Skip to main content
Racconti erotici sull'Incesto

Ruolo obbligato

By 26 Aprile 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

E’ interessante soffermarsi un momento a considerare ‘come’ ci comportiamo e, logicamente, come si comportano gli altri.
Comportamento, cio&egrave condotta, contegno, modo di fare e di agire.
Seguiamo sempre ciò che &egrave spontaneo, semplice, che ci &egrave dettato dalla natura?
O siamo schiavi di usi, consuetudini, limiti che ci obbligano a sostenere una parte, un ruolo che non ci &egrave congeniale?
Se sosteniamo una parte, cio&egrave fingiamo di essere, siamo ipocriti, perché hypokrìnesthai (hypocrìnesthai) significa proprio sostenere una parte, un ruolo obbligato!
Non &egrave facile farmi intendere.
Io sono effettivamente ciò che indica il mio ruolo, la mia posizione nella società, nella famiglia, ma non riesco a seguire il copione, non ne comprendo i limiti di azione, di comportamento.
Cerco di fare un esempio.
Il mio ruolo &egrave quello di madre.
Sul copione &egrave scritto: Mary, la madre, quindi io, si avvicina al tavolo, vede una rivista con dei nudi maschili, scuote la testa, la straccia, la butta nel cestino.
A me quel comportamento non convince, non mi &egrave congeniale.
Perché io mi avvicino al tavolo, vedo una rivista con nudi maschili’ la prendo, mi vado a sedere in poltrona, la sfoglio, interessata, osservo golosamente quei fusti appetitosi, mi soffermo sui loro poderosi sessi, faccio mentalmente qualche paragone, mi porto una mano tra le gambe, e mi accarezzo languidamente.
Tutto qui.

La rivista non era sul tavolo, ma nel cassetto della scrivania.
Il titolo: ‘Jewels for women’.
La foto: un bellissimo ragazzo, nudo. Niente di volgare.
La poggio sul ripiano, la apro.
Nella terza pagina, ben in grande, un modello fantastico.
Mi devo sedere.
Sbigottita.
Ma questo &egrave Giorgio, mio figlio!
Si. E’ lui.
Il suo tatuaggio sul braccio sinistro, all’altezza della spalla. Mi ci arrabbiai appena lo fece, ma mi assicurò che era del tipo che si cancella facilmente.
Il suo sguardo, il suo atteggiamento del volto.
E’ signore’ il suo vigoroso pisellone, bene in evidenza.
In effetti, era la prima volta che potevo ammirarlo così attentamente. Di solito lo scorgevo di sfuggita, quando lui usciva dalla doccia in accappatoio, o in altre casuali occasioni.
Perbacco, se era dotato, Giorgio.
Presi la lente di ingrandimento, mi soffermai ad osservarlo millimetro per millimetro.
Mi sorpresi a carezzarlo, con dita tremanti.
Specie là.
Ero rimasta seduta, e cominciavo ad agitarmi, a risalire a piccoli episodi, staccati, verificatisi nel tempo. Insignificanti, forse, se presi singolarmente, ma indicativi di un certo ‘fil rouge’ che andava srotolandosi in me e che aggiungeva al tradizionale ruolo di madre, peraltro scrupolosamente osservato, quello di donna, di femmina, non insensibile a tutte le sollecitazioni della natura.
Cercai di uscire da quella spirale che stava stringendomi.
Rimisi tutto nel cassetto, chiusi accuratamente.
Finii di rassettare.
Andai nella mia camera.
Mi guardai allo specchio: di fronte, di fianco, mi giravo per controllare anche la schiena. Stringevo il vestito.
Poi lo sbottonai, lo tolsi.
Rimasi in perizoma e reggiseno.
Meditando, considerando.
Mi liberai anche di quegli ultimi piccoli indumenti.
Forse ero presuntuosa, ma niente male per i miei quasi quaranta anni.
Un corpicino molto ben tenuto, sodo.
Le mie tette a globo, come le aveva definite la mia ginecologa, stavano perfettamente su, rigogliose ma non sproporzionate.
Ventre piatto, senza smagliature.
Un fondo schiena che faceva perfetto pendant col seno.
Belle natiche, consistenti e sostenute, tondeggianti, con una perfetta divisione.
Del resto, per questo indossavo, normalmente, il perizoma.
Il triangolo nero e riccioluto del pube testimoniava la mia riluttanza ad eccessive depilazioni. Capivo quella delle ascelle, anche per motivi estetici, ma esibire un sesso glabro, rasato, mi faceva quasi schifo. Era così bello quel boschetto misterioso che mostrava e non mostrava. Per me era una perfetta cornice che impreziosiva qualcosa già di per sé stessa costituente una fonte meravigliosa di vita e di piacere.
Il boschetto che avrebbe accolto Cappuccetto Rosso, e lo avrebbe gelosamente custodito, e poi deliziosamente divorato, come una lupa affamata e ingorda.
Già, deve essere per questo che si dice ‘allupata’!
Sentivo contrarsi il grembo, le pareti della vagina, le natiche, rivedendo nella mente il Cappuccetto Rosso di Giorgio.
Spingevo in avanti il petto, glielo porgevo perché mi facesse riprovare i brividi, i fremiti, che mi aveva dato il suo succhiare vorace.
E stringevo le tette nell’ingannevole sensazione che il suo lungo e duro pisellone trovasse caldo e fremente rifugio tra esse.
Mentre mi rivestivo, pigramente, ripensavo alle notti che mi svegliavo, agitata, sudata, bocconi, col bacino inquieto che strusciava sul lenzuolo alla ricerca di quella poderosa bitta di carne alla quale potersi attraccare, porto agognato.
Piero, mio marito, farfugliava qualcosa nel sonno, mi chiedeva cosa avessi, e dava la colpa di tutto a un po’ di indigestione,
Invece era fame!
Da quando avevo cominciato a pensare a Giorgio come a un maschio vigoroso, e la foto me lo aveva confermato, c’era un senso di insoddisfazione in me.
Con Piero avevo avuto quasi sempre piacevoli rapporti, cercando di allontanarli dalla monotonia ripetitiva della routine.
Adesso, invece, tutto era diverso.
Lui si dava da fare.
Cercava in ogni modo di appagarmi.
Il fatto era che, pur cambiando modalità di accoppiamento, non riuscivo più a godere, ad avere orgasmi.
Lo sentivo adoperarsi diligentemente, ma lui sgocciolava in me il suo seme ed io rimanevo con l’amaro dell’incompletezza.
^^^
La saggezza mi suggeriva di scacciare simili pensieri da me.
L’istinto, la natura, invece, acuivano la mente che cercava di escogitare il come non soffocare l’impulso naturale, come fargli raggiungere la m&egraveta sempre più bramata.
Non riuscivo a comprendere cosa Giorgio pensasse di me, come donna.
A volte mi abbracciava, anche con trasporto.
Mi carezzava, teneramente,
Specie se ero con le scarpe basse, i miei 166 centimetri d’altezza facevano sì che il suo bel pisellone premesse sulla mia pancia, considerato che era più alto di me di ben ventiquattro centimetri.
Io lo avrei voluto sentire tra le gambe.
Mi strusciavo a lui, con le tette.
Non era sufficiente.
Avrei volentieri preso delle inequivocabili iniziative, ma c’era pur sempre un certo ritegno che me lo impediva.
^^^
Venerdì.
Piero, come di consueto, in ospedale, e quasi sempre in sala operatoria dal primo mattino.
Era la mia giornata di riposo compensativo.
Rosetta era fuori per le compere.
Giorgio non aveva lezione, all’università.
Era seduto, in pantaloncini e sandali sulla sedia, nella sua camera-studio, e stava leggendo un periodico.
Con la scusa di portargli un cappuccino, come a lui piaceva, entrai con tazza e piattino, indossando la mia solita leggera vestaglia sulla ridottissima biancheria intima.
Poggiai il tutto sul tavolo.
Mi avvicinai a lui.
Abbassò la rivista, mi guardò. Sorridendo.
‘Cosa leggi di bello?’
‘Una rivista sui computers.’
‘Fa vedere.’
Così dicendo, mi misi sulle sue ginocchia’ a cavalluccio’ con le gambe larghe’
Lo guardai quasi con complicità.
‘Adesso &egrave la mamma che sta sulle tue ginocchia.
Ti ricordi quando ti facevo fare ‘trucci’ trucci’ cavallucci’?’
‘E come mamma. Era bello. Mi facevi balzare sulle tue ginocchia’ così”
Prese a farmi saltellare sulle sue gambe.
Le mie natiche si alzavano, ricadevano piacevolmente sulle sue cosce, sempre più dilatate. Il movimento mi faceva scivolare verso lui. Il gonfiore evidente del suo sesso s’era intrufolato tra le mie gambe, batteva tra le mie grandi labbra, e sentivo che qualcosa di tiepido stava stillando dalla mia vagina.
Giorgio mi guardava, sorridendo, e seguitava.
Ero certa che s’era accorta della mia eccitazione, come io della sua.
Ad un certo momento fui io a sussurrargli qualcosa.
‘Basta, bambino, mi viene l’affanno.’
Fu istintivo stringermi a lui, con le tette sotto il suo naso.
Mi teneva stretta, con le mani sotto le mie natiche.
‘Ma’, posso farti una domanda?’
‘Certo”
‘Ma tu’ sei’ siliconata?’
‘Come ti vengono in mente certe idee, Giorgio. Non ho mai avuto bisogno di simili accorgimenti. Io sono per rispettare la natura, al massimo. Niente silicone, niente cosmesi inutili, o barbare depilazioni al di là di quello che il buon gusto richiede.’
Lo guardai tra il serio e lo scherzoso.
‘Scusa, ma’, ma le tue tette sono portentose’ per forma e consistenza”
E nel dir così vi affondò il volto, le baciò.
Le mani, intanto, stringevano le chiappe.
Il pisellone s’era bene assestato tra le mie grandi labbra.
Decisi di farla finita.
Mi allontanai.
Il gonfiore dei pantaloni recava traccia della mia linfa.
Lo carezzai appena.
Tornai nella mia camera.
Giorgio, dunque, apprezzava le mie tette e non disdegnava il culetto, mentre mi aveva gratificata di una lunga voluttuosa carezza tra le gambe, col suo battaglio vivente.
Un batocchio che avrebbe fatto suonare a festa qualunque campana, anche la più incrinata.
Quello che avevo sperimentato, mi faceva decisamente accantonare ogni saggezza.
^^^
Sabato.
Giorno dedicato allo sport, al relax.
L’abitudine non ci faceva indulgere tra le coltri, specie quando cominciava a far caldo.
Sveglia e colazione più o meno alla stessa ora degli altri giorni.
Rosetta, la colf, si sbrigava rapidamente, per le dieci aveva finito tutto e se ne andava al paese, per tornare la domenica sera o il lunedì mattina.
Piero e Giorgio, abitualmente, avevano il campo di tennis dalle nove alle undici.
Io li raggiungevo al Club, pranzavamo insieme, lì, qualche chiacchiera e poi si decideva per il pomeriggio. Sempre che Piero non dovesse fare un salto in ospedale per accertarsi dei decorsi post operatori.
Quella mattina Giorgio accusò una lieve dolenza al malleolo.
Tanto Piero che io lo visitammo accuratamente.
Un po’ di dolore al tatto, ma non mostrava nessun segno di ematoma o gonfiore.
Comunque, decise di restare a casa.
Piero, certo, avrebbe trovato un compagno, al tennis, per un po’ di allenamento.
Giorgio assicurò che era cosa trascurabile e che mi avrebbe accompagnato per il pranzo, magari un po’ più tardi.
Dopo colazione, facendo strisciare appena il piede, se ne tornò in camera sua, rimase in vestaglia, si mise a sedere sulla sua sedia preferita, a leggere un libro sulle più recenti esplorazioni del cosmo.
Decisi di rifarmi la camera.
Una rapida doccia.
E un po’ di libertà.
Finestre spalancate, aria, luce, e un leggero vestitino di cotone scuro, di quelli abbottonati davanti e appena stretti in vita, sulla pelle nuda.
Era più presto del solito quando Rosetta disse di aver finito e che, se non c’era niente altro da fare, se ne sarebbe andata.
Salutò.
Si sentì chiudere l’uscio di casa.

‘Mamma’ mammaaaa!’
Giorgio mi chiamava.
Mi affacciai alla sua porta.
‘Cosa c’&egrave, tesoro?’
‘Vieni?’ Facciamo ‘cavallucci’?’
Sentii il volto avvampare violentemente, e un nodo serrarmi la gola.
Il grembo sussultava.
Dovetti sorreggermi allo stipite, perché le gambe si piegavano.
Giorgio mi tese la mano.
‘Dai, mamma’ vieni!’
Mi avvicinai, esitando, insicura.
Mi prese la mano, mi attirò a se.
Ero di nuovo a cavalcioni, come faceva lui con me, da bambino.
Non notai che aveva fatto qualche movimento con l’altra mano, ma sentii che le mie natiche nude, sotto il vestito che s’era alzato fin quasi all’inguine, erano carezzate dalle sue muscolose e pelose cosce.
Per un attimo, un solo veloce, infinitesimo attimo, pensai di alzarmi, fuggire. Invece strusciai su quell’incantevole tepore, e mi ritrovai con le gambe aperte sul suo pube, dal quale si levava il monumento del suo sesso che s’intrufolò, lesto, tra le mie natiche. Mi sembrava d’essere a cavallo d’un boma.
Giorgio mi attirò ancora di più a sé.
Sentivo quel pennone bollente che pulsava violentemente, e la mia vagina contrarsi spasmodicamente.
Con calma, mi sbottonò il vestito, si chinò a baciarmi una tetta, poi l’altra. A ciucciare i capezzoli. Dapprima delicatamente, poi sempre più vigorosamente.
Avevo perduto ogni controllo di me.
Ogni tanto allungavo la mano per afferrargli il fallo e farmi penetrare, ma poi la allontanavo.
Quel succhiare e quel contatto erano eccitanti, cominciavo a godere, sentivo che da un momento all’altro sarei stata travolta da qualcosa di incontenibile.
Tenendomi per le natiche, si alzò, si avvicinò al letto, mi adagiò sopra, allargò ancora di più le mie gambe, puntò decisamente il glande tra le piccole labbra, entrò energicamente, fin quando non incontrò il fondo del mio sesso.
Non ricordo chi fosse il più appassionato nel dimenarsi.
Quello, si, che significava ‘sbattere’.
Come forsennati, frenetici, passionali.
C’eravamo solo noi in quel momento, e l’incontro turbinoso dei nostri sessi.
Non immaginavo che una fichetta come la mia avrebbe potuto accogliere quella sorte di manganello vivente.
Pensiero stupido.
Da lì era venuto al mondo quel ragazzone che ora mi stava riempiendo di sé, mi faceva godere orgasmi impensati, mi inondava del suo straripante seme che s’era sparso in me.
E lui seguitava.
Io stavo perdendo i sensi.
Giorgio attenuò il suo stantuffare.
Mi liberò da ogni sgualcito residuo di vestito.
Mi stese.
Si mise a cavallo a me.
Sul petto.
Col suo pisellone, rorido ed ancora gagliardo, tra le mie tette che sembrarono improvvisamente ingrossarsi a quel contatto.
Lui prese un po’ del liquido che gli avvolgeva il fallo, e ne cosparse i capezzoli, li titillò, li strizzò.
Ogni stretta si ripercuoteva nel mio grembo.
Sentivo che gli piaceva.
E piaceva anche a me.
Presi le tette tra le mie mani e le mossi perché carezzassero dolcemente il batacchio di Giorgio.
Cominciò a guardarmi con aria sempre più incantata.
D’un tratto sentii coprirmi il petto, la gola, tutto, del suo caldo seme che sgorgava su me.
Si gettò supino, con braccia e gambe aperte.
In effetti era stato più bello, ma molto più bello di quello che immaginavo.
Mi sdraiai sulla pancia, mi coprii alla meglio col lenzuolo,
Ero stanca, disfatta.
Mi assopii.
Non so quanto dormii.
Fui svegliata da ciò che capitava alle mie natiche.
Sentivo baciarle, mordicchiarle.
Qualche cosa s’inseriva tra esse.
Non capii subito di cosa si trattasse perché andava delicatamente dalla vulva, lungo il perineo, fino alla schiena. Poi tornava indietro, si soffermava curiosa sul buchetto, lo tentava, proseguiva.
Non era certamente il fallo di Giorgio, perché ne avrei riconosciuto il calibro.
Ecco, ora erano due mani, le riconoscevo, che mi dilatavano gentilmente le chiappe, e quello che mi lambiva era tepido, delicato, guizzante, variabile.
Picchierellava, appuntito, il buchetto. Lo bagnava. Passava oltre. S’intrufolava tra le grandi labbra, titillava il clitoride, si trasformava, si allargava, come una spatola vivente, ripassava sul buchetto, vi depositava una sostanza scivolosa, la spargeva piano facendone entrare un po’, spingendola dentro.
Era la lingua di Giorgio, un linguone in proporzione a tutto il resto.
Andò avanti così per un po’.
Sempre più insistente e indiscreto.
La lingua ritornava ad essere un cuneo vibrante, e si insinuava.
La mano di Giorgio, infilatasi sotto la mia pancia, mi carezzava i riccioli, il clitoride, e le dita entravano in me, alla ricerca del punto dove maggiore procuravano il piacere. Lo trovavano, vi insistevano.
L’altra, aveva ghermito una tetta, la impastava, strizzava il capezzolo.
Il mio sedere sobbalzava, sempre più incontrollabile.
La lingua, quelle mani’..
Giorgio si mise supino. Mi sollevò come una piuma, con dolcezza, pose le sue manone sotto il mio sedere, curando di tenere ben distanziati i glutei, e poggiò il mio buchetto sul suo svettante pilone.
Mi abbassò lentamente, molto lentamente, entrando in me.
In effetti provai un po’ di fastidio, quando sentii penetrarmi da quel siluro insaziabile. Ma, a mano a mano che mi invadeva, sentivo che il piacere mi assaliva, si trasmetteva alla vagina, a tutto il corpo.
Sedetti completamente su di lui.
Incredibile, era entrato tutto.
E mi piaceva.
Anzi, cominciai a muovermi, piano, più in fretta.
Le sue mani, lasciate le chiappe, erano tornate a entrare tra le piccole labbra, a strizzarmi le tette.
Conobbi troppo presto l’orgasmo, ma Giorgio, infaticabile, mi lasciò tutto il tempo per averne ancora, e sentivo il desiderio di stritolarlo in me, quando avvertii la voluttuosa eruzione del suo seme.
Stringevo le natiche, lo strizzavo, avrei voluto staccarlo da lui e tenerlo in me, per sempre.
^^^
Arrivammo tardi al Club.
Mi sentivo scomoda su quella poltrona. Non riuscivo a stare ferma.
Meno male che ero ricorsa alle dovute precauzioni, perché sentivo che il mio sfintere, dietro, non riusciva a trattenere qualcosa di tiepido che colava.
Piero mi guardava continuamente. Si rivolse a me, gentilmente.
‘Cosa ti succede, cara, ti muovi continuamente, hai una strana espressione, come incantata, quasi fossi in preda a un ipnotico.’
Giorgio s’intromise affettuosamente.
‘Colpa mia, pa’. Le ho fatto assaggiare qualcosa che evidentemente l’ha scombussolata.’
Piero sorrise. Credette di fare una battuta.
‘Stupefacente?’
Lo guardai, con aria annoiata.
‘Si, Piero, stupefacente!’
^^^ ^^^ ^^^

Leave a Reply