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Cena aziendale

By 25 Novembre 2010Dicembre 16th, 2019No Comments

La mia azienda aveva organizzato una cena per salutare alcuni di noi che, entro pochi giorni, si sarebbero trasferiti in un’altra città per gestire una nuova filiale.
Uno dei… partenti era Giulio e la cosa mi dispiaceva un sacco: era un bell’uomo e, lo ammetto, mi piaceva ed intrigava molto.
Diciamo che il suo corteggiamento era appena all’inizio, ma che comunque lo incoraggiavo un pochino, a differenza di tutti gli altri ‘mosconi’ che a volte mi ronzavano in giro.
Non eravamo andati oltre qualche abbraccio e bacio furtivo, rubati tra il locale della fotocopiatrice e l’ascensore e ci eravamo ripromessi di rubarci un pomeriggio, prima o poi, esclusivamente per noi.
Devo dire che ero sempre stata fedele a mio marito, ma in quel periodo le cose non giravano un granché bene e… mah, forse avevo bisogno di sentirmi desiderata da un uomo, per sentirmi ancora appetibile, per sentirmi ancora una donna, anziché ormai solo una moglie-e-madre.
Giulio era un bell’uomo, alto, di pochi anni più anziano di me.
In quel periodo più lo guardavo, più mi sentivo illanguidire.
E adesso, improvvisamente, lui ed il suo Antonio sarebbero stati trasferiti lontano!
A causa di un attacco influenzale, che mi aveva tenuta a casa una decina di giorni, non avevo saputo che il giorno prima che quella cena sarebbe stata un addio, per lui, Antonio e la Gabrielli, che avrebbe preso il comando…
Li compiangevo un pochino: la Gabrielli era una cinquantenne, acida, divorziata e una dirigente davvero feroce.
Avevo capito che erano stati destinati loro tre ad andare perché erano state scelte tre persone che non avessero famiglie da trasferire e quindi la mia romantica e sciocca idea di farmi assegnare alla nuova filiale andava a cozzare contro l’ingombrante presenza di mio marito e, soprattutto!, contro quella di mia figlia Martina e la tutte le sue amicizie della seconda elementare.
Venne il fatidico venerdì dove, dopo il lavoro, ci saremmo trasferiti in un locale sulle alture fuori città per aperitivo e cena.
Avevo ovviamente preavvertito mio marito che non sarei rientrata e che, quindi, avrebbe dovuto occuparsi lui di Martina e che sarei tornata dopocena…
Quel giorno di fine giugno, ero stata indecisa sul come vestirmi per la giornata di lavoro e la seguente cena.
Sul lavoro portavo inderogabilmente sempre il reggiseno, non tanto perché il mio piccolo e sodo seno lo richiedesse, ma sopratutto per evitare qualunque tipo di seccatura, di occhiate curiose e di apprezzamenti, spesso anche fastidiosamente volgari e offensivi.
Ma perché gli uomini non sanno apprezzare il bello solo in quanto tale? Nei loro occhi, invece, le volte che decido -rigorosamente ‘fuori servizio’!- di non costringermi il seno in quell’indumento, non leggo altro che ”Che capezzoli! Che figa; ti scoperei fino a farti urlare, piccola troietta!!”. Bestie!
Non avevo mai goduto di grosse possibilità economiche, in vita mia, pur non mancandomi nulla; però la mia cara vecchia nonna paterna, che mi aveva cresciuto mentre mamma e papà lavorano, era sempre stata una convinta assertrice del motto ”Chi più spende, meno spende!”.
Mi aveva perciò insegnato che, se mi occorreva una cosa, era meglio non scendere quella di minor costo, perché la qualità avrebbe lasciato a desiderare e anche la sua resa, nel tempo, mi avrebbe costretto a ripetere l’acquisto in tempi ravvicinati
E questa filosofia d’acquisto aveva ispirato anche le mie scelte riguardo alla lingerie; non avrei mai comprato nulla in quei negozi in franchising che vanno per la maggiore: i miei (pochi) reggiseni, le mie mutandine (o culottine) erano sempre belle e come nuove, quando le indossavo.
E MAI sarei uscita di casa con lo slip di un colore diverso dal reggiseno!
Al momento della scelta, dopo queste involontarie riflessioni, mi ammirai allo specchio: le mutandine, a vita bassa, abbracciavano dolcemente i fianchi, con la loro morbida curva che solo il corpo di noi donne ha; il monte di venere risaltava appena dal tessuto bianco a lasciava certo immaginare il folto cespuglietto.
Il reggiseno,un delizioso balconcino, invece calzava a pennello su un paio di seni che chiunque avrebbe definito da urlo: né troppo piccolo, né troppo grande e soprattutto compatto, sodo, con un piccolo roseo capezzolo.
Ma andavo particolarmente fiera del pancino, piatto, tonico, come quello di una ragazzina.
Ne ero fiera perché la maternità non aveva lasciato nessun segno su me, almeno nessun segno visibile. Ma non altrettanto IN me…
Smisi di pensarci, a quel mio piccolo amore di nome Martina… e smisi di contemplarmi allo specchio per dedicarmi al trucco, a quell’operazione cui una donna raramente rinuncia…
Con un ginocchio appoggiato su uno sgabello mi avvicinai allo specchio, che mi rimandò un’immagine mooolto, molto appetitosa del mio corpo proteso in avanti, in una posa birichina ma invitante.
Se solo i miei colleghi avessero potuto vedermi… Sapevo benissimo che in ufficio ero conosciuta come una ”fica fredda” e cio&egrave una donna che pur essendo bella o ben fatta, era priva di qualunque attrattiva sessuale; insomma: con me un membro moscio, secondo loro, rimaneva moscio!
Sorrisi al pensiero, mentre le mani massaggiavano la crema sulla pelle del viso e del collo. Avevo già una leggera abbronzatura, di quelle che ti rendono la pelle luminosa senza involgarirla con un orrendo colore marrone scuro e perciò, come al solito, applicai e sfumai una matita per occhi, molto mascara, un pizzico di fard. Mi guardai allo specchio: ero poco truccata: potevo quindi… benissimamente osare un bel rossetto rosso lacca senza, per questo, apparire un volgare mascherone…
Poi mi vestii; dall’armadio avevo scelto un abitino estivo di seta nera stampata con dei grossi papaveri rossi, accettabilmente scollato e sostenuto da laccetti alla DeG, che terminavano con un piccolo anellino. L’avevo abbinato ad una giacchina corta, dello stesso colore rosso brillante, manichine all’americana. Un paio di chanelline aperte di rossissima pelle lucida ai piedi. Una borsa grande, in vimini, e una leggera sciarpina in seta al collo, sempre rossa, completavano la mia mise; per finire, profumo: quanto basta per starmi accanto e VOLERCI rimanere. un’ultima occhiata finale allo specchio: ” Wow, tesoro: sei un gran bel vedere!” sorrisi.
Infine, soddisfatta, uscii.

La giornata, in qualche modo, passò anche se a volte mi veniva una grande tristezza per non aver avuto l’occasione per… conoscere meglio Sergio; ormai era troppo tardi.
All’ora di uscire, mi rifugiai nei bagni per rinfrescare il trucco; più che di vera e propria necessità, fu il bisogno di rivedere la mia immagine allo specchio… Anche perché, quando quella mattina entrai nell’edificio, subito percepii qualcosa di diverso dal solito.
Già l’addetto alla sicurezza mi guardò in modo diverso e ci mise anche qualche secondo a rispondere al mio squillante ”Buongiorno , Alberto!”; sentii chiaramente i suoi occhi incollati addosso, quando lo oltrepassai.
E lo stesso stupore nei miei colleghi di ufficio; tant’&egrave vero che uno, Giovanni, il più scapestrato, irriverente, nonché un vero e proprio sciupafemmine -per stessa ammissione di quante -e tante!- si erano rotolate nel suo letto; dicevo: Giovanni, parandomisi davanti, sgranò gli occhi, sorrise sfacciatamente e mi disse: ”Wow! Ma dove cazzo tenevi nascoste quelle gambe, quel seno e soprattutto quel bel culetto?
Ieri sera tuo marito ti deve aver scopato da dio, vedendo la tua espressione radiosa…
Quasi quasi ti porto di là, nella stanza della fotocopiatrice,e ti sbatto ben bene… vedrai che ti scorderai anche del maritino torello!
Gli risposi con una risata che mi nacque spontanea, lo presi per le orecchie, e gli stampai un bacio in fronte, come Biancaneve fa con Cucciolo. Mi fissò, interdetto.
Solo che quando girai i tacchi per raggiungere la mia scrivania, sentii la sua mano: una tastata di culo con trattenuta vibrante… la trattenuta vibrante &egrave il trattenere la mano sul culo oltre il tempo, diciamo!, normalmente necessario alla tastata, mentre le dita sondano il… terreno.
Capriolai via, sfuggendo dalla sua presa e mi girai verso di lui sorridendogli, ma aggrottando anche le sopracciglia in un gesto di scherzoso rimprovero, e mi infilai nel mio ufficio.
Per quella giornata, avevo deciso di mostrare prepotentemente la femminilità che avevo, prima di allora, sempre accuratamente celato ed il risultato era assolutamente inaspettato quanto gradevole; perfino i colleghi più scorbutici, addolcivano il tono di voce e gli atteggiamenti!
Dopo la giornata di lavoro, l’immagine che gli specchi dei bagni delle signore mi rimandarono era quella di una bella giovane donna: l’abbronzatura mi aveva risparmiato dalla necessità del fondo tinta, e adesso bastava soltanto un ritocco di fard e… LA BOCCA!
Con la matita, ridefinii tutto il contorno delle labbra, con una particolare attenzione, affinché l’effetto ultimo fosse il più naturale possibile. Poi, col pennellino da rossetto coprii di colore le labbra: perfetta, semplicemente perfetta. Una vera e propria bocca da cazzi……ops! Un lapsus! Bocca da baci, volevo dire…
un’altra spruzzata di profumo…..e via, pronta per quella serata. Forse magica.

Ci trovammo tutti davanti all’ingresso ed alla fine partimmo su varie auto per raggiungere il locale.
Cominciammo con l’aperitivo: nonostante non ami quelli alcolici, cedetti alle insistenze del direttore ed accettai uno a base di champagne.
Gli stuzzichini non erano particolarmente invitanti ed inoltre non avevo intenzione di cominciare a metter su peso, per cui ne piluccai svogliatamente un paio; chiacchieravo con vari colleghi e colleghe, nonostante la voglia che avevo di monopolizzare Giulio.
Tra noi, comunque, scambiammo molti sguardi e occhiate significative, ma come potevamo rischiare di finire sulla bocca di tutti, pettegoli come in ogni ufficio?
Sorseggiai l’ultimo sorso dell’aperitivo, mentre conversavo amabilmente con due del commerciale, ed un cameriere mi tolse il bicchiere ormai vuoto.
Dopo pochi istanti, riapparve nuovamente accanto a me il cameriere, porgendomi un altro aperitivo dello stesso tipo: siccome ero abbastanza coinvolta nell’argomento, lo afferrai senza pensarci e, quando il capo del commerciale alzò il suo calice in un silenzioso brindisi, io e gli altri tre che eravamo con lui, lo imitammo ed anche noi sorseggiammo la bevanda.
Alla fine, quando ci avvertirono che potevamo accomodarci a tavola, decisi di andare a verificare la tenuta del trucco ed, eventualmente, operare i ritocchi necessari.
Mentre una collega si chiudeva in un cubicolo, esaminai con cura il mio aspetto e decisi che, con un leggero ripasso di rossetto, sarei stata glamour (per gli occhi di Giulio) come era mia intenzione. Finito il ritocco, la collega mi si affiancò per verificare anche lei la tenuta del trucco ed io pensai che forse era meglio fare una capatina nel cubicolo per… beh, per non rischiare di dovermi alzare da tavola durante la cena.
Probabilmente fu colpa degli aperitivi non analcolici se, una volta fatto ciò che mi aveva spinta ad entrare, decisi di fare una cosa molto maliziosa, scandalosa, così lontana dalla mia maniera di pensare ed agire com’era: anziché rialzare le mutandine, le sfilai completamente e le riposi nella borsa.
Poi, in un impeto di spudorato coraggio e considerando che tanto indossavo la giacchina, mi decisi e tolsi anche il reggiseno.
Uscii dai bagni e raggiunsi la sala da pranzo, dove quasi tutti erano ormai seduti; mi sentii gli occhi di tutti addosso e per un attimo terrificante pensai che TUTTI realizzassero che ero NUDA, a parte il leggerissimo sipario del vestito di seta.
Mentre procedevo con passi cauti verso il posto che mi avevano riservato, le mie sensazioni erano contrastanti: l’euforia che mi aveva fatto togliere il mio prezioso -in ogni senso!- intimo, stava cedendo il posto al terrore che qualcuno vedesse, capisse…
Però, d’altra parte, l’inconsueta sensazione di aria fresca sulla mia micetta era… sconvolgente e, in ultima analisi, anche piacevole.
Quell’aria mi stava inebriando, come e più dei drink di prima.
Con mio grande, quanto ottimamente dissimulato!, piacere, mi fecero sedere proprio di fronte a Giulio (Ma non lo avranno fatto apposta? Non avranno capito? Non sarà quella la maniera di farmi capire che TUTTI ormai sanno? Non starò diventando lo zimbello dell’ufficio, l’argomento principe del gossip aziendale???), ma fingendo nonchalance, mi accomodai.
Giulio mi sorrise -forse con maggior calore del giusto, visto l’ambito!- ed io mi rilassai.
Anzi, decisi di metterlo al corrente della… monelleria che avevo fatto per lui… Solo che dirglielo, mimarglielo, alzarmi in piedi e sussurrarglielo attraverso il tavolo… no, erano fuori discussione… Idea!!! Un sms!!!
Pescai il cellulare dalla borsa e digitai: ‘Ho deciso d stare senza slip… ora, x te!’
Poi impostai il messaggio in trasmissione e, mentre lo stavo per lasciare nuovamente cadere nella borsa, premetti il tasto d’invio, in modo che non si vedesse che io mandavo un sms e quasi immediatamente lui lo riceveva…
Difatti, pochi secondi dopo, si sentirono i pochi accordi della sua suoneria che segnalavano l’arrivo di un messaggio; lui, che stava ascoltando una barzelletta dal mio vicino di tavola, trasalì e sorrise come per scusarsi, mentre metteva la mano in tasca e ripescava l’apparecchio.
Come il suo sguardo riconobbe il mio numero, alzò gli occhi e mi lanciò un’occhiata, sollevando leggermente il sopracciglio con fare interrogativo; gli risposi socchiudendo leggermente gli occhi, come un gatto soddisfatto.
Allora lui, incuriosito, lesse il messaggino, poi mi guardò e sgranò gli occhi.
Fece un piccolo cenno con la testa, per chiedermi conferma: un accenno di sorriso gli diede la conferma che aspettava.
Da quel momento, la sua cena diventò un inferno: sudava, mi scrutava facendo maldestramente finta di non farlo, parlava e perdeva il filo; ad un certo punto lo vidi come… scendere, sulla seggiola, come se si fosse rimpicciolito.
Mentre stavo cercando di dare una spiegazione allo strano fenomeno, sentii il suo piede, coperto da regolamentare calzino ma, per fortuna!, privato della scarpa insinuarsi tra le mie ginocchia ed arrivare fino a metà coscia.
La cosa era estremamente stuzzicante, ma lo sentivo con la gamba stesa allo spasimo e leggevo sul suo viso lo sforzo per riuscire ad arrivare al suo oggetto del desiderio.
Mi vedevo, mentre anch’io scivolavo in avanti col sedere per aiutarlo a raggiungere il… bersaglio; immaginavo che spettacolo sarebbe stato per tutti gli altri, che ovviamente avrebbero impiegato meno di un nanosecondo per intuire il senso delle nostre manovre.
Per cui, mi sedetti ancora più eretta e feci un leggerissimo cenno negativo, anche se feci sfrecciare sul mio visetto un’espressione dispiaciuta.
Il suo viso sembrò come… implodere per al delusione, subito dopo riassunse l’espressione normale e si risedette correttamente.
Poi, continuammo ‘normalmente’ la serata conviviale, anche se, la seconda volta che Giulio lascio ‘incidentalmente’ cadere il tovagliolo, gli feci gli occhiacci e la smise, quindi, con queste… immersioni per spiarmela.
Vedevo che era nervoso, agitato… probabilmente eccitato ed anch’io mi sentivo strana, anche perché l’umidore della mia gattina era per la prima volta esposto all’aria fresca in pubblico ed il relativo raffreddamento della parte… Beh, mi destabilizzava un po’.
E lui che continuava a gettarmi occhiate, piccole ombre di sorrisi, tutta una serie di messaggi mimici per farmi capire che mi desiderava, che subiva quella… deportazione, che avrebbe voluto che…
Un piccolo velo di tristezza, per queste cose, ma ormai i dadi erano tratti.
Cosa dire della cena, per il resto? Tante portate, eccellenti!, tanto cibo, tanto vino, tanche ciance e barzellette che prima erano abbastanza caste ma poi, con l’avanzare della serata e delle bottiglie vuote, erano sempre più sfacciate.
Alla fine, l’ineludibile discorso, gli scontati applausi, le pacche sulle spalli e gli abbracci ai partenti e poi, alla fine, era finita!
Per rientrare a casa, chiesi un passaggio in auto e -combinazione!!- Giulio galantemente si offrì di accompagnarmi.
Davanti a tutti, lo ringraziai con cortese distacco, ma dentro di me esultavo, eccitata sia dalla possibilità offerta che dal tanto -un po’ troppo per il mio solito, in effetti!- vino bevuto.
Avevo, come si dice, il cuore nelle rose (e non sto a dirvi in che condizioni ero, lì sotto…), quando, avvicinandoci all’auto, vedemmo anche Antonio avvicinarsi e, come Giorgio sbloccò le portiere, impugnare tranquillamente la maniglia di una portiera posteriore.
‘Ma… vieni anche tu con noi, Antonio?’
‘Beh, certo! Io e Giorgio abitiamo a poche centinaia di metri di distanza… E’ ovvio che torno a casa con lui!’ Rispose, con un sorriso un po’ stupito sul viso.
Occazzo, cazzo, cazzo, cazzo e straccazzo!!! I miei progetti… romantici, andavano al diavolo per questo accidente d’imprevisto!!!
Potevo stare un po’ sola con Giorgio ed invece… Accidentaccio!!!!!!!!!!
Riflettei rapidamente, fingendo regale distacco: ‘Beh, allora siediti davanti: sei molto più alto di me e starai più comodo…’ dissi con un sorriso, più falso di una banconota da diciassette euro.
Lui mi sorrise per ringraziarmi e salì davanti, accanto al MIO Giorgio (Antonio: ti venisse un attacco di caghetta!!!)
Salii così dietro e tant’&egrave non mi arresi: mi sedetti dietro al passeggero, in diagonale con Giorgio e decisi di… punirlo e premiarlo insieme, rialzando la gonna fino a mostrargli… le mie grazie.
Lui in effetti vide e notai il suo pomo d’Adamo andare su e giù, evidentemente… emozionato dalla visione.
‘Ah, devo chiedervi una cortesia…’ Chiesi, con voce esitante, pensando ad un dettaglio tecnico importante, vista la notte che ci avvolgeva. Mi guardarono con aria incuriosita e allora continuai la frottola che avevo appena escogitata: ‘… Per un trauma infantile, non mi piace stare in auto, di notte, al buio: vi spiace se teniamo la luce interna accesa?’
Sorrisero, indulgenti ed assecondarono senza una parola la mia inconsueta richiesta.
Partimmo e lui si regolò il retrovisore in modo da avere una buona visione del panorama che offrivo, gettando alternativamente gli occhi sulla strada e sullo specchietto.
L’effetto del vino continuava ad aumentare (non dovevo prendere il limoncello che ci hanno offerto alla fine!) ed io… beh, volevo fare una pazzia, una pazzia per lui: allungai la mano e mentre dalla bocca di Antonio usciva un ininterrotto fiume di banalità, cominciai ad accarezzarmi, scostandomi le labbrine, sfiorandomele e insinuandomi un ditino, alle spalle dell’indesiderato passeggero.
Man mano che proseguivo lo spettacolino, il mio ‘bersaglio’ sembrava gradire, continuando a sorridere ed anch’io, coi miei sfioramenti, mi sentivo avvampare: se non fosse stato impegnato nella guida, probabilmente lo avrei baciato e poi mi sarei anche piegata tra i sedili per baciarglielo… e affanculo Antonio!
Invece ogni minuto che passava, era come un granello di sabbia che passasse dalla clessidra e DOVEVO trovare un modo per restare, anche solo UN minuto!, con Giulio.
Ci stavamo avvicinando inesorabilmente a casa mia e percorrevamo un largo viale; un’insegna accesa attirò la mia attenzione: era un fornaio che con una speciale deroga poteva cuocere e vendere pane, pasticceria e pizze al taglio per tutta la notte. C’ero stata anni prima e… IL LATTE!!! Vendono anche il latte fresco, oltre alle bibite!!
‘Il latte!’ Entrambi si voltarono a guardarmi (mi ero ovviamente ricomposta!)
‘Ho finito il latte e domattina mi serve per mia figlia… Lì so che lo vendono: vi spiace se ci fermiamo un attimo e scendo a prenderlo?’
Mentre Giulio rallentava, Antonio -come mia speranza!- si offrì galantemente di scendere lui per comprarlo; mi schernii, ma con moderazione (Non volevo che cambiasse idea!!), ma poi accettai la cortesia.
Ci eravamo fermati accanto al marciapiedi opposto e vedevamo che il locale era con diversi clienti; speravo che il latte fosse, come era una volta, dietro al bancone, impedendo ad Antonio di servirsi, pagare e tornare in un lampo…
Scese e, mentre ancora stava attraversando il largo viale, mi piegai in avanti per baciarmi con Giulio che, sorridendo, si era mezzo girato sul sedile, mentre al sua mano, sfiorandomi prima il ginocchio, risaliva dolcemente fino al mio… fulcro.
Come sentii le sue dita, singhiozzai di piacere, che sentii immediatamente montare fino ad esplodere; allungai la mano e -finalmente!- potei impugnare il suo scettro, percepito molte volte attraverso gli indumenti ma senza aver mai, prima di allora, potuto valutare la sua serica consistenza e le sue reali dimensioni.
Feci la follia: mi piegai in avanti, tra i sue sedili e lo raggiunsi per baciarlo, per succhiarlo, per sentirmelo per la prima volta in bocca!
Lui protestò senza convinzione, temendo il ritorno di Antonio, ma continuando a frugarmi la passerina; Evidentemente le mie provocazioni, nell’arco di tutta la serata, gli avevano fatto effetto, molto effetto!; difatti, avevo da poco cominciato a impadronirmene con la bocca, quando cominciai a sentirlo sobbalzare ritmicamente tra le labbra: stava per venire, stavo per bere il mio amore!!!
La cosa mi diede una scarica ed i nostri piaceri esplosero simultaneamente!
Non c’era tempo e modo per trovare un’altra soluzione, per cui bevvi fino all’ultima goccia e poi mi rialzai, raggiante!
Stavo per baciarlo, per dirgli qualcosa di tenero, di erotico, di intimo, quando dal finestrino vidi tornare Antonio con la bottiglia in mano.
Sussurrai un ‘Ti amo’, prima che lui aprisse la portiera e si sedesse.
Mi riportarono, infine, a casa; scendemmo davanti al portone e ci salutammo coi rituali abbracci e baci sulle guance.
Loro, l’indomani, sarebbero partiti per la nuova destinazione, ma io, quella sera, avevo scoperto qualcosa, qualcosa di nuovo su me e sull’ufficio.

Il lunedì seguente, mi truccai e vestii con molta cura, per andare a lavorare.
Ormai il guardiano mi sorrise cordiale ed ammirato ed anche i colleghi.
Entrai nel mio ufficio, accesi il computer e presi il telefono: ‘Giovanni?… Buongiorno, caro!… Puoi venire un attimo nel mio ufficio..?’

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