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Racconti erotici sull'Incesto

Sogno incompreso

By 9 Ottobre 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

Stando a Freud, il sogno non é l’inconscio e basta, ma é solo una delle sue manifestazioni, la quale, se opportunamente interpretata, permette di accedere ai contenuti repressi e al modo di lavorare dell’inconscio stesso.
Il sogno infatti non é un fenomeno arbitrario e casuale, che esula totalmente dalla logica, bensì é il risultato di un lavoro dell’inconscio, che lavora secondo una propria logica, diversa da quella della vita conscia che noi conosciamo. Freud prende le mosse dalla consapevolezza che il sogno ha un significato, al di là della sua apparente assurdità, e tale significato &egrave inconscio.
Tutti i sogni hanno la loro sorgente in alcunché che &egrave presente nella mente o nel cuore del sognatore.
Ho cercato di capirci qualche cosa, ma sono sempre al punto di partenza.
Volevo comprendere il ‘perché’ di quel sogno, cio&egrave ho tentato, come si dice, di ‘interpretarlo’.
Tempo sprecato.
Ho pensato, allora, di raccontarvelo, così qualcuno di voi, spero, potrà venirmi in aiuto, illuminarmi. Spiegarmelo.
^^^
Mi sembrava di aggirarmi nella nebbia, dove tutti i suoni sono ovattati, e ti aggiri senza sapere bene dove vai, senza riconoscere la gente.
Poi, lentamente, un lontano chiarore.
La nebbia va lentamente, molto lentamente, dissolvendosi. Scorgo una sagoma confusa, indistinta, lontana. A mano a mano che si avvicina comincia a distinguersi la silhouette d’un essere umano. E’ una donna’ si approssima sempre più’ la nebbia scompare quasi del tutto. Cammina con leggerezza, come se non toccasse il suolo. Prende sempre più forma, &egrave quasi nitida’ &egrave nitida’ mi viene incontro, con le braccia tese, mi sorride’ E’ Anna’ &egrave Anna’
Poi mi sono svegliato.
Confusamente.
Ho messo del tempo per riuscire a schiarire le idee.
Anna!
Quanto tempo &egrave trascorso. Tantissimi anni!
Ero in albergo, a Milano. Telefonai a casa per il quotidiano saluto della sera, prima di andare a riposare.
‘Sai’ ‘mi dissero- ‘Anna &egrave in clinica.’
‘In clinica?’
‘Si, &egrave stata ricoverata d’urgenza, ieri notte. Un malore improvviso.’
‘Come sta?’
‘Mah!’
Tutto finì lì.
Non poteva trattarsi di qualcosa di grave. Anna era giovane, aveva un paio d’anni meno di me. Forte robusta, allegra’
Proprio come nel sogno.
Ero sdraiato sul letto, gli occhi al soffitto.
Mi sembrava di sdoppiarmi, di uscire dal mio corpo’
Ero nel giardino della casa di Anna, dove da sempre, ogni anno mi recavo a trascorrere qualche giorno, durante le vacanze. Ci andavamo a sedere, fin da quando eravamo bambini, sulla panca verde, dinanzi alla spalliera di camelie, di fronte alla pianta di acacie, che emanava un profumo inebriante. Sfogliavamo un album, ci raccontavamo qualche cosa.
Quell’anno, quando ci incontrammo, ci guardammo in un modo diverso dalla altre volte. Anche l’abbraccio fu diverso. Molto diverso. La strinsi a me, con grande piacere.
Era cambiata Anna.
Era una donna.
Io avevo, finalmente, superato lo scoglio della maturità (allora era veramente uno ostacolo sommerso). Lei era stata promossa.
Andammo sulla nostra panca, tenendoci per mano.
I tratti del volto di Anna erano alquanto marcati, avevano un ché di esotico. Ora più che mai. E questo mi aveva sempre colpito.
Era una bella ragazza. Alta, almeno uno e settanta, bene in carne, ma non grassa. Aveva un personale sodo, come la pietra. Seno e fianchi erano prosperosi, ma garbati, proporzionati.
Nell’abbracciarla avevo sentito il ‘sodo’ del suo petto florido e rotondo. Come se avessero diviso in due una noce di cocco, e l’avessero posta là’ e sopra due dolcissimi datteri.
Le avevo messo le mani sulle natiche, appena prominenti. Potevi palparle quanto volevi, non cedevano d’un millimetro.
Ero certo che Anna aveva notato la diversità, la particolarità del mio abbraccio; aveva compreso l’interesse della mia lunga stretta, di quella specie di carezza sensuale ai magnifici glutei, e credo che non fosse rimasta sensibile. Anzi non lo fu affatto, e me lo disse con quel bacio che poco o nulla aveva dell’affetto tra cugini.
Il passato s’era trasformato in qualcosa di nuovo. Molto bella.
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Avevo sognato Anna, dopo tanti anni.
Anna stava male, nel letto di una clinica.
Ero allarmato, preoccupato.
C’era stato qualcosa tra me e Anna. Non qualcosa. Molto, moltissimo, tutto!
Cercavamo di nascondere il sentimento che ci andava legando sempre più. Non una passione travolgente, ma come lo svolgersi di un racconto già scritto.
Ogni giorno, quell’anno, qualche pagina.
Tenerezza, dolcezza, certo, ma anche attrazione irresistibile.
Sentire la fresca saldezza del suo corpo splendido mi inebriava.
Non più di qualche bacio, qualche carezza, anche audace, ma sempre col timore che ci vedesse qualcuno.
Malgrado tutto, i parenti andavano intuendo cosa stava avvenendo, e ci guardavano con sempre maggiore insistenza.
Evidentemente ne avevano parlato tra loro.
Mio zio, notavo, non sapeva se trattarmi con maggiore affetto o con diffidenza.
L’essere cugini ammetteva una certa affettuosa confidenza, ma loro s’erano accorti che c’era di più. Il dubbio forse era: amore o semplice attrazione fisica tra due giovani sani e forti?
Venne a pranzo Monsignor Francesco, per me pro-zio perché fratello di mio nonno, e arciprete della Cattedrale.
Dopo pranzo mi chiese di accompagnarlo in giardino, voleva fare una tiratina di pipa e dirmi qualcosa. Si diresse alla panca dove spesso stavamo Anna ed io.
Sedemmo. Prese la pipa, la raschiò bene, la batté sul palmo della mano; dalla tasca trasse la sacchetta del tabacco, quello tagliato fino, color biondo scuro, che viene chiamato ‘la barba del sultano’; lo pigiò nella pipa, strofinò uno zolfanello su una pietra lì accanto, accese, tirò, fece uscire il fumo dalla bocca e dal naso; sputò dietro la panca.
Mi guardò.
‘Allora, giovanotto, &egrave questo il sedile dove venite tu e Anna?’
Decisione immediata di rispondere schiettamente, apertamente.
‘Si Monsignore”
‘Chiamami zio, se vuoi. In effetti lo sono di tuo padre. Ma andiamo avanti.
Vi volete bene?’
‘Si Monsignor zio.’
‘Non &egrave che si tratta di una infatuazione’ anzi voglio essere chiaro’ senza mezzi termini’ non &egrave che prevale l’attrazione sessuale? Del resto &egrave normale che un uomo e una donna, giovani, sani, non brutti, si attraggano’ sono fatti l’uno per l’altro. Eh?’
‘Io voglio bene a Anna, e sto bene con lei. Certo che mi piace’!’
‘E allora, giovanotto: tolta la voglia’ tanti saluti e grazie?’
‘No.’
‘Ma la voglia, non nasconderlo, tu ce l’hai. Ed anche lei da quello che so. Voi state scherzando col fuoco, non pensate alle conseguenza di una’ diciamo così’ ragazzata! Allora, ce l’hai la voglia?’
Annuii, in silenzio.
‘E fin dove siete arrivati.’
‘Non abbiamo fatto niente, Monsignor zio.’
‘E state attenti a non farlo.
Tu sei cristiano, cattolico, e sai benissimo che certe cose si fanno solo tra marito e moglie, quindi dopo sposati. Capito? Dopo sposati.’
‘Ma noi siamo cugini, figli di fratelli, quelli che qui si chiamano ‘fratelli-cugini’, potremmo sposarci?’
‘Certo, basta una dispensa canonica.’
‘Ah!’
‘Hai capito, giovane. Comportati bene e rispetta la ragazza e la casa che ti ospita. Va, adesso, dalla tua Anna, e ricordati quello che ti ho detto.’
Mi alzai, gli baciai la mano, e mi allontanai, alquanto confuso.
Anna era dall’altra parte dell’edificio, nel cortile. Quello col pozzo. Seduta sulla grossa pietra che una volta era stata un capitello.
Andai a sedere vicino a lei, le presi la mano.
Guardava per terra. Non alzò la testa.
‘Allora, Piero, lo ha detto anche a te?”
‘Si.’
‘Cosa pensi di fare?’
‘Penso che ti amo pazzamente.’
Si voltò verso me, con occhi pieni di pianto ma felici. Sorridente, radiosa. Il suo volto aveva perduto ogni accentuazione dei tratti. Era bellissima. Mi attraeva irresistibilmente e, dopo la chiacchierata dei Monsignor zio, in modo più sensuale che mai. La desideravo, volevo lei, il suo grembo’ entrare in lei. Sentivo che quella era la suprema completezza di tutto. La perfezione.
Ci trovammo abbracciati, avvinghiati, quasi a formare un tutt’uno.
‘Ti adoro Piero.’
‘Ti voglio, Anna.’
Sentii che vibrava tra le mie braccia. Il suo ventre aderiva al mio come una ventosa, mi attirava, mi assorbiva in lei’
‘Non possiamo, Piero, non dobbiamo’ anche io ti desidero, ma”
‘Credi che tutto debba naufragare per un ‘ma’?’
‘No, tesoro, no’ pensiamoci’ stiamo vicini’ baciamoci carezziamoci”
Da allora le nostre dita furono più desiderose di conoscere, più piene di pretese. Andavamo a mano a mano scoprendo i nostri corpi, meravigliosamente, stupendamente. I nostri corpi, non il corpo d’una femmina, d’un maschio. Quelli sapevamo bene come erano fatti, ma ognuno voleva esplorare le particolarità dell’altro. Chiudevamo gli occhi e ci carezzavamo, toccavamo.
Eravamo alla ricerca di luoghi appartati. Posto preferito, che cercavamo di guadagnare senza farci scorgere da nessuno, e raggiungevamo mentre agli altri dicevamo che andavamo a fare un giretto in paese, la soffitta. Piena di vecchi mobili, nella quale giorno per giorno si raccoglievano le nostre sensazioni. Sempre nuove, per noi.
Baci appassionati, carezze voluttuose.
Anna venne col solo vestito leggero. Sotto era nuda.
Il suo petto era florido e nel contempo aveva una compattezza inimmaginabile, era difficile perfino morderlo. I suoi lunghi capezzoli erano rigidi, splendidi, li succhiavo goloso, mentre lei mi carezzava i capelli.
Non disse nulla quando infilai la mano sotto la sua gonna.
Era nuda per questo, perché lo attendeva, lo sperava. Sapeva.
Un fondo schiena tondo, perfetto, che la mano percorreva in tutta la sua provocante procacità. Anche questo era straordinariamente sodo. Gambe di pesca, vellutate’
Quando le mie dita raggiunsero i riccioli del suo pube mi sentivo venire meno’ ero eccitatissimo’ il pericolo erano le conseguenze di questo stato di esaltazione’ il leggero tessuto dei pantaloni lo avrebbe inesorabilmente testimoniato.
Non resistetti, lo tirai fuori dai pantaloni, dalle mutande, lo poggiai tra le gambe di Anna’
‘No, Piero, no’.’
‘Solo così amore mio’ solo così”
Lo tenni basso, lontano dal suo sesso palpitante, mi tirai indietro quando la mia passione eruppe violenta, inondando tutto, colando lungo le sue lunghe gambe’
Con la mano lo prese delicatamente, lo carezzò dolcemente.
‘Buono Piero’ buono’ non possiamo farlo. Ora!’
La soffitta era un meraviglioso pronubo, intermediario che favorisce amore, ma in botanica significa anche che promuove e agevola l’impollinazione!
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Eravamo sempre più accesi, eccitati. Entrambi.
Le carezze, i baci, il petting, heavy petting, anche se provocavano fremebondi orgasmi, ci lasciavano insoddisfatti, inappagati.
Io volevo entrare in Anna.
Decisi di parlarne con lei.
‘Ti capisco, amore. Per me &egrave la stessa cosa, io desidero sentirti in me’ completamente, ma”
‘Sempre ma’.’
‘Ma come facciamo? Dove, quando? I pericoli? Le conseguenze”
‘Saremo cauti, prenderemo ogni precauzione.’
Mi guardò intensamente, quasi con severità.
‘Io voglio te, Piero’ non un tubo di gomma”
‘Allora?’
‘Senti. E’ da tempo che ci penso, mi sono informata sul periodo nel quale non dovrei essere fertile, sull’esistenza di sostanze che annullano la vitalità degli’ degli spermatozooi, sull’azione di eventuali lavande’ dopo..!
Vedi quanto e come ci penso!’
‘Allora?’
‘C’&egrave anche che sono”
S’interruppe, imbarazzata. Arrossiva.
Le presi la mano.
‘Capisco, amore mio, sei vergine!’
Annuì, con gli occhi bassi.
Le carezzai il volto, dolcemente,
‘Cerca di comprendere, Piero’ io vorrei essere per la prima volta e per sempre solo di un uomo!’
‘E non posso essere io?’
Mi guardò.
‘Mi sposeresti?’
‘No! Ti sposerò!’
Mi abbracciò, sussultando, piangendo di gioia. Emozionata, commossa.
‘Sei bellissimo, Piero. Da quanto ti desidero. Ti sogno sempre’ ma desidero ardentemente la realtà, sono assetata di te, arida. E tu solo puoi dissetarmi.’
Ci baciammo a lungo.
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Anna era in clinica.
Io a Milano, in albergo, in un letto anonimo, con gli occhi al soffitto.
La mente tornò a quel tempo. Forse non tornò, perché, sia pure inconsciamente, non se ne era mai allontanata del tutto.
Anna mi mostrò le rilevazioni sul suo ciclo mensile: le registrava da almeno quattro anni! Era fiduciosa nel metodo Ogino Knaus.
Il suo ciclo più corto era di 25 giorni, il più lungo di 31.
Il metodo indicava il periodo fertile tra il 6′ e il 20′ giorno.
Parlavamo di queste cose senza disagio, apertamente, quasi con distacco.
Stavamo preparando la cosa quasi asetticamente.
Ma non era così, eravamo impazienti, e il nostro petting correva sempre il rischio di trasformarsi improvvisamente in qualcosa d’altro.
Quello che mi tormentava era ‘dove’?
Non potevamo andare in albergo, era pericoloso.
La prima volta non potevamo farlo in soffitta, sarebbe stato squallido.
Parlavamo proprio di questo, sottovoce, mentre eravamo diretti alla casa di zia Tina, poco distante dalla sua, nella Piazza Grande, di fronte alla Cattedrale.
Avevamo deciso di farle visita, di salutarla perché ci aveva detto che sarebbe andata per un paio di settimane, col marito, a Casamicciola, per curare la sua artrite.
Ci accolse col consueto affetto, ci dette una fetta della torta fatta da lei, che faceva in una maniera deliziosa.
‘Quindi, zia’ ‘le disse Anna- ‘te ne vai proprio nei giorni della nostra festa patronale.’
‘Lo zio, dopo, &egrave molto occupato. Del resto, l’abbiamo veduta speso.’
‘Si, ma ogni anno siamo venuti da te, a godere lo spettacolo dai tuoi balconi, specie la sera, con la musica, le luminarie’ e poi’ i fuochi!’
‘Se &egrave per questo ci potete venire lo stesso.’
‘Perché Mariuccia, la donna, resta qui?’
‘No, Mariuccia profitta della nostra assenza per andare un po’ in campagna dai suoi. Vi do le chiavi. Mi raccomando, però, custoditele bene, non perdetele.’
Anna ed io ci guardammo negli occhi. Certamente pensavamo la stessa cosa.
Prima di andarcene, zia Tina ci dette le chiavi.
‘Questa &egrave del portone e questa della casa. Mi raccomando. Non fate venire nessun estraneo.’
Un abbraccio, l’augurio di buon viaggio e buona cura.
Appena fuori dall’edificio, chiesi ad Anna, impaziente, come andavano i ‘conti’ dei famosi ‘giorni liberi’.
Mi fissò radiosa.
‘Il giorno della festa &egrave il migliore.’
‘Quello dei fuochi?’
‘Si.’
In un certo modo, e senza indulgere al romanticismo, ci stavamo preparando alle nozze, più esattamente al connubio. Cum nubere!
Eravamo emozionati, ma ansiosi.
Il nostro sogno stava per realizzarsi.
Anna aveva già in mente quello che doveva fare.
Provvedere ad un lenzuolo, di quelli grandi, che avrebbe raccolto la testimonianza della sua illibatezza, e mise da parte anche una camicia da notte mai indossata. Era candida.
Mettemmo tutto in una borsa, e appena partita la zia la portammo nella sua casa, nella sua camera da letto.
Giorno della festa, dei fuochi.
Dicemmo che andavamo a fare un giretto con degli amici, che avremmo ascoltato la musica in piazza, e ci saremmo trattenuti fino a fuochi finiti, dopo l’ultimo assordante colpo.
Dopo cena, come era usanza, ognuno si radunò con amici della propria generazione.
Noi, cauti e guardinghi, ma la folla vociante e chiassosa era intenta a divertirsi e non certo a guardarci, aprimmo il portone, lo richiudemmo, salimmo all’ultimo piano, entrammo in casa, andammo nella camera’
Abbracciai forte Anna.
‘Ti prego, Piero, va di là. Torna quando ti chiamo.’
Lei aveva portato la camicia da notte. Io nulla, logicamente.
Rimasi scalzo, in mutandine.
‘Piero!’
Entrai, era sul letto, sul ‘suo’ lenzuolo, indossando per la prima volta quella camicia.
Splendida.
Mi avvicinai, la baciai sulla bocca.
Sbottonai la camicia.
Baciai il seno, lo lambii, succhiai avidamente i suoi capezzoli.
La mano, intanto, la carezzava tra le gambe. Teneramente.
Le divaricò appena.
Alzai la camicia, tuffai il volto nella seta dei suoi riccioli. La lingua s’intrufolò tra le grandi labbra, incontrò la sensibilità del piccolo clitoride. Andò oltre.
Le mani la carezzavano.
Carni sode, meravigliose.
Era ad occhi chiusi, con le nari frementi.
Sentii il sapore della sua eccitazione.
Con dolcezza sfilai del tutto la sua camicia.
Restò nuda, affascinante.
Lasciai cadere le mutandine e m’inginocchiai tra le sue gambe.
Il fallo, paonazzo, era impaziente.
Lo poggiai all’ingresso umido della vagina. La sua linfa lo accolse.
Dolcemente, spinsi’ una lieve resistenza, il suo momentaneo mordersi il labbro inferiore’
Fui in lei.
Mi fermai un istante.
L’istinto le suggerì di stringermi a lei incrociando le gambe sul mio dorso.
E fu un vortice che ci avvolse sempre di più, fino a farci dimenticare tutto, meno che noi stessi.
Fu eccezionale, la mia piccola Anna, Calda, affettuosa, passionale.
Non posso descrivere ogni sensazione, cosa e come lo facemmo, fin quando no restammo, sfiniti, sudati, ansanti, mentre i nostri sessi s’impastavano sempre più nella linfa del nostro piacere.
L’avviso che i ‘fuochi’ stavano per cominciare ci richiamò alla realtà. Solo allora sentimmo il chiasso della piazza, il suono della musica.
Dovevamo alzarci, rientrare.
‘Sei stata straordinaria, amore mio.’
‘Anche tu, tesoro. Molto più bello, più voluttuoso di quanto immaginassi.’
Ci rassettammo alla meglio, prendemmo le nostre cose, tornammo a casa.
Fu un periodo paradisiaco, fin quando non giunse il momento di andare all’università.
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Il duro impegno universitario, la sua scuola, la lontananza’ tutti elementi che non ci consentivano di incontrarci quando avremmo voluto.
Poi l’improvvisa accettazione della mia domanda per un anno in Inghilterra.
La mia partenza.
Un saluto ad Anna, affidato al ‘codice’ della nostra corrispondenza.
Dall’Inghilterra agli Stati Uniti.
La sua maturità.
Insomma, tante cose ci allontanavano sempre più.
Incredibile, non riuscivamo a incontrarci di nuovo.
Allungamento dei tempi tra una lettera e l’altra.
Ritorno in Italia, incontro con Gina’ nozze’
Tutto ci aveva diviso’
Lei non si era sposata.
Ora era in clinica.
L’indomani telefonai alla clinica, dissi che ero il cugino.
Il medico al quale avevano passato la telefonata fu molto spiacente di comunicarmi che la signora Anna non aveva superato la crisi.
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Dal momento in cui ebbi quella notizia sono trascorsi anni ed anni,
Più di venti.
Questa notte &egrave apparsa in sogno. E’ uscita dalla nebbia.
Bella, allegra, sorridente.
Sentivo una musica.
Musica d’organo’ sommessa’
La marcia nuziale.
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Per favore, se qualcuno può spiegarmi il sogno, me lo faccia sapere.
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