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Racconti erotici sull'Incesto

Temporale in montagna

By 27 Gennaio 2005Dicembre 16th, 2019No Comments

Se si affrontano seriamente, con impegno, gli esami di maturità sono pesanti, logoranti. Del resto, ogni traguardo richiede uno sforzo, specie se si vuole giungere tra i primi. Ed io, per carattere e’ presunzione, non gradisco che sia qualcuno a precedermi.
Estate abbastanza afosa. Necessità di riposo, aria pura, buon cibo, qualche passeggiata rilassante.
La villetta d Fregene non era l’ideale, soprattutto per gli amici che mi avrebbero trascinato in spiaggia, quasi obbligato alla discoteca, e quello non poteva dirsi riposo, ritemprare il corpo e lo spirito. Certo ci sarebbero state le avventurette e avventurone: graziose e disponibili ragazze, splendide e generose avide ‘madri’ delle predette. Al momento, comunque, la cosa che più desideravo, anzi avevo estrema necessità, era riposo, ‘relax’.
L’invito venne da zia Vera.
Mamma, la sorella, le telefonò del lusinghiero successo da me ottenuto, lei, zia, volle congratularsi con me e mi promise un bel regalo. Poi, mamma le disse della opportunità di un periodo di ‘sana vacanza’, al fresco, senza troppi obblighi mondani, e lei, zia Vera, rispose che il posto ideale era proprio quello dove era a villeggiare con i figli, Mara di cinque anni e Mario di tre, mentre Marco, il marito, era in lunga missione estiva al comando della sua unità navale. Quale migliore occasione? Io mi sarei riposato, lei mi avrebbe preparato sani manicaretti, e avrebbe avuto la compagnia del suo primo nipote. Del ‘nipotone’, come mi chiamava.
Ne parlammo a tavola, quella sera.
Non ero del tutto entusiasta, ma qualche giorno in montagna mi avrebbe certamente fatto bene.
Mio padre disse che ogni decisione stava a me.
‘Certo, Patrizio, che un po’ di riposo ci vuole. Le vacanze passano veloci e l’inizio dell’università &egrave impegnativo. Vedi tu.’
Dopo cena, guarda caso, c’era proprio un documentario sul Cadore, su Cortina e i suoi dintorni. Dove villeggiava zia Vera, in un grazioso chalet nei dintorni di Cortina, verso Pecòl. In effetti era una prospettiva attraente sotto il profilo della natura e del riposo. Pensai che qualche giorno in montagna sarebbe stato salutare.
Zia Vera era un tipo che non riuscivo a capire del tutto. Più giovane di mia madre, sei anni di meno, e quindi era sui trentaquattro; quindici più di me.
Sembrava che avesse sempre da ridire su tutto, e non si riteneva tra le più fortunate, anzi. Cosa le mancava? Mah!
Suo marito era un baldo e simpatico ufficiale di marina, con una brillante carriera e un roseo futuro. Sei anni più di lei. Dei figli ho già detto.
Com’era fisicamente?
Abbastanza alta, non grassa ma alquanto robusta. Gianni, il mio migliore amico, l’aveva definita ‘gagliarda’, ed aveva aggiunto che era prestante e vigorosa. In effetti, aveva qualcosa di atletico, ma le linee del suo corpo erano armoniose e piacevoli, ed evidenziavano un seno pieno e interessante e fianchi tondi, natiche sode e attraenti. Beh, sì, una bella donna, non lo si può nascondere, anzi un bel tocco di fi..gliola, ma quel suo carattere mi aveva impedito di considerarla sotto l’aspetto muliebre.
Del resto, ci avrei trascorso solo una settimana’
Fu così deciso che due giorni dopo, di venerdì, sarei partito.
Mamma telefonò a sua sorella che si mostrò lieta della mia decisione. Aggiunse che sarebbe venuta a prendermi all’eliporto.
Partenza da Fiumicino poco prima delle nove del mattino, e da Venezia Marco Polo alle 10.30, per giungere a destinazione più o meno quaranta minuti dopo, con un veloce AS 350 Ecureuil.
Tutto regolare.
Zia Vera, allegra e pimpante, era lì, con la sua Station Wagon. Mara e Mario erano andati a spasso con la tata.
^^^
Non ci vedevamo da quasi un anno.
Lei abitava a Venezia.
Mi sembrò alquanto trasformata, aveva un aspetto raggiante, nel suo semplice ed elegante abito sportivo che valorizzava il suo corpo. Ecco, fu proprio quello a colpirmi. Tette spavalde e un fondo schiena da mozzare il fiato.
Venne incontro sorridendo, mi abbracciò con trasporto.
‘Il mio ‘nipotone’. Sei proprio un uomo, Pat, e un bell’uomo, chissà quanti cuori trafiggi”
Presi la valigia a rotelle, ci avviammo all’auto. Misi il bagaglio nel vano posteriore.
‘Fatti vedere, Pat.’
Mi squadrò da capo a piedi, annuendo.
‘Si, proprio un bel ragazzo”
‘Grazie, ma tutti mi dicono che’ ho preso da te’ quindi’ ho cercato di avvicinarmi almeno un po’ alla tua bellezza”
‘Ciò, varda che parlantina’ Bravo’ Dai, monta su’ ‘ndemo.’
Salimmo in auto e, lentamente, si avviò verso casa.
Non mi ero accorto che la gonna plissettata aveva, di lato, un lungo spacco. Sedendosi al posto di guida si aprì, mostrando una gamba e una coscia ben modellate, asciutte, e appena ambrate dal sole.
Sì, zia Vera mi appariva sotto una nuova luce.
Ricordavo che qualche anno prima venne a mostrare a mia mamma il nuovo reggiseno che aveva appena acquistato. Io ero con mamma, e fui attratto da quelle belle tettine che, per mostrare i particolari delle coppe, rimasero in tutto il loro nudo splendore, incuranti che c’era anche un ragazzo in quella camera.
Ora quel giorno mi ritornava alla mente, vivido, e provocava altre considerazioni deduttive: il seno di allora, quello di adesso, le gambe, le cosce’ tutto il resto. Il pensiero, poi, non si fermava alla mente, ma si diffondeva rapidamente, e dovetti cercare di distrarmi per non trovarmi a disagio a causa di una eccitazione che si andava impadronendo del soggetto interessato!
A casa.
Grazioso chalet, contornato da un praticello verde, ben curato, con aiuole fiorite. Gerani alle finestre, veranda coperta ai lati dell’ingresso. Sul fianco, il posto per le auto. Andammo li. Scendemmo, presi il bagaglio, ci avviamo verso l’uscio. In quel momento apparve la tata, giovane e prosperosa, con capelli biondastri e volto rubicondo, tenendo per mano Mara e Mario (che fantasia nei nomi!) che sgambettavano vispi e allegri e mi gratificarono di un bacione appicicaticcio di miele.
La tata mi tese la mano.
Un italiano perfetto ma duro.
‘Sono Monika, benvenuto.’
Zia Vera completò la presentazione.
‘Monika &egrave austriaca, ma studia in Italia” ‘poi si voltò verso la ragazza- ” lui &egrave Patrizio, Pat, mio nipote, il figlio di mia sorella, come già ti ho detto.’
Entrammo in casa.
‘Vieni, Pat, la tua camera &egrave al piano di sopra. Tu già sei stato qui, ricordi? Ma &egrave già passato qualche anno. Vieni.’
Salimmo la scala di legno.
Dal pianerottolo partivano due corridoi: a destra e a sinistra. In fondo ad ognuno un balcone. Su ogni corridoio si aprivano le porte delle camere da letto e dei bagni. La disposizione era stata accuratamente studiata.
Una camera grande e un bagno, su un lato; due piccole e un bagno nel mezzo, che comunicava con entrambe, sul lato opposto. Così, ripeto, in ogni corridoio, per cui, sul piano vi erano due camere da letto grandi e quattro piccole. La scala proseguiva per la mansarda che era attrezzata per eventuali ospiti e per far giocare i bambini.
Al pian terreno, oltre al vasto salone-ingresso, la cucina, uno studio, un bagno, e una saletta per leggere, giocare a carte, a scacchi’
Dalla cucina si poteva scendere nel retro della casa, sul prato.
L’interrato conteneva un vano con lavatrice, essiccatoio, caldaia, ripostiglio, e un vano che poteva essere utilizzato per cenette vicino al caminetto, qualche balletto e, per ora, per far giocare i bambini in caso di maltempo.
Zia Vera mi disse che aveva creduto bene assegnarmi una delle camere piccole, di fronte alla sua, matrimoniale.
Tata Monika e i bimbi erano dall’altra parte.
‘Puoi fare la doccia, se vuoi, Pat. Noi andiamo a tavola al tocco preciso, tra poco più di mezz’ora. Io mi cambio e ti attendo giù, voglio sapere mille cose da te. Ciao.’
Mi sfiorò la guancia con un bacio ed andò nella sua camera.
^^^
Monika, intanto, aveva provveduto al pasto dei bambini, e li aveva messi a letto per il riposino pomeridiano.
Quando scesi, era già tutto pronto, dovevamo solo metterci a tavola.
Zia Vera era in shorts e indossava una golf di lana, molto aderente, che sembrava esserle stato spruzzato con lo spray. Era evidente che era l’unico capo di vestiario che indossava. Mi venne da pensare: che tipo di mutandine usava? Forse il perizoma?
Pasto gustoso e, per finire, uno delizioso strudel, specialità, disse zia Vera, di Monika.
La guardai meglio.
Era molto giovane, credo che non superasse i venti. Volto acqua e sapone, del resto il colore glielo regalava la natura: bianca e rossa. Come una cerasa, si canta nella Cavalleria Rusticana. E le labbra, piccole ma ben delineate, color lampone.
Era bene in carne. Capelli abbastanza lunghi, lisci, di un biondo strano, che avevano tonalità tanto auree quanto del platino. Un seno florido e certamente non compresso in reggipetto perché lo si vedeva dal continuo ballonzolare nella blusa di cotone. Per rimanere nel campo vegetariano, erano due bei meloncini, e le natiche, pronunciate e ben delineate nella gonna anch’essa di cotone, mi facevano pensare ad una pesca, soprattutto per il solco che si delineava chiaramente.
Insomma, se Monika non aveva fatto voto di castità c’era speranza che il soggiorno montano, mi avrebbe consentito esplorazioni per monti e per valli. Valle dorata, certamente, a giudicare dai capelli, con un incantevole tunnel delle delizie. Rosa.
Desinare finito.
‘Andiamo a prendere il caffé in veranda?’
La voce di zia Vera mi aveva richiamato alla realtà.
Sorrisi e mi avviai con lei, verso la veranda.
‘Ci pensi tu, Monika?’
‘Certo, sarò lì tra due minuti.’
Infatti, comparve con vassoio, caffettiera, zuccheriera, tre tazzine. Posò tutto sul tavolino, sedette, ci offrì le tazzine.
Caffé ottimo.
Angelina, la colf, venne a ritirare il vassoio.
Monika disse che andava un po’ a riposare. Presto i bambini si sarebbero e lei doveva accudirli.
Rimanemmo zia Vera ed io.
‘Ho mille cose da chiederti, Pat! O preferisci anche tu un sonnellino?’
‘No, grazie, &egrave bello scambiare quattro chiacchiere.’
Mi chiese se gradissi un liquore, o fumare una sigaretta. Lei, dopo pranzo ne fumava una, abbastanza leggera. Erano nella scatola di legno, sul tavolino, e dentro c’era anche un accendino.
Ringraziai ma rifiutai.
‘Sei virtuoso, nipote mio: non bevi’ non fumi”
Sorrisi e alzai la mano per interromperla.
‘Si’ ma faccio tutto il resto”
Zia Vera sorrise divertita.
‘Lo immagino’ un ragazzone del genere”
Presi la scatoletta, gliela porsi, ne scelse una la portò alle labbra, tolsi l’accendino e con fare malizioso lo avvicinai alla sigaretta.
‘Posso’ accenderti?’
‘Naturalmente!’
In gamba la zia, abile schermitrice.
Chiese di noi, della famiglia, della sorella, di me, dei miei studi dei miei propositi per l’avvenire, e, finalmente, giunse alla fatidica domanda:
‘Hai una ragazza, Pat?’
Assunsi un’aria patetica.
‘Niente di serio’ non mi vuole nessuna”
‘Ma non dire sciocchezze. Hai visto Monika che ti divora con gli occhi”
‘Si, ma con gli occhi”
Mi dette un buffetto, scherzosamente.
‘Concedile il tempo minimo necessario”
La conversazione andò avanti per un po’. Argomenti futili, così, tanto per passare il tempo.
Zia Vera guardò l’orologio.
‘Che ne dici, Pat, di andare a Misurina? Potremmo fare il giro del lago, a piedi, logicamente, e poi prendere il t&egrave al bar dell’Hotel, con una bella fetta di torta.’
‘Perfettamente d’accordo. Devo portare un pullover?’
‘Io direi di si. Dopo il giro del lago potremmo essere un po’ accaldati. Andiamo su a fornirci del necessario.’
Salimmo, e dopo pochi minuti eravamo in auto per Misurina.
Zia Vera volle che guidassi io. Lei mi avrebbe indicato la strada.
Da Pocòl prendemmo la Provinciale 48, seguii le indicazioni, dopo circa 15 chilometri eravamo al Passo Tre Croci, e dopo non molto parcheggiai nel posteggio dell’Hotel.
Guardammo il cielo, c’era qualche nube, ma non minacciava la pioggia. Così ritenemmo noi.
Il ‘giro del lago’ era abbastanza interessante, per la molteplicità dei panorami che offriva, dei monti che si specchiavano in esso. Ogni tanto ci fermavamo. Feci qualche fotografia, sempre con zia Vera inquadrata, e, con l’autoscatto, ne facemmo anche una insieme. Vicini. Lei mise il mio braccio sulle sue spalle e mi cinse la vita.
Odorava di buono zia Vera.
Ci volle quasi un’ora, e la passeggiata favoriva non tanto il t&egrave quanto la fetta di torta. Ne ordinammo ai frutti di bosco. Veramente squisita.
Zia Vera era allegra, cordiale. Sembrava più un’amica che aveva qualche anno più di me, che non la ‘zia’. Tale nome, spesso, sa di austero, e perfino di acido. Si pensa sempre alla vecchia zia zitella.
Questa, invece, era una bellissima donna nello splendore dei suoi anni e, credo, mal sopportava la lontananza del marito. Del resto, la vita di un marinaio &egrave in mare. E lei lo sapeva, ancora prima di sposarsi.
‘Ti sei abituata a stare lontana dallo zio?’
Alzò le spalle.
‘Abituata’ cosa vuol dire’ il carcerato &egrave abituato alla prigione? Prendo atto della situazione che, del resto, sapevo da quando l’ho conosciuto, ma non immaginavo che fosse così difficile affrontarla e superarla. Sì, &egrave difficile.’
‘Ti senti sola?’
‘Sono sola. Per fortuna ho i bimbi che sono tutto per me. Ma non sono solamente una madre”
‘Hai una bella casa, al Lido”
‘Infatti, non ho nulla da dire come ‘padrona di casa”’
‘Potresti frequentare il circolo ufficiali della marina”
‘Potrei, certo’ ma non mi piace il ‘bridge’, detesto i pettegolezzi, non vado in cerca di cicisbei. E neanche Marco gradisce andarci.’
‘E come passi la giornata?’
‘Per fortuna, sono riuscita ad avere un incarico al Morosini. La scartoffia che faceva ridere, laurea in filosofia, &egrave servita a qualcosa.’
‘Insegni?’
‘Si, allo scientifico: storia e filosofia, quindici ore settimanali, che mi tengono occupata al mattino dei feriali, meno il sabato. C’&egrave una lancia dell’Istituto che parte da Santa Elisabetta e presto si arriva a Sant’Elena. Di solito esco di casa alle otto e venti e torno verso le dodici e trenta.’
‘I bimbi?’
‘Vanno all’asilo, dalle suore, proprio di fronte casa. Quando c’&egrave Monika &egrave lei che pensa alla casa. Quando, invece, va alla Ca’ Foscari, &egrave la colf che cura tutto.’
Il cielo si era rannuvolato, quasi improvvisamente. Da dietro le montagne erano sopraggiunti nembostrati, bassi e scuri, che avevano rabbuiato tutto. Zia Vera guardò il cielo. Sembrava nervosa.
‘Sta sopraggiungendo un temporale, Pat, &egrave meglio che andiamo.’
Non permise che pagassi io il conto. Andammo all’auto.
Ci eravamo appena avviati, che cominciò a piovere.
Zia Vera mi guardò, con aria preoccupata.
Accesi le luci dell’auto. La pioggia incalzava. Intorno, alberi e cielo sempre più scuro.
Un lampo rischiarò tutto, seguito da un tuono fortissimo.
Zia Vera s’aggrappò a me, quasi con violenza, tanto che stavo perdendo il controllo dell’auto. Per fortuna andavo piano.
‘Scusami, Pat, ma ho paura, soffro terribilmente di brontofobia.’
‘Vuoi che mi fermo?’
‘No’ no’ per l’amore di dio’ ma sta attento’ non correre’ Tu pensa a guidare, ma fammi stare vicina a te’ ti devo toccare”
La guardai teneramente.
‘Certo, zia’ certo’ abbracciami’ stringiti a me’ vedrai che passerà tutto’ subito”
Ancora un lampo e un altro fortissimo tuono.
Si strinse a me, nascose il volto sulla mia spalla. Tremava.
Guidavo lentamente. Le cinsi la vita, le carezzai i capelli, mi chinai li baciai.
Rimase così, fino a quando non giungemmo a casa.
‘Scusami, Pat, ho fatto una figura’ scusami, vado un po’ in camera.’
Si allontanò, quasi di corsa, verso la sua camera, entrò, richiuse la porta.
Pioveva ancora.
^^^
Da bambino anche io avevo paura dei tuoni, soprattutto perché sapevo che seguivano i fulmini, che i fulmini potevano colpire uomini e cose con gravissimo danno: fino alla morte, incendio’
Era sciocco temere il tuono, poiché il rumore indicava che per quella volta il pericolo era passato, ma io correvo a rifugiarmi tra le braccia di mamma. Come aveva fatto zia Vera con me.
Chissà, forse aveva bisogno di qualcosa.
Andai dietro la porta della sua camera.
Silenzio.
Bussai piano.
‘Zia’ sono Patrizio”
‘Entra.’
Era sdraiata sul letto, in vestaglia, e si vedeva che aveva pianto. Aveva il fazzoletto in mano, e si asciugava il naso.
‘Posso esserti utile, zia?’
Mi avvicinai al letto.
‘No, grazie, Pat’ e scusami’ non riesco a vincere questa paura’ questa fobia’ i tuoni mi terrorizzano”
E, parlandone, aveva gli occhi impauriti.
Le presi la mano, dolcemente.
‘Ognuno ha le sue paure’.’
‘Sei buono, Pat’ siedi un po’ vicino a me’ sul letto’ mi scusi?’
Ma non dirlo neppure per scherzo”
Allungai la mano e le carezzai teneramente la guancia ancora umida del pianto. Aveva l’aspetto d’una bambina spaurita.
Prese la mia mano e la baciò. La tenne vicina alle labbra. Erano morbide, calde, percorse da un lieve tremore.
Era bellissima, la guardavo e mi intenerivo, ma c’era qualcosa d’altro in me. Quell’incantevole corpo, il seno che s’intravedeva dalla vestaglia, le lunghe gambe affusolate non coperte completamente, sollecitavano ben diverse sensazioni che partendo dalla vista, e incitate dal contatto delle labbra sulla mano, raggiunsero rapidamente ‘ l’interessato, che cominciò ad agitarsi, ad alzare la cresta.
Mi chinai e la baciai sulla guancia.
‘Alzati, zia Vera’ ti aspetto giù’ ti preparo una camomilla”
Mi guardò con grazia, con un sorriso delizioso.
‘Meglio qualcosa di forte, Pat’ magari on the rock’ ti raggiungo subito.’
Scesi, andai in cucina, aprii il freezer, presi dei cubetti di ghiaccio. Premetti due arance e ne versai il succo in un bicchiere, tornai nel soggiorno, dov’era il mobile bar ben fornito.
Nello shaker misi 5 parti di gin, 3 di apricot brandy e 2 di succo d’arancia. Ne feci abbastanza, più di quanto servisse per due persone. Aggiunsi il ghiaccio e cominciai a shakerare. In quel momento entrò zia Vera, in gonna beige e blusa un po’ più chiara. Splendida. Un tocco leggero e perfetto, i capelli sciolti.
Si avvicinò a me.
Scoperchiai lo shaker, versai nelle coppe, la porsi a lei.
L’assaggiò.
‘Ottimo, veramente buono, &egrave di tua invenzione?’
‘No. E’ un classico.’
‘Ha un nome?’
‘Il tuo.’
Mi guardò, sorpresa e sorridente.
‘Vera?’
‘No, Paradise!’
‘Oh, grazie, Angel’ ti devo chiamare così, vero? Sei un po’ il mio Angelo’ grazie.’
Andammo a sedere sul divano.
Portai con me lo shaker.
Avevo la sensazione che zia Vera desiderasse sentirsi protetta, al sicuro. Da come mi guardava, agiva, mi sembrava una gattina spaurita che cercasse le coccole, e il suo essermi vicina, sul divano, era come lo strofinarsi della micetta alle tue gambe, a te’
Il pensiero, che vaga sempre nell’infinito, accomunò subito la parola che mi era venuta in mente, ‘micetta’, all’equivalente inglese, ‘pussy’, francese, ‘chatte’, e, guarda caso, entrambe, sia pussy che chatte, sono usate colloquialmente per indicare quella che noi chiamiamo ‘fica’ (o ‘figa’, come vi pare).
Premesso ciò, più la guardavo e più dovevo riconoscere che zia Vera era proprio una bella ‘micetta’. Ne percepivo il tepore, e adesso diveniva sempre più prepotente il desiderio di carezzarla, coccolarla. Mi sarebbe tanto piaciuto passare la mano là dove, certo, la somiglianza con la liscia pelliccia della gattina sarebbe stata perfetta.
‘Ancora paura, zietta?’
Si accostò a me.
‘Ho paura di tuoni, e dei lampi, e delle possibili conseguenze”
Le cinsi la vita e la strinsi.
Sentii, o mi sembrò, che si abbandonasse languidamente al mio abbraccio. Come a cercare rifugio.
‘Stai bene così?’
‘Benissimo, grazie.’
Finimmo di bere il cocktail.
Lei, senza quasi muoversi, allungò la mano, accese la Tv. C’era un documentario, sulle ascensioni in montagna. Interessante, credo, io ero inebriato per quella vicinanza, per la mano che era quasi sul suo seno. Irrequieta, ma controllata.
Si mosse un po’, per sistemarsi meglio.
La sua testa era sulla mia spalla.
Aveva raccolto le gambe sul divano.
Ora la TV trasmetteva il bollettino del tempo, regione per regione.
Per dove eravamo noi si prevedeva bassa pressione, nuvole basse, e possibilità di temporali. Di breve durata, però, l’indomani ci sarebbe stato il sole.
Era l’ora di cena.
^^^
Zia Vera era alla vetrata della veranda, guardava fuori.
Mi avvicinai a lei. Mi piaceva esserle vicino.
‘Cosa pensi da fare, Pat? Vuoi andare in centro? A Cortina? Puoi prendere l’auto”
‘E tu?’
‘Io preferisco restare a casa’ guarderò la Tv’ leggerò’ poi andrò a letto’ Uscire no’ e se viene il temporale?’
‘Veramente anche a me non va di uscire. Ti do fastidio se resto con te?’
Mi guardò, voltando la testa verso me, sorridendo incantevolmente.
‘Come può dar disturbo l’Angelo custode?’
Le carezzai i capelli.
Sedemmo di nuovo sul divano.
C’era un ché di confuso, esitante, nell’atmosfera che ci circondava.
Come avremmo passato la serata?
Guardavamo nel vuoto, senza sapere se e come cominciare una conversazione.
‘Che ne direste di un cocktail, Pa’? Mi sembra che tu sia uno specialista.’
La guardai sorridendo e mi avviai verso il fornitissimo mobile bar.
C’era una ‘demi’ di champagne.
Presi due flute, li misi sul piano, sul fondo di ognuno posi una zolletta di zucchero e vi feci cadere sopra due gocce di Angostura; mescei del cognac, 2/10 del bicchiere graduato, poi aprii la bottiglia e versai lo champagne, 8/10 dello stesso bicchiere, guarnii con mezza fetta d’arancia, richiusi il mobile, portai i flute con me, ne porsi uno a zia Vera. Sedetti.
‘Voila ma tante!’
‘Cosa &egrave?’
‘Cocktail champagne’ frizzante’ spiritoso’ e con piccolo ‘punto’ di amaro”
‘Come dovrebbe essere la vita, solo che l’amaro non si limita ad essere un piccolo ‘punto’!’
‘Dai, bisogna essere ottimisti’ alla più bella zia del mondo!’
‘Al più adulatore dei nipoti!’
‘No, sincero!’
‘OK!’
Lo assaggiò.
‘Sai che &egrave buono? Bravo’ Vediamo un po’ di TV? Ti va un film? Su Sky c’&egrave una pellicola che non conosco, in originale, coi sottotitoli, ti annoia?’
‘Che tipo di film?’
”An unattainable dream’, un sogno irraggiungibile. Speriamo non sia qualcosa di sdolcinato e svenevole”
‘C’&egrave sempre il telecomando.’
‘Questo &egrave vero.’
Seguitando a sorseggiare il cocktail, accese la TV, cercò il canale dove stava per iniziare il film.
La pellicola, ottima per fotografia, rappresentava l’irraggiungibile attraverso i sogni del protagonista. L’uomo era attratto da una splendida donna che riteneva irraggiungibile, la sognava, e la possedeva nel sogno.
Incontri ricchi di particolari, e nel complesso eccitante.
Fu spontaneo, ad un certo punto, che ponessi un braccio sulla spalla di zia Vera e l’avvicinassi a me.
Si accostò, con naturalezza, tirò su le gambe, sul divano, come soleva fare, e poggiò la testa sulla mia spalla. La mia mano le sfiorava il seno, e in certi momenti era abbastanza indiscreta, almeno per me’ perché zia Vera si accostò ancora di più.
Il suo gomito era sulla mia patta, e non stava fermo, specie in certi momenti, favorendo la mia insistente eccitazione.
Quando apparve ‘The End’, eravamo quasi abbracciati.
Zia Vera mi guardò, con occhi lucidi, sorridendo.
‘Molto realista, vero Pat?’
‘Concreto, pratico, naturale”
‘Ti &egrave capitato mai di sognare ciò che non potevi avere?’
‘Qualche volta.’
‘Ne sei rimasto frustrato?’
‘Al contrario, ha stimolato l’azione per trasformare il sogno in realtà.’
‘Ci sei riuscito?’
‘Non sempre”
‘Hai dei sogni da realizzare, adesso?’
‘Tu che dici?’
Si alzò, si mise seduta, aveva assunto un’aria seria.
‘Cosa posso saperne io! Pat, se c’&egrave un po’ di champagne finiamolo!’
Versai il residuo che era restato nella bottiglia nel suo flute.
‘Ecco!’
‘Fa un sorso prima tu’ così leggerò i tuoi pensieri e saprò del tuo sogno”
Accostai le labbra al bicchiere, lo porsi a lei. Bevve.
‘Chissà che il sogno non si realizzi, Pat. Buona notte.’
Si avviò verso la scala.
In lontananza si sentiva il cupo brontolio del tuono.
^^^
Mi rigiravo nel letto, pensando a mille cose. Soprattutto a Vera.
Mi addormentai senza accorgermene.
Percepivo, confusamente, l’avvicinarsi del temporale, i tuoni sempre più forti, i lampi più vividi.
Ci fu un vero e proprio schianto, come se una grossa bomba fosse caduta nel giardino, dinanzi allo chalet’
D’improvviso, intravidi la porta che s’apriva, si richiudeva, un affrettarsi di passi scalzi sul pavimento e’ nel chiaroscuro, rotto dai lampi, mentre era tutto un tambureggiare di rimbombi, un’ombra s’avvicinò al letto, alzò la copertina, s’infilò, si abbracciò a me stretta’ tremante’
Fu naturale stringerla, carezzarla’ La stoffa leggera del pigiama’ i capelli’ il volto rigato dalle lacrime’ le labbra tremanti’
‘Ho paura, Pat, ho paura’ aiutami”
La cullavo dolcemente, come una bambina, mentre le davo piccoli baci sul volto’ Si era rannicchiata tra le mie braccia, con una gamba sul mio fianco, e sentivo il calore della sua pelle, il morbido del suo grembo che accoglieva la manifestazione sempre più evidente di quella conturbante vicinanza.
Le carezzavo i capelli, il volto, le spalle’ più giù’ e sentivo che si stringeva a me’ le mie labbra si posarono sulle sue, e furono accolte con tenerezza’
Ecco, ora il suo ventre si muoveva, lentamente, con leggeri tocchi che aumentavano la mia eccitazione’ il fallo, rigido, premeva tra me e lei, e quella carezza, pur attraverso la stoffa del mio e del suo pigiama, era deliziosa’ anche io andavo muovendomi’ le mani erano sotto la sua giacca, sulla pelle nuda e liscia come pesca matura’
Ora Vera aveva dischiuso le labbra, le lingue si cercavano, si avvinghiavano’ le mie mani stringevano le sue deliziose natiche’
Sentivo, constatavo la sua bellezza, la sua femminilità. Non credevo a me stesso’ ero incerto se fosse sogno o realtà. Mi mossi cautamente, per sbottonarle la giacca’ lasciò fare e quando mi chinai a baciarle i capezzoli rigidi, la sentii arcuarsi, come se’
Adesso era lei a sbottonarmi la giacca’ e non si fermò’
Sembravamo quasi degli acrobati’ mi sfilò i pantaloni’ le tolsi i suoi’
La baciavo, appassionatamente, dappertutto’
Avevo tuffato il volto nel suo grembo, tra le sue gambe appena dischiuse’ assaporato la seta dei suoi riccioli, la linfa lievemente salata che distillavano le sue piccole labbra, l’avevo raccolta sulla lingua che s’era intrufolata in lei, curiosa, impaziente, mentre lei sussultava, sempre più’
La lingua scivolava a lambire il clitoride impazzito’ rientrava in lei’ ed io temevo anche la mia’ esplosione’ Ma fu lei a gridarmi il suo piacere, il suo godimento, ad afferrare la mia testa e stringerla a lei, al suo sobbalzare frenetico e incontrollabile’ mentre mugolava’ gemeva’ sempre di più’
‘Ooooooooh, Pat’ tesoro’. Meraviglia’ siiiiiiiiii’ amore’ amore’.’
Si lasciò andare, come priva di sensi’ con gli occhi socchiusi, il respiro affannato, il volto estatico’
Giacqui al suo fianco, supino, col fallo che sembrava impazzire.
Mi carezzò il petto, il ventre’ incontrò la mia eccitazione, l’afferrò.
Senza aprire completamente gli occhi e sempre con quella espressione incantata, si mise a cavallo a me, sulle ginocchia, e portò decisamente il mio sesso fremente all’ingresso della sua vagina calda e umida, che l’accolse golosamente, e lo munse con sapiente maestria.
Il seno sobbalzava.
Lo afferrai, lo strinsi e nello stesso momento sentii che lei mi stringeva il fallo, mentre la sua cavalcata andava trasformandosi in un galoppo sfrenato, fin quando esausta, non s’abbatté su me, palpitante, fremente, e quando sentì invadersi dal torrente che si sparse in lei, mi baciò appassionatamente, afferrandomi il volto tra le mani.
Rimase così, abbastanza a lungo.
Si poggiò sui gomiti, mi guardò. Era ancora scuro, ci si vedeva appena.
‘Accendi la luce, Pat, voglio vederti”
Allungai la mano, accesi il lume del comodino.
Era incantevole, seducente, ammaliante.
‘Sei bellissima zietta e’ meravigliosa”
Mi guardò con occhi lampeggianti e nari frementi. Mi baciò appassionatamente. Staccò le labbra dalle mie.
‘Dobbiamo attendere un altro tuono, Pat?’
Non lo attendemmo.
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