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A cena con Tom White

By 4 Aprile 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

Non auguro a nessuno di precipitare nello stato di confusione, ed anche sconforto, in cui mi sono trovata.
Quasi quaranta anni.
Una telefonata ti avvisa che un funzionario del Ministero degli Esteri ti prega di volerlo ricevere per comunicazioni urgenti che ti riguardano.
E’ logico che dici di si, e preghi la colf di preparare per un te o un drink. Vedremo cosa preferirà.
La casa &egrave abbastanza ampia, e a mio modo di vedere anche elegante.
Del resto, Paolo guadagna abbastanza bene, sta sempre in viaggio, e quel figlio che vogliamo da almeno dieci anni, sta per uscire, purtroppo, dai nostri programmi.
Marco di Roccalta &egrave un distintissimo signore che mi porge subito il suo biglietto da visita: ‘Ministro Plenipotenziario’.
Per essersi scomodato lui deve trattarsi di qualcosa veramente seria.
Lo era.
Con garbo e usando parole gentili e comprensive, mi annuncia che Paolo &egrave stato colpito, nei giorni scorsi, da una grave forma di malaria perniciosa, malgrado vaccini e prevenzione varia, e che la sua fibra, pur forte e robusta, e adusa ai disagi dei paesi tropicali dove si recava per i problemi relativi all’agricoltura, non ha resistito!
Quindi il Roccalta mi informa che sono vedova!
Non ha nemmeno finito di parlare che con un tempismo degno di ben diversi momenti trilla il telefono.
Rosetta, la colf, mi dice che il Presidente dell’IAA, International Agricultural Agency, si &egrave preannunciato.
Poiché prevedo altre telefonate, prego Rosetta di rispondere lei e di regolarsi col suo buonsenso.
Iniziano quelle che si definiscono le ‘visite di condoglianza’.
Più o meno sempre le stesse parole, pronunciate con voce bassa e facendo credere che si partecipi effettivamente al dolore, senza domandarsi se, poi, ci sia effettivamente dolore.
Io non so dirlo.
Sono rimasta folgorata dalla notizia.
Paolo non c’&egrave più.
Mi informano che rientrerà tra due giorni, in una bara, e che ci saranno funerali solenni’
Che vuole dire?
Lui non se ne accorge, e a me non interessa nulla.
A Peter Postlethwithe, Presidente della IAA, ripeto che preferirei una cerimonia molto intima. Privata. Privatissima. Il fratello di Paolo, io, pochissimi intimissimi amici. Benedizione nella chiesa dove siamo sposati, a Sant’Andrea al Quirinale, e poi nella tomba di famiglia.
Peter, con garbo, trova il modo di dirmi che l’assicurazione sulla vita di Paolo &egrave sostanziosa, e che l’Agency provvederà a un discreto vitalizio a mio favore.
In questo momento ascolto quasi con fastidio.
Da una parte la morte di Paolo, dall’altra un mucchietto di soldi!
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La nuvola nella quale ho vissuto per oltre un mese, si va diradando lentamente.
E la situazione peggiora.
Di chi devo attendere il ritorno?
Sono andata a dormire nella camera degli ospiti.
Rosetta si sforza a prepararmi pietanze invitanti.
Io mangio, ringrazio, dico che tutto &egrave ottimo, ma non so neppure cosa mangio.
Ho cercato di andare al Club del Tennis, ma ho rinunciato all’allenamento.
Solo le insistenze di Rosetta mi hanno trascinato dal Parrucchiere.
Anche lì parole di convenienza e susseguente mutismo.
Maria Azuni, la mia carissima amica, psicologa, ha silenziosamente iniziato una terapia di sostegno, forse credendo che io non me ne accorga, e mi sta sempre più consigliando e persuadendo ad intraprendere una qualche attività, per non sentirmi inutile e sola.
Non &egrave la ricerca di un provento economico, non ne ho bisogno, ma &egrave, appunto, l’utilità di interessarsi a qualcosa.
Mi ha detto che sono troppo giovane per dedicarmi al volontariato, alle così chiamate opere di bene.
Prima o poi tornerò a provare tutte le sensazioni e gli stimoli più che normali in una giovane donna della mia età.
Se lo dice lei!
Così, mi sono fatta convincere ad accettare un incarico nel settore marketing della TA.IMPORT-EXPORT, che opera nell’ambito dell’Agency, e si interessa di prodotti agricoli.
La mia preparazione economica e la conoscenza di altre lingue, oltre l’italiano, mi faciliteranno l’inserimento.
Accetto, senza neppure chiedere la retribuzione.
E così, un bel mattino, il Marketing Manager della TAIE, mi accoglie cordialmente, dice di aver conosciuto bene Paolo, e mi presenta alla sua assistente, Luisa Parker, che deve introdurmi nel lavoro.
Luisa &egrave mia coetanea, bella, dinamica, attiva, che mi osserva subito con attenzione.
Le cose, a quanto sembra, cominciano bene.
Luisa &egrave competente, sa mettere a proprio agio, sa identificare cosa possa maggiormente interessarmi, e nell’intervallo per il lunch, mi confessa che sulle prime aveva temuto che la moglie del grande Paolo, lei lo stimava molto, fosse una di quelle con ‘la puzza sotto il naso’, che si degnava di fare qualcosa, con sufficienza e supponenza.
Ne ridemmo insieme.
Mi accorsi che era da moltissimo tempo che non ridevo.
Aveva ragione la Azuni, dovevo fare qualcosa per uscire dalla spirale che stava soffocandomi.
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Erano trascorsi circa tre mesi da quando avevo iniziato a lavorare per la TAIE, allorché si sparse la voce che era in arrivo il Presidente della Società Mr. Tom White.
Malgrado le mie caute e numerose richieste in giro, nessuno mi seppe, o volle, dire che tipo fosse questo ‘big boss’.
Tutti mi rispondevamo: ‘vedrai, lo conoscerai’!
E giunse il giorno in cui Luisa mi disse che Mr. White desiderava incontrare la moglie di Paolo.
Bussai timidamente alla sua porta.
Una voce calda, più da basso che da baritono, mi disse, in italiano, di entrare.
Aprii la porta, entrai.
Mr Tom White mi venne incontro sorridendo.
Era alto, atletico, vestito elegantemente, con occhiali moderni cerchiati d’oro, espressione simpatica, cordiale, accogliente.
Mi tese la mano, un caldo shakehands, stretta di mano.
Pronuncia italiana quasi perfetta.
‘Lieto di conoscerla, Renata, io sono stato un buon amico di Paolo.
Prego, si accomodi.’
Mi indicò il salottino che era nell’angolo del suo ampio studio.
Sedemmo.
Mi chiese se volessi un drink, un caff&egrave’
Data l’ora scelsi il caff&egrave.
Mr White alzò il telefono collegato con la sua segreteria, chiese due caff&egrave’ italiani!
Iniziò lui a presentarsi.
Bostoniano, studi dai gesuiti, poi MIT, stage in Italia, diversi.
Ancora single, malgrado i suoi 45.
Sorella a Boston, responsabile della Sede principale della TAIE.
Di me sembrava saper tutto.
Paolo era stato prodigo di descrizioni.
Tutto scorreva benissimo.
A proposito: Tom White, a dispetto del suo cognome, era un bel campione della razza nera. Un uomo di colore. A coloured man!
^^^
Ci siamo lasciati cordialmente col ‘boss’, come se ci conoscessimo da sempre e fossimo vecchi amici che avevano da raccontarsi tante cose.
Tipo simpatico.
Nel salutarmi disse che gli dispiaceva che io non fossi una ‘segretaria’.
Non comprendevo il senso di quella frase.
La riferii a Luisa.
Scoppiò in un’allegra risata.
‘Hai capito il blacky, gli sarebbe piaciuto pizzicarti il sedere!’
‘Come?’
‘Si, alcuni americani hanno per modo di dire ‘pinch the secretary’, pizzica la segretaria, e si capisce dove!’
‘Però!’
‘Lo devi prendere come un complimento, anzi come una constatazione, tu hai uno splendido fondo schiena ed &egrave logico che la tentazione sia forte.’
Alzai le spalle e tornai al mio lavoro.
Appena a casa, però, mi venne in mente di guardarmi allo specchio, di chiedergli come mi vedeva.
La risposta fu abbastanza soddisfacente.
A mio giudizio ero abbastanza attraente.
Niente smagliature, niente cellulite.
Tutto in ordine.
Peccato che ormai, da tempo, tutto ciò fosse trascurato.
Non da me, ma da un uomo. O meglio, da un maschio.
Quel tipo di vita, quella forzata castità cominciava a pesarmi.
L’indomani mi sorpresi a curare di più la mia toletta.
La gonna, abbastanza stretta e in stretching cloth, elasticizzata, poneva in risalto le mie natiche tonde. Forse un po’ troppo.
Appena mi vide, Luisa mi disse che non era leale provocare a quel modo il povero Uncle Tom, lo zio Tom, a meno che’
E lasciò il resto in sospeso.
Stavo riflettendo su quel ‘a meno che”, quando si sentì un lungo fischio e un crumbs what a glitz, caspita che spettacolo!
Era Mr White che arriva in quel momento e, come era suo solito, guardava negli uffici.
Io avevo perfettamente capito a cosa alludesse e’ non mi dispiaceva.
Dopo pochissimi minuti Luisa mi disse, ammiccando, che il capo voleva vedermi.
Be at the ready, Renata, sii pronta all’attacco!
Mr White era dinanzi alla sua scrivania, appoggiato al bordo, con un lieve sorriso sulle labbra.
‘Lei &egrave proprio uno splendore, Renata!
Altro che le descrizioni di Paolo.
Ecco perché non mostrava le sue foto.
Aveva perfettamente ragione!’
‘Grazie Mr White.’
‘Mi chiamo Tom.
Logico, bovero negro Tom!’
E rise allegramente.
‘Allora, le secca farsi vedere in giro con Tom?’
‘Perché dovrebbe seccarmi.’
‘D’accordo, ceniamo insieme?’
‘Volentieri.’
‘Benissimo, a casa sua alle otto. Va bene?’
Tom andava diritto alla scopo.
Così credevo.
‘OK, cosa preferisce?’
‘Una cena leggera, all’italiana.’
‘Sa dove abito?’
‘Certamente.’
‘Allora a questa sera”
Mentre stavo per uscire, Tom si avvicinò, trattenne la mia mano tra le sue’
‘Non si metta in etichetta’ ci serviremo da soli”
‘OK’
‘Sono sicuro che la serata si rivelerà meravigliosa, will turn out in a slam-bang night!’
Lo guardai fisso, perché quella sua espressione americana poteva anche significare che sarebbe finita in una grande’ scopata.
‘OK Tom, alle otto!’
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Che dovevo fare?
Era chiarissimo che la cena sarebbe stata solo un preliminare gastronomico.
Era altrettanto chiaro che un mio ‘mal di testa’ a giustificazione del ‘rinvio’ della cena significava dimissioni dalla TAIE.
Mollare la TAIE mi interessava poco.
Dovevo valutare se valesse o meno la pena di rinunciare a quel fusto d’ebano che, a ben pensarci, poteva ben colmare il vuoto lasciato da Paolo.
Vuoto che diveniva sempre meno sopportabile, sempre più implorante un opportuno riempimento.
Non era una scelta facile.
Strano, ma io avevo ‘conosciuto’ solo Piero.
Sarebbe stata la mia seconda ‘prima volta’.
Per di più con un maschio di colore.
La cosa mi faceva sorridere.
Pensavo ai due cagnolini della bottiglia di whisky: black and white, e ridevo di più considerando che il black era’ White!
Mi veniva in mente la maglia della Juve.
Meno raffinatamente, riflettevo che sarebbe stata una scopata in tecnicolor.
Altra inquietudine: ma &egrave vero che i neri sono più dotati dei bianchi?
Tom era almeno uno e novanta, io uno e sessantasei.
Se quel quasi 20% in più era distribuito anche nelle altre parti del corpo’!
Forse il kamasutra non avrebbe considerato tra i migliori il nostro accoppiamento.
Avevo detto a Luisa che andavo a casa, senza spiegarne il motivo.
Stavo guidando lentamente.
All’improvviso, altra angoscia.
E se avesse preteso anche il ‘secondo canale’?
In tal caso, credo, sarei andata a far compagnia a Paolo nel suo attuale domicilio.
Avevo involontariamente spalancata la bocca.
Può capitarti che lui sia un patito della fellatio.
Ancora con tutte queste idee che si affollavano nella mente, raggiunsi casa.
Dissi a Rosetta di preparare una leggera cena fredda a base di carne in gelatina e contorni, vino bianco, dolce.
Rimasi nella vasca a crogiolarmi, a lungo, a guardarmi, a carezzarmi, a carezzarla dolcemente, preannunciandole la fine del digiuno, ma anche il pericolo di un cibo’ troppo pesante.
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Tom fu puntualissimo.
Bellissime le orchidee.
Si muoveva a suo agio, sembrava di conoscere la casa.
Gli offrii un drink per aperitivo, lo accettò ma disse che voleva visitare l’appartamento.
A quanto affermò, era tutto di suo gusto, e aggiunse che la vera preziosità, però, era la padrona di casa, e sottolineò l’apprezzamento con una lunga e insistente carezza sui glutei.
Mi propose di cenare in cucina, sedendo sugli sgabelli alti, vicino alla mensola che fungeva da ‘servante’.
Quando mi avvicinai alla ripiano per mettere piatti e bicchieri, cercò di aiutarmi, ed ogni volta che ci incrociavamo era sempre più insistente negli sfioramenti che ben presto divennero veri e propri palpeggiamenti.
Ora una tetta, ora una natica.
E venne anche il turno d’una bella afferrata in mezzo alle gambe, con la sua grossa mano che andava dal pube al perineo, e il medio che aveva subito trovato il modo si intrufolarsi tra le grandi labbra.
Sentivo che ero bagnata.
E, pur rasentandolo appena, accertai che era ben voluminoso il fagotto che riusciva a trattenere a stento nei suoi pantaloni.
Tom era sempre più eccitato.
Io peggio di lui. Dopo tanto tempo!
Mi prese in braccio.
‘Ceneremo dopo’ sto scoppiando’.’
Mi porto in camera da letto.
Con dolcezza ma velocemente, mi spogliò, mi depose sul letto.
Non mi accorsi neppure come fece a restare nudo in pochi istanti.
Si avvicinò a me, aveva un fallo enorme, eretto come un obelisco.
Mi alzò le gambe, ponendosele sulle sue spalle, accostò il glande alla mia vagina, rorida e palpitante, e senza violenza, ma con decisione, mi invase.
Mi sembrava che una locomotiva fosse entrata in me.
Cominciò con sapiente lentezza, ritraendosi e poi penetrandomi fino a quanto la mia dimensione poteva contenerlo.
Un ‘avanti e dietro’ che mi fece subito salire ai vertici del piacere, del godimento.
Mi agitavo come una forsennata.
Lui proseguiva imperterrito.
Ebbi un orgasmo sconvolgente.
Mi rilassai, tornai ad eccitarmi, più di prima.
Ancora palpiti, contrazioni, quell’enorme strumento che mi invadeva e mi deliziava, mi dilatava e mi portava alle stelle del piacere.
Si fermò un momento, sentivo il pulsare della sua stele fallica, poi, d’un tratto, spinse ancora e m’invase del suo seme caldo e dissetante.
Rimase così, a lungo, senza un minimo cenno di cedimento.
Si accertò che il mio grembo tornava a muoversi, e ripeté la funzione, come prima, meglio di prima.
E solo dopo la terza volta consecutiva che mi inondò della sua essenza, decise che dovevamo fare un ‘break’ per la cena.
Uscì da me lentissimamente.
Mi sembrava che qualcosa si distaccasse dal mio cervello, dalla punta dei miei piedi. Come un filamento lunghissimo che trasportava con sé il centro delle percezioni; un filo che partiva dalla testa, dai piedi, dalle braccia, dalle mani, attraversava tutta me stessa, si concentrava nel mio grembo, ed ora se ne andava, sgusciava da me.
Quell’immenso palo, uscendo da me, trascinava con sé le radici del piacere.
Io restavo come una carrozzeria senza motore, uno scaldabagno senza resistenza: un scatola vuota.
Ero distesa sul letto.
Tom si alzò, imponente, maestoso, solenne.
Andò a sedere sulla poltrona, ai piedi del letto.
Era ancora in evidente erezione.
Io mi sentivo svuotata.
Mi levai, un po’ barcollante, come ubriaca.
Ero ebbra, di sesso.
Estatica, circondata da una nuvola meravigliosa.
Andai nel bagno.
Non sapevo cosa fare.
Poi cominciai a lavarmi, accuratamente.
Quasi mi dispiaceva che ancora qualcosa di lui continuasse ad abbandonarmi.
Ero stordita come chi, ritenendo di percorrere una strada conosciuta, si trovi, all’improvviso e inaspettatamente, di fronte a uno spettacolo incantevole.
Sì, sapevo che un po’ si sesso mi avrebbe fatto bene, ne sentivo la necessità dopo tanto tempo, ma mentre mi apprestavo ad un normale, anche se piacevole, convito ero stata coinvolta in un banchetto regale, per qualità e quantità delle portate.
Era gigantesco, per me, sovrabbondante per lunghezza e grossezza, resistente al di là d’ogni pur lusinghiera aspettativa. Il kamasutra non aveva idee chiare in proposito.
Tornai in camera.
Lui era ancora la.
Mi attirò a se, mi fece sedere sulle sue gambe.
Avevo la sensazione d’essere la coniglietta bianca tra le zampe del lupo nero.
Quella verga, mai doma, s’era un po’ intrufolata, deliziosamente, nella mia vagina.
Solo un poco.
Poi era uscita.
Tom mi sosteneva per le natiche, e tra esse spennellava col suo grosso arnese quanto aveva raccolto in me.
Si soffermava insistentemente sul mio buchetto.
Era quanto temevo!
Lo sentivo palpitare, il mio buchetto.
Era piacevole quello spennellamento, e anche quell’insistere sussultante del suo poderoso battaglio.
Ecco.
Era un battaglio, ma avrebbe incrinata la campana che si accingeva a suonare.
Sorreggendomi, col suo glande all’ingresso del mio buchetto, si alzò e mi depose dolcemente sul letto, curando che rimanessi carponi.
Dilatò ancora le natiche, spinse decisamente.
Feci un profondo respiro, mi disse di premermi.
Incredibile pur se non era del tutto indolore, le mie pareti cedettero, lo sfintere si allargò, lo inghiottì, tutto fin quando sentii i suoi testicoli sui glutei,
Un momento di sosta,
Benissimo.
Mi ero rilassata.
Adesso sentivo il piacere di quel massaggio per me nuovo e inusitato, e presto fu accompagnato dal suo sprimacciarmi le tette, titillarmi il clitoride, introdurre quel chilometrico medio nella vagina, esplorarla, cercare e trovare il punto della mia maggiore sensibilità.
E mi sorpresi a mugolare voluttuosamente, a dimenarmi come una danzatrice del ventre, a mungerlo avidamente.
Stantuffava con perizia estrema, e le sue mani avevano tocchi deliziosi.
Ma anche lui doveva essere su di giri, perché non appena si accorse che ero entrata nella zona dei miei turbinosi orgasmi, vibrò impetuosamente e mi riempì del suo interminabile succo delizioso.
Restammo così, a lungo.
Fin quando lui non ritrovò la quiete dei sensi.
Ed io la mia.
Sgusciò da me.
Si alzò.
Mi dette un’affettuosa pacca sul sedere.
‘Ma non mi avevi invitato a cena?’
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