si trattava solo di percorrerlo con determinazione.
Elena si svegliò in un letto disordinato; le lenzuola giacevano ai suoi piedi ed i cuscini parevano dispersi nel caos. Rotolò su di un fianco sino al posto occupato nella notte da suo fratello e lo trovò ancora tiepido. Realizzò in quel momento che era giunta l’ora di alzarsi.

Con gli occhi semi chiusi si mise a sedere stiracchiandosi languidamente, poi si sforzò di mettere a fuoco la sedia dove ricordava di aver lasciato i vestiti. Lo sforzo si rivelò del tutto inutile, i suo abiti non erano più lì. Evidentemente suo fratello aveva fatto un po’ di ordine nella stanza appena sveglio, forse per rendere meno evidenti ai suoi occhi le prove di ciò che era accaduto durante la notte o forse per il suo innato senso dell’ordine. Elena propense per quest’ultima possibilità, il suo fratellone non era mai apparso pentito di tutto il sesso che avevano fatto insieme, sorrise a questo pensiero e cercò qualcosa da indossare per recarsi in cucina da dove sentiva arrivare un delizioso profumo di caff&egrave. Dopo una breve ricerca nei cassetti optò per un pareo che avvolse in vita senza preoccuparsi di coprire il seno, anzi voleva presentarsi a lui di primo mattino più seducente che mai.

Uscì dalla camera inciampando sulle sue stesse scarpe.

‘Queste non ha messe a posto, però!’ pensò mentre apriva la porta del bagno. Si lavò la faccia e fece quello che doveva fare, poi finalmente seguì il profumo di caff&egrave.

Suo fratello era di spalle, impegnato a spalmare marmellata sul pane e non la vide sin che non ricevette il suo saluto. Si voltò e rimase a bocca aperta con uno sguardo idiota sul viso.

– Miao? ‘ disse lei a mo’ di domanda

– Sei’ uno spettacolo!

– Grazie, se me lo dici al mattino vuol dire che ti piaccio proprio! ‘ disse Elena sedendosi al tavolo.

– Ma’ intendi fare colazione così? ‘ domandò lui con aria stupita.

– Certo! Cosa c’&egrave che no va?

– Il ‘ il seno!

Mi mandi fuori di testa se già al mattino me lo piazzi così davanti agli occhi!

– Mmm ‘ questa notte non pareva che ti facesse perdere il controllo quando ero sopra di te e lo facevo danzare da quanto ti cavalcavo! ‘ disse lei con un aria talmente maliziosa che lui quasi lasciò cadere il piatto che teneva in mano.

– Iniziamo bene la giornata!

Non sai quanto ho sognato una ragazza così!

– Me lo dimostri ogni volta che facciamo l’amore! ‘ terminò lei con un sorriso, quindi dedicò tutta la sua attenzione alla tazza di caff&egrave.

Mentre addentava la prima fetta di pane tostato squillò il telefono del fratello.

– Sarà mamma? ‘ chiese lei

Lui non le rispose e prese in mano il cellulare. Dal tono di voce e dalle prime frasi Elena intuì che non era loro madre quindi si disinteressò e tornò alla sua colazione. Ogni tanto lanciava un occhiata al fratello che continuava a parlare fuori sul terrazzo, iniziava a chiedersi chi fosse a chiamarlo ed a trattenerlo cosi tanto al telefono, stava per alzarsi e raggiungerlo ma lui l’anticipò

– Era Carlo, sai quel mio compagno di corso?

Ha detto che si trova in zona, così gli ho chiesto se voleva passare il pomeriggio con noi!

– Uffa ‘. Volevo tornare alla nostra caletta! ‘ grugnì Elena

– Dai, solo un pomeriggio ‘ un po’ di riposo ci farà bene! ‘ la schernì lui ‘ Poi ‘ non dimenticare che lui ha un debole per te!

– Per me?!

Scherzi? &egrave un così bel ragazzo che ‘. ‘ Elena lasciò la frase in sospeso per valutare le reazioni di gelosia del fratello.

– Che? ‘ domandò lui

– Che me lo farei senza pensarci due volte! ‘ Affermò con aria di sfida

– Dici sul serio?

– Certo!

O meglio, sto pensando sul serio!

Vedi, dobbiamo trovare il modo di mascherare il nostro magnifico rapporto incestuoso. La cosa migliore &egrave quella di crearci delle storie plausibili con partner che non si preoccupino molto del tempo che passiamo insieme’

– Le stesse conclusioni a cui sono giunto io!- disse interrompendola lui.

Rimasero in silenzio per un lungo istante dove ognuno guardava in un angolo diverso della cucina poi lui disse:

– Dovrò trovarne una pure io, allora!

– Già!

– Non mi piace l’idea di stare con una altra ragazza quando voglio solo te!

Elena lo guardò con gli occhi lucidi, quell’affermazione di suo fratello l’aveva emozionata tanto da non riuscire più a parlare. Guardava il viso che aveva visto trasformarsi da quello di un bambino a quello di un uomo e sentiva di amarlo. In quel momento gli appariva tenero, dolce ed indifeso come mai lo aveva visto e provò un fortissimo slancio verso di lui. Seguì l’istinto e si buttò tra le sue braccia. Mentre si lasciava stringere da quelle braccia forti disse:

– Nemmeno a me piace, però dobbiamo pensare che tra noi potrà esserci amore, desiderio, passione’ ma sempre clandestini. Siamo fratelli e quello che proviamo, che sentiamo l’uno per l’altra, non &egrave lecito; almeno in questa società civile. Quindi dobbiamo sforzarci di mettere su una facciata di normalità, di apparire normalmente accoppiati per poter dare sfogo alla nostra perversione.

– Sì, ma non &egrave facile! Come posso fare l’amore con la mia compagna quando penso a te, come faccio a dirle che l’amo se amo te?

– Lo stesso vale anche per me, mi trovo nella tua stessa situazione! ‘ disse Elena

– Forse per te sarà più facile!- affermò lui enigmatico.

– Cosa intendi dire?

– Non lo so ancora, &egrave solo una sensazione’ non parliamone ora!

Mentre pronunciava queste ultime parole lui passò delicatamente una mano sulla schiena di Elena, lasciandola scorrere dalla nuca sino ai glutei appena coperti dal pareo. Elena sospirò e spinse in avanti il busto arcuando la schiena mentre lasciava cadere la testa all’indietro.

– Sei bellissima!

– Dimmelo ancora! ‘ lo incitò lei.

– Sei bellissima e così eccitante che’.

Non terminò la frase. Prese la vita di Elena e se la tirò appresso verso una delle sedie. Dopo essersi accomodato la trattenne in piedi dinanzi a lui per poterla osservare meglio, teneva le mani sui fianchi e la ruotava in modo che la luce del sole colpisse ora uno, ora l’altro seno. Elena sentiva la passione di suo fratello uscire dagli occhi per espandersi nel suo corpo, la percepiva entrare dalla pelle per scaldarla dentro. Non disse nulla e non si ritrasse quando lui sciolse il nodo del pareo lasciando cadere ai suoi piedi il tessuto, ora era completamente nuda ed offriva spudoratamente il suo corpo allo sguardo del fratello.

Mentre le appoggiava una mano nel mezzo del seno domandò:

– Dove lo hai messo quel ciondolo di pietra che ti ho regalato?

– &egrave di là sul comodino. ‘ rispose lei con la voce che tradiva l’emozione.

Era la voce che voleva sentire lui. L’aveva interpellata con una domanda del tutto insignificante per poter sentire il tono della sua voce, ora sapeva che lei era eccitata. Tolse la mano dal seno e la intrufolò tra le cosce di Elena per tornare a sentire sul palmo il solletico dei suoi morbidissimi peli pubici, poi la costrinse ad aprire le gambe e spinse il viso verso la vulva.

– Aspetta, non mi sono ancora lavata! ‘ protestò lei.

Lui non disse nulla, scosse solo la testa in segno di diniego poi spinse la lingua tra le sue grandi labbra. Mentre lei gemeva lui si gustava il suo sapore non mediato da detergenti intimi. Elena si aprì ancora di più e spinse in avanti il pube in modo da facilitare quella lingua nel suo compito. Ad un certo punto prese tra le mani la nuca del fratello e la trasse forte verso di se, tanto da impedirgli di continuare l’opera. Mentre stentava a controllare il respiro disse:

– Stavi per farmi venire!

– Perché mi hai fermato allora? ‘ le domandò lui ‘ Non hai voglia adesso?

– Non così!

Non aggiunse altro, si chinò verso il fratello per baciarlo. Mentre riconosceva il suo stesso sapore sulle labbra con le mani tentava di liberargli il pene. Lui l’aiutò in quest’opera e presto il membro svettava invitante. Elena raddrizzò la schiena ed aprì le gambe per montargli a cavallo, si posizionò sopra il membro poi scese lenta, lasciò a lui il compito di guidarlo. Come lo sentì puntare ed entrare un poco, si lasciò cadere di peso per sentirsi aprire da lui; in quel momento il suo unico pensiero era rivolto al membro che sentiva spingere dentro di sé. Si assestò per bene sistemando le gambe in modo da non pesare troppo sul fratello e riuscire quindi a muoversi come desiderava, poi prese la sua testa fra le mani e se l’avvicinò al viso per baciarlo. Indugiò a lungo nel bacio, troppo a lungo per l’eccitazione che provava lui, all’improvviso sentì le sue mani afferrarle i glutei con forza per sollevarla. Lo aiutò facendo forza sulle gambe e si lasciò guidare da lui nel suo moto alternato, seguiva le quelle mani eccitandosi per la forza della loro stretta e al contempo godeva del suo membro che le scivolava dentro il ventre. Reclinò la testa verso il soffitto ansimando quando lui iniziò a leccarle e mordicchiarle il seno, sentiva il piacere crescere con un ritmo scostante determinato dall’alternanza degli stimoli fisici e psichici. Quando raggiungeva la piena comprensione di ciò che stava facendo con suo fratello la trasgressione insita nell’incesto la eccitava sino al punto di portarla sull’orlo dell’orgasmo, questo acuiva la sua sensibilità fisica la quale, a sua volta, distraeva la mente riportandola ad un livello inferiore di piacere. Elena era stupita, sentiva il profondo desiderio di soffermarsi ad analizzare questa sensazione ma il membro del fratello che la penetrava con costante regolarità la distraeva e generava in lei il bisogno fisiologico di un orgasmo. Si lasciò guidare dall’istinto e scelse di seguire la via più strettamente fisica del piacere. Concentrò la mente su ciò che avveniva in basso e seguì le sensazioni cercando di dimenticare i pensieri. Ora il piacere cresceva lento e rassicurante nella sua regolarità, si trovava in quello stato precedente all’orgasmo in cui un diffuso senso di benessere s’espandeva in tutto il corpo dopo essere nato nel punto d’unione dei loro genitali.

Elena iniziò a controllare il respiro guidandolo secondo il ritmo del loro atto d’amore, questo espediente le consentiva di migliorare la sua sensibilità e di concentrare la mente sul solo aspetto fisico del rapporto. Tutto pareva funzionare al meglio sin quando una spinta in contro tempo del fratello le fece perdere il ritmo, allora la mente si ritrovò a vagare nel disperato tentativo di riprendere il controllo del corpo e del loro amplesso. Questa distrazione la riportò a valutare la situazione nella sua concreta complessità: non stava semplicemente facendo del sesso, del magnifico sesso, con un ragazzo ma lo faceva con suo fratello. Si vide per quello che era, o che pensava d’essere, una donna che senza alcun rimpianto metteva in atto la trasgressione estrema, che violava il più antico dei tabù: era incestuosa!

Questa consapevolezza riprese il controllo di lei e della sua mente portandola immediatamente all’orgasmo. Elena sentì il piacere esplodere contemporaneamente nella mente e nel ventre, non era il godimento puramente fisico che aveva cercato ma un qualcosa di molto più ampio. La prima ondata di piacere le fece inarcare la schiena e spingere il seno verso il viso del fratello, la seconda le strappò un urlo mentre volgeva il viso verso il soffitto, poi ne seguirono altre ed altre ancora. Con una drammatica regolarità il piacere s’espandeva in tutto il suo corpo facendola sudare ed ansimare per poi lasciarla spossata quando si ritraeva. Elena non aveva mai provato un orgasmo del genere, non era solo molto più intenso del solito ma incredibilmente lungo, pareva volesse non finire mai. Aveva perso ogni contatto con la realtà esisteva solo questo indicibile piacere, suo fratello sotto di lei ed il suo membro dentro il ventre. Tra uno spasmo e l’altro riuscì a pregarlo di godere insieme a lei e dentro di lei. Non aveva idea di come si stesse muovendo ma capì di farlo nel modo giusto quando lo sentì rantolare e spingere in alto il bacino, in quel momento percepì il suo orgasmo e finalmente si rilassò ascoltando il piacere del fratello.

– Secondo te dovrei cercarmi un’altra donna solo per salvare la facciata quando posso averne una come te? ‘ domandò rompendo l’incanto lui

– Sì! ‘ sibilò Elena mentre si chinava per baciarlo

– Non sarà facile!

– Lo so!

Elena si sollevò lentamente dalle sue ginocchia lasciando uscire il membro ormai completamente rilassato del fratello, quindi andò un bagno lasciandolo da solo in cucina senza aggiungere altre parole. Quando finalmente tornò da lui dopo circa un ora era pronta per uscire.

– Vedo che hai messo il medaglione che ti ho portato dalla Francia. Allora ti piace!

– Certo che mi piace, e per due buoni motivi. Primo me lo hai regalato tu e secondo quando lo tocco mi ricorda il modo in cui mi tocchi tu! ‘ disse lei maliziosa poi aggiunse ‘ Alla luce dei fatti attuali non dirmi che non hai pensato subito a me quando hai notato questo enorme fallo che sta inciso qua sopra!

– A dire il vero ho pensato a te quando ho visto la figura femminile così ben proporzionata, poi ho notato il pettine che tiene in mano ed ho subito visualizzato nella mia mente i tuoi magnifici capelli’ morbidi come i peli del tuo pube!

– Che fai? Ci riprovi?

– No’ sono esausto! Comunque si &egrave fatto tardi, Carlo ci starà già aspettando nella piazza del paese. Scendiamo giù!

Uscirono di casa mano nella mano mentre continuavano a stuzzicarsi con delle battute decisamente esplicite sul loro rapporto. Non si curavano della possibilità d’essere visti in quell’atteggiamento, in paese tutti li conoscevano si da piccoli e sapevano quanto fossero legati i due fratelli.

Lui si stava godendo il sole sulla faccia e la mano della sorella stretta alla sua; non ascoltava le sue parole, gli bastava il suono della voce per sentirla vicina. Era in uno stato di piacevolissima estraniazione dal mondo quando lei chiese:

– Devo essere carina con lui?

– Con chi? ‘ domandò lui colto di sorpresa

– Ma con Carlo, no?!

– Ah! Sì. Ma solo se ti va.

Vedi sono convinto che lui sia l’uomo ideale per te, uno che non si pone troppe domande sul nostro rapporto proprio perché ha una mente molto aperta. Lo conosco bene!

– Aperta dici?

Ma quanto aperta? Tanto d’accettare il nostro rapporto incestuoso?

– Penso di si!

– Ho i miei dubbi! ‘ sostenne Elena

– Vedremo! Per ora sii carina con lui, ma solo se ti piace veramente. Non intendo costringerti ad accettare un ragazzo che non ti dice nulla!

– Questo non sarà un problema ‘ disse Elena sorridente ‘ dopo di te nelle mie fantasie c’era spesso questo tuo amico!

– Brutta ‘! ‘ gridò lui mentre le scappava dalle mani.

L’incontro con l’amico seguì il programma prefissato. Carlo si dimostrò più che interessato alle gentili attenzioni di Elena. Dopo poche ore pareva avere occhi solo per lei mentre i due fratelli erano impegnati in un gioco che era noto e comprensibile solo da loro. Se da una parte Elena stuzzicava la supposta gelosia del fratello rendendosi disponibile verso Carlo, il fratello dal canto suo la incitava, per poi pentirsene, quando la notava raffreddarsi nei confronti dell’amico. Tutti e due trovavano molto eccitante questo gioco tanto da non riuscire più a contenerlo nei limiti prefissati che prevedevano semplicemente la seduzione di Carlo.

Si recarono nella loro solita caletta. Elena provò un eccitazione tutta particolare nel stendersi su quella sabbia che l’aveva vista godere delle attenzioni di suo fratello, mentre sistemava l’asciugamano per stendersi riviveva con la memoria i fatti del giorno prima. Quei ricordi e il desiderio che rinnovavano la stavano guidando, senza rendersene conto si stava muovendo in modo estremamente sensuale e provocante. I due ragazzi tentavano di manifestare una normale indifferenza, ognuno per i suoi motivi non voleva dimostrare all’altro quanto desiderasse quella ragazza. Il fratello non intendeva far capire all’amico che tra lui e Elena c’era un rapporto del tutto particolare e Carlo temeva di colpire l’amor fraterno dell’amico se concupiva apertamente la sorella. Un gioco di parti che rischiava di precludere ogni possibile ludico sviluppo se Elena, con assoluta indifferenza, non si fosse tolta il reggiseno del costume.

Gli occhi dei ragazzi si fissarono su di lei per tutto il tempo che impiegò nell’operazione, poi il fratello disse:

– Ma se vuoi abbronzarti integralmente perché non togli anche il ciondolo?

– Mi piace, preferisco tenerlo indosso. Anzi, sai che faccio?

Accorcio il legaccio con un nodo così non mi cade in mezzo al seno!

Elena sottolineò in modo particolare il termine ‘seno’, quindi si mise sulle ginocchia e portò le mani dietro la testa per annodare più stretto intorno al collo il ciondolo. Se questa mossa fosse stata studiata non avrebbe ottenuto lo stesso risultato; le braccia sollevate misero in risalto la vita stretta e mentre le portava dietro la testa gonfiò il seno in modo incredibilmente provocante. Fu l’innocenza insita nel gesto ad esaltarne la sensualità.

Del tutto incurante di ciò che aveva provocato nei due ragazzi Elena tornò a stendersi al sole.

Carlo non riusciva a staccare gli occhi da quel seno che si sollevava lento al ritmo di un respiro rilassato, come ipnotizzato guardava i riflessi del ciondolo infrangersi sui capezzoli. Fu la voce dell’amico a risvegliarlo.

– A cosa pensi? ‘ domandò il fratello

– Cosa?

Sì’ penso che tua sorella finirà per scottarsi la sua pelle così chiara sotto questo sole!

– Mi sa che hai ragione! Devo sempre stare attento a ciò che combina ‘ disse lui con un tono fintamente infastidito, poi rivolgendosi alla sorella disse ‘ Elena! Dai mettiti la crema prima di addormentarti!

– Nooo!!! Non ne ho voglia ora ‘ miagolò lei. ‘ Si sta così bene sotto questo sole caldo!

– Non fare la furba che poi la paghi per i prossimi giorni! ‘ insistette il fratello inginocchiandosi vicino a lei.

Non ottenendo risposta prese la crema dalla borsa termica e si preparò per stenderla sul suo corpo, poi si ricordò di Carlo e tentennò. All’improvviso si fece strada un’idea perversa nella sua mente, ed allora decise di giocare il tutto per tutto. Chiamò l’amico e lo fece sistemare dall’altra parte di Elena, poi aprì la crema che era ben fresca e ne distribuì una lunga striscia sul corpo di Elena, facendola rabbrividire, dal seno sino al bacino; poi guardò l’amico e gli disse:

– Aiutami!

Prese la mano di Carlo e l’appoggiò sul corpo di sua sorella, quindi iniziò a spalmare la crema.

Carlo era titubante, non osava accarezzare in quel modo Elena, ma quando vide che lei non protestava e rimaneva con gli occhi chiusi per godersi quelle coccole trovò il coraggio. Scoprì in quel modo quanto era tonico il corpo di quella ragazza, si stava eccitando ad accarezzarlo scivolando sulla sua pelle grazie alla crema, solo evitava accuratamente di sfiorarle il seno.

Fu il fratello a prendere la sua mano per posizionarla in quel punto, Carlo restò per un attimo bloccato con la mammella tra le mani, poi guardò il viso di Elena ed iniziò a spalmarle il seno di crema. Lei lasciò uscire un sospiro dalle labbra leggermente dischiuse e questo incoraggiò Carlo a toccarla in modo sempre più erotico.

Terminato di ricoprire il busto passarono alle gambe, il fratello distribuiva la crema poi Carlo la spalmava sulla pelle. Anche qui c’era un punto inviolabile ed era il pube. Si manteneva ben lontano da esso sin che vide le mani del suo amico spalmare la crema sui bordi degli slip del costume infilando, ogni tanto, un dito sotto il tessuto. Rimase stupito di come lei rimaneva apparentemente impassibile ed eccitato da come lui la toccava. Ebbe come un illuminazione vedendo come i due fratelli fossero in intimità, non voleva credere a ciò che immaginava, ma era sicuro che tra i due ci fosse qualcosa di più del semplice rapporto fraterno. Ebbe una conferma ai suoi pensieri quando vide le mani dell’amico sfilare lentamente gli slip ad Elena. Lei non disse nulla. Rimase con gli occhi chiusi ed un espressione indecifrabile sul viso ma aiutò il fratello sollevando un po’ il sedere.

A questo punto Carlo sentì l’amico prendere nuovamente la sua mano e portarla sul pube di Elena.

– Non vorrai che si scotti proprio qua?! ‘ disse

Carlo spalmò quel poco di crema necessario intorno ai peli della vagina, poi Elena aprì le gambe per consentirgli di ricoprirla anche nell’interno delle cosce.

– Girati! ‘ disse il fratello ad Elena.

Lei obbedì e si voltò per farsi spalmare la schiena.

Il fratello stese una lunga striscia di crema dal collo sino ai glutei, poi l’allungo sulle due gambe.

– Fai tu il sedere! ‘ disse a Carlo

Carlo posò gli occhi sulla perfezione del posteriore di Elena poi iniziò a spalmarlo con cura.

– Anche in mezzo. Riuscirebbe a bruciarsi pure li!

Carlo sentì il membro premere contro il costume mentre intrufolava un dito tra i glutei di Elena, scivolò al loro interno sino a raggiungere involontariamente la vagina e qui fu colpito dal calore che percepì. Incoraggiato dal fatto che nessuno dei due fratelli pareva infastidito tornò a sfiorare la vagina un’altra volta spingendosi un po’ più in giù. Questa volta lei aprì leggermente le gambe in modo che potesse violare le grandi labbra. Carlo ebbe un singulto quando sentì sul dito la morbida carne della vulva e la sua eccitata umidità. A stento riuscì a controllarsi per terminare la sua opera. Lasciò quei glutei così invitanti e si dedicò alle gambe sottili. Per spalmarle meglio si portò dietro di lei. Con le mani partiva dal sedere per stendere la crema sino alle caviglie, una serie di lunghi massaggi che Elena pareva apprezzare. Era tanto preso dal suo compito da riuscire per un attimo a dimenticare l’umido calore che aveva scoperto tra le gambe della ragazza, quando lei aprì di più le gambe. Ora Carlo poteva vedere il ciuffetto di peli che delineava il pube. Questo era troppo e staccò immediatamente le mani dalle gambe per sedersi sulle ginocchia e tentare di recuperare il controllo.

– Qualcosa non va? ‘ domandò il fratello

– E me lo chiedi?

– Ti piace la mia sorellina, vero?!

– E me lo chiedi?

– Vorresti prenderla ora, vero?!

– E me lo chiedi?

– Ma sai dire solo questo?

– E ‘ Sto per uscire di testa, cos’altro vuoi che dica?

– Allora sfilati il costume prima che te lo ritrovi blu da quanto &egrave costretto li dentro ‘ poi rivolto alla sorella disse ‘ Alza il sedere dai!

Elena obbedì al fratello e si mise a carponi offrendo le terga a Carlo, non si voltò nella sua direzione, si limitava a guardare negli occhi il fratello mentre l’amico si spogliava.

– Baciami! ‘ ordinò a suo fratello Elena

Lui si sdraiò sotto il suo viso e lo trasse a se. Carlo vide i due fratelli baciarsi, aveva tante domande in mente ma le lasciò da parte, prese il membro tra le mani e si avvicinò al sedere di Elena. Con le mani divaricò le labbra della vulva, tasto con delicatezza il suo stato e trovandola pronta posizionò il membro guidandolo dentro di lei. La penetrò dolcemente, non la conosceva e non sapeva come amasse essere presa. Di certo, pensò, con la dolcezza non si sbaglia mai. Entrò in lei spingendosi sino in fondo prima d’iniziare a muoversi.

Elena soffocò un gemito nella bocca di suo fratello, le loro lingue intrecciate si bloccarono per un lungo attimo, tutto il tempo che Carlo impiegò ad entrare completamente in lei.

– Baci bene quando lo hai dentro ‘ disse il fratello ad Elena.

Lei si limitò ad annuire mentre gli occhi s’appannavano dal piacere poiché Carlo aveva iniziato a muoversi.

Elena era completamente concentrata su ciò che le dava Carlo, lo sentiva entrare e stimolare i punti interni che più la facevano godere; pur non usando le mani per stuzzicarle il clitoride le stava dando un piacere intenso. Ai limiti della coscienza percepiva la presenza del fratello e delle sue labbra così piacevoli da baciare, solo era troppo presa da ciò che avveniva alle sue spalle per dedicarsi a lui. Come spesso amava fare tentò di visualizzare la scena dell’amplesso secondo un punto di vista esterno, prima si pose negli occhi di Carlo e s’immaginò il suo corpo come poteva vederlo lui. Si vide sobbalzare ai suoi colpi, i glutei sodi che ammortizzavano le spinte del bacino, i capelli sparsi sulla schiena inarcata e si trovò eccitante. Questa volta c’era un fattore nuovo: suo fratello steso innanzi a lei che la poteva osservare da un altro punto di vista, tentò di entrare nei suoi occhi ma non riusciva ad immaginare cosa poteva vedere. Allora apri i propri per osservarlo, scoprì suo fratello concentrato a spiare attraverso il suo seno il pube penetrato dall’amico, allora pensò cosa poteva provare lui in quel momento e quasi raggiunse un orgasmo.

– Dammelo! ‘ chiese la voce rantolante di Elena al fratello.

Lui capì cosa voleva, scivolo in modo da porre il suo membro davanti al viso della sorella. Elena cercava qualcosa su cui concentrare la mente, un modo come un altro per tentare di contenere un orgasmo ormai imminente. Come ebbe il membro del fratello davanti lo ingoiò succhiandolo ferocemente. Ora era soddisfatta; trasferiva sul fratello il piacere che le dava Carlo penetrandola da dietro. Entrò in uno stato simile alla trance, il piacere scorreva dal suo ventre al cervello e da qui si riversava nella bocca per infondersi in suo fratello. Lei era un tramite, il mezzo attraverso il quale il piacere transitava da un ragazzo all’altro. Contrariamente ad ogni legge fisica questo piacere non perdeva d’intensità in questo viaggio ma veniva incrementato dal principio femminile che stava in lei. L’unico in grado di captare l’energia insita nel piacere e di trasformarla in puro godimento orgasmico. Era lei il punto centrale, l’origine e la meta finale di tutto questo piacere che circuitava intorno alla sua femminilità.

Elena non capiva da dove nascessero questi pensieri, sentiva solo un membro entrarle nel ventre, un altro in gola e il ciondolo che continuava a sbatterle sullo sterno al ritmo dei colpi di Carlo. Decise di non indagare e dare libero spazio alla sua componente animale per godersi fisicamente sino in fondo quella situazione.

Le mani di Carlo si spostarono dai glutei e scivolarono accarezzando il ventre sino al pube, qui trovarono il clitoride e si soffermarono a stimolarlo. Elena sentì il piacere montare improvviso ed incontenibile. L’orgasmo esplose nel preciso istante in cui Carlo si spinse completamente dentro di lei. Elena stacco la bocca dal membro del fratello per poter respirare liberamente mentre godeva. Restò in quella posizione sino alla fine ascoltando con piacere le mosse di Carlo al suo interno intese a prolungarle al massimo il godimento. Finalmente soddisfatta scivolò in avanti per indicare a Carlo di uscire da lei, ancora eccitata da ciò che era appena successo si mise in ginocchio e chiamò i due ragazzi accanto a se. Come li ebbe vicini prese i due membri tra le mani e divise la sua bocca tra di loro.

– Vi voglio sentire addosso, riempitemi il seno con il vostro seme!

Disse tra una leccatina e l’altra. Ben presto il fratello raggiunse l’orgasmo seguito immediatamente da Carlo. Elena non riusciva a contenerli tutti e due contemporaneamente, un po’ di seme lo ricevette in gola ma gran parte le fini, come desiderava, sul seno.

Si stesero quindi al sole per riposarsi, Elena nel mezzo dei due ragazzi. Quando le forze tornarono si buttarono in acqua. Solo al termine del bagno Carlo si avvicinò all’amico per scambiare qualche parola con lui. Elena intuì d’essere lei l’oggetto di discussione, ora veniva il momento della verità. Presto avrebbero saputo se Carlo era disposto ad interpretare la parte del fidanzato ufficiale di Elena. Il semplice fatto che avesse accettato di prendere parte al loro gioco quel pomeriggio non significava che intendesse accettare il loro piano.

Contrariamente alle aspettative di Elena, Carlo accettò. Evidentemente suo fratello lo conosceva bene.

Carlo partì quella stessa sera, il suo programma prevedeva solo una visita all’amico, non poteva sospettare i risvolti sessuali che poi si erano realizzati. A malincuore partì lasciando nuovamente soli i due fratelli.

– Bene! ‘ disse Elena una volta rientrati in casa ‘ Il primo mio problema lo abbiamo risolto brillantemente! Ora bisogna risolvere il tuo!

– Già! Devo trovarne che accetti la nostra situazione come Carlo! Solo che non &egrave facile!

Lui riceve qualcosa in cambio da noi! Voglio dire oltre ai tuoi favori sessuali privati lo abbiamo coinvolto nel nostro gioco!

– Potremo coinvolgere anche la tua futura ed eventuale amica! ‘ disse Elena con estrema naturalezza

– Cosa intendi con ‘coinvolgere’? ‘ domandò il fratello con un aria leggermente scioccata.

– Cosa dovrei intendere secondo te ‘ disse Elena scocciata ‘ Abbiamo coinvolto Carlo tra di noi, tu mi hai divisa con lui! Ebbene potrei dividerti con una tua donna. Offriamo anche lei il gioco a tre che abbiamo dato a Carlo!

– Tu ed un’altra donna? ‘ disse il fratello meditabondo.

– Perché no?

– Perché no! ‘ affermò il fratello.

– Se lei gioca con noi come Carlo la legheremo a noi con il doppio filo della sessualità e della complicità.

– Ma tu con un’altra donna?

– Mica ti sei fatto anche Carlo oggi?

– No ma ‘!

– E poi, ti confesso, che il pensiero d’essere toccata da una donna non mi spiace affatto.

Elena confermò con queste parole ciò che il fratello aveva iniziato a sospettare. Mentre lui meditava sul significato della sua ultima affermazione lei si diresse verso l’armadietto dei medicinali. Quando il fratello la raggiunse per vedere cosa cercava preoccupato per un suo eventuale malessere lei disse.

– La prossima volta con Carlo vi voglio tutti e due dentro!

– Dentro?

– Sì, dentro di me, nel mi ventre e nelle viscere!

– Ma non hai mai avuto un rapporto anale!

– Ecco un buon motivo per provarlo questa sera! ‘ disse lei

Lasciando il fratello a bocca aperta dallo stupore gli mise in mano il tubetto di vaselina, poi andò in bagno per una doccia ristoratrice.
Elena contemplava la grande fotografia di suo fratello che teneva, solitamente, sul comodino; se la rigirava tra le mani cambiando angolazione come per consentire al viso di mutare quello sguardo fisso. Un espressione malinconica si allargava sempre di più sul suo giovane viso: da quando lui si era recato negli Stati Uniti per lavoro sentiva un profondo senso di vuoto. Nulla poteva colmare quell’assenza, le lunghe telefonate, le ore passate a dialogare grazie ad internet, le foto che si scambiavano tramite e-mail potevano solo acuire il suo dolore. Mentre studiava la foto ripensava ai dettagli del loro stranissimo rapporto fatto d’amore fraterno e d’attrazione illecita. Era stato lui a farle scoprire di non essere frigida come segretamente temeva, a spingerla verso la piena consapevolezza del suo corpo e al piacere che poteva trarre con esso. Le immagini del loro primo incontro particolare si formavano nella sua mente nitide e complete in ogni dettaglio, ricordava le parole, i suoni, le sensazioni e, soprattutto, le mani. Nessun altro ragazzo l’aveva mai toccata come lui.

Elena guardò distrattamente l’orologio ruotando leggermente il polso, subito non collegò la posizione delle lancette al loro significato intrinseco e continuò a seguire il filo dei pensieri. Improvvisamente, da un lato oscuro del cervello, giunse la nozione temporale: era tardi! Elena si alzò di scatto dal letto maledicendosi per la sua cronica malinconia; tra poco meno di un quarto d’ora sarebbe arrivato il suo ragazzo. Si preparò in fretta, tanto che nell’istante in cui suonò il citofono aveva appena chiuso la zip del vestito.

– Sali, Carlo! ‘ disse al citofono.

Carlo era un caro ragazzo, dolce e tenero ma capace di farle provare qualcosa di molto simile a ciò che generavano sul suo corpo le mani del fratello. Oltre a tutto questo aveva accettato il suo rapporto incestuoso con il fratello e ne era divenuto complice attivo. Quella sera, però, Elena non aveva voglia di vedere nessuno, ambiva solo a quella desolante tranquillità della solitudine. Sentiva il bisogno di raccogliere i suoi pensieri, unirli alla malinconia e sublimarli nella depressione. Le mancava troppo il fratello e contava i giorni che la separavano dal suo ritorno.

Quando Carlo varcò la soglia percepì il malumore nell’aria, notò subito la foto dell’amico posata distrattamente sul tavolino d’ingresso e capì.

– Ti manca, vero?

– Tanto!

Carlo si sedette sul piccolo divano e invito Elena al suo fianco. L’abbracciò stretta e la coccolò a lungo nonostante la rigidità del suo corpo che testimoniava una freddezza sconfortante, in grado di smontare chiunque ma non lui che la conosceva ormai bene. Aveva capito che la serata si sarebbe conclusa com’era iniziata: sul divano nel vano tentativo di riscaldare una ragazza con il vuoto nel cuore, ma non desisteva. Nonostante l’inizio puramente fisico della loro storia amava profondamente quella donna, sino al punto che pur di averla accettava di dividerla con il fratello. Quindi le stava dando il calore e tutto l’amore di cui era capace pur di lenirle il dolore nato dalla malinconia.

Peccato che Elena non cogliesse il mirabile affetto di quell’abbraccio, di quelle carezze, poiché Carlo parlava una lingua a lei sconosciuta e che non era ancora disposta ad apprendere. Per quanto amore le desse questo la trapassava lasciandola intatta. Carlo si rendeva conto della situazione e nel suo cuore sperava che almeno questo passaggio lavasse le scorie della sofferenza. Ormai aveva perso ogni speranza di diventare qualcosa di più che una semplice facciata di normalità per Elena o, al più, uno strumento per il gioco erotico dei due fratelli; ma non riusciva fare a meno di passare il suo tempo vicino a quella ragazza che amava.

La serata terminò nel preciso istante in cui Elena prese il telecomando ed accese il televisore per sprofondare nell’ottusa passività davanti ad uno schermo pieno d’immagini senza alcun senso per lei. Carlo le restò vicino sino a tarda ora poi, vinto dalla stanchezza e dalla sonnolenza indotta dalla Tv, comunicò alla ragazza la sua intenzione di andarsene a casa. Lei si alzò con lui per accompagnarlo alla porta, sull’uscio riuscì a mormorare un ringraziamento per la sua pazienza e l’affetto che dimostrava sopportandola quando era tanto depressa quanto in quel momento, indi con un innocentissimo bacio sulle labbra lo congedò. Per tutto il tragitto verso casa, Carlo pensò a lei. Non riusciva a togliersi dalla testa l’immagine del suo viso triste. Si sentiva impotente di fronte a quella sofferenza che non riusciva ad alleviare e questo lo faceva stare male. Si domandava cosa stesse facendo Elena in quel momento, l’immaginava intenta a prepararsi per la notte e la vedeva, con gli occhi dell’immaginazione, occupata in quella ritualità che aveva imparato a conoscere nell’ultimo anno. Era bello pensarla così, distaccando la sua immagine dal sesso, donandole una valenza più umana, più femminile, più vera anche se meno attraente.

Elena, però, non aveva per niente sonno. La casa vuota, ora che il fratello era lontano e loro madre si stava ricostruendo una vita mattone dopo mattone con il suo nuovo compagno, non l’aiutava a superare la depressione. Con un colpo secco sul pulsante spense il televisore e quasi con rabbia lanciò il telecomando sulla poltrona a fianco del divano, poi si alzò e si diresse decisa nello studio. Qui Elena si sedette alla scrivania e si guardò in giro, tutto le ricordava il fratello specie il libro posato in un angolo. Le era stato regalato proprio da lui prima di partire per il suo lungo viaggio di lavoro, lo prese tra le mani e guardò con occhi appannati l’illustrazione della copertina.

– Atalanta fugiens di Michael Maier.

Tradotto dall’originale stampato a Oppenheim nel 1618 ‘ recitò a bassa voce.

Chissà a cosa pensava suo fratello quando scelse quel libro per farle un regalo?

Elena non riusciva a capire il senso di quel testo, non le parole scritte, ma il senso del regalo. Suo fratello non sprecava mai un dono, ogni suo omaggio aveva un ben preciso significato. Lo adorava anche per questo.

Con la giusta predisposizione d’animo s’appresto ad iniziarne la lettura.

Il testo era una fedele traduzione dell’originale, per questo risultava poco scorrevole e pesante considerata l’ora tarda. Il cervello non era nelle migliori condizioni per apprezzare quel tipo di lettura ed Elena si risolse a dare una veloce occhiata alle figure con l’intenzione di dedicare il fine settimana ad una più attenta lettura. Le immagini stampate erano in bianco e nero, delle riproduzioni di stampe molto ben dettagliate; con i sensi annebbiati dal sonno si ritrovò a pensare che quei disegni non sarebbero stati male appesi nella sua camera. Istintivamente si portò il ciondolo regalatole da suo fratello, che sempre teneva al collo, tra le labbra; le piaceva succhiare la pietra scaldata dal suo seno.

Aprì una pagina a caso fissò con attenzione la figura che vi trovò. Vi erano rappresentati due leoni, o meglio un leone ed un altro animale simile ma dotato di ali. Il maschio afferrava la femmina con un atteggiamento quasi libidinoso e pareva intento a montargli sopra per soddisfare le sue brame. La femmina, dal canto suo, era chiaramente sottomessa; un atteggiamento rimarcato dalla sua testa reclinata verso il basso. La curiosità generata da quell’immagine la spinse a leggere la didascalia che diceva: ‘Aggiungi al leone una leonessa alata, in modo tale che entrambi possano vivere nell’aria” poi continuava dicendo che Michael Maier consigliava di sublimare le due nature fino a renderle inseparabili!

– Quali nature? ‘ si domandò Elena ad alta voce

‘Sublimare’Ovvero: innalzare, esaltare, rendere eccelso’ pensò mentre ancora si chiedeva a cosa mirasse suo fratello regalandole quel libro.

‘Esaltare le due nature”, Elena iniziava a pensare che queste due nature fossero quella maschile e quella femminile che sempre convivono in ogni essere umano indipendentemente dal sesso. Improvviso come un lampo venne il ricordo di una frase, un motto ermetico, che aveva letto chissà dove la quale diceva ‘Fa di uomo e donna un cerchio, quando avrai congiunto testa e coda, otterrai la tintura vera’ e l’immagine che la descriveva: due serpenti, di cui uno alato (la donna) che si mordevano la coda reciprocamente.

Nonostante le sporadiche luci, Elena provava una forte confusione, decise di continuare a sfogliare il libro con l’empirica tecnica di prima: aprì un’altra pagina a caso, ma era di solo testo allora sfogliò velocemente le pagine sino a trovare una nuova illustrazione.

Questa singolare immagine l’attrasse più dell’altra. Qui poteva vedere una donna, semi nuda, ed un uomo che randellavano un drago. L’uomo aveva un sole sulla testa e la donna una luna all’ultimo quarto. Lesse con attenzione la didascalia che riportava una frase di Hermes: ‘Il drago muore solo e soltanto se viene ucciso da suo fratello e sua sorella insieme. Non da uno solo, bensì dal Sole e dalla Luna [‘] Per questo motivo si dice che il drago non muore senza suo fratello e sua sorella.’

– Ok! E adesso cosa mi rappresenta il drago? ‘ meditò ancora ad alta voce

Si rese conto che non sarebbe riuscita a concentrarsi a sufficienza a quell’ora, inoltre più sfogliava il libro più domande nascevano. Si ripromise di riprenderlo al mattino, quando la mente riposata avrebbe risposto meglio alle sue sollecitazioni. Andò a letto, era tanto stanca che si addormentò quasi immediatamente senza avere il tempo di spegnere la luce.

Elena dedicò la mattinata della domenica alla lettura ed il pomeriggio al suo ragazzo, nonostante le mille domande che aveva in mente riuscì ad essere presente con lui. I pensieri generati dalla meditazione su alcuni brani del libro l’avevano aiutata a dimenticare per un attimo la malinconia. Carlo non si aspettava quel cambiamento e restò favorevolmente stupito da questa ripresa tanto da farlo sperare in un ottima serata. Aveva ragione.

Verso sera erano in procinto di decidere dove cenare quando Elena disse:

– Ceniamo da me, ci prepariamo qualcosa di veloce e passiamo la serata solo tra di noi!

Qualcosa nel tono della sua voce smosse in Carlo le corde della libidine. Era trascorsa più di una settimana dal loro ultimo rapporto e sentiva un prepotente desiderio di accoppiarsi con lei, oltre al resto Elena era rimasta per tutto il pomeriggio in uno stato di assoluta dipendenza nei suoi confronti accettando ogni sua proposta. Questo lo aveva eccitato, vedere la sua ragazza così disponibile lo portava a sognare quell’atteggiamento esteso al letto.

Prepararono la cena insieme, Carlo approfittava di ogni occasione per cercare un contatto con il corpo di Elena e lei rispondeva favorevolmente strusciandosi contro di lui. Quello che lo faceva impazzire era il suo modo di sollevare il sedere quando s’appoggiava alle natiche, pareva invitarlo dentro di lei. Quando s’avvide che non riusciva più a controllarsi, che il desiderio di lei avrebbe inevitabilmente compromesso il piacere del cibo, la fece sedere su uno sgabello per tenerla al di fuori della propria portata, poi prese due bicchieri e la bottiglia di vino bianco secco che stava in nel frigorifero.

– Prendiamo un aperitivo? ‘ domandò Carlo sforzandosi di mantenere un tono di voce normale.

– Volentieri! ‘ accettò Elena porgendogli il bicchiere.

Ruotando sullo sgabello e torcendo il busto, la ragazza, mise in evidenza il ciondolo che sempre portava al collo, allora Carlo disse:

– Ora che mi ricordo’ ho chiesto ad un amico cosa ne pensava delle incisioni di quella pietra che hai sempre al collo. Lui &egrave un appassionato del periodo storico del medioevo e quei simboli mi parevano risalire a quell’epoca!

Avevo ragione!

Secondo lui ‘ disse prendendo in mano il ciondolo ‘ questa donna rappresenterebbe il pianeta Venere e tutto lascia supporre che questo sia un amuleto d’amore.

– Ma dai! Non mi dire! ‘ disse quasi sottovoce Elena

– Sì! A quanto dice quest’amico pare, che l’amuleto sia stato realizzato seguendo le prescrizioni dettate da un libro del XI’ Sec. inoltre sostiene che senz’altro &egrave stato ‘consacrato’ seguendo i riti di quel libro.

Non so mai quando scherza o fa sul serio’ però lui consiglia di disfarsene!

– Ma scherziamo?

&egrave un semplice pezzo di pietra ed a me piace! ‘ disse risoluta Elena

– Io ti riporto solo cosa ha detto lui!

– Ed io ti dico che intendo tenermelo. &egrave un regalo di mio fratello e l’ho sempre indossato da quando me lo ha dato!

Carlo indugiò nell’analisi del ciondolo che continuava a tenere in mano, lo rigirava tra le dita mentre ripensava alle parole dell’amico ed alla risolutezza di Elena.

– &egrave caldo! ‘ disse ad un certo punto

– Sì, &egrave sempre caldo. Pare assorbire il calore dal mio corpo, lo tengo sempre nel solco del seno! ‘ rispose Elena rimarcando l’ultima parola

– Capisco’ e invidio un po’ questa pietra che ha la fortuna di passare tanto tempo a contatto con la tua pelle.

Elena trattenne il fiato mentre i suoi occhi, fissi su quelli di Carlo, andavano lentamente dilatandosi.

– &egrave tanto che le nostre pelli non si toccano! ‘ bisbigliò lei

– Troppo!

La ragazza prese la cintura di Carlo e lo avvicinò a se, poi allungò il collo in cerca delle sue labbra. Lo baciò con un trasporto inaspettato, tanto intenso da farle perdere l’equilibrio e cadere dallo sgabello in ginocchio innanzi a lui. Con le mani teneva ancora la cintura e fece forza su di essa per sollevarsi ma lui, con una mossa decisa ed improvvisa, la slacciò. Elena si ritrovò quindi a tirare giù i calzoni del suo ragazzo. Subito vide il lato comico di quella sequenza di eventi e stava per lasciarsi sfuggire una risata, poi sollevò lo sguardo e vide l’espressione eccitata di Carlo che subito generò in lei una sequenza di emozioni. Si sentì immediatamente desiderata, quegli occhi avevano il potere di trasmettere amore e desiderio quasi quanto quelli di suo fratello, ed in quella posizione non poteva che fare una cosa sola per appagare quel desiderio: sfilò il calzoni di Carlo sin sotto il ginocchio, poi si agganciò agli slip e li tirò in basso liberandogli il membro. Senza attendere il suo inevitabile invito ingoiò ciò che si trovava davanti agli occhi. Carlo rantolò di piacere e si appoggiò al tavolo per spingere il più avanti possibile il bacino, come per penetrarla sino in gola, poi si rilassò e chiuse gli occhi per godersi le labbra della sua ragazza.

Elena si scoprì a desiderare quel membro in ben altre parti del suo corpo. Inizialmente non provava una voglia particolare, aveva deciso di far godere Carlo senza nulla chiedergli in cambio; quando suo fratello era lontano lei non sentiva le spinte del desiderio. Ora, però, mentre scorreva tutta la lunghezza di quel membro e ne riconosceva il sapore sentì di avere voglia proprio di Carlo.

Un liquido più denso si unì alla sua saliva; Elena capì che il ragazzo era ormai troppo eccitato e stimolato e rischiava di esplodere subito in un orgasmo. Decisa a non sprecare quella magnifica erezione in semplici giochi orali si alzò di scatto per appoggiarsi al tavolo al suo fianco. Carlo la guardò con gli occhi accesi dall’eccitazione, poi lesto si levò la camicia per passare a sbottonare quella di Elena. Lei lo lasciò fare, si fece spogliare e sollevare la gonna sino in vita, poi aprì le gambe alle labbra di Carlo che intendevano restituirle, almeno in parte, il piacere che gli era stato regalato. Quando lui si ritenne sazio la fece girare di schiena ed appoggiare il busto sul tavolo, le sfilò del tutto la gonna poi le sollevò una gamba in modo da farla aprire. Elena era al limite della sopportazione, non riusciva più a contenere il desiderio di sentirlo dentro; appoggiò la gamba ad uno sgabello mentre con l’altra si teneva in equilibrio. Quando avvertì la mano del suo ragazzo sulla nuca che stringeva spasmodica i capelli capì che stava per essere finalmente appagata. Lui la spinse giù, con il viso sul tavolo, poi si guidò dentro di lei e la penetrò con una foga quasi animale tanto era il desiderio represso che teneva dentro. Elena apprezzò quel gesto carico di erotica violenza e si aprì il più possibile ma non era ancora del tutto soddisfatta e spinse il sedere contro di lui mentre si stava avvicinando. Carlo temette di farle male e tentò di controllare l’impeto con cui entrava, ma Elena gemette in tono di protesta incitandolo a muoversi con sempre maggiore insistenza.

Lui rallentò un attimo per cercare la giusta concentrazione, poi lentamente aumentò il ritmo. Badò a spingersi bene sino in fondo, sino a sentire il glutei della ragazza contro il bacino allora pressava in avanti il pube per seguire le sue curve ed entrare totalmente in lei. Eseguiva meccanicamente queste mosse mentre la mente era impegnata a studiare la porzione visibile del viso di Elena per carpirne ogni singola emozione; la vide chiudere gli occhi ed inspirare regolarmente ogni volta che la penetrava, intanto la sentiva dilatarsi sempre di più sin che, finalmente, sospirò spalancando la bocca per lasciarsi prendere dall’orgasmo. Carlo continuò a muoversi senza modificare il suo ritmo, percepiva che il piacere di Elena era guidato dalle sue mosse e intendeva prolungarlo sin che avrebbe retto. La voglia accumulata negli ultimi giorni si stava trasformando in un sentimento di vendetta, pensava: ‘Ti sei fatta desiderare vero? Allora ti sbatto sin che non mi chiedi pietà!’ Questo sentimento così estraneo all’amore e fuori luogo in un normale amplesso lo stava aiutando a resistere ai numerosi stimoli che riceveva dal ventre di Elena, si fermò solo quando lei iniziò a scivolargli via.

Elena si voltò verso di lui appoggiandosi al tavolo, respirando a fatica fissò lo sguardo su quello del suo ragazzo rimanendo sconvolta dalla luce dei suoi occhi. Immaginò di vedere in quello sguardo un desiderio ed una eccitazione non placati dal loro amplesso; più lo guardava più sentiva tornare in sé la voglia di unirsi a lui, allora lo prese per le spalle e lo guidò a lato del tavolo poi lo spinse verso il basso. Senza parlare lo fece stendere sul pavimento in legno, quindi salì su di lui volgendogli la schiena sistemandosi per scendere e impalarsi sul suo membro.

– Aspetta! ‘ disse Carlo mentre teneva con le due mani il membro ‘ Sei troppo indietro’ &egrave più avanti!

– No! &egrave qui che lo voglio ora! ‘ rantolò lei

– Ma non lo abbiamo mai fatto così’ sei troppo chiusa!

– Aspetta! ‘ insistette lei mentre si dilatava le natiche con le mani ‘ Tienilo fermo! ‘ lo pregò infine.

– Ti faccio male!

– Dai, che lo facciamo entrare! ‘ Elena non sentiva ragioni.

– Cambiamo posizione. Mettiti in ginocchio e proviamo così! ‘ ragionò lui

– Voglio farlo così! Se non entra dietro allora mettimelo davanti! ‘ Disse, con un grugnito, Elena mentre si spostava offrendo il pube al membro.

La solita via non presentò problemi. Elena scese sul membro di Carlo inghiottendolo con il ventre, poi si lasciò cadere all’indietro, contro di lui, ed iniziò a muoversi. In breve raggiunse un secondo orgasmo, forse per merito della forte eccitazione questa volta urlò nell’apice del piacere. Continuò a muoversi sin quando si sentì sollevare dalle forti braccia del suo ragazzo, fece appena in tempo a lasciar uscire il membro che ricevette un fiotto di sperma sul bacino. Più velocemente che riuscì portò il viso sul pene e inghiotti gli ultimi getti per restare a stuzzicare con le labbra morbide quel pezzo di carne che l’aveva fatta godere due volte in pochi minuti.

Dopo questa esplosione di sensi mitigarono la fame con una cena veloce e dedicarono il resto della serata alle coccole reciproche sin che Elena non disse di avere molto sonno e spedì Carlo a casa sua. Appena salutato il ragazzo sulla soglia lei controllò l’orologio e corse al computer, attivò la connessione alla rete e lanciò il programma di messaggeria in diretta. Selezionò il nome del fratello e gli lanciò un messaggio: ‘Ci sono!’. Poi si mise in attesa dedicandosi al controllo della posta.

Pochi istanti dopo arrivo il segnale che aspettava.

‘Eccomi qua! ‘ puntualissima vedo!’, lampeggiò la finestra di suo fratello.

‘ Già, non vedevo l’ora di sentirti.. emm .. di leggerti! Uffa ma quando torni?!’, scrisse lei.

‘ Meno di una settimana, lo sai! Non me lo chiedere tutte le volte o mi fai star male’ non sto bene lontano da te’, apparì sul monitor di Elena.

Si scambiarono i soliti convenevoli, le classiche frasi malinconiche e velate allusioni sin che:

‘ Allora che hai fatto con il mio amico questa sera?’ domandò lui.

‘Ti ricordo che il tuo amico &egrave anche il mio ragazzo’ comunque’ scintille! Abbiamo fatto scintille!’

‘ Racconta’, la esortò lui.

‘ No, meglio’ ti faccio vedere!’

‘Cosa? Hai attivato la web-cam? E’ lui lo sapeva?’, scrisse velocemente lui

‘No, non lo sapeva. Ho impostato uno scatto ogni 20 secondi ed ho spento il monitor’ ho il disco pieno d’immagini, ma non le ho ancora viste’

‘Vediamole!’ scrisse lui.

Iniziarono in questo modo un gioco perverso dove lei inviava al fratello le immagini sfocate che la vedevano protagonista per commentarle insieme a lui. Elena soddisfaceva ogni singola richiesta di particolari e si dilungava nella descrizione delle proprie sensazioni. Si eccitava nel ricordare il suo amplesso e notava dai termini usati dal fratello la sua eccitazione, le piaceva quel gioco. Arrivata alle sequenze finali il fratello le domandò spiegazioni della sua innaturale posizione, allora lei confessò il falliti tentativo di farsi penetrare analmente.

‘Non immaginavo che ti piacesse prenderlo lì!’, scrisse lui.

‘Non lo so ancora se mi piace e quanto’ non ci siamo riusciti!’

‘Pazienta ancora qualche giorno che poi ti apro io!’

Elena ebbe un mancamento non appena lesse le parole del fratello, ringraziò il fato che la loro non fosse una comunicazione telefonica altrimenti con il suono della sua voce il potere di quelle parole le avrebbe fatto perdere il controllo.

Continuarono su questo tono sino a tarda ora, sin che non furono analizzate più volte tutte le immagini in modo che anche lui, all’altro capo della linea, divenne partecipe e complice del piacere della sorella.

Il mattino seguente, Elena, si svegliò con un indefinibile affanno indosso; provata dalla lunga chat con il fratello si rigirò su se stessa per pisolare ancora un po’ sull’altro fianco, ma qualcosa la disturbava e le impediva di riaddormentarsi. Con la mente offuscata cercò, invano, di far luce sul disagio che sentiva. Percorse gli aspetti più intimi del suo animo, quelli che sfidava solo quando non era totalmente cosciente di se, alla ricerca di una spiegazione. Pensò che il turbamento fosse l’inevitabile frutto del suo lungo dialogo con il fratello e del tema trattato in quella discussione; poi analizzò il rapporto con Carlo, nei dettagli di un amplesso riuscito per metà. Il libro letto la notte precedente le aveva lasciato tanti di quei dubbi da toglierle il sonno per oltre un mese, ma dopo tutto non si era addentrata tanto nella lettura da iniziare a comprenderne il reale significato. Poi ricordò!

– &egrave lunedì! ‘ pronunciò ad alta voce mentre si rizzava a sedere sul letto ‘ Oggi &egrave lunedì! ‘ sottolineò ‘ Alle nove in facoltà!

Elena saltò giù dal letto, incurante del lieve mancamento dovuto all’abbassamento della pressione sanguinea tipico della sua ovulazione, e corse in bagno aprendo subito il rubinetto della doccia. Come s’infilò sotto l’acqua cacciò un urlo di puro terrore, nella fretta non aveva controllato la temperatura. Qualcuno, prima di uscire dalla sua casa, aveva manomesso la regolazione della doccia portandola al minimo. Era un idea di Carlo, sempre alla ricerca di un modo per farsi ricordare, per lasciare un segno indelebile nella sua mente. Questa volta il segno lo lasciarono i lunghi improperi lanciati nella sua direzione. Sopravvissuta al trauma iniziale riprese a lavarsi, non aveva guardato l’ora ma sentiva d’essere al limite. S’insaponò stando bene attenta a non bagnare i capelli, nella fretta aveva pure scordato d’indossare la cuffia, quindi non notò subito lo stato di turgore dei capezzoli. Solo dopo ripetuti passaggi sul seno percepì qualcosa di duro sul palmo della mano, subito si guardò l’arto, convinta di trovarvi un pezzo di sapone, poi il suo sguardo si focalizzò sul seno e sui capezzoli. Sul momento ritenne il contatto con l’acqua gelida l’artefice di tale erezione e non si curò di loro sin che, una volta asciugata, non tentò di vestirsi.

I capezzoli non accennavano a scendere, restavano turgidi tanto da crearle non pochi problemi sulla scelta dei capi da indossare. Qualunque maglia o camicia provasse restava segnata dai due puntini che sporgevano in un modo imbarazzante. Non poteva uscire in quello stato ma non intendeva neppure indossare un reggiseno imbottito in una giornata così calda come quella che si prospettava. Si disse che sicuramente non poteva restare in quello stato a lungo senza motivo, senza una fonte di stimoli erotici o termici; inviò un’ulteriore maledizione a Carlo mentre pensava quest’ultima parola.

Indossò, quindi, gli abiti che aveva previsto. Dinanzi allo specchio ammirò ancora una volta i capezzoli così evidenti poi prese il ciondolo dal comodino, lo indossò, ed uscì per strada. Solo in quel momento si concesse di controllare l’orologio, prima non aveva senso preoccuparsi per un eventuale ritardo tanto non portava porvi rimedio, con stupore apprese che non era poi così tardi: c’era ancora il tempo di bere un caff&egrave nel bar sotto casa.

Elena entrò nel locale decisa e si diresse nel suo solito angolo; il ragazzo al bancone non le domandò cosa desiderava, la conosceva da tempo e le preparò subito un caff&egrave come amava lei. Quando glie lo porse l’ammirò per un attimo poi si arrischiò a salutarla.

– Buon giorno Elena! Come va questa mattina?

– Uh! Bene credo. Pensavo di essere in pauroso ritardo ma poi mi sono accorta di non esserlo!

– Hai passato troppo tempo davanti allo specchio per farti più bella di quanto non lo sei già? ‘ la schernì lui

– Specchio? ‘ Elena posò la tazzina bollente ‘ No, sono uscita subito così com’ero’ non avevo guardato l’orologio sicura che fosse troppo tardi!

– Allora sei innamorata! &egrave tipico delle ragazze innamorate perdere la nozione del tempo! ‘ quindi, dopo questa citazione filosofica, aggiunse ‘ Strano, però! Oggi sei più bella del solito ‘!

Elena stava bevendo l’ultimo sorso quando si rese conto di dove collimava lo sguardo del ragazzo, in quel momento percepì chiaramente i suoi capezzoli premere sul tessuto. Posò velocemente la tazzina, ringraziando il giovane, poi pagò alla cassa ed uscì dal locale. Era turbata dal suo stato, non amava mettersi in mostra in quel modo, non le piaceva il messaggio lanciato dai suoi capezzoli eretti. Non erano i segnali emanati da una gonna più corta del normale, dai calzoni aderenti o da un’audace scollatura, questi dei capezzoli stavano ad indicare un qualcosa di troppo intimo per poterlo diffondere a tutti coloro che avrebbe incontrato. Mentre camminava premette una mano sul seno nel tentativo di dominare quella strana erezione, un movimento apparentemente casuale, come se intendesse sistemare il reggiseno, che portò la sua mano a contatto con il ciondolo. Il calore che ricevette da quel pezzo di pietra fu tale da procurarle una fitta al basso ventre, un segnale d’imminente eccitazione sessuale.

Elena si fermò per un istante a valutare cosa sentiva, non le pareva possibile di eccitarsi mentre camminava per la strada lontana da tutti e due gli uomini della sua vita. Il seno non accennava a mettere giudizio, in più ora provava quel doloroso senso di vuoto nel ventre che le faceva perdere la ragione pur di colmarlo.

Passò una mattinata d’inferno, sempre tesa a controllare come esponeva il seno o al modo in cui si muoveva o guardava gli altri. Le sue amiche le domandarono più volte cosa le era successo per essere così sensuale, la studiavano ammirate o invidiose a seconda del grado d’amicizia che le univa. Quando, finalmente, rientrò in casa sul fare del mezzogiorno per prima cosa si spogliò per indossare un vestito più comodo e largo sul seno. Aveva intenzione di nasconderlo per non pensare più ai suoi capezzoli perennemente eretti.

Scrisse una mail al fratello dove raccontava quella giornata nei dettagli domandandogli un aiuto. Poche ore più tardi trovo la sua laconica risposta: ‘Ok! Rientro domani sera. Volo numero ”

Tutto lì!

Elena era sconvolta e leggermente adirata con il fratello. Lei gli aveva chiesto aiuto per una situazione che la stava sconvolgendo anche per causa sua, e lui si limitava ad annunciare il suo rientro?

Era furente, stava per scrivergli un’altra mail di fuoco quando notò il segno rosso sul calendario: suo fratello sarebbe dovuto rientrare la settimana successiva. Aveva anticipato il rientro per starle vicino, aveva senza dubbio incontrato dei problemi per farlo; ora sentiva di amarlo come non mai.

Finalmente l’aereo atterrò, era in perfetto orario ma per Elena in attesa da oltre un ora pareva non dovesse giungere mai. Si era recata in aeroporto con un certo anticipo spinta dal desiderio di rivedere suo fratello, ora seguiva con trepidante interesse le operazioni di sbarco. Quando lui uscì dal controllo doganale lei gli saltò letteralmente addosso, lo abbracciò avvinghiandolo anche con le gambe.

– Calma’ calma sorellina! Ricorda che nessuno deve pensare che tra di noi ci sia qualcosa di più dell’amore fraterno! ‘ disse lui sorridendo mentre le stringeva le natiche con forza.

– E chi se ne frega! Qui nessuno ci conosce’ baciami!

Si salutarono con calore, quindi si avviarono verso casa. Nel tragitto Elena raccontò cosa le era successo il giorno prima, confidò il suo turbamento e narrò di come dovette masturbarsi sino all’orgasmo per smontare l’erezione continua dei suoi capezzoli.

– Pensavo a te in quel momento! Ti visualizzavo al posto di Carlo i quelle foto che ti ho fatto vedere e ti sentivo scivolare nelle mie viscere, entrare in me e strapparmi urli di piacere ‘ ti sentivo fino qui! ‘ Disse lei indicando, alla fine, un punto sul suo corpo ben al di sopra l’ombelico.

– Davvero?! ‘ domandò lui senza riuscire a nascondere l’emozione.

– Sì, ti prendevo come non ho mai preso nessuno e godevo come una pazza! ‘ annunciò sorridente Elena.

– No, intendevo .. davvero fino lì? ‘ chiese indicando il punto in questione sul suo corpo

– Sì, fino qui!

– Allora dovrò montare una prolunga, non credo di arrivare così tanto dentro di te!

– Non importa dove arrivi, basta che entri. Son settimane che ti sogno in continuazione. Sei diventato una presenza costante nella mia mente; giorno e notte. Di giorno ti penso, ti desidero, ti voglio; di notte ti sogno e mi risveglio eccitata ‘ chissà come ti sogno?

– Posso immaginarlo: all’incirca come io sogno te.

– Allora andiamo a casa e anche se sei stanco per il viaggio voglio subito consumare il nostro incesto, intendo unirmi a te e formare il cerchio, voglio essere la tua luna!

– Ed io il tuo sole!

Vedo che hai letto quel Libro!

– L’ho solamente iniziato, ma non ho le basi per comprenderlo sino in fondo’ ho bisogno di un maestro

– Sfortunatamente non posso essere io il tuo maestro avendo appena iniziato a comprendere qualche parola. ‘ Si giustificò lui

– Però puoi dirmi cos’&egrave sto cavolo di drago allora! Quello che io e te dobbiamo uccidere insieme secondo quanto dice il Libro. ‘ insistette lei.

– Guarda al drago come alle tue paure’ questa &egrave solo una delle interpretazioni, ma &egrave quella che interessa a noi.

– A noi? ‘ domandò lei

– A noi! A noi che viviamo nell’aria! ‘ aggiunse lui

– Giusto, a noi che viviamo nell’aria!

Elena non comprese del tutto le farsi ermetiche del fratello, ma non le importava più di tanto. Aveva iniziato a leggere quel libro più che altro per fare un piacere a lui. Non era affatto interessata agli argomenti trattati, ammetteva un certo qual interesse verso quelle teorie ma sentiva un’attrazione più intensa verso un’altra forma di conoscenza occulta. Non sapeva spiegare questo sentimento, ricordava solamente d’essere stata fortemente attratta dalla vetrina di una libreria del centro città, fu tentata di entrare ed acquistare un volume che, semi nascosto, attirò i suoi occhi. Ricordava il titolo: ‘Picatrix. Ghàyat al-hakim, il fine del saggio’. Forse quel testo era legato a quanto le aveva riferito Carlo sulla discussione con il suo amico medievalista, forse in quel libro c’era la spiegazione ai simboli tracciati sulla pietra che sempre portava al collo. Si ripromise di tornare in quella libreria ed acquistare il libro il prima possibile.

– Ho bisogno di una doccia! ‘ annunciò lui appena varcata la soglia di casa ‘ Mi dai il tempo di farla?

– Mmm sì! Fai pure ma sbrigati!

Elena lanciò uno sguardo d’intesa al fratello, poi si dedicò alle sue valige iniziando a sistemare gli abiti puliti nell’armadio. Mentre li riponeva al loro posto ne aspirava golosamente il profumo, riempiendosi le narici di quell’odore che da sempre le ricordava lui. Quando trovò, conficcata in una sacca laterale, la biancheria usata la raccolse e senza pensare la portò nel bagno per buttarla nella cesta della ‘roba’ da lavare. Entrò decisa senza più pensare che lui era sotto la doccia, le lunge settimane trascorse da sola in quella casa le avevano fatto dimenticare le solite procedure, quando lo vide nudo e mezzo coperto dal sapone rimase fissa ad osservarlo.

– Cos’&egrave? Pare che tu non abbia mai visto un uomo nudo! ‘ la punzecchiò lui

– No, ne ho visti eccome! Solo che non ne ho mai visti farsi la doccia con quell’affare enorme completamente eretto! Specie se la doccia se la stanno facendo da soli! ‘ Disse lei con un tono di voce sarcastico, poi aggiunse ‘ Cosa stavi facendo? Non &egrave che ti stavi ‘.!!

– Stavo pensando a te e a tutto quello che vorrei farti!

– Davvero? ‘ sospirò lei

– Giuro! ‘ confermò lui.

Elena si avvicinò alla vasca, che fungeva anche da doccia, per ammirare meglio il corpo di suo fratello, poi allungo titubante una mano verso il membro e lo ghermì. Lo prese da sotto, nei pressi dei testicoli, poi lo trasse a se per costringere il fratello ad avvicinarsi alle sue labbra. Lo baciò con tutta la passione che aveva messo da parte durante la sua assenza e, nel frattempo, lo masturbava agitando la mano. Quando lo sentì crescere tanto indurirsi al massimo, lentamente scivolò sulle ginocchia e lo prese tra le labbra. Succhio con la stessa passione del bacio, intendeva aspirarne tutto il seme che teneva dentro, lo voleva sentire in gola, sul palato, colare dalle labbra; e desiderava sentire suo fratello fremere dal piacere. Avrebbe coronato il suo sogno se lui non le fosse sfuggito all’improvviso. Stava per protestare quando lui disse:

– Lavami!

Elena si mise in piedi per spogliarsi. Velocemente la camicetta e la gonna volarono sul cesto della biancheria seguite immediatamente dagli slip e dal reggiseno, quindi entrò con lui nella vasca. Si lasciò bagnare dal flusso d’acqua controllato dalle mani del fratello e regolato alla perfetta temperatura. Ebbe un fremito quando le divaricò le natiche per dirigere il getto lì in mezzo. Accortosi della sua reazione lui disse:

– Laviamo bene tutto! Non sei d’accordo?

Elena non rispose ma si abbandonò appoggiando la schiena contro il corpo del fratello per apprezzare al meglio quelle grandi mani che le distribuivano il sapone addosso. Si godette le carezze confortata dalla pressione del membro che sentiva chiaramente appoggiato al sedere.

Sin dal risveglio si era trovata sessualmente eccitata, il solo pensiero di incontrare nuovamente suo fratello riportava in vita la passione trattenuta così a lungo. Era entrata in bagno senza secondi fini, nella sua mente la serata era già stabilita nei dettagli: dopo la doccia coccole, poi cena leggera ma sfiziosa e quindi letto! Invece si trovava gia tra le sue braccia, pelle contro pelle, eccitata e pronta ad unirsi a lui. La ragione le diceva di fuggire da quell’abbraccio poiché, rispettando il programma, avrebbe goduto di più della sua presenza; l’istinto la fece ruotare per affrontare le labbra del fratello.

Lo baciò usando solo la lingua, disegnò il contorno delle labbra del fratello poi la spinse nella sua bocca, indugiò a lungo prima di incontrare la sua poi si premette totalmente contro di lui. Voleva sentire ogni centimetro di quella pelle contro la propria, intendeva prendersi ciò che aveva sognato durante la sua assenza. Elena colse il membro durissimo puntarle sul bacino, le piaceva quel contatto e spinse in avanti tutto quello che poteva per massaggiarlo con la pelle, si muoveva sinuosa conscia dell’effetto che aveva su di lui. Ascoltava i dettagli di quella pressione, ne valutava i punti di contatto, immaginando di averlo dentro invece che contro la pelle. Non resisteva più al desiderio, alzò una gamba per appoggiarla sul bordo della vasca e spinse il pube in avanti strofinandolo contro il pene. Suo fratello si abbassò quel tanto sufficiente ad indirizzare correttamente il membro e se lo guidò con una mano. Come Elena lo sentì puntare e quasi entrare scese su di lui. Gemette mentre la penetrava non tanto per il piacere quanto per la soddisfazione di una lunga attesa. Tentarono in tutti i modi di portarsi l’uno contro l’altro in modo da ottenere una penetrazione profonda ma la posizione non era certo delle migliori. Si mossero sfogando tutto ciò che era stato represso nelle ultime settimana, arrivarono sul limite dell’orgasmo ma nessuno dei due si lasciava andare. Elena voleva di più e, improvvisamente, si sollevò tanto da lasciarlo uscire dal ventre. Quindi lanciò uno sguardo quasi allucinato al fratello e gli voltò le spalle. Scese sulle ginocchia e si piegò in avanti esponendo il sedere. Dentro la vasca non poteva aprire più di tanto le gambe, ma l’urgenza di riprenderlo subito dentro di sé detto le sue scelte. Attese che il fratello si sistemasse dietro di lei poi gli disse:

– Sai già dove prendermi, vero?

– Ti faccio male così, non puoi aprirti!

– Prova, ti prego!

La voce di Elena era tanto roca dall’emozione e così eccitata che non le si poteva resistere; lui si sistemò come poteva e divaricò le natiche della sorella.

– Spingi anche tu ‘ disse rivolto a lei

– Come?

– Come se dovessi far uscire qualcosa, dai che hai capito!

– Provo!

L’ano lentamente si dilatava e lui, dopo averlo stuzzicato con il dito, lo spinse dentro. Elena gemette mentre il dito entrava, tentava in tutti i modi di adattarsi a quella presenza per riuscire a prendere, subito dopo, il membro del fratello. Si lasciò esplorare sin che i suoi gemiti indicarono al fratello che era quasi pronta. Lui puntò il pene sull’ano, doveva assumere una posizione scomoda ma non voleva correre il rischio di rovinare l’atmosfera chiedendo ad Elena di spostarsi sul pavimento o raggiungere il letto. Appena spinse con tutta la dolcezza possibile, lei si aprì in un modo sconvolgente, tanto che riuscì a scivolarle dentro per buona metà della lunghezza. In quell’istante lei sollevò la testa e cacciò un urlo liberatorio tanto intenso da bloccarlo. Non era un urlo di dolore ma di piacere quello di lei, Elena incitò il fratello a muoversi spingendo il sedere verso di lui.

– Toccati tu, io non ci riesco da questa posizione! ‘ la consigliò

Elena fece scorrere una mano da sotto sino al clitoride, come si sfiorò iniziò a godere tanto da impedirle di sincronizzare il dito con la penetrazione.

Sentiva una forma di dolore, molto blanda nonostante fosse la prima volta che affrontava quel tipo di rapporto, ma questo bruciore non riusciva a prevalere sul piacere. Lo stimolo era forte, più intenso di quanto non avesse mai provato e travolgente tanto da farle perdere la ragione. Ebbe un orgasmo feroce, brutale nella sua intensità e del tutto inatteso. Non si rese conto di godere sin quando non esplose in tutto il suo corpo. Lui la seguì sino al termine muovendosi piano dentro di lei, assumendo di volta in volta l’angolazione migliore per penetrarla senza farle male, solo quando la sentì rilassare i muscoli si concesse di venire e le riempì le viscere. Elena non credeva di percepire così chiaramente il piacere del fratello anche lì, sentiva le sue pulsioni e le pareva di cogliere anche il seme che si spandeva in lei.

Quando si disunirono lui si sedette sul bordo della vasca e l’aiutò ad alzarsi.

– Stai bene? ‘ domandò preoccupato dall’espressione del suo viso

– Sì, credo di si!

Ho solo una strana sensazione’ come di dover andare in bagno ‘ scusa non connetto ancora bene!

– Stai tranquilla, &egrave normale! Ti ho iniettato tutto il mio seme dentro e può avere di questi effetti. Mi chiedo solo se ti ho fatto male! Non ti lamentavi ma ‘ ecco &egrave la prima volta!

– No! Stai tranquillo’ sono ancora scossa da quanto ho goduto ma va tutto bene! ‘ disse lei stendendosi nella vasca.

Appena appoggiò il sedere sul piano della vasca, Elena, scatto in piedi, poi disse al fratello.

– Temo che dovrò restare in piedi per un po’. Ma dimmi ‘ lo abbiamo ucciso il nostro drago?

– Non ancora, o almeno non del tutto.

Vieni qua!

Lui la prese per i fianchi e la fece sedere sulle ginocchia stando bene attento a mantenerla con la parte dolorante sospesa, poi prese ad accarezzarle la schiena dolcemente. Dopo un tempo che non aveva alcun significato per nessuno dei due ripresero la doccia interrotta.

Elena era curiosa ed interrogò per tutta la durata della cena il fratello sul significato delle illustrazioni e delle frasi ermetiche di quel libro. Lui rispondeva vago, senza mai scendere nei dettagli che lei ambiva conoscere; le disse solo che il cammino lo avevano iniziato al meglio, ora si trattava solo di percorrerlo con determinazione.

Si respirava un’aria di pace assoluta tra gli altissimi fusti delle conifere e le basse felci nella foret du Cranou, in quello stupendo angolo di Bretagna. Il profumo del muschio unito a quello dell’oceano, percettibile anche così distanti dalla costa, donava al luogo un’attrattiva del tutto particolare. Era facile sognare guidati dal lieve rumore prodotto dal vento sulle foglie o dai giochi di luce che l’astro disegnava, fendendo la coltre verde sopra la testa.

Mi ero fermato ad osservare, estasiato, lo spettacolo di un unico ramo di felce illuminato da un raggio di sole nel relativo buio della foresta circostante. Ero attratto dal verde brillante e dalla forma, nonché dall’apparente immobilità di quel ramo. Cercai, con lo sguardo, lo squarcio nel fogliame sopra di me che consentiva alla luce di giungere sino a terra, ma le fronde in alto offrivano un ulteriore motivo d’ammirazione. La loro altezza le rendeva irraggiungibili; la luce del sole, però, ne proiettava in terra il disegno consentendomi di coglierne i dettagli altrimenti invisibili, grazie alla loro ombra. Meditai sulla difficoltà di raggiungere direttamente la verità e sulla relativa semplicità con cui i simboli manifestano l’ombra di essa, se solo ci si sofferma per il tempo necessario a coglierne il messaggio. E questo mondo, il mondo sublunare, mi appariva, chiaramente, come l’immagine del mondo celeste, ad esso legato dai raggi emanati dall’Archetipo.

Ero tanto preso da queste osservazioni da dimenticare il reale motivo che mi aveva portato in quel luogo; una nube, così frequente nel cielo di quella regione, oscurò d’un tratto il sole riportandomi alla realtà. Aprii nuovamente la cartina dettagliata della zona e ne regolai l’orientamento con la bussola, purtroppo la vegetazione non mi consentiva di effettuare una triangolazione sfruttando, ad esempio, la cima di una collina o il campanile del vicino villaggio. Stupidamente non mi ero munito di un ricevitore GPS e stavo esplorando quasi alla cieca quella foresta. Insieme alla cartina moderna consultai anche la riproduzione anastatica di una pianta risalente al XVI’ Sec. Tutto sommato non dovevo essere tanto lontano dal punto indicato.

Ripresi il cammino domandandomi se realmente speravo di trovare qualcosa. Mi ero affidato ancora una volta alla parola di quello sconosciuto che m’aveva messo al corrente, fornendomi una mole incredibile di documenti, sulle sue ricerche intorno ad un misterioso amuleto.

Amuleto che ora portavo con me!

Stando a quanto mi era stato riferito avrei dovuto trovare, nel luogo indicato dall’antica mappa, un masso di granito rosa, del tutto fuori luogo in quella regione. Quel macigno doveva avere la forma di un grosso ‘6’ caduto in avanti. In pratica doveva appoggiare in terra sulla parte tonda e sulla punta dell’arco concavo, mostrando alla luce la curva posteriore a formare una grande arco. Le sue dimensioni dovevano essere all’incirca di sei metri di lunghezza per tre di larghezza ed alto almeno un metro e mezzo da terra. Non avrei faticato a trovarlo, se realmente esisteva; il suo colore e le dimensioni non potevano essere celati facilmente.

La sua descrizione mi ricordava qualcosa, specialmente il materiale di cui era composto, ma sul momento non mi si apriva quella finestra che avrebbe consentito alla luce di entrare nella mia mente. Preso da questi pensieri quasi andai a sbattere contro l’oggetto della mia ricerca.

Il masso esisteva!

Esso era adagiato come descritto nei documenti ed il suo colore risaltava colpito in pieno dalla luce solare. Si trovava nel mezzo di una radura, dove per qualche misterioso motivo non crescevano alberi. Osservandolo meglio ricordai dove avevo già visto quel tipo di roccia. La granulosità, il colore dei clasti e quello generato dalla loro unione, la superficie levigata dal continuo impatto con le onde del mare indicavano, senza ombra di dubbio, che proveniva dalla costa di granito rosa nei pressi di Ploumanach’: uno degli angoli incantati della costa armoricana. La distanza del luogo d’origine dalla foresta non era poca, ma quelle terre conoscevano da millenni la passione dell’uomo nell’erigere monumenti megalitici con massi provenienti da luoghi lontani, nulla di strano quindi.

Questo, però, stava a significare che qualcuno aveva portato lì quel masso per un motivo preciso: non ci si sobbarca quella fatica solo per lasciare ai posteri una curiosità! Il problema, ora, era quello di scoprire questo scopo, la vera natura di quella pietra, ed il suo significato.

Chi mi aveva parlato di essa sosteneva di aver visto il passato di quella pietra grazie ad una serie di visioni indotte da uno stato di coscienza alterato dalla meditazione. Purtroppo non mi era mai riuscito di superare le barriere del mio corpo fisico grazie alla meditazione, ancora molto dovevo imparare. Però ‘ conoscevo le proprietà di alcune erbe.

Girai a lungo intorno al masso per studiarlo nei dettagli e fotografarlo da diverse angolazioni, quindi osservai l’ambiente che mi circondava. Il masso stava sopra un lieve innalzamento del terreno, pochi metri sopra il piano della foresta, ai cui piedi scorreva un piccolo rio dalla portata ridotta dalle scarse precipitazioni; poco più in là una serie di massi di medie dimensioni parevano allineati come ad indicare un percorso che mi ripromisi d’esplorare più tardi. Guardai l’ora e decisi di tentare un esperimento, se la natura mi avesse aiutato. Posai vicino al masso lo zaino per sfilare da una tasca il coltello a serramanico con la lama ricurva a mo’ di falcetto, quindi mi dedicai alla ricerca di ciò che speravo di trovare.

Il rio che scorreva pigro a poche decine di metri dal masso poteva ospitare le specie di erbe che mi servivano, discesi sulla sponda più vicina ed iniziai a percorrerla nel verso contrario alla corrente. Pochi passi e trovai uno stupendo esemplare di Colchino, ne controllai lo stato di maturazione e, soddisfatto, aprii il coltello per reciderne alcuni rametti sulla sommità. Mentre tagliavo, prestando molta attenzione a non rovinare il resto della pianta ringraziavo mentalmente la natura per ciò che mi offriva. Terminato, riposi in un sacchetto il frutto della mia raccolta, quindi mi avviai verso il gruppo di rocce che parevano delimitare un sentiero; ai loro piedi avevo notato dei fiorellini gialli e, dentro di me, speravo fossero ciò di cui avevo bisogno. Fui fortunato, la Celidonia trovava nell’umidità del sottobosco il microclima ideale per crescere, colsi quei fiori con lo stesso umile rispetto di prima.

Ora si trattava di preparare la mistura che mi avrebbe concesso di spingere la mia anima oltre il corpo fisico.

In previsione di questa esperienza avevo preparato, secondo le istruzioni del ‘Trattato sulla Quintessenza’ di Jean de la Roquetaillade, una certa quantità di acquavite distillata più volte insieme a dell’oro. Sette volte l’avevo purificata nell’alambicco ottenendone un liquore forte, oltre i settanta gradi alcolici, e puro. Misi in infusione, dopo averli pestati, i fiori della Celidonia e le foglie di Colchino. Dovevo prestare molta attenzione alle dosi ed ai tempi d’infusione, i due vegetali possiedono molte qualità positive, ma hanno anche una forte componente velenosa: un piccolo errore ed il viaggio fuori dal corpo sarebbe durato in eterno.

Mi portai sulla sommità del masso e sedetti incrociando le gambe, dinanzi a me avevo posato il contenitore con la mistura già filtrata. Non avevo dubbi sul mio lavoro, non era la prima volta che maneggiavo quelle erbe, e la Quintessenza d’oro che avevo usato come base mi avrebbe protetto in ogni caso; ciò che temevo era il luogo in cui sarei stato portato.

L’errore più grave &egrave proprio quello di intraprendere un cammino senza sentirsi pronti, &egrave vero che l’umiltà deve sempre accompagnarci, ma quando sei in grado di compiere un impresa, dentro di te lo senti.

Ormai ero giunto sino lì e non potevo tirarmi indietro. Presi con due mani la coppa in legno e bevvi il suo contenuto, quindi aprii la mente.

Subito percepii un forte calore nascere nello stomaco per espandersi in tutto il corpo, ma questo era dovuto all’alto tasso alcolico della mistura; poi la testa iniziò a farsi leggera, se aprivo gli occhi e guardavo intorno a me vedevo la foresta come ripresa da un grandangolo. La mia visuale era dilatata, mi pareva di poter scorgere pure i dettagli del bosco alle mie spalle ma questi erano distorti. Il cielo appariva di un uniforme colore blu e solcato da una scia luminosa che andava da ovest ad est, non riuscivo a scorgere altri dettagli.

Chiusi gli occhi per evitare il senso di nausea che tutto quel movimento stava generando in me, solo quando sentii di aver dominato il fastidio permisi nuovamente al mio sguardo di analizzare il mondo intorno a me. Ora il bosco ed il cielo apparivano normali, tanto che mi domandai se, per caso, non avessi usata troppa prudenza nella preparazione del composto. Un esame più attento, però, mi consentì di notare quelli che non potevano essere definiti soltanto ‘particolari’. Innanzi tutto il masso su cui poggiavo era grigio, nessuna traccia del suo colore rosato, poi il sentiero delimitato dall’allineamento di pietre era ben pulito e libero dai rovi che nel mio tempo lo invadevano.

Forse ero riuscito a spingere la mia coscienza o meglio la parte eterea della mia essenza in un altro tempo!

Improvvisamente vidi una figura, dapprima indistinta, farsi avanti lungo il sentiero segnato dalle pietre. Man mano che s’avvicinava riuscii a scorgerne i dettagli ed i dolci tratti somatici del viso: si trattava di una bellissima giovane donna, dall’età apparente di venti o ventidue anni. Indossava una lunga veste dalla gonna ampia e stretta sul busto in modo da rimarcarne la figura ed evidenziarne il seno. Poteva essere un abito del XII’ o XIII’ sec. L’abbigliamento femminile, allora come oggi, era soggetto a mode che si alternavano ricorrendo più volte nel corso dello stesso secolo.

La giovane raggiunse il masso con passo deciso, poi si guardò intorno e quindi s’appoggiò contro la pietra. Temevo d’essere scorto ma, nonostante la ragazza avesse puntato gli occhi nella mia direzione, non dava segno d’avermi visto.

Non trascorse molto tempo che dal folto della foresta giunse un sommesso rumore di zoccoli battuti sul terreno, il ritmo indicava un cavallo che s’avvicinava con prudenza. La giovane, avendo colto quei segnali si spostò in modo da porre il masso tra se ed il cavaliere in arrivo. Potevo scorgere sul suo viso una strana forma di preoccupazione, non si trattava di paura bensì di un vago timore, forse solo un’inquietudine, che ancora non riuscivo ad identificare. Attese che l’uomo a cavallo fosse ben visibile e riconoscibile prima di uscire allo scoperto.

Il cavaliere non portava armatura o segni nobiliari sulle vesti, indossava abiti che non discordavano con la mia prima valutazione dell’epoca ed era armato di un corto spadino, la bardatura dell’animale appariva pure del tutto anonima. Il fatto di non conoscere con precisione l’anno non mi consentiva d’intuire di più su di lui, se non era in corso alcuna guerra allora quell’uomo avrebbe potuto essere anche di nobile origine ma se una guerra imperversava nel territorio sicuramente non sarebbe andato in giro così poco armato.

La ragazza si fece incontro all’uomo mentre smontava da cavallo.

– Lo hai trovato? ‘ domandò lei con una voce tanto forte e sicura che mi stupì

– L’ho qui con me, ora ve lo mostro!

Dopo queste parole l’uomo rovistò nella bisaccia appesa alla sella ed estrasse una pietra che si rivelò essere il ciondolo che lega tutta questa storia. Lo mostrò alla donna senza lasciarglielo toccare, attese che lei fosse certa si trattasse proprio della pietra cercata poi disse:

– L’ho ritrovata in fondo alla grotta che mi era stata indicata, non &egrave stato facile scendere sin laggiù! Gli uomini del vicino villaggio non ne volevano sapere di accompagnarmi, dicono che sia il maligno in persona ad abitare quell’anfratto! Non le sto a raccontare quanto ho faticato solo per farmi vendere una corda lunga a sufficienza per scendere sin laggiù ‘

– Va bene, ho capito!

Vuoi far salire il compenso, ma più di quello stabilito non ti posso dare ‘ disse lei con un tono arrogante.

– Non voglio più denaro di quanto pattuito!

– Cosa vuoi allora?

– Voglio conoscere il motivo che rende tanto importante questo pezzo di pietra.

Il valore venale &egrave nullo, si tratta di una pietra comune, e non &egrave neppure ben intagliata.

Cosa la rende tanto speciale?

– Questo non ti riguarda. Ti basta il tuo compenso, che prevede anche il tuo silenzio!

– Ho sentito delle voci strane, cose che si raccontano nelle taverne tra cavalieri senza più fortuna. Fantasie forse, ma sono storie molto interessanti.

Si narra che sia stato un inquisitore a far gettare questo sasso in fondo a quella grotta ‘

– Non credo che tu dia realmente ascolto a quelle storie, son dicerie popolari.

La prova della loro mendacità sta proprio nella storia dell’inquisitore ‘ hai mai sentito narrare di uno di loro che abbia agito in questo modo?

Piuttosto avrebbe distrutto la pietra se l’avesse ritenuta un oggetto di un culto pagano.

– Quindi questo &egrave! ‘ affermò l’uomo meravigliato

– Non lasciare che la tua fantasia ti conduca lungo sentieri fuorvianti. ‘ lo incitò lei

– C’&egrave ancora una cosa che ho sentito su questa pietra’ ed ora vorrei sperimentare se &egrave vera

– E quale sarebbe questa storia?

L’uomo s’avvicinò alla ragazza sollevando il braccio che teneva, per il legaccio, il ciondolo; quindi facendolo oscillare davanti al viso della giovane disse:

– Si narra che questa pietra sia in grado di trasformare una casta e pura donzella nella più calda delle baldracche’!

La ragazza non riuscì a trattenere l’ilarità e si mise a ridere smodatamente.

– Ridi pure, ma il prezzo per questa pietra &egrave la tua virtù. ‘ annunciò lui

– La mia virtù la cedo solo a chi mi aggrada e non sarà quella pietra a spingermi tra le tue braccia. ‘ sostenne lei.

L’uomo non le diede ascolto, con una mossa rapida infilò il ciondolo al collo della ragazza, poi fece scivolare le mani sulla schiena e la trasse a se, verso le sue labbra per un bacio lungo e carico di passione.

La giovane non oppose resistenza, anzi rispose al bacio ricambiando la passione dell’uomo. Nella foga dell’amplesso lei era finita con le spalle contro il masso e lì fu trattenuta da lui mentre le sollevava la veste. La ragazza lo lasciò fare, incitandolo con uno sguardo che andava al di là della semplice disponibilità. Ben presto tutto quello svolazzare di vesti infastidì i due, la passione reclamava la carne, la pelle a contatto della pelle. La giovane respinse l’uomo, allontanandolo da se per la distanza di un braccio, poi prese a slacciare i legacci del busto con mosse esperte.

Quando il vestito cadde in terra, lasciandola completamente nuda, l’uomo aveva appena terminato di calare le braghe. La ragazza non attese che lui terminasse di spogliarsi, con movimenti voluttuosi lo trasse a se sin contro la pietra e gli si avvinghiò allacciando le gambe in vita. Tornarono a baciarsi ma era chiaro che l’uomo voleva qualcosa di più delle semplici labbra, le sue mani frugavano il corpo della giovane spingendosi verso il sesso. Premendola contro la roccia l’aveva immobilizzata ed ora cercava un sostegno, una parte sporgente del masso, dove appoggiare il sedere della ragazza che teneva tra le mani. Lei continuava a baciarlo sul collo e sul petto, incurante della sua ricerca, sin che non si aggrappò con forza al collo e spinse con le gambe che teneva allacciate alla sua vita per sollevare il corpo e portare il pube alla giusta altezza. L’uomo intuì subito le sue intenzioni e ritrasse il bacino per permettere al membro di allinearsi con la vulva. I due si mossero all’unisono appena sentirono i loro organi allineati. La ragazza scese e l’uomo spinse. Lei lasciò cadere il capo all’indietro ed allungò le braccia che stringeva sul collo per reclinare la schiena, questa mossa la portò a premere con tutto il suo peso contro il bacino dell’uomo, facendosi penetrare a fondo. Lui dovette arretrare di qualche passo per mantenere l’equilibrio ma resse bene il peso della giovane.

Dalla mia posizione in cima alla pietra potevo osservare dall’alto i due impegnati nel loro amplesso, era una scena molto eccitante per l’animalità che permeava il l’accoppiamento. Era chiaro che sia l’uomo che la ragazza stavano sfogando una voglia repressa da tempo, quello che non capivo era se il desiderio fosse di origine naturale o indotto dal talismano che ora stava al collo della giovane. Ero tentato di controllare lo stato della pietra in mio possesso, molto probabilmente lo stesso talismano indossato dalla giovane e giunto attraverso i secoli sino a me, ma lo avevo lasciato nello zaino ai piedi del masso nella mia epoca. Tornai a concentrare la mia attenzione sui due amanti.

L’uomo iniziava a dare segni di fatica, sostenere la ragazza durante l’accoppiamento era uno sforzo davvero notevole, non tanto per il peso di quel corpo alto ma minuto quanto per il piacere che rendeva instabili le gambe. Vidi il loro ritmo rallentare sino a fermarsi del tutto, quindi l’uomo lasciò dolcemente la presa sui glutei per far scendere la femmina. Lei scivolò giù da lui e lasciò uscire a malincuore il membro dal ventre. Pareva che l’uomo intendesse invitarla a sdraiarsi sui suoi stessi vestiti in terra per proseguire nella più comoda posizione canonica, ma lei si avvicino al masso, proprio sotto la mia posizione, quindi volse le terga all’uomo e inclinò il busto mentre apriva le gambe. Il sedere e la vulva erano esposti all’uomo che, rimasto sbalordito dalla posizione assunta da lei, non si muoveva nonostante il richiamo. Finalmente, un lungo gemito della ragazza lo scosse. Si portò dietro di lei brandendo il membro e la infilò con un deciso colpo di reni. La ragazza, questa volta, urlò il piacere ed unì i suoi movimenti a quelli dell’uomo. Si mossero sempre più veloci, schiavi della frenetica ricerca dell’orgasmo, emettendo dei suoni gutturali quasi animali.

Il viso della ragazza iniziava a testimoniare un piacere sempre più intenso ed incontrollabile, lo si notava anche dai suoi movimenti che perdevano quell’apparenza animale per divenire languidi. La vedevo inspirare a fondo ogni volta che l’uomo entrava in lei per poi espirare lentamente quando usciva, ora non lo seguiva più ma restava ferma lasciando a lui il compito di portarla sino in fondo. L’orgasmo la prese all’improvviso, mentre lui stava uscendo dal suo ventre. La ragazza alzò gli occhi sbarrati al cielo ed aprì la bocca, non respirò e non emise alcun suono per un tempo indefinibile poi la vidi fremere nel piacere. L’uomo riprese a muoversi in lei, molto lentamente sino alla fine delle sue contrazioni, poi parve intenzionato a svuotarsi nel ventre della giovane, ma lei lo fermò.

– Non così’ ti prego!

Lascia che ti restituisca almeno in parte il forte piacere che mi hai dato. ‘ lo pregò lei

La ragazza s’inginocchiò innanzi all’uomo, prese il membro tra le mani e se lo portò alle labbra, quindi sollevò gli occhi per godersi lo sguardo stupito e speranzoso dell’uomo. Quando ingoiò il membro lui ebbe uno spasmo e ritrasse il bacino come per sfuggirle dalla bocca, la ragazza dovette dare fondo a tutto il suo repertorio di leccatine dolci prima di tornare ad inghiottire il pene. Mentre operava su di lui si domandava a cosa fosse dovuta la sua reazione di paura, non poteva credere che nessuna gli avesse mai fatto quello che stava facendo lei!

Non impiegò molto ad estrarre il succo vitale da quel pene, nel preciso istante in cui se lo aspettava ricevette il primo fiotto di sperma in gola, quindi, con l’intenzione di sconvolgerlo definitivamente allontanò la bocca dal membro e lasciò che il resto del seme le inondasse il viso e colasse sulla lingua. L’uomo aveva gli occhi fissi sul viso della ragazza che andava imbrattandosi sempre di più con il suo seme, era eccitato da quella scena ed, allo stesso tempo, spaventato. Mai nessuna donna, nemmeno le professioniste che aveva conosciuto nelle lunghe campagne militari si comportavano in quel modo; essa beveva il seme con la stessa voracità con cui le baldracche di campo ingurgitavano il vino. Aveva sentito parlare, nei suoi lunghi viaggi, di adoratori del maligno che bevevano il sangue mestruale miscelato al seme prima di invocare il loro padrone. In preda a questi pensieri si allontanò di qualche passo da lei per osservarla tormentato dai timori che sentiva nascere dentro di se. Il viso della giovane era l’immagine stessa dell’innocenza, se non fosse per il proprio membro che pendeva esausto in mezzo alle gambe, l’uomo avrebbe potuto ritenerla la più casta delle creature; eppure, durante l’amplesso, si era mossa cercando il piacere come una donna esperta. Il contrasto tra l’innocenza del viso e la sfrontatezza delle sue azioni stavano, di certo, ad indicare un suo coinvolgimento con un qualcosa che non era di questo mondo.

Riflettendo su queste cose l’uomo cercò conferma dei suoi pensieri nella traccia del seme che ancora colava dal viso della giovane. Rapito dal significato erotico di quella scena, seguì un rivolo di sperma sino al seno, come il suo sguardo si spostò sul ciondolo che lui stesso aveva recuperato cacciò un urlo e arretrò sino al cavallo annaspando in cerca di una qualsiasi arma.

La giovane donna era più incuriosita che spaventata da quella reazione e gli domandò:

– Ma che ti succede ora!

Ti ho dato troppo piacere ‘? ‘ disse maliziosamente

– Taci! ‘ urlo lui spaventato

– Ma ‘!

– Taci, donna immonda!

La pietra ‘ la pietra splende di luce propria, la dove il mio seme l’ha sfiorata!

Guarda!

La ragazza abbassò lo sguardo al seno ed osservò il talismano. Effettivamente emetteva una luce bianchissima nei punti dove il seme colato dal viso l’aveva raggiunto. Prese in mano la pietra per osservarla meglio poi disse:

– Sì, riluce della nostra passione. Siamo stati noi a renderle nuovamente la vita! ‘ la giovane parlava in senso metaforico ma l’uomo non comprese.

– Vita! ‘ urlo ‘ Quale vita si può dare ad una pietra?

Tu non sei una donna qualsiasi, tu sei la Prima Prostituta, sei qui per ordine del tuo maligno amante ‘ per ordine del demonio stesso’! – l’uomo era ormai in preda ad una crisi isterica.

– Ma come puoi pensare simili stupidaggini, questa pietra &egrave stata creata proprio per contrastare colui che temi e che io non oso neppure nominare.

– Non m’incanti donna! ‘ disse lui estraendo dal fodero lo spadino ‘ Dammi quella pietra affinché la ricacci nell’inferno dal quale l’ho recuperata!

– Non ci penso neppure!

Tu non conosci il suo potere!

– Mi basta ciò che vedo ora!

Ciò detto l’uomo s’avvicinò minaccioso alla giovane brandendo la spada allo stesso modo di come brandiva il membro poco prima. Giunse a pochi passi da lei e le puntò la lama sul petto, all’altezza del cuore.

– Avanti restituiscimi quella pietra, se vuoi vivere!

La ragazza non disse nulla e non si mosse, allora l’uomo tentò di infilare la lama dello spadino sotto il legaccio che circondava il collo per tagliarlo. In quello stesso momento la giovane si divincolò, cercando forse una via di fuga, ma il masso alle sue spalle le impedì di arretrare, anzi la fece rimbalzare in avanti sino ad urtare la lama tanto violentemente da infilzarsi su di essa.

Lo spadino trafisse il cuore della giovane ed il corpo uscendo dalla schiena, mentre lei si accasciava a terra sfregando con la schiena sul masso, l’uomo la guardava con gli occhi sbarrati, privi del minimo barlume d’intelligenza. Volevo fare qualcosa, ma ogni mio tentativo di muovermi era inutile, ero bloccato in cima al masso ed il mio corpo non rispondeva agli ordini del cervello. Solo in quel momento compresi quanto mi ero distaccato dal mio corpo fisico.

L’uomo estrasse la spada dal corpo della ragazza ormai riverso a terra, quindi infilò in fretta le braghe e montò a cavallo spronandolo in una folle corsa.

Vidi lui allontanarsi nella foresta ed il corpo della giovane privo di vita ai piedi del masso perdere di definizione poco alla volta. Ero conscio che l’effetto delle erbe stava ormai terminando. Per un istante sperai che il ritorno fosse veloce, forse potevo ancora soccorrere la giovane donna! Poi ricordai che almeno sette secoli dividevano il mio tempo dal loro e mi abbandonai allo sconforto.

Usai i pochi attimi che ancora mi rimanevano da trascorrere in quel tempo per prendere mentalmente nota dei particolari. Notai che, nella sua fuga, l’uomo aveva scordato di recuperare il ciondolo, esso pendeva ancora dal collo della ragazza immerso nel sangue che era uscito dalla ferita; aveva perso la luce che tanto aveva spaventato l’uomo e pareva addirittura aver assunto il colore del sangue.

Provai la sensazione di essere preso e strappato da quella realtà, durò solo un istante poi mi ritrovai ancora nello stesso luogo con la ragazza stesa in terra. I dettagli erano tornati nitidi ma sentivo che la mia presenza lì era destinata a durare pochissimo tempo. Improvvisamente una luce, tanto intensa da abbagliarmi, illuminò la zona del masso. Fu come un lampo improvviso!

Quando i miei occhi tornarono a vedere notai la figura di una donna ai margini del campo. Il viso, dai tratti orientaleggianti, era incorniciato da una massa svolazzante di capelli rossi. Era molto alta e slanciata, camminava dimostrando eleganza e sicurezza verso il masso. Raggiunse il corpo esanime della ragazza e s’inginocchiò innanzi ad esso. La vidi compiere strani e complicati gesti con le mani e pronunciare parole sottovoce tanto che non potevo udirla in una lingua che non riconoscevo dal movimento delle sue sensuali labbra. Ad un tratto mi parve di vedere il sangue che imbrattava il corpo della giovane muoversi, non capivo se rifluiva dentro il corpo o se era assorbito dalla pietra, sta di fatto che il corpo martoriato in breve fu ripulito da ogni traccia. Anche la ferita pareva sparita! La donna dai capelli rossi continuava nelle sue invocazioni senza preoccuparsi di ciò che accadeva al corpo della ragazza, imponeva le mani, massaggiava la zona ferita e accarezzava i capelli con una dolcezza incredibile. Quando meno me lo aspettavo la ragazza ferita aprì gli occhi ed ebbe un sussulto nel riconoscere la donna che le stava innanzi, la vidi tentare di sollevarsi ma fu trattenuta in terra dalle sue amorevoli mani. La donna, ormai sicura delle sue condizioni di salute, la ricoprì con il vestito che stava in terra poi le sfilò il ciondolo dal collo. Fece segno alla ragazza di stare tranquilla poi si avvicinò a me, pareva che potesse vedermi tanto i suoi occhi erano fissi sui miei. Il ciondolo che teneva tra le mani non era più trasparente ma rosso opaco, dello stesso colore del sangue. Essa lo posò sul masso a pochi metri da me, quindi prese a ripetere una cantilena di nomi che potei riconoscere questa volta:

– Deydex, Gueylus, Meylus, Demerix, Albimex, Centus, Angaras, Dehetarix, Venere, Neyrgat! Vieni presto con i tuoi spiriti. – ripeteva in continuazione, senza sosta e sempre più veloce.

Erano le invocazioni tratte dal Picatrix, o meglio dal ‘G’yat al-hak’m’, lo stesso libro in cui era descritto il ciondolo, la pietra, che aveva attraversato i secoli.

Non credevo ai miei occhi, poco alla volta quella pietra stava perdendo il colore rosso per tornare trasparente come la conoscevo io. Forse era solo un impressione ma il colore stava colando dalla pietra per diffondersi sul masso, infatti, dopo una decina di minuti il masso era rosa come lo avevo trovato io nel XXI’ sec. e non grigio come mi era apparso in quel tempo.

Al termine la donna ebbe come un mancamento, la vidi cedere sulle gambe per poi riprendersi. Immaginai lo sforzo a cui si era sottoposta per portare a termine le sue operazioni sulla giovane e sulla pietra. Quando si fu ripresa aiutò la ragazza ad alzarsi e a rivestirsi, poi si volse verso di me. Camminò lenta nella mia direzione sino a portarsi sotto il masso a pochi metri da me, ero tentato di parlarle ma non riuscivo ad emettere alcun suono, come i muscoli del corpo quelli della gola erano rimasti nella mia epoca di partenza.

La donna comprese il mio sforzo, ormai era chiaro che mi vedesse. Mi fece cenno di tacere, di non sforzarmi inutilmente, quindi mi indicò con l’indice della mano sinistra una pianticella di Stramonio ai piedi del masso ed indicò il numero tre con la mano destra. Stavo ancora tentando di decifrare quel gesto che mi ritrovai nella mia epoca e nel mio corpo. La prima sensazione che provai fu quella della fame, sentivo lo stomaco spaventosamente vuoto e la gola secca, scesi con difficoltà dal masso, a causa delle gambe anchilosate, per recuperare l’acqua dallo zaino. Bevvi avidamente sentendo il liquido rimbalzare sulle pareti dello stomaco. Non riuscivo a spiegarmi quella sensazione, dopo tutto mi ero preparato con un’abbondante colazione! Controllai l’orologio ma era fermo, allora lo scossi e lui tornò a funzionare. Fu questo primo indizio a mettermi sulla strada giusta: l’orologio a carica automatica aveva quarantotto ore di riserva di carica, non poteva fermarsi prima! Focalizzai, timoroso della verità, lo sguardo sul datario ed, effettivamente, segnava la data avanti di due giorni da quello in cui ero entrato nella foresta. Il telefono lo avevo lasciato nell’automobile ai margini del bosco, sin che non l’avessi raggiunto non potevo sapere che giorno era veramente, speravo solo che la sua batteria avesse mantenuto la carica.

Ero stanco ed affamato, ma la curiosità e la sete di conoscenza era più forte di ogni stimolo corporeo. Raggiunsi il ruscello e mi dissetai, ancora, con la sua acqua, quindi cercai tra la vegetazione qualcosa da magiare, la natura in quei luoghi &egrave generosa, a patto di conoscerne i segreti.

Dopo circa due ore mi trovavo seduto ai piedi del masso con la pancia piena e indeciso sul da farsi mentre giocherellavo con le foglie dello Stramonio che avevo colto. Mi lasciava perplesso il segno fatto dalla donna con lei dita della mano atteggiate ad indicare il numero tre. Sarebbe stato troppo semplice intendere quel segno come l’invito ad usare le tre piante, ovvero Colchino, Celidonia e Stramonio. Conoscevo le proprietà dell’ultima e la temevo più delle altre, troppo potente era il veleno in essa contenuto.

Quel numero tre indicatomi doveva avere un altro significato.

Pensai a quella donna, rivissi mentalmente le sue mosse e mormorai tra me le parole che aveva detto. Più ci pensavo più intendevo di lei: era senza dubbio colei che aveva creato quel ciondolo, troppe cose coincidevano ed assomigliava alla descrizione della donna entrata nei sogni di una delle ‘vittime’ del talismano.

Era Zoara!

Quindi se lei, votata a Venere ed ai riti del Picatrix, m’indicava il numero tre intendeva il suo terzo nome, o meglio il terzo nome di Venere secondo il saggio Picatrix. Nome che ricordavo bene, era il termine Greco con cui veniva chiamata la dea: Admenita o Afrodite.

Afrodite deriva etimologicamente da ‘afros’: schiuma o spuma; tant’&egrave diffusa la leggenda che la vede nata dalla schiuma del mare nei pressi di Cipro. Allora Zoara intendeva indicarmi il metodo di preparazione della nuova mistura. Non solo, il termine Admenita &egrave composto da otto lettere, indi lo Stramonio doveva essere solo l’ottava parte del tutto.

Preparai la nuova miscela, con molta cautela, e la trangugiai tutta in una sola sorsata.

Non accadde nulla.

Il bosco, il masso alle mie spalle rimanevano sempre uguali ed immobili. Il cielo stesso era immutato.

Pensai di aver frainteso l’insegnamento della donna, di aver letto male il segno delle tre dita ed ero pronto a riprovare un’altra via, quando:

– Eccoti!

Hai seguito i miei consigli vedo! ‘ disse una voce alle mie spalle.

Mi voltai lentamente, nel timore d’essere vittima di un’allucinazione uditiva, sino ad inquadrare con lo sguardo la donna dai lunghi capelli rossi. Era splendida nella sua figura slanciata, sottolineata dall’abito di seta leggera spinto contro il corpo dalla brezza. I capelli assumevano la forma di una massa infuocata illuminata dai raggi del sole che li attraversava.

Camminava verso di me lentamente, misurando i passi come per prendere tempo prima di arrivare troppo vicina. Nel frattempo mi studiava come io studiavo lei. Mi pareva di conoscerla da anni, come una vecchia amica, tanto avevo letto di lei. Però percepivo una forza estranea interposta tra di noi, forse era solo un’impressione ma c’era un ‘qualcosa’ che contrastava la positività del nostro incontro. Era una forza ostile, n’ero certo.

– La senti anche tu? ‘ le domandai senza nemmeno salutarla, senza presentarci ‘ non era necessario tra di noi in quel momento, in quel tempo.

– Sì, lo sento!

– &egrave per questo che sono qui? ‘ domandai ancora

– &egrave per questo che siamo tornati qui! ‘ disse lei.

– Qui dove? ‘ le domandai quando era, oramai, a meno di un metro da me

– Non lo vedi? ‘ rispose

– Quando allora?

– Qui il tempo ‘ non ha molta importanza! – affermò illuminandomi con i suoi occhi verdi

Presi tempo per poterla osservare bene e lei mi lasciò fare, quindi la presi per mano e la trassi a me. Sentivo l’irresistibile desiderio di baciarla e non riuscivo a contenerlo.

Le sue labbra si incollarono alle mie e mi ritrovai ad esplorare con la lingua una bocca non sconosciuta. Questa sensazione era avvalorata dalle sensazioni che mi trasmettevano le mani appoggiate in vita: stringevo il suo corpo mentre sentivo di aver già vissuto tutto quanto nei minimi dettagli. Ricordavo quel corpo, il suo modo di muoversi nel bacio, la distanza dai fianchi all’inizio delle costole, la pressione di quel seno sul petto e il modo unico in cui premeva il bacino contro il mio.

La sentivo mia, nonostante non l’avessi mai incontrata prima. La certezza di non averla mai vista vacillava di fronte alla lunga serie di sensazioni note e ritrovate che invadevano la mia mente. La logica mi diceva che quella donna era nata e morta almeno sette secoli prima della mia nascita; la stessa logica mi diceva pure che non potevo abbracciare e baciare una donna di sette secoli più vecchia di me, però lo stavo facendo!

– I tuoi occhi sono spenti, ma pieni di domande. ‘ disse lei

– ‘ &egrave per un motivo preciso che siamo qui, vero? ‘ domandai io

– Sì. Dobbiamo inibire il talismano.

Una volta per tutte e ‘ per sempre!

La pietra era allacciata al mio polso, lì dove l’avevo legata prima di bere la mistura d’erbe. Questa volta mi ero trasferito con tutto il corpo o ‘ lei era venuta nel mio tempo. Slacciai il legaccio e le porsi il talismano; Zoara lo prese tra le mani con un rispetto, per certi versi, mistico.

– &egrave tempo di agire! ‘ affermò lei mentre studiava la pietra in trasparenza ‘ Accendi un fuoco sulla sommità del masso. ‘ mi pregò, infine.

Feci quello che mi era stato chiesto, recuperai sterpaglie e rami secchi nell’intorno della radura e li posizionai sul enorme masso. Il fuoco si sviluppò subito bene consumando la legna sino alla brace. Aiutai la donna a salire sulla roccia con me e stetti a guardare le sue operazioni.

Per prima cosa si posizionò in modo che la brezza portasse il fumo verso di lei, poi estrasse da una saccoccia delle piccole palline scure che gettò sulla brace ed aspirò a pieni polmoni il fumo generato dalla loro combustione. Quindi recitò:

– Ti sia benigno Iddio, o Venere, tu che sei Signora della sorte. Fredda e umida, pura e bella, ben odorata e piacevolmente ornata. Tu che ami l’amore, le feste, gli ornamenti, la bellezza e la raffinatezza e la buona musica ‘

Conoscevo quelle parole. Le ricordavo per averle lette in un libro ma le sentivo ‘suonare’ dentro di me come se le conoscessi da sempre.

– ‘questi sono i tuoi naturali effetti. T’invoco in tutti i tuoi nomi: Zoara in arabo, Venere in latino, Admenita in greco, Anyhyt in fenicio, Sarca in indiano. ‘ lei pronunciava questi nomi con un misto di rispetto e ammirazione, prima di gettarsi a terra rivolta verso il pianeta che portava il nome della dea, disse ancora ‘ Ti scongiuro inoltre per Beytel, l’angelo che sta al tuo fianco per realizzare pienamente le tue forze ed i tuoi effetti.

Ad ogni nome della dea da lei pronunciato sentivo nascere in me una forza, una consapevolezza, mai provata prima di allora. Ero completamente preso da quella cantilena, mi lasciavo permeare dalla musicalità delle parole senza opporre alcuna resistenza. Non sapevo perché dovevo farlo ma sentivo di doverlo fare.

– Oh Venere, Tu che sei così bella, Tu che concedi la virtù della congiunzione d’amore a chi più ti piace tra coloro che ti pregano! Ti supplico per tutti i tuoi Nomi, per la luce che emani e per il firmamento del tuo regno e della tua potenza ‘ riprendi con te la tua essenza lasciata in questa pietra affinché essa ritorni ad essere materia morta e non viva nel tuo nome.

Fu in quel momento che mi venne in mente una nuova cantilena, mentre lei era in procinto di ripetere l’invocazione dall’inizio. Le parole che giravano nella mia testa suonavano in armonia con quelle di Zoara ma il loro tono era diverso. Esse suonavano come: ‘Marech, Baharam, Barit, Hanez, Ebahaze’ e roteavano in continuazione, senza sosta e senza alcuna apparente continuità. Ero schiavo del loro suono e della forza che sentivo nascere da loro in me.

– Contrastalo …ORA! ‘ mi ordinò lei.

Una parte di me sapeva che era la presenza ostile percepita appena arrivai in quel luogo, o tempo, a guidare i miei pensieri, ma non riuscivo a dominarla. Avevo la sensazione di interpretare la parte di qualcuno che già in passato aveva interferito con il rito del talismano, sentivo quella forza oscura lottare per mantenere viva la pietra.

Nulla da fare, per quanto tentassi di spingere la ragione a bloccare la continua ripetizione dei nomi ‘Marech, Baharam, Barit, Hanez, Ebahaze’ essi non si fermavano nella mia mente.

– Lo devi fermare!

Puoi farlo e sai come farlo ‘ muoviti! ‘ la voce della donna era affaticata e preoccupata.

Mi venne in mente ciò che avevo letto sul potere delle parole e sui metodi di controllo. Semplicemente bastava invertirne il suono, la vibrazione così ottenuta avrebbe risuonato nel mondo celeste attivandone le virtù ad essa collegate.

‘Ezahabe, Zanah, Tirab, Marahab, Ceram ‘ Etram!’, ripetei questa frase in continuazione. Subito percepii la forza che si era impadronita di me scemare verso il basso, come se fosse richiamata dalla massa della roccia, poi mi sentii libero da essa e perfettamente padrone delle mie azioni.

– &egrave fatta!

&egrave finita ‘ dopo tutti questi anni ‘ &egrave finita! ‘ disse lei.

– Cosa &egrave finito? ‘ domandai

Lei non mi rispose. Si alzò i piedi nonostante fosse visibilmente stremata e mi abbracciò.

L’aiutai a scendere dal masso e quindi l’adagiai sull’erba, le lasciai il tempo di riprendersi poi le tornai a domandare:

– Cosa &egrave finito?

Cosa abbiamo fatto?

– Il talismano, quella pietra che portavi con te nel tuo tempo, era un errore. Quando lo consacrai a Venere, per aiutare una giovane donna nel mio tempo, qualcosa attirò su di esso l’influenza di Marte. Non ho mai capito cosa fosse accaduto in realtà; sentii subito, però, che qualcosa era andato storto.

– Cosa?

– L’influenza del pianeta della guerra diede una forza inaspettata al talismano. Venere e Marte non possono coesistere nella stessa rappresentazione. L’influenza dei due, la sensualità di una e la brama di potere dell’altro, la femminilità unita alla forza, donavano a chi l’indossava un potere difficilmente controllabile. La donna che possedeva questa pietra sarebbe stata guidata verso una sensualità distruttiva.

– Son passati quasi settecento anni! ‘ dissi.

– Il potere non diminuisce con il tempo, semmai cresce. Esso si nutriva dell’energia sessuale sprigionata dalla donne che lo indossavano durante i loro incontri erotici. Più erano intensi e trasgressivi, questi rapporti ‘ più il talismano accresceva la sua potenza. In un circolo senza fine esso guidava la malcapitata ad avere degli amplessi sempre più fantasiosi per trovare la forza di cui alimentarsi.

Vedi, Venere si nutre dell’amore, Marte no; lui vuole il sangue, la prevaricazione, la violenza. Questa pietra si &egrave nutrita anche di questo nel tempo.

Dovevo fermarla!

– Ora &egrave inerte, mi pare!

– Sì, lo &egrave. Grazie a te che l’hai riportata a me attraverso il tempo.

Ora, però, devi tornare nel tuo mondo e nel tuo tempo. Venendo qua hai chiesto troppo al tuo corpo ed alla tua anima. Non sei pronto per questo!

Zoara si alzò per stringersi a me e mi baciò con passione. Poi, lentamente, lasciò la stretta e si allontanò di un passo senza mai staccare gli occhi dai miei. Volevo dirle tante di quelle cose che non sapevo da dove cominciare, se tentavo di parlare la mia bocca si rifiutava di muoversi. Ero bloccato in ogni movimento quando vidi la sua figura farsi vanescente. Allo stesso tempo il panorama intorno a me cambiava in alcuni particolari, i cespugli si facevano più fitti ed alcuni alberi lasciavano il posto ad altri diversi, più alti o più bassi. L’erba del prato non mostrava sostanziali mutazioni, solo i fiori denunciavano qualche cambiamento. Quando tutto si fermò lei era sparita.

Mi sentivo estremamente debole e dolorante, ogni singolo muscolo del corpo testimoniava la sua presenza con delle fitte. Scoprii in quel momento di avere dei muscoli che nemmeno sospettavo potessero esistere, questa era una conoscenza, una gnosi, di cui avrei fatto volentieri a meno. Decisi di riposarmi un po’ prima di riprendere il cammino verso l’uscita della foresta, come prima cercai tra la vegetazione qualcosa di cui nutrirmi, quindi mi assopii all’ombra del grande masso. Doveva essere primo mattino a giudicare dalla posizione del sole, tanto per cambiare l’orologio si era fermato. Quando mi svegliai, rinfrancato, era l’ora del tramonto. Giudicai dall’altezza dell’astro di avere ancora due ore di luce, l’automobile distava circa un ora di marcia e non me la sentivo di passare un’altra notte a dormire sull’erba, quindi m’incamminai.

Non ebbi alcuna difficoltà nel ritrovare la strada, pareva che ogni ostacolo fosse stato rimosso dal mio cammino in modo da formare un sentiero, non segnato, ma inconfondibile. Ero giunto in meno di mezz’ora alla meta, non mi domandai come fosse possibile ma apprezzai la possibilità di raggiungere la più presto un hotel ed un ristorante, quando sentii una voce alle mie spalle.

– Ciao! ‘ disse una voce femminile ‘ Questo bosco &egrave più complesso di quanto ricordassi ‘ mi dai una mano ad uscirne?

Mi voltai lentamente, avevo riconosciuto quella voce ma temevo di rompere un sogno quando avessi visto che non era di chi speravo. Subito non vidi bene i dettagli della figura che s’avvicinava a me, la luce era poca ormai. La donna si avvicinò ancora, indossava un lungo vestito, di foggia moderna, bianco ed immacolato. Subito pensai che non era certo l’abbigliamento ideale per esplorare un bosco, poi lei sciolse il nastro che legava i capelli ed il suo viso si contornò di una massa rossa in movimento continuo. Con il cuore in fibrillazione mi avvicinai a lei e finalmente riconobbi i suoi occhi.

– Zoara? ‘ riuscii solo a dire

– Così pare!

– Ma ‘?

– Ho detto che tu non eri pronto per restare nel mio tempo ‘ non ho mai detto che io non potessi raggiungere il tuo!

Aspettai che mi raggiungesse poi l’abbracciai con forza e la strinsi sino a toglierle il respiro. Ancora una volta avevo coscienza di aver già abbracciato a lungo quel corpo e di averlo amato con la donna che conteneva.

– Ho come la sensazione di aver già vissuto tutto questo, ma non ricordo quando. ‘ dissi

– Lo abbiamo già vissuto, &egrave vero, solo che tu ne hai perso la memoria.

– Quando?

– Tanto tempo fa ‘ mi riferisco al tuo tempo, ovviamente.

Non puoi ricordare, non si conserva la memoria delle vite precedenti. Posso solo dirti che già ci siamo amati ‘ ‘magister’!

Leave a Reply