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Racconti erotici sull'Incesto

Tra Vecchio e Nuovo – Zia e Nipote

By 26 Febbraio 2019Dicembre 16th, 2019No Comments

Matteo finì di mettere gli ultimi vestiti in valigia con una certa malinconia, in quel giorno di inizio settembre che sembrava ancora richiamare un’estate che aveva un conto in sospeso con quell’angolo di mondo. Era un momento fondamentale nella sua vita, quello. Lasciare tutto e partire non è mai facile per nessuno, specialmente per uno come lui, molto attaccato alla sua terra, ai suoi cari e alle sue tradizioni. Nel profondo del suo cuore, sapeva che quelli erano per lo più impedimenti dovuti ad un suo retaggio culturale dovuto all’insegnamento che aveva ricevuto, ma era sempre difficile trovare il confine nel proprio animo tra la personalità e ciò che invece viene imposto dalla società.

‘La famiglia prima di tutto’, gli avevano insegnato. E lui ci credeva fermamente a quella massima, ma ci credeva per sua convinzione o perché glielo avevano ripetuto così tante volte da far sì che si cementificasse in lui quella regola? A questo Matteo non sapeva rispondere. Si consolava con il fatto che non sarebbe rimasto completamente senza famiglia, nella fredda Milano.

Al termine del liceo a Matteo si erano palesate due possibilità: andare all’università o andare a lavorare nel bar del padre, in quel paesino in provincia di Bari nel quale vivevano, dimenticato da Dio e dallo Stato. Per fortuna entrambi i genitori di Matteo erano furbi. Non colti, istruiti o particolarmente intelligenti, ma erano dannatamente furbi. Quando il governo riformò il sistema agrario italiano negli anni del dopoguerra, a suo padre Peppino e sua madre Anna andarono di diritto una quindicina di ettari non coltivati che prima lavoravano per il padrone del posto e dai quali non ricavavano che un’esigua somma per farli tirare a campare. La coppia li vendette tutti di nuovo al padrone che li ricomprò ad una cifra generosa, ovvero l’indennizzo che lo Stato gli aveva dato per l’espropriazione. Con quei soldi comprarono un bar e guadagnarono bene negli anni del boom economico e anche in quel momento in cui in realtà le fortune italiane andavano rallentando inesorabilmente, in quel 1968 nel quale Matteo era pronto a trasferirsi nella grigia ma vivissima città lombarda che sembrava poter garantire fortune infinite, stando ai racconti degli emigrati fin lassù.

Uno di questi era la zia Rita, sorella della madre di Matteo, che con la sua parte di denaro ricavata dalla vendita dei terreni, aveva deciso piuttosto, di tentar la fortuna nell’industriale e avanzato nord. E ce l’aveva fatta, inaspettatamente, aveva fatto veramente la fortuna, ben più di sua sorella Anna. I primi anni erano stati difficili, fatti di sacrifici, notti insonni trascorse nel pianto, pasti saltati e turni di straordinari in fabbrica. Ma alla fine aveva trovato un lavoro migliore, come segretaria per un noto avvocato penalista milanese. Sapeva leggere, scrivere e far di conto, lo aveva imparato a scuola ed era la prima della classe, aveva quel che bastava per essere una segretaria, senza contare la bella presenza essendo una donna di una certa eleganza, disinvoltura e spigliatezza, qualità che in un mondo ancora così maschilista erano indispensabili. Rita era veramente una bella donna, anche se non era più nel fiore dei suoi anni, la provvidenza l’aveva ben fornita di una quarta di seno su un fisico in carne ma bilanciato, più tendente alla dolcezza ed armonia delle forme che ad un semplice ammasso di carne. Era nera di capelli come era nera di occhi ed entrambi i colori erano intensi e profondi, dando una bellezza quasi selvaggia al suo viso segnato dal trascorrere del tempo che lo rendeva comunque ancora di una non trascurabile attrattività. Tutte queste doti non erano nulla in confronto a ciò che l’aveva veramente fatta sopravvivere. Se sua sorella Anna era furba, Rita lo era altrettanto. Inoltre, aveva la capacità di cambiare, di evolvere, di adattarsi alle situazioni. Oltre ad essere innate, queste abilità si acquisiscono quando si emigra, quando ci si lascia il proprio mondo alle spalle volgendo lo sguardo verso nuovi orizzonti, aprendo la mente a nuove realtà. La mente di Rita era veramente aperta, non solo nei confronti del contesto culturale nel quale era cresciuta di un arretrato paesino di campagna, ma addirittura per la moderna città dei consumi che esplodeva in quegli anni.

Era stata proprio lei a convincere Matteo, suo nipote, a fare altrettanto e seguire il suo esempio. Per spronarlo a proseguire gli studi, gli aveva addirittura offerto vitto e alloggio presso il suo appartamento in città. Un’occasione che solo uno stupido, o un babbalusc’ come si diceva nel loro dialetto, si sarebbe fatto scappare.

E così Matteo ora era lì, in camera sua, a finire di riempire quella valigia marrone che suo padre aveva preso al mercato il sabato precedente. Gli amici li aveva già salutati e una ragazza da salutare invece non c’era mai stata, quindi il problema non gli si poneva nemmeno.

Con l’amaro gusto della tristezza si mise in viaggio. Prima un autobus di linea fino a Bari e poi un treno, diretto, pieno di migranti e sradicati come lui, fino alla città della nebbia e dalla strana parlata. Per scacciare la malinconia, Matteo decise di prendere quell’avventura come una missione di riscatto famigliare e del resto era così che i suoi genitori l’avevano presa. Un figlio laureato era un sogno che si avverava. Loro contadini e lui laureato; non c’era modo migliore di poter far felici due genitori. E non una laurea qualsiasi, ma in legge, per farlo diventare avvocato. La zia Rita parlava sempre di quanto si guadagnasse bene con quel mestiere.

“Anche solo essere un calzino di un avvocato, ne varrebbe la pena, date retta a me. Potresti studiare legge.”

Vista l’insistenza della famiglia, Matteo aveva deciso di iniziare veramente quel percorso. L’idea di vivere con la zia poi, non gli dispiaceva affatto. Ben poche persone aveva incontrato che sapevano emanare un fascino magnetico del genere. Una donna elegante, sensuale, forte, indipendente, così in contrasto con tutto quello che aveva imparato del genere femminile, così contraddittoria nei confronti della cultura dominante e dal suo classico circondario. Rita era veramente una persona fuori da ogni schema e in qualche modo, Matteo l’aveva presa anche a modello e punto di riferimento.

C’era solo un’imperfezione nella vita di quella donna, un qualcosa che effettivamente sfuggiva alla famiglia intera, di cui però solo Matteo se ne infischiava, causando invece enorme turbamento negli altri. Tutti colpevolizzavano Rita di non essersi trovata un uomo nella propria vita, un marito che la sposasse, qualcuno che la prendesse con sé. Era un gran disonore essere arrivati alla soglia dei quarantacinque anni scapoli e soli. Quando durante le riunioni di famiglia in occasione delle festività qualcuno inevitabilmente apriva il discorso con Rita, lei andava in escandescenza e si finiva quasi sempre in litigio.

Sull’intercity che stava tagliando da sud a nord lo stivale, Matteo si addormentò più volte, con la valigia ben stretta tra le gambe e un libro aperto in mano, tenuto con debole presa e sempre in procinto di cadere. Nel perenne stato di dormiveglia il ragazzo pensava alla vecchia vita che si lasciava alle spalle e alla nuova che gli si schiudeva davanti. Tutto ciò lo turbava ed eccitava al tempo stesso, il gusto del nuovo che avanza ma la nostalgia del vecchio che seduce la memoria, debole alle tentazioni del passato quanto curiosa nei confronti dell’avvenire futuro.

E poi, sua zia Rita che lo avrebbe aiutato e ospitato. Molte persone si lasciavano guidare dalle catene migratorie: parenti e amici emigrati prima che si stabiliscono sul territorio portandosi dietro la famiglia, fornendo quell’aiuto e quella conoscenza del territorio che invece loro non avevano avuto la fortuna di trovare. Quindi non c’era nulla di strano nel fatto che per i prossimi cinque anni della sua vita Matteo avrebbe vissuto dalla zia, eppure un po’ di imbarazzo lo sentiva, nonostante ci fosse comunque grande confidenza con Rita.

Dopo il lungo viaggio con il treno, Matteo arrivò finalmente alla stazione centrale di Milano, grande e caotica per un diciannovenne che non era mai uscito dalla Puglia. Una fiumana di persone e bagagli che si muovevano come formiche in quel dedalo di binari d’acciaio e sbuffanti treni. Come prestabilito al telefono, Matteo doveva uscire dalla stazione e cercare il ristorante Miradoni che sarebbe dovuto trovarsi esattamente davanti all’entrata principale della stazione. Quello era il luogo designato per l’incontro. Dopo qualche peripezia e un po’ di informazioni raccolte dai passanti, il ragazzo riuscì a recarsi fin lì.

Rita era seduta su una panchina proprio di fronte al ristorante. Aveva un vestito di stoffa tendente ad un giallo vivace, che la copriva fino ad appena poco più giù delle ginocchia, lasciandole il resto delle gambe bianche scoperte. Il petto imponente della donna reclamava una scollatura che però era abbottonata quasi fino al collo, ingabbiandole il prosperoso seno. Sul capo invece aveva un cappello di paglia, con il quale Matteo l’aveva vista fin dalla sua più tenera età. Appena vide sua zia, non poté fare a meno di pensare a quanto sembrasse radiosa e in forma. Quando poi anche lei riconobbe il nipote, i due si andarono incontro per unirsi in un amorevole abbraccio.

“Ma quanto sei cresciuto!” Fece Rita con entusiasmo guardando dalla punta dei piedi fino alla testa il ragazzo.

“Ti trovo bene zia. Come stai?” Replicò Matteo un po’ imbarazzato dopo l’essere stato così tanto a contatto con le forme della donna.

“Io bene, come al solito. Finalmente sei arrivato! Questi treni, sempre in ritardo, eh?”

“Sì. Poi il viaggio è durato un’eternità, non finiva più.”

“Sarai stanco. Ora ce ne andiamo a casa, così disfi la valigia.” Annunciò Rita facendogli cenno di avvicinarsi ad un taxi.

Anche l’autobus sarebbe andato bene per lui, ma Rita preferì il taxi, potendoselo permettere. Ed effettivamente fu ben più comodo, dato che raggiunsero l’appartamento in meno di venti minuti evitando contatti indesiderati con puzzolenti passeggeri dei mezzi pubblici.

Matteo si sistemò in quella che sarebbe stata la sua camera nei prossimi anni, proprio affianco a quella di sua zia. Il ragazzo respinse dentro di sé quella nostalgia che lo stava già tediando e per distrarsi, si affacciò alla finestra per guardare la città dall’altezza del quinto piano di quella palazzina così nuova e moderna rispetto alle vecchie e lugubri costruzioni che vedeva nel suo paese. Da lassù la città sembrava vibrare di vita, come un organismo vivente. Il sole cominciava già a nascondersi dietro l’orizzonte e colorava d’arancione il cielo e il riflesso dei vetri delle case del quartiere.

“Forza Matteo, vieni a cenare!” Lo chiamò sua zia dall’altra stanza.

“Ma non sono nemmeno le otto ancora!” Rispose stupito.

“Ormai mi sono abituata così, qui si mangia presto.”

-Beh, devo cominciare una nuova vita, dopotutto.- Pensò il ragazzo abbandonando alle sue spalle il sole che a sua volta, concludeva un ciclo della sua esistenza.

“sto studiando diritto pubblico. Ho l’esame la settimana prossima, se tutto va bene ovviamente.” Fece Matteo versandosi il caffè in una tazzina.

“In che senso?” Chiese Rita curiosa.

“Molti studenti protestano in facoltà, quindi è possibile che salti tutto, che boicottino gli esame e roba così.”

“Ah, beh certo, ho sentito che protestano anche a Roma. Ma ci credo io, con tutto quello che pagate di tasse! E poi con così pochi esami!” Sbuffò Rita scocciata.

“Gli appelli, intendi? Sì in effetti sarebbe meglio averne di più… però… non mi piacciono le proteste.”

“Ma mica vogliono far la rivoluzione eh!” Scherzò Rita mentre infilava i tacchi sull’uscio della porta con qualche difficoltà di movimento. Fasciata com’era in quella camicetta e quei pantaloni aderenti a zampa d’elefante che metteva per andare al lavoro, non riusciva mai a muoversi liberamente. Eppure quell’eleganza le donava, sembrava una donna in carriera e in qualche modo lo era. Per tutto il dialogo poi, Matteo aveva lanciato qualche fugace occhiata alla scollatura, ma continuava ripetersi che non fosse colpa sua se sua zia si metteva sempre quella catenina al collo che finiva proprio poco più del punto in cui i suoi seni si abbracciavano tra loro. Solo un centimetro o forse due della spaccatura che divideva i seni era visibile, ma tanto bastava a Matteo per doverci buttare l’occhio, come una sorta di riflesso incondizionato.

“Ci vediamo stasera, ciao!” Salutò Rita uscendo di casa dopo aver afferrato la borsa.

Matteo ricambiò il saluto chiudendole la porta alle spalle. Nonostante fosse stato tempestivo nell’azione, una folata di aria fredda lo investì in pieno. Erano passati cinque mesi da quando era arrivato a Milano e ancora doveva abituarsi a quelle temperature più rigide. La città era avvolta dalla nebbia e dalla finestra della sua camera si poteva scorgere solo la palazzina più vicina, il resto della strada era avvolto da un flebile strato di bianco. A Matteo piaceva quel clima, gli dava una sensazione d’ambientazione noir e di mistero e stranamente ci si sentiva rilassato.

Dopo aver fatto colazione, si fiondò sui libri per continuare a studiare. Aveva da poco cominciato il capitolo sul presidente della repubblica, quando il citofono squillò. Si accorse di essere ancora in pigiama e in fretta e furia si vestì con i primi panni che gli capitarono a tiro, giusto per dare una buona impressione a quello che poteva essere semplicemente un postino o un testimone di Geova. Con enorme sorpresa però, quando Matteo aprì la porta, si trovò davanti un ragazzo, circa suo coetaneo, ma sbarbato e biondino a differenza sua. Aveva in mano un mazzetto di rose e l’espressione delusa.

“Tu chi sei?” Fece il giovane sul ciglio della porta.

“Sono Matteo… Ma piuttosto, chi sei tu?” Rispose accentuando il ‘tu’.

“Ecco… io pensavo che avrei trovato Rita, ma evidentemente si è già rifatta una vita.”

“Di che stai parlando? Io sono il nipote. Mia zia è andata al lavoro.”

L’altro ragazzo controllò l’orologio. “E’ uscita prima?” Chiese come se avesse saputo gli orari della donna.

“Sì, doveva andare prima. Cosa devo dirle quando torna?” Fece Matteo cominciando a spazientirsi.

“Niente, ripasso io domani. Lasciale queste.” Il ragazzo porse il mazzo di rose e se ne andò.

Matteo chiuse la porta alle sue spalle, contento di poter tornare al caldo della sua abitazione piuttosto che al freddo che veniva da fuori. Era confuso, ma non era tanto stupido da non aver capito la situazione. Perché sua zia era stata con quel tipo? Avrà avuto vent’anni ad occhio e croce. Il ragazzo cominciò a cercare un vaso per quelle rose e nell’operazione, trovò un bigliettino ben nascosto nel mazzo. Pensò che leggerlo sarebbe stato scorretto, ma ormai era troppo curioso per trattenersi. Lo aprì e ne lesse il contenuto.

-Rita, con te tutto era più bello. Sappi che io sono ancora disposto a darti quello per cui ci siamo messi insieme, come ti ho già scritto nelle lettere. Per sempre tuo, Giovanni.-

Ormai Matteo non aveva più dubbi. Tra loro c’era stata una storia. Ma di quali lettere parlava? Per un attimo il ragazzo smise di farsi domande, ripensando al presidente della repubblica che lo attendeva su quel vecchio manuale di diritto. Poi però, la curiosità lo assalì di nuovo. Pensava a quelle lettere e non riusciva a concentrarsi su altro. Ipotizzò che se c’erano state delle lettere, queste potevano essere state buttate o conservate. Decise di cercarle, partendo dalla camera di sua zia. Curiosò in fondo ai cassetti, sopra l’armadio, nei comodini e a parte qualche pezzo di biancheria molto sexy, non trovò nulla di compromettente. Si convinse che anche se le avesse trovate, sarebbero state banali lettere tra innamorati. Nulla di così eccitante. Anche se, di interessante, c’era questo disavanzo d’età. A sua zia piacevano i ragazzi più giovani? Se lo avesse saputo il resto della famiglia, sarebbe stato un disonore, un orribile feticismo da far guarire dal prete o roba del genere. Matteo immaginò sua madre e suo padre sbraitare al riguardo. Sua nonna pregare il signore e l’altro zio imprecare contro l’impudica sorella. Mesi fa forse, avrebbe anche lui reagito inorridendosi, ma ormai l’influsso di Rita nella sua visione del mondo l’aveva in qualche modo influenzato.

“Ma chissenefrega di chi ti porti a letto!” Diceva sempre lei. “Uomini, donne, transessuali! Finché non fai male a nessuno, tutto è lecito Mattè. Dai retta a me, non ti far plagiare da questi bigotti!”

Matteo l’aveva capito e aveva smesso di nutrire disprezzo persino per gli ‘invertiti’ , come li chiamava sua nonna. Oltretutto di quei tempi si sentiva accadere di tutto. Pareva che il mondo, o almeno quello libero, stesse cominciando a vivere la sessualità in maniera più aperta. Di certo non nel suo paese natale e in realtà, nemmeno tanto nella così moderna Milano, però qualcosa lì almeno si smuoveva.

Alla fine Matteo riuscì a rimettersi sui libri e studiare anche il presidente della repubblica. Fece una pausa solo per pranzare e per fare un paio di mansioni che sua zia gli aveva affidato. Quando si fecero le 18, Rita rientrò a casa e vide subito il mazzo di rose sul tavolo.

“Ma quelle da dove vengono?” Chiese interdetta.

“Te le ha portate un ragazzo. Ti cercava e ha detto che ripassa domani. Ma chi è?” Fece Matteo mostrando più ingenuità del dovuto.

“Quindi tu lo hai visto?” Disse Rita levandosi il cappotto e i tacchi.

“Sì, gli ho aperto io.”

“Ecco… siamo… stati insieme un annetto fa.”

“Va bene, zia. Tranquilla che non dirò niente a nessuno.” Rispose Matteo con tono rassicurante, sospettando che fosse quella la paura principale di sua zia.

“Eh, sarebbe meglio. Sai come sono fatti… Non capirebbero mai, non capiscono mai.” Fece lei con rassegnazione.

Matteo voleva mostrare un gesto di comprensione e distensione da parte sua, quindi si fece coraggio e ingoiò quel poco del pudore che era rimasto in lui nei confronti di Rita. “Io capisco e me lo hai insegnato tu che non c’è niente di male. Sembrava molto innamorato quel ragazzo. Quanti anni ha?”

Rita di pudore ne aveva decisamente di meno ma un minimo si vergognò essendo per la prima volta protagonista di un discorso del genere e non solo spettatrice come era stata in tutte le situazioni in cui ne aveva parlato. “E’ poco più grande di te. Ha 24 anni. Siamo stati insieme quasi un anno ma… le cose tra noi non sono mai andate un granché.”

“In che senso?” Matteo a questo punto voleva saperne di più.

“Beh, insomma, a livello sessuale intendo. Non andava.” Fece Rita cercando di non scendere in dettagli troppo intimi. Il ragazzo lo comprese e lasciò correre quell’argomento, ma la sua sete di curiosità ormai lo spingeva a sapere di più della vita di sua zia, che diventava ancora più interessante.

“Solo un anno siete stati insieme? Quindi, ci sarà stato anche qualche altro uomo nella tua vita.”

“Sì, ovviamente non ne ho mai parlato con voi in famiglia. Ho avuto solo una storia con un mio coetaneo. E un’altra con un altro ragazzo. Te invece? Non mi hai mai detto niente.” Rita cercò di non lasciarsi stringere all’angolo dell’interrogatorio.

“Ho avuto una ragazza quando stavo giù, in Puglia.” Fece Matteo, senza specificare che fu solo per qualche settimana e non andarono oltre a qualche bacio.

“Siamo due anime tormentate, eh?” Scherzò Rita per sdrammatizzare. “Vado a preparare la cena. Te hai fatto quelle cose che ti ho chiesto?”

“Sì, sì certo.” Rispose Matteo, un po’ deluso dall’esito di quella conversazione che sperava sarebbe stata più rivelatoria. Voleva scoprire di più di sua zia, ma era riuscito solo a carpire il suo gusto per i ragazzi giovani e un problema a livello sessuale avuto con quel Giovanni. Chissà quale era quel problema. In fondo, pensò Matteo, quale potrebbe essere il problema sessuale di stare con un ragazzo così giovane? Inesperienza? Quella era normale a quell’età. O forse sua zia era una tipa esigente.

Nel frattempo Rita pensava a quello che avrebbe dovuto dire a Giovanni il giorno successivo per levarselo dalle scatole una volta per tutte. Quella conversazione con Matteo le era piaciuta, si era sentita compresa per la prima volta come nemmeno con Giovanni stesso o con Pietro, l’altro ragazzo con cui era stata. A differenza di quei due però, Matteo era suo nipote e in qualche modo era stata lei ad istruirlo in modo che fosse pronto a comprenderla, a capirla, ad assecondarla. Per un attimo Rita si irrigidì mentre tagliava le zucchine per la cena. Il pensiero di aver istruito suo nipote le aveva causato un brivido strano, quasi un fremito di impercettibile soddisfazione, uno strano pensiero nell’anticamera della mente.

Si scrollò la sensazione di dosso e continuò a tagliare le zucchine con le quale avrebbe fatto un bel minestrone.

“Ti sono piaciute le rose?” Fece Giovanni fuori dalla porta.
“Sì sono belle, ma come ti ho detto, meglio non vederci più.” Rispose Rita cercando di tagliare corto.
“Ma perché? Ti sei messa con quell’altro?”
Chissà a chi si riferiva Giovanni. Matteo stava origliando la conversazione dalla cucina, che confinava proprio con la porta dell’ingresso ed era la miglior posizione per ascoltare senza essere visti, anche se Rita sapeva che lui era lì.
“No, non sto con nessuno. Comunque non sono affari tuoi. Su, Giovanni, non rendere la cosa troppo difficile, devi anche saper accettare un rifiuto.” Stavolta Rita fu più severa per tentare di chiudere il discorso e infatti a tali parole, il ragazzo si rassegnò e la salutò, non prima di aver dichiarato il suo completo amore un’ultima volta e averle detto che lui ci sarebbe sempre stato per lei.
Lo spettacolo si concluse e Rita sbuffò una volta chiusa la porta.
“Hai sentito tutto, vero?” Chiese a Matteo dall’altra stanza.
“Emh… di sfuggita. Ma chi è quell’altro di cui ha parlato?” Cerco di minimizzare.
“Ma non saprei… Credo pensi pure che io sia tornata con Pietro, roba da matti.”
“Chi è?” Chiese Matteo cercando di nascondere l’impazienza di saperne di più di quelle cronache rosa.
“E’ un suo amico con cui sono stata prima di lui. Per cinque anni in realtà. E’ tramite Pietro che ho conosciuto Giovanni, ma ora non voglio più saperne di loro.” Rita non sembrava triste, ma piuttosto scocciata. Quindi Matteo continuò ad indagare senza la preoccupazione di essere troppo insistente e di causarle dolore o tristezza.
“Ma come li hai conosciuti?”
“Ora riderai proprio. Ho conosciuto Pietro nello studio nel quale lavoro, era venuto per una causa nella quale voleva il supporto dell’avvocato per cui lavoro. E poi sono stata con lui, anche se non era una cosa a coppia fissa ecco, cioè, non eravamo due fidanzatini, non facevamo tutte le cose che fanno i fidanzatini… però a volte sono uscita anche insieme ad i suoi amici e li ho conosciuto anche Giovanni.”
Matteo si interessava sempre di più a tutta quella storia, era diventata veramente eccitante e interessante, ai limiti dell’assurdo.
“E ora?”
“Ora sono di nuovo da sola, mi sono presa una pausa, non ho avuto proprio ciò che cercavo da loro, men che meno da Giovanni. Pietro se n’è fatto una ragione da tempo, ma Giovanni come vedi continua.”
Il solo pensiero di sua zia con dei suoi coetanei accese un certo fuoco in Matteo che però addomesticò come avesse dei vigili del fuoco dentro di sé. Pensava anche a quanto erano stati fortunati quei due ad averla avuto, ad averci fatto l’amore e chissà quali altre cose di cui Rita era una maestra. Ma cosa cercava veramente da loro che non aveva ottenuto? Matteo doveva saperlo.
“Sei una tipa esigente zia?” Scherzò Matteo cercando di buttarla sul ridere per carpire altre informazioni.
Rita rise. “Ma chi io? Non penso di esserlo, dai. Ho insegnato molto ad entrambi quei due, ora però devono andare avanti da soli.” Fece con una certa fierezza.
“Anche a me piacerebbe imparare, voglio dire, saperci fare con le donne intendo…” Matteo si stava incartando su se stesso. Aveva esagerato con quell’uscita, aveva paura di essere sembrato troppo stupido, ingenuo.
Rita rise di nuovo. “Faccio tardi al lavoro, ci vediamo più tardi.” Fece prima di iniziare a prepararsi per uscire.

Mentre percorreva la solita strada a piedi da casa sua all’ufficio, pensò un po’ al suo passato con quei due ragazzi e a quanto comunque si era divertita. Un po’ le mancavano quelle emozioni, quei languori, quelle passioni. C’era abituata a conviverci, sapeva accettare se stessa, le proprie perversione, le proprie emozioni. Era una donna ben adulta e libera da quei vincoli che si era lasciata nella profonda Puglia. Anche Matteo aveva seguito il suo esempio e in qualche modo ci si rispecchiava. Anche lui si stava liberando di quei vincoli che gli tarpavano le ali. Matteo era come lei, del passato. La differenza era che lei non aveva avuto nessuna guida, si era barcamenata da sola nel nuovo mondo moderno, nella grossa metropoli di Milano, piena di cantieri, di lavoro, di attività, di vita e di sessualità. Aveva saputo trovare la sua strada e ora voleva indicarla anche a Matteo. Ma fino a che punto intendeva farlo? Questo ancora non lo sapeva, ma l’istinto glielo avrebbe forse detto. Ad un certo punto però, si fermò. Non aveva fatto molta strada, era poco distante da casa, ma sentì di non poter più camminare. Nonostante tutti i suoi sforzi per essere felice, era invece triste e si sentiva nuovamente sola. Forse aveva ragione sua sorella: in vita sua non era riuscita nemmeno a trovarsi un uomo che la sposasse. Solo avventure con ragazzini, eccitanti ma non stabili. I suoi capricci sessuali l’avevano portata a circondarsi di una spessa corazza intorno al cuore che le aveva impedito di provare amore, quel sentimento vero e passionale, travolgente nella sua semplicità, seducente nelle sue mille sfaccettature. Combinare sesso e amore, ecco cosa non le era mai riuscito. Sentiva che non ne sarebbe mai stata capace e in tutto quello, le venne da piangere. Come un fiume in piena che fa scorrere acqua e sentimenti che portavano via il trucco dal suo viso scavando solchi neri sulle guance.

Nel frattempo Matteo lottava contro i propri istinti in casa, da solo. La lotta fu breve, perché cedette immediatamente alla voglia di masturbarsi. Suo pensiero fisso, ovviamente, sua zia. Era banale, ma doveva sfogarsi dopo tutto quel pensare a lei. Non era la prima volta che lo faceva, ma stavolta era ancora più potente la sua eccitazione. Soddisfare con la masturbazione le sue pulsioni carnali gli dava sempre un forte coinvolgimento emotivo sul momento, che però si scioglieva presto come neve al sole, lasciando quella pozzanghera di risentimento e repulsione come quando la neve diventa fanghiglia dell’ormai vecchio ricordo di bianchezza e purezza.

Per soffocare quelle emozioni, il ragazzo decise di infilarsi il cappotto e fare due passi, giusto dieci minuti prima di mettersi sui libri. Gli mancavano le sue passeggiate in campagna. Quelle in città non erano la stessa cosa, ma comunque lo riempivano di stimoli sonori , visivi e olfattivi oltre che di pensieri diversi. Dopo aver sceso le scale del condominio di corsa, sbucò immediatamente in strada e dopo aver percorso appena duecento metri, trovò sua zia, ferma sul ciglio della strada, in preda ad un pianto che cercava di nascondere alla folla di passanti che brulicavano sui marciapiedi. Ma non c’era bisogno di nascondere proprio nulla, perché il grande formicaio della metropoli non si cura delle sue formichine e queste vanno e vengono su e giù per le strade senza domandarsi cosa succede alle loro simili.

“Zia, ma che hai?” Fece Matteo avvicinandosi.
Rita non riuscì a rispondere inizialmente. Si asciugò le lacrime con il dorso della mano, sporcandosi più che altro di trucco, poi tirò su con il naso un paio di volte e infine trovò la forza di rispondere.
“Andiamo a casa, oggi non vado al lavoro.” Rispose con voce tremante. “Non mi sento bene.”
“Vuoi che vada ad avvertire?” Chiese Matteo cercando di rendersi utile.
“Sì, va. Dì che sto male. La strada la sai. Ci vediamo a casa.”
In meno di mezz’ora, il ragazzo aveva percorso la strada d’andata e di ritorno, aveva avvertito l’ufficio di sua zia ed era tornato a casa a vedere come stesse Rita. Il suo sospetto era che avesse avuto un malore fisico, non ne sospettava uno sentimentale.
All’inizio Rita fu reticente nell’aprirsi. Non voleva parlar di sé, non voleva ammettere i suoi demoni. Ma Matteo aveva imparato bene da suo padre che le donne amavano essere ascoltate più d’ogni altra cosa e che bisognava essere semplicemente disponibili, pronti a dare piuttosto che pretenziosi nell’avere. In questo caso Rita aveva bisogno d’orecchie e Matteo era pronto a prestargliene. Dopo un po’ d’insistenza, alla fine, Rita si aprì.
“Sono una donna complicata, caro. Non ho mai saputo gestire le mie relazioni, come avrai ben visto.” Cominciò lei.
“Ma… abbiamo già detto che alla fine l’età non è poi così importante…” Rita lo interruppe senza lasciarlo finire.
“Non è quello il problema, infatti. O meglio, è solo parte del problema. Non ho mai saputo congiungere sesso e amore, due componenti fondamentali nelle relazioni. Ho sempre pensato al sesso e su quello non ho mai avuto problemi. Solo ora mi accorgo che d’amore in vita mia, d’amore vero, ne ho vissuto veramente poco. Ti assicuro Matteo che non si può vivere senza amore e me ne sto accorgendo ora… Dio… Sono patetica, non è vero?”
Matteo si rese conto che anche lui d’amore in vita sua non ne aveva visto nemmeno l’ombra e in realtà nemmeno di sesso. Certo, era giovane e avrebbe avuto il tempo per tutto, ma poteva comprendere la situazione di sua zia.
“Certo che no! Non si può essere patetici perché si vuole solo amare! Non è così che funziona…” Matteo si rese conto di non saper che dire, in una situazione come quella. Come poteva consolare una persona più grande di lui? Si sentiva in un ruolo che non era suo, che non gli si addiceva.
Rita si sentì avvampare. Un brivido, una pulsione, un istinto. Suo nipote, così giovane, così prestante. Un frutto fresco, maturo, pronto per essere assaporato, succulento nella sua giovinezza, vitalistico nell’essenza più profonda di sé, ad un passo da lei, ad un palmo dal suo corpo, a pochi centimetri dalle sue labbra. Lei in declino, in decadenza e lui in ascesa, in fioritura. La sua instabilità emotiva l’aveva turbata e scossa. Era quello il momento per lei? Esitò, titubò dentro di sé. Lui aveva ricominciato a parlare, cercava ancora parole di conforto, parole zuccherose, come le voleva lei. Aveva preso a fissarlo con lo sguardo perso, assorta nella confusione della propria anima, tra le proprie passioni che si mescolavano l’un l’altra.
Matteo smise di parlare, chiedendosi perché sua zia avesse cambiato improvvisamente atteggiamento. Aveva una strana sensazione addosso. Troppo giovane per percepire distintamente gli elettroni nell’aria addensarsi intorno ai loro corpi eccitati, ma troppo grande per ignorare completamente quella instabile tensione. Qualcosa doveva accadere, ma non comprendeva cosa.
Furono secondi che durarono decadi per loro. Tutto nuovo per Matteo, tutto sconosciuto, inesplorato e mai provato. Per Rita era tutt’altro discorso. Lei viveva di queste tensioni, sapeva crearle, dissiparle, manipolarle, ma stavolta qualcosa c’era di diverso anche per lei: quella carica si era creata inconsapevolmente, non programmata in quel momento, improvvisa. Un po’ come quando si addensano velocemente le nubi in una tempesta e un lampo precede il fracasso del tuono che inevitabilmente arriva. Rita aveva visto almeno il lampo e aspettava il tuono, Matteo invece quel lampo non riusciva a vederlo e il tuono stava per sorprenderlo.
Rita si avvicinò di qualche centimetro bloccandosi, fissando lo sguardo sulle labbra di Matteo che erano appena socchiuse, in tensione. Anche il ragazzo guardò le labbra di sua zia, forse per riflesso incondizionato o mimica della donna di fronte a lui. Il rossetto gli sembrò ancora più vivido e accesso, un rosso fuoco calamitico. Rita fece un ulteriore passo in avanti, sporgendosi ancora di più. Ora i due percepivano il respiro dell’altro sui rispettivi volti, ma quella fase fu velocemente superata da Rita che coprì definitivamente lo spazio mancante e congiunse le sue labbra a quelle del nipote.
I due si baciarono, a stampo, per qualche secondo. Entrambi i loro corpi brulicavano di ormoni in scombuglio, l’eccitazione li assalì entrambi senza risparmiare una sola fibra. Quando si staccarono e si guardarono però, qualcosa non andò nel verso giusto.
Rita si aspettava un seguito, un’ulteriore avvicinamento e un bacio più coinvolgente e passionale, come le accadeva di solito. Stavolta invece subentrò un’anomalia non considerata: Matteo si allontanò con un volto stupito e quasi scandalizzato.
“Zia, ma che… Che ti prende?” Sussurrò il ragazzo.
“Aspetta, forse ho esagerato… Io volevo solo…” Rita non fece in tempo a finire la frase, che Matteo si alzò di scatto.
“Nono abbiamo sbagliato, mi dispiace… Zia io… Non so che mi è preso…”
“Fermo, tranquillo, non c’è niente di sbagliato, non sentirti in colpa!” Cominciò la donna con una certa lucidità e calma che sorprese Matteo.
“Ma tu sei mia zia! Io non… Posso… Ho bisogno di un po’ d’aria, devo camminare.” Matteo si avvicinò all’ingresso e si infilò le scarpe e il cappotto.
“Aspetta, vengo con te.” Fece Rita cercando di seguirlo.
“No, voglio stare solo… Scusa.” Dicendo questo, il ragazzo chiuse la porta alle sue spalle.
Rita rimase di stucco. Non si sarebbe mai aspettata una reazione del genere da Matteo. In quei mesi in cui avevano convissuto gli era sembrato pronto, ma forse era stata eccessivamente precoce.
La donna si abbandonò sul divano infilandosi le mani tra i capelli. Che aveva combinato?

Matteo scese le scale di corsa con la mente piena di pensieri.

L’incesto lo temeva quasi più di ogni altra cosa. Una sorta di complesso edipico nei confronti di sua zia? Ma no, che c’entrava edipo, che si era scopato la madre e aveva ucciso il padre. Però era pur sempre incesto. Deplorevole, aberrante, sbagliato su più fronti.

-Cristo! Che cazzo di incoerente che sono! Con tutte le seghe che mi sono fatto su mia zia negli ultimi mesi!- Pensò il ragazzo mentre scendeva i gradini due a due.

Matteo pensò immediatamente al resto della famiglia: cosa avrebbero detto? Cosa avrebbero fatto, vedendoli in quel modo? La fine del mondo, di sicuro. Anzi, non avrebbero nemmeno più fatto parte della famiglia. Peccato capitale. Un conto era immaginare situazioni eccitanti con sua zia, un conto era baciarla. Si sentiva sporco dentro anche per tutto quel che aveva immaginato su di lei e con lei. E ora si erano anche baciati. Improvvisamente desiderò di non essere mai partito per Milano, di non aver mai cambiato vita e città, voleva che tutto tornasse come prima, come se nulla fosse mai accaduto. Ma le lancette dell’orologio non possono essere invertite e il tempo va inesorabilmente in avanti, non arretra innanzi a nessuno.

Matteo camminò fino alla fermata dell’autobus. Aveva bisogno di una sigaretta, doveva fumare per calmarsi, di solito funzionava, ma non aveva sigarette con sé, quindi doveva chiederle.

“Scusi, ha da fumare?” Chiese ad un signore sulla cinquantina vestito da operaio e sporco di calce sui pantaloni.

“No, nun fumo regazzì.” Rispose in accento romano l’uomo.

“Ne ho una io.” Fece una voce dalle sue spalle.

Matteo si girò e sgranò gli occhi. Giovanni con un sorriso amichevole e una sigaretta in mano, se ne stava lì in piedi in attesa di un movimento dell’altro ragazzo.

Matteo gli strappò la sigaretta senza nemmeno ringraziarlo. “Che cazzo ci fai ancora qua?” La accese e cominciò a fumarla in maniera nervosa.

“Aspetto l’autobus da un’ora buona. Oggi è sciopero. Non bastano gli studenti, ora ci si mettono anche gli autisti. Sindacalisti maledetti. Tu invece?” Chiese il giovane come se tra loro ci fosse confidenza.

“Devo prendere l’autobus anche io.” Rispose velocemente l’altro, spostando lo sguardo.

“Insomma alla fine sta veramente con te.” Fece Giovanni accendendosi una sigaretta a sua volta e sbuffando una nuvola di denso fumo.

“Che?” Matteo non capiva a cosa si stesse riferendo.

“Tua zia, intendo. Insomma, stai con lei no?” Giovanni sembrava non avere più quella gelosia che invece fino ad un’ora prima aveva mostrato sul ciglio della porta di casa. “Sono contento per te alla fine, te la puoi godere al cento per cento, cazzo. Devo confessare di essere un po’ invidioso nei tuoi confronti. Io ho assaggiato una fetta della torta, ma tu ci puoi spalmare la faccia, capisci che intendo.” Giovanni sbuffò un’altra nuvola di fumo.

Matteo era esterrefatto. Qualcosa cominciava a farsi più chiaro nella sua mente, si stava componendo un quadro ben preciso della situazione, ma era veramente incredibile da vivere.

“Ma chi ti ha detto queste cose?” Chiese il ragazzo cercando di confermare i suoi dubbi.

“Rita mi ha parlato di te. Era così contenta quando hai deciso di venire qui. Lo sapevo che sareste finiti insieme alla fine, tua zia ottiene sempre ciò che vuole.” Giovanni continuava a sbuffare fumo, mentre Matteo aveva smesso di inalarne.

“Io ero ciò che voleva.” Constatò sconvolto Matteo a voce alta, con tono poco deciso.

“Eh? Era una domanda o un’affermazione? Comunque sì. Aveva immaginato che le cose sarebbero andate a finire così. E’ un evergreen, dopotutto no? La zia e il nipote.”

“Evergreen?”

“Un classico intramontabile, lo dicono così gli inglesi. Io comunque ho tentato il tutto per tutto con quelle rose, non sapevo se effettivamente con te la cosa fosse andata in porto o meno, ma oggi mi è parso chiaro, quindi… Meglio andare avanti. Oh, ecco l’autobus.” Giovanni buttò a terra la sigaretta e la spense di fretta. Poi si girò di nuovo verso Matteo che era ancora alquanto scosso e incredulo. “Io prendo questo. Magari è brutto da dire ma tanto siamo tra uomini… Scopatela anche da parte mia, va bene?” Giovanni porse la mano al quasi coetaneo e sorrise ironicamente.

Anche Matteo si disfò della sua sigaretta. “Ma vaffanculo pervertito.” Gli girò le spalle e si allontanò.

“Cosa? Sarei io il pervertito?” Disse Giovanni alzando la voce per farla arrivare alle orecchie di Matteo il quale aveva già coperto almeno cinque o sei metri di distanza e se ne andava via con passo rapido.

Matteo era alquanto disorientato. Tutta quella storia lo stava facendo impazzire di emozioni diverse. Cercò di respirare e calmarsi, ma dentro di sé la sua anima era divisa in due parti ben distinte, due controtendenze asimmetriche e inconciliabili che lo dilaniavano, lo facevano sentire eccitato e inorridito allo stesso tempo. Proprio come quando si masturbava: il fugace piacere sessuale lasciava sempre spazio a quel riverbero della coscienza che manifestava un insito squallore per l’atto appena consumato generando in lui una tensione difficile da gestire.

Rita era ancora sul divano, ma quegli istanti le erano serviti molto per riprendersi. La crisi di pianto era ripiegata su se stessa e ora in cuor suo c’era solo pentimento per l’atto compiuto. I conti con il proprio essere l’aveva già fatti da tempo e non era l’incesto a spaventarla. Oltretutto riteneva che quello fosse un incesto blando, accettabile e non scandalizzante ma evidentemente non era della stessa opinione Matteo e questo lei non l’aveva saputo calcolare. Evidentemente nonostante la distanza, la mentalità arcaica della famiglia e del luogo di nascita aveva ancora troppa presa su suo nipote. Tutti questi pensieri la condussero all’unica conclusione possibile: non poteva nascere un nuovo mondo laddove il vecchio non era ancora stato sepolto. D’altronde anche per lei c’erano voluti anni per far fuori i vecchi preconcetti, i vecchi limiti, per superarli, reinterpretarli e ricodificarli. Rita tutto d’un tratto si sentì fragile come non si era sentita da tempo. La sua voglia d’amore era a rischio, ma non poteva permettere di essere sconfitta in quel modo, lei non era la tipa da lasciarsi travolgere così facilmente, era agguerrita e caparbia. Improvvisamente, la porta di casa si aprì per l’ennesima volta in quella giornata e Matteo rientrò senza proferire parola ma solo sedendosi sul divano, poco distante da Rita. Dopo qualche secondo aprì il discorso.

“Da quanto?”

“Da quanto cosa?” Replicò lei.

“Da quanto tempo premeditavi di avermi.”

“Da mesi, da prima che arrivassi qui. Vedi, con gli altri è tutto incompleto. Se c’è sesso, non c’è amore, se c’è amore, non c’è sesso. Se ci sono entrambe le cose manca complicità, intesa, comprensione. Sapevo che tu potevi darmi tutto ciò, siamo sempre stati simili, siamo sempre stati legati e ora sei uomo e sei così vicino a me, così a mia portata. Vuoi colpevolizzarmi di essere attratta da giovani e non da vecchi? E’ veramente così strano o è in qualche modo naturale per tutti? Sapessi quante storie ho sentito di mariti che si rovinano per delle ragazzine. Io per giunta non sto abusando di un minorenne, non sono una pervertita.”

“Sei mia zia. Come diavolo ti salta in mente?”

“Ci sono molte cose ancora che devi imparare e lo capisco, veramente. Ho fatto il passo più lungo della gamba, ti chiedo scusa. Hai bisogno di più tempo, non è un male. Posso aspettarti ancora. Potrai accettare la cosa, se vorrai. Non ti imporrò nulla in nessun modo, sarò semplicemente qui. Accetterò ogni tua scelta. Però devi lasciarti il resto alle spalle, intendo tutto quello che sapevi e vivevi della sessualità. Capisco sia difficile, viviamo in un paese dove il reato di adulterio per le donne è ancora legge, dove il matrimonio è sacro e inviolabile e non può essere spezzato, dove il delitto d’onore è ancora istituzionalizzato. Guai a parlare di omosessualità, guai a parlare di sesso in pubblico, pena epiteti quali impudica nel migliore dei casi e troia nei peggiori. Scarsa, se non nulla, considerazione della donna e della sua libertà sessuale. Ma ti svelo un segreto Matteo: il mio corpo è mio e decido io con chi stare, nessun’altro. Ma il mondo si sta svegliando, che piaccia o no e questi limiti verranno spezzati via definitivamente. In tutti i paesi occidentali questi dogmi cadono come un castello di carte, solo in Italia ancora facciamo fatica ad accettare il vento del cambiamento. E tu puoi prenderti il tuo tempo. Tutti possono farlo, ma prima o poi dovrai accettare da che parte stare.”

“Di che parte stai parlando?” Chiese Matteo incuriosito.

“Sto parlando del vecchio o del nuovo. Sei giovane, ma questo non ti porta necessariamente nel nuovo, quindi a te la scelta. Io la mia l’ho già compiuta.”

Matteo stava bivaccando sul divano ascoltando il telegiornale serale in televisione, in quella sera di inizio marzo. Da lì a poco sarebbe dovuto lanciarsi tra le vie di Milano per raggiungere un bar del centro città che da qualche mese si era rinnovato garantendo il servizio ventiquattro ore su ventiquattro, il primo bar del genere in tutta la città. A fare il turno notturno sarebbe toccato a lui quella sera. Da una parte era felice di poter fare qualche soldo e contribuire autonomamente al proprio mantenimento per le piccole spese, dall’altra non aveva assolutamente voglia di uscire con quel freddo e di stare in piedi tutta la notte. Fortunatamente il suo era un lavoro sporadico, lo impegnava al massimo per un paio di turni alla settimana. Il proprietario era un vecchio amico dei suoi genitori e quindi, anche di Rita. Fondamentalmente era stato raccomandato, pratica della quale sembrava ormai impossibile non macchiarsi.

Rita stava invece uscendo dalla doccia con il suo solito accappatoio viola e l’asciugamano in testa a tener fermi i capelli. Passò di fronte alla tv con passo energico e Matteo non poté che posare lo sguardo sul suo corpo, sensualmente avvolto in quel cotone. Per un attimo il ragazzo si domandò quali sensazioni soffici avrebbe provato al tatto se solo avesse posato le mani sulle generose forme della zia, ma scacciò presto il pensiero.

“Alla fine hanno occupato, insomma.” Commentò Rita che si era fermata ad ascoltare il telegiornale.

“Sì, questi giorni all’università è un gran casino. Fortunatamente la sessione d’esami è finita, però avremmo le lezioni da cominciare in teoria. Che palle con queste proteste.”

“Non fare così, tornerà utile anche a te quello per cui protestano loro. Gli esami li hai anche dati, sei anche andato benissimo, non ti lamentare per tutto, su!”

“Ho solo paura che i professori poi ci siano ostili. Alla fine sono sempre l’autorità loro. Non credo che noi possiamo cambiare granché del sistema. E’ una battaglia persa in partenza.”

Rita liberò i capelli dall’asciugamano e li oscillò con alcuni colpi del capo. Quel gesto di femminilità non era premeditato, le era risultato naturale, ma si rese conto della carica sessuale che emanava o piuttosto, sperava di emanarne e sapeva che per lo più Matteo cercava di ignorarla suo malgrado. Era diventato una specie di gioco il loro, una tentazione indiretta e ammiccante da parte di Rita e una falsa indifferenza quasi ascetica da parte di Matteo.

“C’è fermento ovunque, anche in Francia ho sentito. Mai dire mai, caro mio. Il tuo è solo un atteggiamento conservatore, hai solo paura di cambiare.” Terminata la frase Rita si spostò in camera da letto per mettersi il pigiama.

Matteo era consapevole del vero significato di quella frase. Sua zia era realmente dalla parte dei protestanti politicamente parlando ma la contemporaneità nei loro discorsi era specchietto per le allodole per ben altra questione che si trascinavano dietro da inizio gennaio. Erano due mesi che si era bunkerato nella sua fortezza, tirando su muri, fili spinati e ponendo guardie agli ingressi. Eppure quel che lo spaventava non era fuori da sé, ma dentro di sé. Sentiva il suo corpo cedere giorno per giorno, il suo sangue ribollire nelle sue vene e la sua voglia crescere incessantemente. Ma il suo conscio lottava con le unghie e con i denti per tenerlo bloccato, arenato e intransigente di fronte alle continue velate e sottili avance e allusioni di sua zia. Quella ne era stata una delle tante e più blande. Ma non mancavano volte in cui Rita era ben più esplicita e sopra le righe.

Ma quale famme fatale aveva trovato?

Rita infilò velocemente il pigiama più caldo che aveva mentre un brivido le corse lungo la schiena. Si sentiva insicura e spaventata. Non passava giorno in cui una parte di sé non si pentisse di aver creato quella situazione con suo nipote, ma poi ripensava a tutte le ragioni che aveva per farlo e si rasserenava. Era stata estremamente dura per lei vivere da sola tutti quegli anni. Non erano i partner occasionali a darle la compagnia che cercava, in loro aveva avuto solo temporanei sfoghi. In completa solitudine aveva sempre compiuto le proprie scelte, giuste o sbagliate che fossero. Aveva imparato a vivere autonomamente in un’epoca nella quale per molti il miglior ruolo a cui una donna poteva aspirare era quello della first lady, la moglie dell’uomo più potente al mondo. Ma le cose sarebbero cambiate in futuro, se lo sentiva. Lei era un’eccezione, ma le donne del futuro sarebbero state tutte eccezioni. Le sue idee libertarie erano troppo forti da soffocare e in quella confusione generale che aveva in testa, dal suo punto di vista, suo nipote era solo un ulteriore tassello verso un nuovo modo d’intendere la sessualità. Rita fremeva dal desiderio di averlo per sé, quel bel giovanotto le avrebbe restituito una ventata d’aria fresca e l’avrebbe immersa nuovamente in una giovinezza dalle molli e calde passioni. Sognava ad occhi aperti il reame della sessualità che si dipanava tra loro, coinvolgendoli, eccitandoli e ammantandoli di energie nuove dal gusto del proibito, interdetti languidi desideri dai peccaminosi risvolti.

Rita si sarebbe presa quel che voleva, prima o poi, in un modo o nell’altro, fiaccando giornalmente la reticenza del suo giovane nipote o sarebbe stato quest’ultimo a resistere alle potenti offensive dell’intrigante zia?

Matteo si infilò il giubbotto e uscì di casa salutando sua zia che si trovava ancora in camera da letto.

“Buon lavoro, tesoro.” Replicò lei.

Il ragazzo non ci faceva nemmeno più caso alle parole dolci che lei gli riservava, ma lui si manteneva sempre un po’ distaccato. Una volta scese le scale si infilò nel groviglio di vie della città camminando in direzione del centro, ma con il naso all’insù. Di notte gli piaceva guardare le finestre dei palazzoni che si erigevano intorno a lui per cogliere movimenti da dietro le vetrate e immaginare le attività degli inquilini. Le sue preferite erano le finestre dove si vedeva la luce ad intermittenza delle televisioni, gli davano un certo senso di serenità inspiegabile. Purtroppo in pochi avevano la tv a casa, un lusso che non tutti potevano permettersi, quindi Matteo contava sempre il numero di finestra da cui poteva intuire la presenza di una tv. Si chiedeva anche quante persone dall’altra parte delle finestre faceva l’amore mentre lui camminava per strada. Dieci? Cento? Mille?

Rita si infilò nel letto con lo scopo di addormentarsi il più velocemente possibile, in modo tale da scrollarsi di dosso quella pesante stanchezza con del sonno riconciliante. Come spesso accade però, rimase in uno stato di dormiveglia dove la mente viaggia in dimensioni eteree e metafisiche, annacquate dai ricordi, dai desideri, dalle speranze, dai sogni. Da questa poltiglia informe e onirica riemerse un dialogo di qualche settimana prima avuto con Matteo. Il ragazzo era confuso e spaesato ancora per quel bacio che lei gli aveva strappato e in uno slancio interrogativo le aveva chiesto perché tra tutte le persone al mondo, lei volesse proprio lui, suo nipote.

Posta di fronte a quella domanda, aveva deciso di dire la verità e smetterla di mentire a lui quanto a se stessa. Il vero motivo era la sua perversione, nuda e cruda. Un capriccio che le convenzioni sociali potevano rallentare, ma non fermare o cancellare. Quel che voleva se lo prendeva, a discapito di quel mondo di valori intorno a lei che comunque cozzavano contro la sua logica di interpretare il mondo e la vita. In fondo pensava che come gli omosessuali fossero attratti da persone del loro stesso sesso, lei poteva essere attratta da suo nipote. Come i feticisti dei piedi avvolgono d’aura sacra un semplice arto, lei poteva avvolgere della stessa aura chi le pareva, anche suo nipote. Cosa poteva fermarla? Una percentuale di sangue condiviso? Un antico tabù stabilito da arcaiche società affinché i gruppi di uomini procreassero figli più sani e forti, con il duplice scopo di creare alleanze tra clan attraverso politiche di matrimoni? Matteo a tutto quello non aveva saputo controbattere. Eppure, in quel momento di dormiveglia, le sorgeva un dubbio. Non erano forse tutti pretesti per giustificare una sua perversione, quelli? Non cercava di personificare l’antitetico ruolo di peccatrice e assolutrice?

Questi pensieri tormentavano Rita, rovinandole il sonno ma anche la veglia. La duplicità della mente umana rende spesso impossibile le autoanalisi. La ragione finisce spesso per essere tribunale di se stessa, chiamata a giudicare sul proprio operato come se potesse scindersi in due o guardarsi dall’esterno. Nella veste di giudicatore e giudicato, l’insano, finisce spesso per prendere le parti sbagliate, spostando gli equilibri verso una delle due estremità.

Quando Rita si addormentò, seppellì definitivamente il dubbio di starsi ingannando, spianando la strada alle sue incestuose perversioni.

Nel frattempo Matteo lavava delle tazzine dal fondo nero di caffè, nello stesso modo in cui sperava di insaponare e sciacquare via i suoi problemi dalla testa. La vita sarebbe stata più semplice con una spugna e del sapone in mano con i quali levare le macchie che non ci piacciono, pensava. E così assorto nel turbinio della mente, aveva assunto un’espressione corrucciata e deforme nel viso. Erano le quattro del mattino e al bar non c’era più nessuno. A quell’ora il suo collega Antonio diventava loquace anche se quello era il peggior giorno possibile per fare conversazione con Matteo. Eppure Antonio non si curava molto di quanto il collega intervenisse, a lui piaceva parlare fino allo sfinimento. Era la classica persona più adatta ai monologhi che ai dialoghi, non a caso voleva diventare prete per recitare le messe. Dare consigli di vita agli altri era la sua missione sacra, disattenderli lui stesso la sua ironica maledizione. In quel momento aveva cominciato a parlare proprio di quello. Della sua vicinanza alla chiesa, dei suoi anni da chirichetto, di quanto avesse imparato un sacco di versi della bibbia e dei vangeli a memoria, ma che ora ne ricordava pochi. Delle sberle dei preti che volevano raddrizzarlo e di quelle del padre che volevano punirlo. Matteo ascoltava distrattamente. Tutto quello non aveva molto a che fare con lui e con i suoi pensieri, ma perlomeno quella cantilena lo teneva un minimo lontano dai suoi tormentati dubbi.

“Ma sai che c’è Matteo? Te lo dico io perché alla fine prete non mi ci sono fatto. Te lo confido solo a te e voglio che mantieni il segreto. Lo sapremo solo noi due e Dio, che lo sa da molto tempo.” Fece Antonio mentre guardava in controluce un bicchiere con lo scopo di trovarci possibili macchie, prima di posarlo sullo scaffale.

Matteo finì di sbadigliare prima di rispondere, poi parlò. “Sarò muto come un pesce, Antò. Dimmi tutto.”

“Prete non mi ci sono fatto perché non era destino mio, non finché ho tutta questa carne intorno allo spirito. Ma sai che c’è? Gesù lo disse già: lo spirito è pronto, ma la carne è debole. E ci ho pensato molto fino ad ora. Dio sa le mie debolezze e mi ama lo stesso. Io prego perché so le mie debolezze. Sono un peccatore, tutti lo siamo. Ma a Dio questo non importa sai? Lui ci ama lo stesso.” Antonio parlava di queste cose sempre con un tono sacrale, da omelia. Effettivamente era coinvolgente quando lo faceva, ma stavolta la sua voce era ancora più profonda e nel silenzio del bar, quelle parole catturarono tutta l’attenzione di Matteo.

“La carne è debole.” Ripeté Matteo. “Ma non ti sembra una giustificazione? Facile così, non trovi? Io pecco e Dio mi perdona comunque. Perché dovrei smettere di peccare?” Chiese Matteo, veramente interessato una volta tanto.

“E’ qui che sbagliano tutti. Dio non ci chiede di smettere, ci chiede di essere coscienti e di provare. Ma il peccato lo tollera, lo accetta, altrimenti non ci avrebbe dotato di libero arbitrio. Non ci ha creati per farci limitare! Ma tu guarda che casino sui tavolini di fuori che hanno lasciato quei comunisti di prima! Fammi sistemare, va!” Antonio uscì senza infilare il giubbotto nonostante si gelasse di fuori.

Matteo pensò a tutta la vicenda con sua zia con quelle parole che gli rimbombavano nella mente. La carne era debole, era vero. Bisogna accettarsi da deboli e se si pecca, pazienza, l’importante è esserne coscienti. Tutti quei limiti che si era messo nella testa, a cosa servivano veramente? Solo a tormentare lui e sua zia, invece di vivere un rapporto libero e senza schemi. Che poi, lui in Dio nemmeno ci credeva poi così tanto. Cresima e comunione gli erano stati imposti dalla famiglia. Una famiglia arcaica e ormai anche lontana fisicamente. Perché continuava a obbedire a loro? E poi, anche Dio, seppure fosse esistito, lo avrebbe perdonato no?

Antonio rientrò dopo aver sistemato tutto, continuando ad inveire sui comunisti, calamite di ogni colpa esistente in virtù della loro professione di ateismo.

“Grazie Antò.” Fece Matteo. “Mi hai fatto un bel discorso, sai?”

Antonio si lusingò e per un attimo si sentì veramente un prete.

La città della calce e del mattone, degli scioperi e delle occupazioni, delle caste da ribaltare, delle passioni da sfogare, silenziosa testimone, era lì a spiarli senza giudicarli, facendo capolino dai vetri della finestra. La luce gialla dei lampioni riempiva la stanza ma non gli occhi di Matteo, perché erano chiusi.

Un po’ per nascondere quel che faceva, un po’ per timidezza, un po’ per pudore.

La sua lingua era incerta e quindi delicata al punto giusto. Le sue mani cingevano le cosce carnose di Rita, ma senza palparla, senza fare troppa pressione, semplicemente appoggiate come quando si tocca qualcosa di fragile e si ha paura di romperlo. Il suo naso era immerso nella peluria della vagina della donna e da lì inalava tutto quell’odore particolare che sentiva per la prima volta in vita sua. Un odore forte, pungente come i crespi peli che gli circondavano il naso. Il gusto però era diverso, era quasi dolciastro. Il sesso di Rita veniva percorso dalla lingua di Matteo già da qualche minuto. Il ragazzo aveva seguito le istruzioni, leccava piano con delicatezza, concentrandosi sui punti che lei gli premeva di più in viso e dove gli indirizzava la testa con le mani. Rita usava anche i gemiti come briciole lungo un percorso: quando sospirava di più, Matteo capiva che quello era il punto giusto da stuzzicare con la punta della lingua. Per essere la sua prima volta, se la stava cavando bene. Aveva ancora molta strada da fare e autonomia ad guadagnare, ma non era male. Rita aveva l’immagine in mente di un diamante grezzo da dover lavorare per fargli raggiungere il massimo potenziale: quello era Matteo e sua zia ci aveva visto lungo.

Il ragazzo alla fine, aveva ceduto il giorno dopo aver lavorato. Mesi e mesi di dura resistenza non erano serviti poi a gran ché, solo a ritardare la perversione. Rita otteneva veramente sempre quel che voleva, Matteo si era rassegnato nel darsi a lei in un misto di eccitazione e preoccupazione per l’incesto che stava per consumarsi. Non ce la faceva più a rifiutare le avance di quella donna, troppo carica di erotismo per un semplice ingenuo ragazzo come lui. L’impresa era al di là della sua portata, titanica sfida posta ad un semplice uomo dalla debole carne.

Ma era una terribile maledizione, in fondo?

Tra l’essere beati e l’essere dannati non c’era differenza.

Beato tra le cosce di Rita, leccava le grandi labbra, succhiava gli umori grondanti da quella vagina così matura da essere un frutto all’apice del gusto, poco prima di perdere la sua consistenza e di frantumarsi in poltiglia informe. Il sapore di sua zia era così dolce e così gustoso che esserne avidi era compito semplice. Rita poi lo stava ammaestrando bene, dirigendo il gioco dall’alto sia della sua posizione, sia della sua esperienza.

“Il clitoride, Matté. Più su, più su…” Lo richiamava Rita tra un gemito e l’altro.

I suoi amici che avevano avuto le prime esperienze, gliel’avevano spiegata bene l’importanza del clitoride. Tasto segreto del roseo piacere femminile. Ma dove diavolo era? A volte gli sembrava di trovarlo e lo stuzzicava per un po’, fino a quando gli sembrava di perderlo di nuovo. Ma Matteo era un tipo perseverante e ben consapevole del suo nuovo ruolo non più di nipote, ma d’oggetto di piacere e desiderio al contempo stesso. Anche su questo Rita era stata una buona anticipatrice. Matteo era malleabile come il pongo e presto avrebbe avuto la forma dei suoi desideri. Ma lei sarebbe stata una generosa educatrice, non lo avrebbe sfruttato senza farsi sfruttare, consapevole del doppio legame cui due amanti devono sottoscrivere.

All’aumentare dei gemiti di Rita, il ragazzo intensificò il ritmo, spronato sempre più dal contesto a dare il meglio di sé, premeva il viso ancora più forte tra le cosce della donna senza curarsi di avere ormai il naso impelagato nella foresta di peli della vulva della sua nuova amante. Con le mani ora stringeva ancor di più le cosce, quasi a voler affondare le dita nell’abbondante carne di sua zia, poi però decise di cambiare, di osare di più. Era la sua prima volta ma non voleva sembrare un cagnolino indifeso. Infilò le mani sotto la camicetta della donna e le strizzò i seni, senza esagerare nella morsa. Poi se ne pentì e decise piuttosto di accarezzarli. Forse sembrava veramente un verginello con tutti quei cambi di stile improvvisi. Un’altra cosa che aveva imparato dalle chiacchiere dei suoi amici era il fatto che molte donne non apprezzavano eccessivamente l’irruenza e la forza, ma la delicatezza e la dolcezza. Ancora doveva capire a quale categoria di donne appartenesse sua zia, quindi alternò entrambi i metodi.

Rita nel frattempo era su di giri. La lunga attesa stava dando i suoi succulenti frutti. Nonostante percepisse bene le insicurezze del suo giovane e inesperto amante, la situazione la eccitava terribilmente. Attraverso le salivose leccate alla sua vulva, percepiva tutte le emozioni della prima volta, come se fosse lei quella vergine. Attraverso Matteo fluiva tutta l’energia della gioventù, la paura dell’inesperienza, il brivido della novità, tutte sensazioni ormai seppellite da tempo che riesumavano solo attraverso quell’amplesso, in tutta la loro burrascosa forza. Il fatto che quello fosse suo nipote conferiva all’amplesso un’aura di trasgressione e di proibizione.

Queste sensazioni nel loro insieme fecero in modo che Rita si sciogliesse in un caldo e soffice orgasmo nel quale perse completamente il contatto con la dimensione sensibile passando ad una più eterea condizione trascendente di primordiale piacere estatico.

Dopo aver pervaso il corpo della donna, gli spasimi dell’orgasmo cessarono, riportandola ad una più placida quiete. Matteo aveva assistito al miracolo del piacere, curioso d’apprendere i segnali corporei dai quali traspare l’appagamento femminile, ma a parte il fatto che Rita gli avesse spinto via la testa per staccarlo dopo essere stata soddisfatta e i gemiti intensificati, non aveva ben chiaro cosa fosse accaduto.

Ora anche lui era maledetto dal peccato di cui s’era macchiato, complice di quella perversa zia e consapevole della doppia accezione positiva e negativa che quegli atti avrebbero avuto per lui da quel momento in avanti.

L’eroticità fatale che ora li univa in quel rapporto si era impossessata di loro e varcato il confine con un piede era ormai impossibile non farlo con l’altro.

Matteo comprese dal solo sguardo di sua zia quale sarebbe dovuto essere il passo successivo. Doveva suggellare e condannare definitivamente quel momento con l’atto decisivo della tragedia, l’apice del piacere e del peccato.

Rita gli slacciò e tirò giù i pantaloni senza levargli gli occhi di dosso.

Magnetici, elettrici, fissi su di lui.

Ansia da prestazione, agitazione, paura di deludere, timore di peccare, di sbagliare su più fronti.

Eccitazione, troppo preponderante, aggressiva, travolgente, invincibile.

Il fallo di Matteo era all’apice dell’erezione. Sembrava uno di quei dipinti degli artisti geniali e irriverenti dell’antichità, a cui piaceva disegnare membri enormi tra le gambe delle divinità egizie.

Ma Rita avrebbe condotto il gioco. Spinse Matteo sul divano per farlo sedere e a sua volta gli si accovacciò sopra facendo scivolare l’asta del ragazzo dentro di lei, armeggiando un poco e roteando i generosi fianchi. In breve tempo, furono uniti in quell’atto, l’uno dentro l’altra, come un’unica entità.

La prima volta per il ragazzo e la millesima prima volta per Rita, auto confinata in un’eterna prima volta, svezzatrice di giovani uomini, da anni esploratrice di terre sempre nuove non ancora segnate sulla mappa.

I due amanti iniziarono la loro danza sessuale, Rita si muoveva con maestria sopperendo l’inesperienza dell’altro, scivolava avanti e indietro, su e giù, con il suo maestoso corpo di donna, incredibile per gli occhi di Matteo. Era la prima donna nuda della sua vita, la prima partner sessuale della sua vita, non poteva contenere quella alta carica erotica.

Ma era anche sua zia.

Ma la carne era pur sempre debole.

Un conflitto a cui si poteva porre rimedio solo in un modo: con un orgasmo.

Rita non era certo una sprovveduta; avendo vissuto mille prime volte, era a conoscenza del punto debole degli uomini e raramente si sbagliava nelle sue previsioni, quindi accolse l’eiaculazione del ragazzo senza delusione, ma anzi, con la fierezza di chi sa che quell’orgasmo ha più il sapore di una dolce dedica d’impazienza e voluttà piuttosto che altro.

Accompagnò le contrazioni di Matteo con l’ondeggiamento del bacino, appoggiando le mani sulle spalle del ragazzo e i seni in prossimità del suo volto, e, in qualche modo, abbracciò il bacino del partner con le gambe, strusciandosi nel fremito del travolgente piacere che seppure imparagonabile a quello avuto in precedenza, era comunque considerevole.

Dopo che i loro fiati si fossero placati, i due si guardarono negli occhi nella complice maniera di chi sa di dover mantenere un inconfessabile segreto.

Rita prese il viso di Matteo tra le mani e il suo anello gelato andò a diretto contatto con la guancia destra del ragazzo. Per un attimo il giovane si risvegliò dal trans, distogliendo gli occhi dal neo sul seno sinistro di sua zia che aveva guardato a lungo dopo l’orgasmo.

“E’ fatta, Mattè.” Disse lei sorridendo. “E’ fatta!”

Lui ricambiò il sorriso. Nessuno di loro due aveva un’espressione maliziosa in volto. “Già, è fatta.” Ripeté Matteo, deglutendo un certo senso di colpa post orgasmico.

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