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A cena con le sue amiche

By 20 Settembre 2008Dicembre 16th, 2019No Comments

Da qualche tempo mi sono follemente invaghita di una donna più grande di me di quasi dieci anni. Lei si chiama Francesca, è un avvocato ed ha un matrimonio fallito alle spalle. Non aveva mai avuto una storia con una donna, fin quando non ha scoperto cosa significa davvero avere un orgasmo. Di come ci siamo conosciute, ne parlerò forse più tardi. La cosa che più mi affascina in lei è il fatto che la senta sempre lontana, irragiungibile, come un oggetto da conquistare. Ha un pessimo caratte e un atteggiamento d’amore ed odio riguardo la nostra storia, contando il fatto che ha trent’anni e come ogni donna a quell’età si sente già avviata sulla strada della vecchiaia. E ogni serata con lei è una continua sorpresa.
Per esempio l’altra sera mi ha incastrato ad una cena. L’avevo fatta arrabbiare perché stava iniziando a mostare i primi segni di gelosia e doveva punirmi in qualche modo per averglielo fatto notare. Così, per la prima volta, mi portò ad una classica cena tra amiche del venerdì sera. Non so cosa abbia detto alle sue amiche, forse la verità, che stava vivendo una storia con una ragazza più giovane che le aveva fatto venir voglia di indossare di nuovo il perizoma. Loro, le amiche, furono tutte molto cordiali, per carità, brillanti, intelligenti, una serata piacevole, anche se non passavano inosservate le loro occhiate sospettose, alcune curiose, altre eccitate della mia presenza lì. Ci siamo distanziate per tutto il tempo, io e Francesca, era ancora arrabbiata e non risparmiava le sue allusioni e le sue battutine sul mio andare ancora all’università. Mi allontanai un attimo, dovevo rifarmi il trucco e la padrona di casa mi ha accompagnata al bagno, non risparmiandosi un “se hai bisogno di qualcosa tesoro, chiamami e corro da te” ammiccante. E mentre curiosavo nell’armadietto delle medicine di una trentaduenne con problemi sentimentali, Francesca ha bussato alla porta. Entrò, chiuse di nuovo a chiave ed andò a fare pipì, non degnandomi quasi di uno sguardo. “Le tue amiche te l’hanno già chiesto?”. “Cosa?”, mi disse avvicinandosi per lavarsi le mani. “Com’è scopare con una come me”. Mi lanciò un’occhiataccia. Sì, gliel’avranno chiesto evidentemente, pensai. E infatti annuì restando nel suo irritante silenzio, tentando di cercarsi qualche pretesto per restare ancora lì. “E tu cosa le hai detto?”, le chiesi guardandola specchiarsi piena di femminile vanità. Ci pensò qualche attimo prima di rispondere. “Che non vale la pena, alla fine, se poi devo sopportare il tuo carattere di merda”. Fece come per volersene andare, la bloccai dolcemente da dietro, mettendole una mano sulla spalla. “Hai ragione, sai, non credo ne valga la pena”. Cominciai a baciarle il collo, seguendo la linea dei fianchi con entrambe le mani, disegnandole le cosce, insinuandomi sotto l’orlo dell gonna e risalendo, sulla pelle nuda e calda. “Dovremmo smetterla allora”. Le mie parole si confondevano ai suoi primi piccoli gemiti, le mani che salivano ancora per il ventre, fino ai seni morbidi. “Dai, Lia, ci sono le mie amiche di là”, disse appoggiando le sue mani sulle mie, accompagnandole alla scoperta del suo corpo di donna, di nuovo sui fianchi armoniosi, sulle cosce toniche. “Se vuoi possiamo aprire la porta…”, cominciai ad abbassarle piano la zip del vestito, inebriandomi del suo profumo prepotente, mentre lei cercava di divincolarsi. “Ti ho detto che non voglio, non qui. Ti prego”. Si voltò, con le spalline del vestito che le erano scivolate dalle spalle, lasciandole nude e vulnerabili. E restando ferma a guardarmi, tuttavia non accennando nemmeno ad uscire. O a rivestirsi. La baciai con passione, lottando con le sue mani che cercavano di spingermi via, fino a bloccargliele sopra la testa, contro la porta. Mi staccai, guardandola con un sorriso bastardo sulle labbra, “Ti piace pensare che ti stia costringendo a scoparmi?”, e lei che cercava di nuovo la mia bocca. Le lasciai le mani, che andarono subito a slacciarmi la camicia mentre le nostre lingue giocavano e le mordevo le labbra così morbide. Mi trascinò maggiormente a sé, mettendomi il braccio sinistro intorno la vita, mentre la mano destra si impossessava dei miei seni. Si lasciò scivolare il vestito di dosso, sfilandoselo e rimanendo attaccata al mio corpo, mordendomi il collo quasi a farmi male. La trascinai fino al lavandino, con non poco rumore, facendola sedere sul freddo ripiano di marmo, per poi seguire con la lingua la linea del ventre, fino ad arrivare al bordo delle mutandine che cominciai a sfilare. Caddero inermi sul pavimento, l’aiutai a liberarsi delle scarpe col tacco che indossava, permettendole di poggiare i piedi sul ripiano, le ginocchia piegate e le gambe aperte a mostrarmi tutta la sua splendida intimità. Presi a baciarle l’interno delle cosce allenate, pregustandola già bagnata e impaziente della mia bocca. “No…Non mi piace pensarlo…mi piace che tu lo faccia” disse lei, a mezza voce, poggiandosi con la schiena al muro e facendo cadere un paio di barattoli di crema a terra, massaggiandosi i seni e aprendo le gambe il più possibile. “Shhh, adesso sta zitta”, dischiusi la bocca sulla sua splendida fica, baciandola dapprima in tutta la sua lunghezza, sentendola bagnata più di quanto pensavo che fosse. Lentamente la mia lingua carezzò il clitoride, cominciando a sentirlo inturgidirsi a ogni mia piccola leccata. A lunghi intervalli presi a leccarglielo, a baciarglielo, aprendo le labbra con un dito, massaggiandole piano. Sentii le sue mani sulla mia testa, spingerla in basso, vogliosa come mai, ansimando e continuando a sussurrare “scopami, voglio essere la tua puttana”. Mi allontanai appena per bloccarle i polsi, premendlle le mani contro il ripiano, attaccate alle cosce, facendole male. “E allora non parlare…voglio sentire solo i tuoi gemiti”. Ripresi di nuovo a leccarle il clitoride, stavolta con più veemenza, succhiandolo come se fosse stato un piccolo cazzo, mentre lasciati i polsi le massaggiavo l’interno della fica con due dita. Lei intanto gemeva, mi ripeteva di essere una puttana, la mia puttana, e più me lo ripeteva più forte le scopavo la fica con la lingua, seguendo i movimenti del suo bacino, tenendole ferme le mani, bloccandola con il mio corpo. Mi riempii la bocca dei suoi umori, continuando a succhiarle il clitoride eretto e a massaggiarle la fica con l’intera mano. “Sto per venire…” cercò di soffocare un grido, ma subito smisi di leccargliela, guardandola fremere con gli occhi chiusi e la bocca aperta. Qualche altra leccata e sarebbe venuta, ma non mi piacciono le cose semplici. Volevo vederla pregare di essere scopata ancora. Cercò di toccarsi la fica, di masturbarsi per concludere quel piacere che non poteva lasciare incompiuto, ma glielo impedii. Le sue gambe finirono sulle mie spalle, la sua schiena poggiata sul ripiano, la mia sinistra fra i suoi capelli che le teneva la testa piegata all’indietro. Si aggrappò alla mia schiena, tirandomi in basso verso di lei, le sue cosce piegate contro il torace che mi davano appoggio. Infilai due dita nella sua fica, cominciando a scoparla come se avessi avuto un cazzo tra le gambe, mentre lei si muoveva come per sentirsi completamente penetrata. E così in perfetta e violenta sincronia, le mie dita continuarono ed entrare ed uscire dalla sua fica calda e pulsante, il suo respiro sul mio collo e le sue grida che accompagnarono un bellissimo e prolungato orgasmo. Quando tolsi le dita, erano ormai inondate del suo bianco nettare, che scivolò anche sul marmo non più tanto freddo. Si rimise in posizione seduta, esausta, con le gambe che penzolavano e la schiena leggermente inarcata in avanti. Prese la mia mano e si mise in bocca le due dita che l’avevano scopata, forse per sentire che sapore doveva aver avuto il suo orgasmo. Mi abbracciò, le baciai dolcemente la guancia e l’aiutai a rivestirsi.
Quando uscimmo dal bagno, dopo aver messo un pò apposto, trovammo tutte le sue amiche rosse in viso che ci guardavano eccitate e un pò imbarazzate. Impossibile non aver sentito i nostri gemiti. Rosse di vergogna decidemmo di andarcene, ma sono sicura che quella sera le sue amiche, ognuna nei propri letti, abbiano immaginato che quelle dita che le stavano masturbando fossero quelle di un’altra donna, e non semplicemente le proprie.

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