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Racconti erotici sull'Incesto

Teodora

By 24 Aprile 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

Di solito i diminutivi preferiti sono Dora, Dorina, Rina.
Appena nata, infatti, la chiamarono Rina, ma quando andò alla prima media cominciò a dire che il suo nome era Tea, creatura divina. Perché aveva sempre ritenuto di dover essere considerata diversa da tutti gli altri, e superiore.
Strana fin da bambina.
Sapeva a malapena reggersi in piedi e già andava dinanzi allo specchio, alzava la vestina, sotto la quale non indossava mai le fastidiose mutandine, e si rimirava, spingendo il bacino davanti. Si toccava, si osservava attentamente.
La mamma, lì, aveva un folto ciuffo di riccioli nerissimi.
Lei lo sapeva.
Non aveva mai gradito di condividere la camera con la sorellina, fin da quando era in culla. Così i genitori finirono col mettere un lettino a fianco al loro imponente talamo e decisero che, almeno per un certo periodo, avrebbe dormito nella loro camera.
Bel lettino, laccato rosa, con reticelle dello stesso colore ai lati, per impedirle di cadere.
Se ne stava sempre con gli occhi chiusi, Tea, allora Rina, perché aveva scoperto che i genitori, accertatisi che la piccola dormiva, si comportavano liberamente.
La mamma, una bella e prosperosa bruna di non ancora trent’anni, girava nuda per la camera, specie se il padre era a letto e sveglio. Con le rigogliosi tette sussultanti, e il corvino prato del pube ondeggiante come scure inflorescenze al vento.
Il papà era spesso affamato, rilevava Rina, perché si attaccava ingordo a quelle tettone, e la mamma gli carezzava il capo. Poi lui scendeva giù, in basso, a frugarla tra le gambe.
Chissà cosa vi trovava, cosa mangiava o beveva. E la mamma sembrava molto felice di contentarlo.
Quello che seguiva, poi, era quasi sempre lo stesso, con qualche variante non essenziale.
Quello strano coso che pendeva tra le gambe di papà s’ergeva come un campanile, riscotendo ammirazioni e baci dalla mamma, e poi andava sempre a finire tra le gambe della mamma che cominciava a sussultare, a gemere, a respirare sempre più forte, e a chiamare il marito.
‘Vincé’ vengo’ Vincé’ eccomi Vincé’ eccomi”
E per confermargli che c’era, finiva in un urlo che sembrava una sirena.
Quindi, quello che mamma aveva tra le gambe, e che anche lei Rina, aveva, era per il papà.
Da quel momento divenne la ‘papella’.
Rina rimaneva perplessa quando la mamma, carponi, dischiudeva le carnose chiappone e quel grosso battaglio spariva tra esse. Papà cominciava a spingere, sempre più in fretta, e nel contempo mungeva le tette coniugali.
Rina concluse che tutto quello che andava dal basso pancino a dietro era ‘papella’, luogo del padre, perché il Vincé’ Vincé’ era sempre lo stesso e la conclusione non differiva.
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Tea era persuasa d’essere bella, e se ne convinceva sempre più.
Da adolescente assumeva pose da divetta dell’epoca dei telefoni bianchi e si credeva irresistibile.
I compagni, dal canto loro non se la filavano.
Si autoconvinceva di essere lei a non volerla dare.
La ‘papella’ era destinata al papà.
Ripensandoci meglio, riconobbe che era il marito a’ servirsene, non il padre.
All’Università cosa avrebbe potuto scegliere se non lettere?
Quale tesi se non ‘Teodora nella storia’?
Teodora, poi, era il ‘dono di Dio’, e anche il nome di un delicato fiore.
Lei si riteneva un po’ di più.
Era certo una divinità, quanto meno la reincarnazione di una delle Teodore che l’avevano preceduta.
Si mise a redigere la tesi con interesse misto a incomprensibile presunzione.
Solo per il fatto di chiamarsi Teodora.
Cominciò da Teodòra imperatrice bizantina (527-548). Di umili natali, divenuta popolare come attrice affascinante e avventurosa, entrò nelle grazie di Giustiniano, che la sposò verso il 525, poco prima del suo avvento all’Impero.
Poi fu la volta di Teodora moglie dell’imperatore di Bisanzio Teofilo (829-842), rimasta vedova assunse la reggenza per il figlio Michele III di appena 3 anni.
Passò a Teodora di Roma, nobildonna romana (secc. IX -X). Moglie del patrizio Teofilatto, che ebbe grande influenza sulla politica e sui pontefici del periodo cosiddetto della pornocrazia. Dopo aver favorito l’elezione (904) di Sergio III al seggio pontificale, insieme col marito s’adoperò per l’elezione di Giovanni X (914) di cui, secondo Liutprando da Cremona, sarebbe stata l’amante. Secondo altre fonti invece sarebbe stata donna virtuosa e madre esemplare di molti figli, fra cui Marozia e Teodora II, moglie di Giovanni di Crescenzio.
Quell’accenno alla pornocrazia non la entusiasmava perché quel termine derivato dal greco p’rne, meretrice e kr’tos, potere, riguardava il Governo caratterizzato dall’influenza di cortigiane o più genericamente sistema di governo corrotto. (In particolare con il nome di pornocrazia romana, usato per primo dal teologo protestante Valentin Ernst L’scher [1673-1749], s’intende il periodo del papato, nel X sec., in cui dominarono Teodora e le figlie Marozia e Teodora II della casa di Teofilatto.)
Concluse con un’altra Teodora, imperatrice bizantina (1028, 1042 e 1054-1056), figlia di Costantino VIII.
Bisogna riconoscere che fu una ricerca accurata, anche perché, tutto sommato, la considerava una prefazione alla sua biografia.
Tea, si laureò, dovette accettare un marito scialbo e insignificante, che, certo, non riteneva degno di lei, seguitò a considerare le altre più indegnamente fortunate. Per lei, l’erba del vicino era sempre più verde, molto più verde.
Si compiaceva nel ritenere, del tutto fantasiosamente, che i suoi giovanissimi, implumi, alunni la concupissero, ed era altresì sicura che il marito della sorella la riteneva molto più colta, intelligente e interessante della donna che aveva sposato.
Gliela offrì più volte, con insistenza, in mille maniere, apertamente.
E poiché lui la ignorò sempre, decise di concludere che era lei a non volerlo nel suo letto perché non la meritava.
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Vecchia, alquanto trasandata, crollata nel fisico e nella mente, con lo sguardo inespressivo e i capelli stopposi per le ripetute tinture a buon mercato, aveva solo rari momenti che la riportavano al passato. Non a quello realmente esistito, ma come lo aveva trascritto lei nella sua sempre stravagante memoria.
Il neurologo aveva caldamente raccomandato che non dovevano mai lasciarla sola.
Non era cosa facile da attuarsi. Specie in alcuni periodi.
Giuste ferie per la persona che l’accudiva, impegni dei più stretti parenti, e soprattutto le infinite antipatie che il suo egoismo e la sua sordida avarizia le avevano procurato.

Quel giorno, stranamente, aveva accettato di tenerle compagnia, per tutto il pomeriggio e fino a quando non fosse rientrata l’assistente sanitaria, Gaetano, che lei aveva sempre dichiarato di disistimare, e per il quale nutriva profondi sentimenti di odio, inconsciamente commisti a qualcosa di indefinibile.
Gaetano era seduto di fronte a lei, in maniche di camicia.
Sui cinquant’anni, un po’ meno. Magrolino, non particolarmente attraente. La guardava distrattamente, con un lieve sorriso sulle labbra, e stava cercando qualche argomento per tentare una conversazione.
Tea lo fissava attentamente.
Lei era sicura di aver capito tutto, era chiarissimo, evidente: Gaetano la concupiva.
Il pover’uomo scorgeva la strana espressione della donna e cercava di comprendere cosa avrebbe potuto fare per lei.
Tea s’alzò, improvvisamente, con inconsueta agilità, cadde in ginocchio dinanzi a Gaetano che rimase impietrito, freneticamente ma con grande abilità gli abbassò la zip dei pantaloni.
L’uomo provò ad allontanarla, dolcemente.
Niente da fare, le mani di Tea s’erano infilate, avevano superato lo slip, afferrato il fallo, tirato fuori e immediatamente accolto nella bocca.
Gaetano le prese la testa, cercò di scostarla, ma quella continuava a ciucciarlo, imperturbabile e diligente. Era logico che simile trattamento avesse delle conseguenze: ora la bocca di Tea stava accuratamente procedendo ad una impeccabile ed esperta fellatio a favore dell’attonito Gaetano.
L’uomo non sapeva che le sorprese non erano terminate.
Quando sentì ben eretto il fallo di Gaetano, si alzò lestamente in piedi, e con la stessa mossa che faceva da bambina dinanzi allo specchio, sollevò la gonna, sotto la quale seguitava a non indossare nulla, e prima ancora che lui scorgesse la topa spelacchiata e slabbrata vi s’impalò decisamente, e cominciò una danza che per l’aspetto e l’espressione di lei aveva qualcosa che ricordava quella che doveva essere un’ orgiastica sabba di streghe, sacrilega e oscena.
Tea si dimenava impetuosamente, con gli occhi chiusi, la voce roca.
Ogni volta che protendeva verso lui il suo vorace bacino, e sentiva il glande che batteva sull’avvizzito utero, quasi gorgogliando, gli gridava: ti odio’ ti odio’ Un’altra spinta, più violenta, e ancora: ti odio!
L’odio raggiunse l’acme quando fu scossa da un inatteso e travolgente orgasmo, e si trasformò in rantolo, quando, malgrado tutto, zampillò in lei un seme bollente che quasi non ricordava più.
Allora si strinse a lui e le baciò sulle labbra, intrufolando la sua saettante lingua nella bocca dell’uomo ormai del tutto frastornato.
Non avrebbe mai immaginato, Gaetano, che avrebbe scopato con una vecchia di quel genere, in quel modo, e tutto sommato che ne avrebbe apprezzato le convulse effusioni erotiche.
Tea si tolse da quella posizione.
Si alzò, sempre col volto inespressivo, con una mano sulla gonna si asciugò sommariamente in mezzo alle gambe, e si chinò per detergere accuratamente dal fallo di lui ogni traccia di quanto aveva provocato.
Rimise a posto il sesso di Gaetano, lo accomodò bene nello slip, alzò la zip.
Tornò a sedere al suo posto.
Fece un lungo sospiro.
Con la sua voce, atona e impacciata, si rivolse a Gaetano, suo genero.
‘Chissà quando tornerà l’assistente sanitaria.’
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